Critica del giudizio (Kritik der Urteilskraft)
(Kritik der Urteilskraft) Opera (1790) di I. Kant dedicata alla «facoltà di giudizio», inteso, a differenza di quello determinante (scientifico), come giudizio «riflettente», che sorge dall’esigenza di ammettere un ordinamento intrinsecamente finalistico nella natura, collocandosi, nel soggetto trascendentale, fra la necessità dell’intelletto (fenomenico) e la libertà della ragione (noumenica). Esso è universale in quanto non è determinato da condizioni empiriche, ma dalla struttura a priori delle facoltà conoscitive del soggetto trascendentale. Il giudizio riflettente è distinto in estetico e teleologico. Il giudizio estetico, «accordo spontaneo di immaginazione e intelletto» coglie spontaneamente, nella rappresentazione dell’oggetto, una conformità con le esigenze dell’intelletto; da ciò deriva il «sentimento del bello», disinteressato e legato al libero gioco delle facoltà dell’animo. La capacità di giudicare il piacere derivato dal bello è il «gusto». Dal bello si distingue il «sublime», che sorge quando l’oggetto rappresentato è al di là di ogni comparazione e suscita sgomento e ammirazione che appartengono non all’oggetto, ma all’animo; all’«io» che, superando la misura dei sensi, per opera della volontà, attinge il mondo intellegibile (sublime dinamico). Il giudizio teleologico («principio regolativo generale») coglie invece una finalità «oggettiva» nella natura, considerata non soltanto mediante scientifiche leggi meccaniche e antifinalistiche, ma tenendo presenti i problemi biologici legati alla vita e all’«organismo». Tale «finalità della natura» è una «massima della ragione» che indica il limite delle spiegazioni meccanicistiche.