MAURUZZI, Cristoforo
MAURUZZI (Mauruzi), Cristoforo. – Primogenito del condottiero Niccolò, nacque, presumibilmente a Tolentino, agli inizi del sec. XV e fu legittimato, insieme con i fratelli Giovanni e Baldovino, da papa Martino V con una bolla nel 1430. Si dedicò al mestiere delle armi al seguito del padre, col quale nel 1428 era nel Bolognese per difendere dai Canetoli la città di Bologna per conto di Martino V e dei Bentivoglio. Il 6 agosto il campo, posto nei pressi di Medicina, fu preso d’assalto da Luigi da Sanseverino, che fece molti prigionieri.
A capo di una compagnia propria, militò nell’esercito della Repubblica fiorentina guidato dal padre e partecipò alla guerra nella Marca anconitana contro Francesco Sforza, rettore della Marca e gonfaloniere della Chiesa, contro le milizie del duca di Milano e contro Niccolò della Stella (Fortebracci). Nel maggio 1434 accorse nella Marca in difesa di Tolentino, minacciata dallo Sforza. Recuperò le terre ribelli, cacciò da Amandola Alessandro Sforza, fratello di Francesco, a capo della guarnigione sforzesca e si recò a Montefortino; il mese successivo si stanziò a Camerino con i suoi 600 cavalli. Nel luglio difese Tolentino dall’assedio di Foschino Attendolo, luogotenente di Francesco Sforza; il 12 entrò nella città dalla porta detta allora «il Monastero» (ora Marina) e respinse gli Sforzeschi; nella battaglia morì Berardo Varano, signore di Tolentino. Il M. riscattò allora la rocca della città al prezzo di 950 ducati versati ai capitani Bertoldo di Montalboddo e Roberto Oddi che la tenevano per i figli del Varano. Divenne di fatto signore della città in nome del padre Niccolò, anche se solo fino a ottobre dello stesso anno, quando il papa con una bolla dichiarò Tolentino sotto la sua soggezione; per ricompensare i Mauruzzi della perdita subita, non dimentico dei meriti che essi avevano acquisito presso di lui, con una nuova bolla sottomise Caldarola alla giurisdizione della Chiesa, nominando poi vicari e signori di Caldarola Giambattista Mauruzzi, fratello di Niccolò, e il M. con i fratelli Giovanni e Baldovino.
Dopo la battaglia a Castelbolognese del 28 ag. 1434, nella quale Niccolò fu catturato dai Viscontei, il M. raggiunse in Toscana i fratelli, con i quali militò al servizio della Repubblica di Firenze.
Nell’aprile 1435 partecipò ai solenni funerali del padre organizzati dalla Repubblica di Firenze. Poco dopo, con i fratelli cedette la rocca alla Comunità di Tolentino e ne ricevette in cambio le case e i poderi appartenuti ai Varano e stimati in 2000 fiorini d’oro di camera.
Al servizio di Firenze, alleata di Venezia e del papa Eugenio IV, militò al fianco di Francesco Sforza in difesa dei possedimenti ecclesiastici in Romagna contro il Piccinino. Quando Niccolò della Stella scese nella Marca, lo Sforza ordinò ai Mauruzzi di presidiare l’Appennino dalla parte della Toscana e nominò Alessandro Sforza luogotenente nella Marca. Niccolò della Stella campeggiò Fiordimonte nei pressi di Camerino e invase Camerino stessa. Allora il M. con Taliano Furlano, Manno Barrile, Taddeo d’Este, Erasmo da Narni, detto il Gattamelata, e con 800 cavalli raggiunse lo Stella dalla via di Visso. Si scontrarono a Fiordimonte il 22 ag. 1435.
Il M., passato al servizio della Repubblica di Venezia, si recò prima nel Polesine a guardia di un presidio e poi si dedicò alla difesa di Padova, sconfisse in battaglia Marsilio da Carrara e lo consegnò ai Veneziani, che lo fecero decapitare.
Nell’aprile 1436 tornò in Toscana in soccorso di Francesco Sforza e della Repubblica di Firenze; il 23 dello stesso mese sottrasse Monterchi, Citerna e altri quattro castelli ad Anfrosina degli Ubertini, vedova di Carlo de’ Tarlati di Pietramala, che fu imprigionata insieme con la figlia Vittoria, futura moglie del Mauruzzi. Il Malatesta concesse Citerna al M. e ai fratelli.
Nel 1437 lo Sforza si acconciò con i Veneziani e, dopo aver posto il campo a Pontremoli, comandò ai fratelli Mauruzzi di unirsi a Leone Sforza nell’espugnazione di Ghivizzano, che si arrese in agosto. Alla fine dell’anno, quando lo Sforza abbandonò i Veneziani, il M. si unì a Francesco Piccinino nella Marca. Contro Taliano Furlano difese Camerino, che si era ribellata allo Sforza e che aveva suscitato la ribellione anche di Sanseverino, Montecchio (oggi Treja), Macerata, Montemilone (oggi Pollenza).
A metà dicembre il M. e Giovanni firmarono una condotta con Venezia i cui capitoli prevedevano 600-700 cavalieri e 200 fanti per 1 anno e 6 mesi di rispetto. Il M., sul punto di partire per Venezia, fu imprigionato da Anfrosina che lo aveva attirato con un inganno a un banchetto. Rinchiuso in una torre di Citerna, fu rilasciato nei primi mesi del 1438 (a Venezia giunse notizia della sua liberazione il 6 marzo), forse perché Anfrosina non aveva voluto urtare ulteriormente la suscettibilità dei Veneziani, che avevano assoldato il Mauruzzi.
Nell’aprile 1438 il M. lasciò Tolentino, dove risiedeva, e raggiunse Venezia con Giovanni, imbarcandosi a Rimini su due galee dirette a Chioggia. Il Gattamelata, a capo dell’esercito veneziano, lo mandò alla difesa di Verona e di Brescia, assediate dal duca di Milano.
Dopo una breve parentesi in Romagna, nella primavera del 1439, in difesa dei territori di Sigismondo Malatesta minacciati dal Piccinino, a giugno raggiunse Chioggia per mare. Nella guerra contro il Piccinino fu destinato nuovamente al presidio di Verona che nel 1440, assediata dal Visconti, riuscì a resistere solo grazie all’intervento di Francesco Sforza. Il M. allora si impossessò di alcune fortificazioni che i ducali avevano posto intorno alla città e vi pose alcuni suoi uomini d’arme a guardia. A seguito di una spedizione notturna con Tiberto Brandolini tolse ai nemici una torre e un ponte sull’Oglio. Dopo l’accordo del duca con lo Sforza, abbandonò la condotta con i Veneziani.
Nel 1442 militò nell’esercito pontificio guidato da Niccolò Piccinino per recuperare le terre pontificie nella Marca e sottrarle al controllo di Francesco Sforza. Eugenio IV, infatti, fatta una lega con il Visconti e con Alfonso d’Aragona, aveva revocato allo Sforza il titolo di rettore della Marca e di gonfaloniere della Chiesa. A febbraio il M. attraversò la Romagna, passò per Rimini ed entrò nella Marca anconetana con 600 cavalli e 150 fanti. Nell’esercito del Piccinino con Pietro Giampaolo Orsini e Jacopo da Caivana, si unì a quello pontificio guidato dal patriarca di Aquileia, Ludovico Scarampi da Padova; partecipò alla presa di Todi il 14 giugno e vi rimase a presidio.
Con Jacopo da Caivana assediò Belforte del Chienti, castello fortificato vicino a Tolentino. Data la natura del luogo, posto su un colle e protetto da un lato dal fiume Chienti, le operazioni furono lunghe e complicate. Poi con un abile espediente (tagliò le condotte d’acqua al castello) costrinse il 6 luglio gli assediati ad arrendersi.
In agosto fu sancita una tregua che Tolentino non rispettò perché, istigata dal M., si ribellò il 20 e si sottomise a lui e alla Chiesa, ma lo Sforza ottenne il ritorno di Tolentino sotto la sua giurisdizione, mentre la rocca restò in pegno nelle mani del Piccinino e del Mauruzzi.
In inverno i soldati del Piccinino si acquartierarono in Umbria e il M. fu spedito al presidio di Todi e di Assisi, che egli stesso aveva conquistato il 5 dicembre dopo un lungo assedio. Il Piccinino si insospettì della condotta del M., pensando che questi volesse tradirlo e consegnare allo Sforza Todi e Assisi. Quando il M. si rifiutò di lasciare Assisi e di seguirlo, il Piccinino lo raggiunse il 16 febbraio e imprigionò lui e il suo segretario Guarniero Berni nel cassero di Assisi. Persuaso, in seguito, della loro innocenza, grazie alle intercessioni dei Tolentinati e di Federico da Montefeltro, lo liberò. Nel 1443, infatti, il M., ancora nelle fila dell’esercito del Piccinino nella Marca, fece ribellare nuovamente Tolentino con Pietro Giampaolo Orsini e si accampò poi alla Rancia. Nel 1444 il M. fu sconfitto a Montolmo dagli Sforzeschi che lo catturarono insieme con Francesco Piccinino. Furono liberati solo alla morte di Niccolò Piccinino, padre di Francesco, quando andarono alla corte del Visconti.
Nel 1445 il M. militò al servizio di Sigismondo Malatesta con Roberto di Montalboddo; il 18 agosto si recò a Rimini contro lo Sforza che, alleatosi con Federico da Montefeltro, aveva ottenuto che Galeazzo Malatesta vendesse Pesaro ad Alessandro Sforza, suo fratello.
Alla fine del 1445 si acconciò di nuovo con i Veneziani con 200 lance e 200 fanti per un anno, più uno di rispetto e, nell’esercito guidato da Micheletto Attendolo contro Milano, partecipò alla vittoria di Casalmaggiore il 28 sett. 1446 su un’isoletta sul Po fortificata dai Viscontei.
Del bottino, al M. spettarono 100 cavalli. Nell’inverno 1446-47 il M. fu inviato a Soncino e a Romanengo nel Cremonese, occupati dallo Sforza che si era staccato dall’alleanza coi Veneziani. Anche nel 1448, quando Francesco Sforza si pose al servizio della Repubblica Ambrosiana e divenne nemico dei Veneziani, il M. rimase fedele a Venezia. Nel settembre per soccorrere Caravaggio assediata dagli Sforzeschi, su consiglio di Tiberto Brandolini tentò di attaccare gli alloggiamenti nemici, ma lo Sforza lo scoprì e i Veneziani subirono una grave disfatta.
Nel 1449 con 800 cavalli andò all’assedio di Parma. Secondo Muratori, in quell’anno trovò la morte per un’epidemia diffusasi nell’esercito sforzesco. In realtà il M. militava ancora con Venezia quando lo Sforza, nel marzo 1450, divenne duca di Milano. Ai primi di gennaio 1452 partecipò alla rotta del re di Ungheria, a San Polo del Patriarca nel Trevigiano, dove era arrivato da Padova.
Per i suoi meriti la Repubblica di Venezia nel marzo di quell’anno gli donò il castello e contado di Aviano nel Friuli, San Polo e San Giorgio del Patriarca, già di spettanza dei patriarchi di Aquileia, con l’obbligo di canone annuo di 10 libbre di cera bianca al tempio di S. Marco.
Il M. si stabilì poi definitivamente nel Veneto e morì a Treviso il 24 luglio 1462.
Fu sepolto nella locale chiesa di S. Margherita, poi distrutta, in una cappella che lui aveva dedicato al suo patrono s. Nicola da Tolentino. Gli fu eretto un monumento con una statua in marmo e un epitaffio in suo elogio.
Aveva sposato Vittoria di Bartolomeo de’ Tarlati d’Arezzo dei signori di Pietramala e di Anfrosina degli Ubertini dei conti di Montedoglio. Ebbe due figli, Giovanni Rinaldo e Lancellotto. Nel 1454 ottenne dalla signoria il permesso di trasmettere il feudo al figlio illegittimo Giovanni Rinaldo, ma alla nascita dell’erede legittimo Lancillotto il feudo passò nelle mani di quest’ultimo.
Fonti e Bibl.: G. Simonetta, Rerum gestarum Francisci Sfortiae, a cura di G. Soranzo, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XXI, 2, pp. 54, 104 s., 114, 118 s., 235, 263, 304, 319; Guerriero da Gubbio, Cronaca, a cura di G. Mazzatinti, ibid., XXI, 4, pp. 54, 58; G. Morelli, Croniche, in Delizie degli eruditi toscani, XIX (1785), p. 144; G.P. Cagnola, Storia di Milano, a cura di C. Cantù, in Arch. stor. italiano, s. 1, 1842, t. 2, pp. 60, 91, 102; Cronache e storie inedite della città di Perugia, a cura di F. Bonaini, ibid., 1850, t. 16, pp. 424, 484, 489, 523, 541, 555, 564; Carteggio degli oratori mantovani alla corte sforzesca, IV, 1462, a cura di I. Lazzarini, Roma 2002, doc. 24; C. Santini, Saggio di memorie della città di Tolentino, Macerata 1789, pp. 218 s.; G. Benadduci, C. Mauruzi, Tolentino 1885; Id., Della signoria di Francesco Sforza nella Marca e peculiarmente in Tolentino, Tolentino 1892, ad ind.; Enc. biografica e bibliogr. «Italiana», C. Argegni, Condottieri, capitani, tribuni, II, p. 241; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, s.v. Mauruzi di Tolentino, tav. III.