critical legal studies (o Crits)
critical legal studies (o Crits) Fenomeno intellettuale e politico che si è diffuso a partire dalla fine degli anni 1970 in tutto il Nord America, conquistando una dopo l’altra gran parte delle facoltà di diritto. Sotto il profilo intellettuale i Crits hanno dato vita a una teoria critica del diritto che ha conosciuto un rapido successo, assumendo ben presto un ruolo di rilievo fra le teorie postrealiste del diritto, dando impulso a una serie di nuovi studi.
Sotto il profilo politico, i Crits si proponevano forme di intervento e persino di lotta, i cui obiettivi variavano, ma erano tutti volti a contestare il conservatorismo delle pratiche accademiche dominanti (nella didattica, nell’accesso all’insegnamento, nel mantenimento delle gerarchie professionali e nell’elusione dei problemi di giustizia sociale e razziale), cercando di costituire un network nazionale in grado di coordinarne e sostenerne l’attività. Se, rispetto all’azione politica, i c. l. s. si sono ormai frammentati, dando vita a una serie variegata di gruppi che hanno continuato autonomamente tale azione, la teoria critica è rimasta invece assai vitale, largamente diffusa in tutti gli studi giuridici ‒ anche al di fuori degli Stati Uniti ‒ dove si è conquistata uno spazio rilevante soprattutto nell’ambito del diritto internazionale e comparato.
Comprende una varietà di progetti postrealisti e postpositivisti, in cui l’aggettivo critico non evoca alcuna particolare forma di pensiero filosofico, ma identifica essenzialmente una posizione antagonista nei confronti del pensiero dominante e del riformismo liberal. Dalla combinazione del realismo giuridico con l’ermeneutica, la critica letteraria e gli studi culturali europei nasce un metodo impuro, non chiuso nel rispetto filologico delle proprie radici, capace di evolversi rinnovandosi gradualmente, interessato soprattutto alla critica del diritto positivo, delle sue costruzioni intellettuali e delle sue categorie. All’interno di una prospettiva apertamente trasformativa, la teoria critica cerca di promuovere la democrazia e l’emancipazione di categorie e gruppi sociali esclusi, anche se una parte dei suoi esponenti è rimasta sempre scettica sulla possibilità effettiva di raggiungere tali obiettivi attraverso il diritto.
Per i c. l. s., il repertorio di cui si servono normalmente i giuristi è assolutamente indeterminato, contiene ambiguità e contraddizioni e, come tale, non è in grado di giustificare logicamente i risultati che produce. In conseguenza, ogni tentativo di formulare o applicare le regole del diritto contiene, in modo più o meno palese, un elemento di discrezionalità che implica sempre una scelta politica da parte dell’interprete.
La critica, mentre mette in discussione il funzionalismo tipico del pensiero americano dominante, costituisce un attacco alle versioni più riduzionistiche del marxismo che presuppongono l’esistenza di una struttura economica o sociale in grado di determinare un ordine giuridico capace di riflettere e riprodurre le gerarchie sociali legate alle diseguaglianze di classe, al patriarcato e al dominio razziale. Queste impostazioni infatti devono presupporre una qualche versione di formalismo, capace di imbrigliare il diritto per porlo al servizio di obiettivi economici e sociali determinati.
La critica, invece, abbandonando tale visione, si preoccupa di mettere in luce le molteplici modalità attraverso le quali l’ordine sociale è storicamente costruito attraverso significati, relazioni e istituzioni create dagli uomini. Ciò può avvenire principalmente attraverso due strade diverse, ma che si intersecano. Da una parte, le regole del diritto privato, siano di origine codicistica o giurisprudenziale, come tutte le altre prodotte dalla legislazione, sono in grado di distribuire potere all’interno delle varie relazioni sociali che gli individui (ma anche i gruppi e le categorie a cui appartengono) possono intrattenere fra loro. Tali regole non esprimono una logica determinata, ma sono comunque il prodotto di una scelta, all’interno di una serie di possibilità, aperta, anche se non infinita. È dunque sempre possibile modificarle e redistribuire, in questo modo, potere nella società. Dall’altra tali pratiche giuridiche, attraverso la creazione di significati, giustificazioni e sistemi di concetti, inducono gli individui ad accettare le attuali condizioni come giuste, o almeno inevitabili. È sempre possibile, allora, articolare e presentare alternative che contribuiscano a rompere tali forme ‘egemoniche’ di pensiero per ispirare opposizione e resistenza. Le pratiche e i discorsi giuridici possono essere meglio compresi come un terreno di conflitto in cui si confrontano visioni contrastanti, un ‘mezzo’ o un ‘campo’ nel quale realizzare progetti politici e perseguire obiettivi di democrazia ed eguaglianza.
All’idea delle contraddizioni, della legal consciousness e dell’ideologia, si affianca e sovrappone l’idea del diritto come testo (la presenza di una ‘traccia’ in ogni testo, anche il più accurato, consente sempre la critica) e come pratica culturale (sono le categorie con cui analizziamo l’ordine sociale che lo produce). Il movimento ha generato nuove correnti come il femminismo radicale e nuove tendenze come la Critical race theory, i Lat(ino/a)crits, la Postcolonial theory e i Queer studies. In questa chiave, anche la tradizionale impostazione di law and economics (➔ economia e diritto) viene rielaborata, la critica incorpora una versione egalitarian, che guarda alle regole giuridiche, non più solo per individuare l’assetto più efficiente, ma per capire anche il modo in cui risorse e potere sono stati distribuiti.