CRIZIA (Κριτίας, Critias)
Politico e scrittore ateniese della seconda metà del sec. V a. C. La sua famiglia era antica e di cospicue tradizioni: un antenato era stato congiunto e amico di Solone al principio del sec. VI, alcuni altri avevano rivestito la suprema magistratura (arcontato) già nel sec. VII. Il padre era di quella tendenza che dicevano oligarchica, e che stava per un governo di pochi e di ricchi, in contrasto col governo di popolo introdotto da Efialte nel 462. Appunto circa quell'anno nacque C. Crebbe in amicizia con coetanei di pari nobiltà e ricchezza: per esempio, con Alcibiade. La madre di Platone era sua cugina. Frequentò il sofista Gorgia da Leontini e Socrate. Ma, come Alcibiade, ne ritrasse, piuttosto che principî etici, esercizio dialettico, quale si reputava utile all'attività politica. Senofonte nei Memorabili (1, 2, 12 segg.) indugia alquanto a mostrare l'incomprensione che del magistero socratico ebbe C., al pari di Alcibiade; e un passo (29 segg.), su cui però taluni critici hanno dei dubbî, adduce addirittura i motivi della rottura, che sarebbero da cercare nella lascivia del mal discepolo. Ciò non impedì che tra i capi d'accusa contro Socrate più tardi non ci fosse anche la relazione con C. Come oligarchico egli fu coinvolto il 415 nel processo delle erme; ma prosciolto dopo l'autodenunzia, o vera o falsa, di Andocide. È incerto invece, tra i moderni, se abbia partecipato al colpo di mano oligarchico del 411, quando l'assemblea popolare e il senato dei Cinquecento furono sostituiti da un senato di Quattrocento. Se pure fu dei Quattrocento, fu o, almeno, si mise a tempo tra i moderati, che prepararono con Teramene il ritorno alla democrazia; e propose il decreto di richiamo in patria per Alcibiade (v.). Mancata però la speranza, se non la possibilità, che Alcibiade si facesse tiranno di Atene, partito Alcibiade per la Ionia, e poco dopo destituito dal comando navale, C. fu mandato in esilio su proposta del democratico radicale Cleofonte. Andò in Tessaglia; ritornò in patria dopo la rotta e la resa del 404. Le sue antiche simpatie per il regime spartano potevano adesso manifestarsi appieno e operare. Appoggiato alle armi spartane, fece parte dei Trenta Tiranni. Manifestatasi fra i Trenta divergenza di opinioni, C. fu a capo dei reazionarî, e si oppose al programma moderato di Teramene. Vinse, e instaurò un fiero governo di compressione, per non dire di terrore. Le casse della città erano vuote dopo la guerra disastrosa: si empirono con gli averi confiscati. Teramene fu messo a morte con aperta violazione d'ogni forma legale. I pieni diritti politici vennero limitati a soli 3000 cittadini fidati e possidenti. Contro Alcibiade, che, esule o reduce, avrebbe sempre rappresentato, come democratico o come tiranno, un pericolo per i Trenta, L. emanò decreto di bando, lasciando a Sparta di farlo tradurre in assassinio. Ma in breve profughi democratici si raccolsero, penetrarono in 70 d'improvviso nell'Attica, si accrebbero di consensi e di aiuti, occuparono con ardita marcia notturna (erano adesso 1000) il Pireo e la rocca Munichia. I Trenta ordinarono l'assalto. Furono respinti, e nel combattimento C. trovò la morte.
Lo scrittore. - L'attività politica di L. ci è meglio nota che la sua attività di scrittore, che pure fu varia. Ce ne sono rimasti solo dei frammenti, in poesia e in prosa. Dei poetici sono più importanti quelli delle Costituzioni in versi (Πολιτεῖαι ἔμμεροι) e particolamiente della Costituzione laconica; ma sono poco significativi. Non è certo se gli appartengano invece quelli che per congettura alcuni eruditi moderni gli hanno attribuito e che sono di una trilogia drammatica altrimenti data a Euripide e di un dramma satiresco, Sisifo. Il frammento del Sisifo è alquanto lungo (40 versi) e svolge il concetto che la divinità fu inventata dal legislatore per tenere gli uomini, in palese e in segreto, sottomessi alla legge, inducendoli in timore d'una potenza sovrumana. In prosa scrisse pure delle Costituzioni (Πολιτεῖαι); e i frammenti sono della tessalica e della laconica, forse anche dell'ateniese; ma non contengono cosa di rilievo. Ritornano i soliti concetti della sofistica volgare; per esempio "nulla è certo, se non, per chi è nato, la morte" (fr. 49 Diels). Scrisse anche Aforismi in almeno due libri ('Αϕορισμοί), e omelie (‛Ομιλίαι) in due libri, ma non ne abbiamo che poche citazioni. Appare come personaggio e interlocutore in alcuni dialoghi di Platone (Carmide, Protagora, Timeo); uno è addirittura intitolato da lui. Ma egli è probabilmente ben definito da Proclo: "un filosofo tra i laici, un laico tra i filosofi". La sua fama letteraria fu pressoché nulla tra i posteri; e non sappiamo se ne sia valida spiegazione quella di Filostrato (Vite dei filosofi, I, 16): che in lui la dottrina non era in armonia con il carattere.
Bibl.: Ricca informazione nell'art. del Diehl, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XI, 1901; materiale ordinato in J. Kirchner, Prosopographia Attica, Berlino 1901, n. 8792; I frammenti e le notizie antiche sulla vita e sull'opera, in H. Diels, Die Fragmente der Vorsokratiker, 4ª ed., Berlino 1922, II, pp. 308-29. Inoltre cfr. F. Blass, Attische Beredsamkeit, 2ª ed., Lipsia 1887-93, I, p. 263 segg.; U. v. Wilamowitz, Aristoteles und Athen, Berlino 1892, I, p. 131 segg., 173 segg.; id., Platon, 2ª ed., Berlino 1920, I, p. 115 segg.; J. Beloch, Griechische Geschichte, 2ª ed., III, Berlino 1922, p. 5 segg.; A. Ferrabino, L'Impero ateniese, Torino 1927, p. 426 segg.; A. Momigliano, Ippia e Crizia, in La cultura, IX (1930), p. 321 segg.