CRISTOFORO
È ricordato per la prima volta nelle fonti sotto il pontificato di Stefano II (o III), nel 753, nel quale anno era regionarius (probabilmente notario regionario) e fece parte del seguito che accompagnò il papa nel viaggio a Pavia e in Francia. L'attività politica di C., dunque, comincia ad essere testimoniata nel momento in cui si decideva la sorte delle province bizantine dell'Italia centrale. C. rientrò probabilmente a Roma con Stefano II alla fine dell'ottobre 754.
Successivamente C. appare nelle fonti del 757. Dopo la morte di Astolfo, il trono longobardo era conteso tra il fratello del defunto Rachis, che si era ritirato nel monastero di Montecassino dal 749, e Desiderio, duca di Toscana, che aveva chiesto il sostegno del papa. Stefano II inviò presso di lui una delegazione incaricata di raggiungere un accordo che bilanciasse l'appoggio pontificio con l'impegno da parte di Desiderio di restituire le città dell'Esarcato e della Pentapoli ancora in mano longobarda. Tale delegazione era composta dal missus franco Furaldo, dal diacono Paolo, fratello del papa, e da C., allora consiliarius Apostolicae Sedis. C. aveva dunque percorso una rapida carriera alla corte pontificia e alla fine del pontificato di Stefano II prendeva parte attiva alle più importanti decisioni politiche.
Sotto Paolo I (757-767) la sua influenza divenne preminente nella Curia romana. Oltre ad essere consiliarius, divenne, tra il 756 e il 763, primiceriusnotariorum: fu, cioè, non soltanto il responsabile della Cancelleria, ma di fatto una specie di primo ministro. Inoltre, suo figlio Sergio ottenne ben presto la funzione di saccellarius (pagatore generale della Sede apostolica): un esempio, questo, tra i più antichi d'appropriazione familiare degli uffici maggiori della burocrazia pontificia.
C. appare come il principale interprete sotto Paolo I della politica inaugurata da Stefano II, politica che si basava su due principi: all'esterno, vigilante mantenimento dell'alleanza franca, che doveva permettere sia di fronteggiare le iniziative bizantine e longobarde sia di assicurare alla Sede apostolica un ruolo di arbitro negli affari italiani; all'interno, riaffermazione della preponderanza dell'aristocrata ecclesiastica e repressione energica delle correnti ostili (gli autonomisti ravennati, i gruppi antifranchi e filobizantini a Roma, l'aristocrazia militare, malcontenta di vedersi scalzata dal potere). Queste idee politiche appaiono perfettamente in accordo con il Constitutum Constantini, secondo il quale l'imperatore avrebbe ceduto al papa Silvestro "omnes Italiae seu occidentalium regionum provincias, loca et civitates". Questo documento non presenta una datazione precisa, ma dovette essere composto nella Cancelleria del Laterano tra il pontificato di Stefano II e quello di Stefano III. Gli storici moderni hanno, dunque, ipotizzato che C. ne sia stato l'autore, o che almeno ne abbia supervisionato la redazione.
Per il giovane Stato romano, il pericolo poteva venire contemporaneamente dal re Desiderio, che una volta sul trono si rifiutava di restituire i territori promessi, e dall'Impero bizantino, che cercava di trattare direttamente con i Franchi. Nel 763 due ambasciate furono inviate a Costantinopoli, una franca e l'altra pontificia, quest'ultima capeggiata da Cristoforo. I negoziati furono lunghissimi: le due delegazioni non tornarono che nel 765, con un'ambasceria di Costantino V a Pipino. I legati pontifici, invece di rientrare a Roma, proseguirono per la Francia, al fine di assicurare la presenza romana nell'Assemblea che doveva esaminare i problemi pendenti tra i Franchi e l'Impero. A C. ancora una volta toccò il compito di difendere gli interessi politici del Papato. I Bizantini cercarono di sbarazzarsi di lui: nelle lettere indirizzate a Pipino l'imperatore accusava C. di agire di propria iniziativa e di modificare le suggestiones pontificie nel trasmetterle ai Franchi ed ai Bizantini. Ma Paolo I, in una lettera dell'estate del 766, riconfermò la propria fiducia in C., che restò a capo della delegazione pontificia fino all'Assemblea di Gentilly (inizio del 767).
Al suo rientro egli trovò modificata la situazione politica di Roma: il governo di Paolo I era divenuto impopolare per la sua durezza e l'aristocrazia militare cominciava a risollevare la testa. Nel giugno, il papa, cadde gravemente ammalato. C., che come primicerio dei notai faceva parte del triunivirato incaricato del governo ad interim in caso di morte del papa, avrebbe avuto sentore di un complotto per assassinare Paolo I organizzato da Totone di Nepi, e dai suoi tre fratelli. Egli avrebbe allora convocato presso di sé i congiurati per indurli a rinunciare al loro progetto. Di certo sappiamo che Totone si assicurò, grazie alle truppe della Tuscia, il controllo di Roma e che alla morte di Paolo 1 (28 giugno 767) fece acclamare papa suo fratello, Costantino, un laico, che ricevette rapidamente la tonsura e fu consacrato il 5 luglio. Solo C. rifiutò energicamente di convalidare questa operazione.
Gli avvenimenti seguenti (assassinio del duca Gregorio, regime di terrore stabilito in Campania dal tribuno Gracile) gli dimostrarono ben presto che la sua vita era in pericolo. All'inizio del 768 C. si rifugiò in S. Pietro con i suoi figli ed accettò di uscirne solo quando Costantino venne ad assicurarli che avrebbero potuto dimorare a casa loro fino a Pasqua e quindi ritirarsi in un monastero di loro scelta. Alla data convenuta (10 apr. 768) C. indicò come luogo scelto il monastero di San Salvatore a Rieti. Ma non vi si recò. Andò, invece, con suo figlio Sergio prima presso il duca di Spoleto, Teodicio, e poi presso il re Desiderio e chiese loro aiuti per liberare Roma dall'usurpatore. Desiderio mise a sua disposizione le truppe di Spoleto e C. tornò con Sergio a Rieti per effettuare i preparativi militari ed assicurarsi le connivenze necessarie nell'esercito e nel clero romano.
L'offensiva ebbe luogo alla fine del luglio 768. C., trattenuto a Rieti dagli intrighi longobardi, non vi partecipò direttamente. Le truppe longobarde, guidate da Sergio e da un inviato di Desiderio, il prete Waldiperto, arrivarono a ponte Salario il 29. Il giorno dopo alcuni complici aprirono loro porta S. Pancrazio, mentre l'assassinio di Totone da parte del secundicerius Demetrio e del chartularius Grazioso consegnò loro la città. Quando, però, C. arrivò davanti a Roma, il 31 luglio, apprese che Waldiperto aveva approfittato della sua assenza per fare acclamare papa il prete Filippo, cappellano del monastero di S. Vito. C., furioso, dichiarò che non avrebbe messo piede nella città fino a che Filippo non fosse stato cacciato dal Laterano; e ciò fu sufficiente perché Grazioso riconducesse Filippo a S. Vito.
Il 1° agosto C. convocò tutto il clero, l'esercito e il popolo in Tribus Fatis, nell'antico Foro, e ottenne l'accordo sul nome del suo candidato, Stefano, prete di S. Cecilia, che fu consacrato il 7 agosto. L'elezione fu seguita da una dura rappresaglia contro gli sconfitti (Gracile e Waldiperto furono assassinati, Costatino accecato), mentre i sostenitori di C. si consolidavano al potere: Sergio fu nominato secundicerius notariorum e nomenculator (maestro delle cerimonie) e Grazioso divenne duca di Roma. Nell'aprile del 769, C. fece leggere al concilio lateranense una dichiarazione che presentava la sua versione degli avvenimenti dell'anno precedente. Il concilio annullò gli atti e le ordinazioni di Costantino e vietò la partecipazione diretta dei laici all'elezione pontificia, alla quale potevano ormai essere candidati i soli cardinali preti e i diaconi. La vittoria dei proceres ecclesiae era completa e C., che era alla loro testa, aveva in mano le redini del potere. I suoi avversari in seno al clero vedevano bloccate le loro carriere, mentre C. rafforzava anche i legami con la classe militare, dando sua figlia in moglie al duca Grazioso.
Sotto l'influenza di C. l'attività diplomatica del Papato si orientò in senso nettamente antilongobardo: all'inizio del 770, in occasione dell'arrivo di una ambasciata franca a Roma, la Sede apostolica riprese nelle sue rivendicazioni territoriali il vasto programma di Stefano II. Questa politica, però, ebbe scarso successo. Desiderio seppe, infatti, approfittare dei contrasti tra i due eredi di Pipino, Carlo e Carlomanno: invase il Veneto e l'Istria, sostenne gli autonomisti ravennatinella questione della successione dell'arcivescovo Sergio ed operò per raggiungere un accordo con i Franchi. Così, grazie alla mediazione della regina madre Bertrada, e nonostante le violente proteste della Sede apostolica, fu concluso il matrimonio di Carlo con una figlia di Desiderio. L'azione diplomatica di C. ottenne, comunque, che missi di Carlo contribuissero alla disfatta del partito autonomista a Ravenna e all'elezione dell'arcidiacono Leone, candidato gradito al papa. Questo compromesso, analogo a quello che aveva dovuto accettare Paolo I, colpì profondamente il prestigio di Cristoforo. A Roma stessa, egli dovette fare i conti con la costituzione di un partito filolongobardo, guidato da Paolo Afiarta, che le funzioni di cubicularius mettevano in contatto permanente con Stefano III. L'influenza di questo partito divenne sempre maggiore man mano che il papa era stanco di subire l'autorità di Cristoforo.
Durante la quaresima del 771, Desiderio giudicò matura la situazione per eliminare C. e Sergio. Con la scusa di compiere un pellegrinaggio e di aprire negoziati con il papa, egli avanzò fino a Roma alla testa del suo esercito. C. si sentì direttamente minacciato. D'accordo con Dodo, un missus di Carlomanno, allora a Roma, mise la città in stato d'assedio e vi concentrò truppe della Tuscia, della Campania e del ducato di Perugia. Dopo un primo colloquio tra il papa e Desiderio, Paolo Afiarta tentò di sollevare il popolo contro C. e Sergio. Questi presero allora una decisione disperata, penetrando con la forza nel Laterano con un gruppo di partigiani armati, per tentare di impadronirsi dei loro avversari. Il colpo di forza falli e segnò la loro rovina. Il papa riuscì a placare gli animi degli assalitori prendendo alcuni impegni nei loro confronti; ma il giorno dopo si portò dal Laterano a S. Pietro e si mise sotto la protezione di Desiderio. Quando i negoziati con il papa ripresero, il re pretese, in via preliminare, l'eliminazione dei suoi nemici.
C. e Sergio avevano fatto rinforzare le difese di Roma. Due vescovi vennero alla porta S. Pietro a intimare loro l'ordine di presentarsi in Vaticano o di ritirarsi in un monastero. Essi rifiutarono, ma l'atteggiamento dell'esercito decise la situazione: la maggior parte dei soldati abbandonò C. e lo stesso duca Grazioso fece sfondare la porta Portuense per raggiungere il Vaticano. C. e suo figlio non poterono far altro che arrendersi e sperare nella clemenza di Stefano III. Arrestati dai soldati longobardi, essi furono condotti davanti a Desiderio, poi davanti al papa e rinchiusi in Vaticano. Stefano III dichiarò di volere che la loro vita fosse salva e che essi prendessero l'abito monastico; ma il giorno dopo rientrò a Roma, lasciandoli a S. Pietro, con la scusa di sottrarli così alla collera popolare. In effetti, egli li abbandonava alla vendetta dei loro nemici: verso sera Paolo Afiarta e i suoi seguaci si fecero consegnare i prigionieri da Desiderio. C. e Sergio furono trascinati davanti a ponte S. Angelo, dove furono accecati. C. fu poi rinchiuso nel monastero di S. Agata, dove mori tre giorni dopo (marzo 771). Suo figlio gli sopravvisse meno di un anno. Tenuto prigioniero dapprima a ClivumScauri e poi in Laterano, fu assassinato il 26 genn. 772.
Il governo degli assassini di C. fu di breve durata. Gli eccessi di Afiarta e gli insuccessi della sua politica estera lo resero presto impopolare. La morte di Carlomanno, la riunificazione degli Stati franchi sotto Carlo, la discordia di quest'ultimo con Desiderio, la morte poi di Stefano III e l'elezione di Adriano I modificarono completamente la situazione. Il nuovo papa riprese la politica che era stata di Stefano II, di Paolo I e degli inizi del pontificato di Stefano III, e di cui C. era stato il maggiore ispiratore. Gli assassini di Sergio furono sottoposti a giudizio, Afiarta fu eliminato e la memoria di C. e di suo figlio venne solennemente riabilitata: i loro resti furono riesumati e ricevettero l'onore di una sepoltura nella basilica di S. Pietro nel 772.
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