CROBILO (χρωβύλος)
Vocabolo attico che, per quanto risulta dalle notizie dei lessicografi antichi, dovrebbe significare "viluppo" e più propriamente ciuffo o nodo di capelli attorcigliati o arricciati, ed equivalere al termine ionico "corimbo" (κορυμβος, vertice o grappolo) in uso per l'acconciatura femminile, e alla voce "scorpione" (σκορπίος) per la treccia dei bambini.
La parola è notissima nel campo dell'archeologia per il passo di Tucidide (I, 6) in cui, accennando a un lussuoso abbigliamento arcaico, si dice che alcuni vecchi aristocratici di Atene, ancora negli ultimi anni prima della guerra peloponnesiaca, facevano sfoggio del chitone lungo e dell'abbondante capigliatura, che portavano raccolta in modo da formarne un crobilo intrecciato per mezzo di cicale d'oro (τέττιγες).
Il passo è stato interpretato variamente, ma le interpretazioni sono sostanzialmente due: o il crobilo è il volume dei capelli, annodato sulla nuca, tenuto fermo da aghi crinali o da spirali d'oro chiamate τέττιγες (o legato da corone di foglie d'oro che per la forma e per il tintinnio potevano ricordare le cicale, come in un vaso attico di Cerveteri); oppure per crobilo s'intende il ciuffo portato sul davanti e assestato sopra la fronte mediante una specie di diadema d'oro, detto τέττιξ, perché riproduce le linee di una larva stilizzata della cicala, come nel fondo di una coppa italiota del Museo etrusco gregoriano.
Ma crobilo si può usare e si usa ancora dagli archeologi come termine convenzionale per indicare un'alta pettinatura a intreccio come quella dell'Apollo del Belvedere o di altri tipi affini, quale la cosiddetta dea di Butrinto (v.).
Bibl.: F. Hauser, Tettix, in Österr. Jahreshefte, IX, p. 75; XI, suppl., p. 87; Bremer, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl. d. class. Altert., VII, col. 2120 seg., s. v. Haartracht.