SPINOLA, Cristoforo Vincenzo (Cristoforo Domenico Maria). –
Nacque a Genova il 5 agosto 1743 da Agostino e da Teresa Pallavicini.
Fu battezzato Cristoforo Domenico Maria, ma è noto come Cristoforo Vincenzo perché così firmava la propria corrispondenza: abitudine che formalizzò nel 1782, quando si fece aggiungere il nome Vincenzo. Aveva cinque tra fratelli e sorelle: Felice e Alessandro, che morirono in tenera età; le monache Teresa e Costanza; e Maria, che avrebbe sposato Ettore Fieschi.
Entrò nei ranghi della diplomazia genovese in maniera fortuita. Nel 1772 assunse la prestigiosa legazione parigina soltanto dopo che il governo genovese aveva incassato il rifiuto di altri due patrizi, Giacomo Filippo Durazzo e Carlo Pallavicino. E, se forse non avrebbe scommesso su una lunga permanenza a Parigi, di sicuro non immaginava quale svolta esistenziale, prima ancora che carrieristica, lo attendeva. Poco dopo essersi insediato, il 26 gennaio 1773 Spinola perse la moglie Paola Durazzo, che aveva sposato a Genova il 25 giugno 1764, e che morì senza avergli dato figli. Il decesso, però, fu a ben vedere un evento fortunato, se così si può dire, perché gli avrebbe consentito di sposare nel 1780 Gabrielle de Lévis, appartenente a una tra le più importanti casate aristocratiche francesi. Questo secondo matrimonio gli portò in dote tre figli, Amalia, Agostino ed Enrichetta, e soprattutto un prestigio che prometteva di facilitarne la carriera. È vero che Spinola era da tempo bene introdotto nell’alta società parigina, che aveva frequentato negli anni precedenti al suo incarico diplomatico, mettendosi in luce come raffinato collezionista d’opere d’arte, e assiduo frequentatore della Société des amis des arts. Ma la parentela con i de Lévis lo poneva ai vertici della nobiltà francese.
Tuttavia, gli anni della sua residenza a Parigi furono caratterizzati dagli scossoni della Révolution, che Spinola osservò con acume e non senza onestà intellettuale. Nei giudizi, tuttavia, l’uomo era combattuto: da un lato, non risparmiò critiche all’aristocrazia e alla monarchia francesi; dall’altro, la sua condizione nobiliare non gli consentiva di vedere di buon occhio la deflagrazione dell’antico regime. Così i toni della sua corrispondenza presero più spesso la piega della recisa condanna: in particolar modo degli aspetti più violenti e truci della Révolution.
In questo, giocò un ruolo importante anche un certo malcelato sentimento di cupio dissolvi che trasuda dalla sua penna, e che sembra di poter attribuire al suo status di rappresentante di un piccolo Stato italiano impotente di fronte a quei turbini. Del resto, anche l’impegno negoziale si ridusse a ben poca e anacronistica cosa, con il tentativo di far tornare alla Repubblica di Genova la Corsica, occupata dai francesi alcuni decenni prima per sedarvi una rivolta. Rivendicazioni che non furono prese in considerazione né dalla Francia monarchica né da quella rivoluzionaria. Nel 1792, la caduta della monarchia francese e il prevalere del giacobinismo consigliarono Spinola a chiedere il permesso di lasciare Parigi. Ottenuto il placet, si rifugiò a Londra, dove lo raggiunse una nuova nomina ad ambasciatore della Repubblica. Chi meglio di lui, testimone oculare della Révolution, poteva rappresentare Genova presso quella Corona inglese che guidava il fronte antifrancese? Non che l’oligarchia genovese bramasse di combattere la Francia rivoluzionaria: Spinola si trovò anzi a dover addolcire i dinieghi che la Repubblica opponeva alle richieste inglesi per un impegno militare contro Parigi. L’ambasciatore mise in campo le sue migliori capacità negoziali; ma, pur concordando sulla linea della neutralità adottata dall’oligarchia genovese, ne sottolineò la sostanziale insostenibilità: riflesso della condizione di drammatica minorità politica della Repubblica di Genova.
Nel 1797, la Révolution travolse la Repubblica aristocratica di Genova. Le subentrò la Repubblica Ligure: uno Stato satellite di Parigi, e succube dell’astro di Napoleone Bonaparte. Da quello scenario burrascoso, i fulmini non tardarono ad abbattersi su Spinola, che rappresentava il vecchio ordine oligarchico, e che s’avviò verso una bislacca e penosa disavventura politica e giudiziaria.
Per ordine del nuovo governo lasciò Londra; ma, anziché recarsi a Genova come gli era stato intimato, tornò a Parigi allegando ragioni private cui non poteva derogare. Queste ragioni c’erano, ed erano della massima serietà, perché la famiglia della moglie, i de Lévis, era stata decimata dalla ghigliottina. Erano stati risparmiati soltanto il cognato, fuggito in maniera rocambolesca dalla Francia, e la moglie e i figli: probabilmente grazie alle amicizie di cui godeva l’ex ambasciatore genovese. I beni familiari erano stati tuttavia confiscati, ed era soprattutto di questo che l’ex ambasciatore genovese doveva occuparsi. Ma la sua decisione di tornare a Parigi non poteva non essere considerata un atto di disobbedienza. Del resto, oltre ai travagli personali, Spinola aveva altre, e non meno valide, ragioni per venir meno agli ordini della Repubblica Ligure. A Genova si respirava quel clima di forti sospetti, e di più o meno sottaciute persecuzioni, che solitamente segue i bruschi rivolgimenti istituzionali e di potere; e Spinola fu presto raggiunto da accuse di cospirazione. Nella capitale francese, si trovavano altri due patrizi genovesi, Stefano Rivarola e un altro Spinola, Vincenzo, entrambi sospettati – soprattutto il primo, giunto a Parigi poco prima della caduta della Repubblica aristocratica – di tramare contro la Repubblica Ligure. Cristoforo Vincenzo incontrò più volte i due, così come ebbe abboccamenti con alcune importanti personalità francesi, tra cui Talleyrand. Ed è pur possibile che in quei conciliaboli fossero emersi propositi reazionari. Ma riesce difficile credere che stesse ordendo quella cospirazione contro la Repubblica Ligure che gli attribuì un pamphlet anonimo a firma di Valerio Publicola, quasi certamente il nom de plume dell’allora residente diplomatico genovese a Parigi, Bartolomeo Boccardi. Vere o false che fossero, quelle denunce scatenarono a Genova una furibonda campagna di stampa contro i presunti congiurati.
Spinola non poteva sperare di regolare la propria posizione tornando a Genova, dove con tutta probabilità sarebbe andato incontro a un processo politico. Ma le sue mosse rinfocolarono le diffidenze. Invitato ancora una volta, e in maniera ancora più perentoria di prima, a far ritorno a Genova, si recò invece nuovamente a Londra; il che, di là da ogni considerazione, suonava come un gesto ostile nei confronti della Repubblica Ligure, legata al carro francese, e dunque in guerra con l’Inghilterra. Per queste ragioni, subì il sequestro dei beni anche nella sua città natia. Nel frattempo, però, le indagini contro i presunti cospiratori furono archiviate per mancanza di prove, con tanto di rimprovero a quel Boccardi che aveva avviato la canea accusatoria; e Spinola poté tornare in Liguria.
Nel 1798 si stabilì a Voltri, nelle immediate vicinanze di Genova, dove morì il 28 marzo 1802 senza aver più preso parte alla vita politica genovese.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Genova, Archivio segreto, 1957, 1977, 2255-2263, 2267, 2295-2296; Repubblica Ligure, 177-179, 252.
R. Guyot, Le Directoire et la République de Gênes, in La Révolution Française, XLV (1903), pp. 55-61; P. Nurra, La coalizione europea contro la Repubblica di Genova (1793-1796), in Atti della Società ligure di storia patria, LXII (1933), ad ind.; V. Vitale, C. V. S. e l’innocuo complotto contro la Repubblica Ligure, in Giornale storico e letterario della Liguria, n.s., XI (1935), pp. 81-94; Id., I dispacci dei diplomatici genovesi a Parigi (1787-1793), Torino 1936, pp. 89-567; Id., Osservatori genovesi della Rivoluzione di Francia, in Giornale storico e letterario della Liguria, n.s., XII (1936), pp. 7-20; G. Assereto, La Repubblica ligure. Lotte politiche e problemi finanziari (1797-1799), Torino 1975, pp. 141, 190; A.P. Khelissa, Cristoforo Spinola, un aristocrate génois à Paris de la fin du règne de Louis XV à la République. Relations artistiques, diplomatie et brassage d’affaires entre Gênes et la France, in Studiolo. Revue de l’Académie de France à Rome, VI (2008), pp. 119-144.
(Cristoforo Domenico Maria)
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