FERRI, Cristoforo
Nacque a Fano (Pesaro-Urbino) il 3 giugno 1790 dal conte Giacomo, fratello del letterato Giovanni Ferri de Saint-Constant, e da Maria, figlia del conte Giuseppe Carradori di Macerata. Ebbe un fratello, Carlo, delegato apostolico a Perugia nel 1831 e successivamente, nel 1848, deputato di Fano e Fossombrone all'Assemblea legislativa di Roma.
Ricevuta dal padre un'educazione assai rigida e religiosissima, dopo aver seguito i primi studi in casa con precettori privati, a dieci anni entrò al collegio "S. Carlo" di Fano, dove rimase un anno soltanto; nel 1801 si iscrisse al collegio "Cicognini" di Prato per studiarvi lettere e filosofia, e da lì si trasferì a Roma, prima al collegio "Mariano" poi al "Nazareno". Ancora adolescente cominciò a scrivere versi, quali un madrigale ad Anna mia padrona e veneratissima e un sonetto a s. Luigi Gonzaga (pubblicati in Versi inediti, Roma 1806).
Conseguita la laurea in legge, a diciotto anni il F. abbandonò definitivamente la nativa Fano e, per assecondare la sua indole avventurosa e ribelle, si arruolò nelle guardie d'onore del Regno Italico, agli ordini del principe Eugenio di Beauharnais, viceré d'Italia. Trasferitosi dunque a Milano nel 1808, prese attivamente parte alla vita sociale ed intellettuale della capitale, conducendo un'esistenza alquanto sregolata che lo mise in continuo contrasto col padre.
Nel febbraio 1809 il F. partecipò alla vittoriosa campagna del principe Eugenio contro l'Austria, ma, una volta rientrato a Milano, cercò in ogni modo di ottenere un innalzamento di grado oppure di essere congedato per attendere ad un adeguato impiego civile. Finalmente nel 1813 fu nominato sottotenente nel 7º reggimento di linea. Avuta tale nomina, egli dovette presto raggiungere in Sassonia il suo reggimento stanziato a Coburgo per prendere parte alla campagna contro la Russia, ma non poté partecipare alla guerra a causa di una violenta infiammazione agli occhi che non gli permise di lasciare la città. Quando la Sassonia fu occupata dai Russi (1813) il F. fu considerato prigioniero di guerra e di conseguenza fu trattenuto in Germania fino al settembre 1814, anno in cui fu rimpatriato a causa dei gravi problemi di salute che lo affliggevano.
Rientrato in Italia, si stabilì a Fano dove, esortato dai suoi amici intellettuali, riprese l'attività letteraria e si dedicò agli studi, consigliato e guidato dall'amico C. Perticari. Fu grazie a lui che il F. conobbe i massimi esponenti della scuola romagnola-marchigiana, ne condivise il neoclassicismo e il purismo, e si inserì nel gruppo che si riuniva a Pesaro sotto la direzione del Perticari e che comprendeva letterati quali A. Antaldi, F. Cassi, G. Amati, F. Torricelli e S. Betti. Nel 1819 egli compose, secondo i moduli classici, tre sonetti intitolati A Pietro Borsieri, A Giulio Martinozzi di Montevecchio e Alla luna, oltre alla notevole canzone Per la restaurazione della lingua italiana.
In quest'ultimo componimento, che riecheggia le prime canzoni leopardiane e che è, per unanime riconoscimento, la sua opera migliore, il F. esalta il ruolo della lingua come elemento di coesione e di identificazione culturale di una nazione.
I succitati componimenti, un sonetto Ad Amore e i due In morte di Giulio Perticari, costituirono, nel 1824, la raccolta Alcune rime (nel 1828, con l'aggiunta della traduzione del poemetto Sogno del romantico tedesco J. P. Richter, tali componimenti furono ristampati a Crisopoli con il titolo di Poesie). La traduzione dal Ricliter segnò una svolta negli orientamenti del F., che si apriva a nuove esperienze, cercando di operare una parziale mediazione tra i precedenti principi classicisti e le sollecitazioni che gli giungevano dal romanticismo europeo.
Gli ambienti letterari non espressero grande consenso per la sua opera; in particolare criticarono l'esiguità della produzione del F., non rispondente ai grandiosi progetti da lui continuamente accarezzati: in effetti, delle molte opere iniziate, egli ne terminò ben poche; tra le idee non realizzate ricordiamo una tragedia di argomento storico intitolata Ezzelino da Romano, un compendio delle storie di D. Bartoli, un romanzo storico (si pensa che egli ne abbia abbandonato il completamento dopo la pubblicazione dei Promessi sposi del Manzoni, perché timoroso di un impari confronto), un poemetto sugli amori, la prigionia e la morte del Tasso ispirato al Bardo della Selva Nera del Monti.
Il F. fu un personaggio inquieto, mai tranquillo, sempre affannato dalle difficoltà economiche e incostante anche in campo sentimentale (rimase famosa la fugace passione che lo legò alla giovanissima moglie del conte Guiccioli, Teresa Gamba, che sarà poi l'amante di G. Byron).
Quando nel giugno 1822 morì il Perticari, i suoi amici marchigiani sollecitarono il F. ad assumerne l'eredità artistica e spirituale, continuando l'opera di diffusione e difesa del classicismo. Negli anni Venti, però, il F. si guadagnò non pochi nemici a causa delle pungenti accuse che, ispirato dal Cassi, mosse in un opuscolo anonimo (che circolò manoscritto), contro Costanza, vedova del Perticari e figlia del Monti, accusata di essere stata, con il suo comportamento poco amorevole, la causa della morte del marito: più velatamente si insinuava addirittura un sospetto di veneficio. Il Monti fu il primo a risentirsi delle insinuazioni e, sdegnato, si scagliò contro il F. e il Cassi nella Feroniade, in sei versi che, espunti dalla versione data alle stampe, furono resi noti successivamente da G. Carducci nell'edizione da lui curata.
Nel febbraio 1831 il F., aggregatosi alla carboneria, prese parte all'insurrezione di Fano contro il governo pontificio e divenne presidente dell'effimero Comitato provvisorio di governo ivi instaurato; l'intervento delle truppe austriache ristabilì però già alla fine di marzo il potere papale e il F. fu sospeso da qualunque incarico pubblico.
Deluso dagli avvenimenti politici, insofferente del ristretto ambiente locale, il F. meditava di trasferirsi a Napoli, ma prima di poter realizzare questo desiderio morì a Fano di apoplessia il 13 febbr. 1833 e fu sepolto nella chiesa di S. Antonio.
Opere: Versi inediti, Roma 1806; Sogno, Crisopoli 1818; Tre sonetti, Italia 1819; Alcune rime, Firenze 1824 (2ediz., ibid. 1826); Poesie, Crisopoli 1828(con prefaz. di L. Polidori; successive ediz. Fano 1833;Crisopoli 1874; Fano 1883); Sonetto inedito ... per le nozze Lancellotti-Borgogelli, Fano 1921.
Fonti e Bibl.: N. Tommaseo, Poesie del conte C. F., in Antologia, t. XXXV (1829), pp. 157-159(articolo sottoscritto K.X.Y.); G.M. Bozoli, in E. De Tipaldo, Biografia degli italiani illustri...,III, Venezia 1836, pp. 74 ss.;F. Polidori, Dell'ingegno e degli studi del conte C. F., in Prose e poesie ined. d'italiani viventi, V, Bologna 1836, pp. 5-41;C. Pariset, Una lettera ined. di P. Giordani al patriota e poeta C. F., in Rass. stor. del Risorg., XIV (1936), pp. 1713 ss.;C.Selvelli, Un giovane letterato fanese nemico di Costanza Perticari Monti, in Atti e mem. della Deputaz. di storia patria delle Marche, s. 7, I (1946), pp. 109-127; G. Santini, Il conte C. F. soldato, rivoluzionario e letterato, in Mem. e rend. dell'Istituto marchigiano di scienze, lettere ed arti, XXII(1962-1972), pp. 53-71; R. Ciampini, L'amore segreto della contessina di Ravenna, in Il Resto del Carlino, 20 e 22 luglio 1963; Id., Il primo amante di Teresa Guiccioli (Con il carteggio inedito...), Firenze 1963; I.Pascucci, Note su C. F., in Fano. Notiziario di informazione sui problemi cittadini, 1966, n. 3, Supplemento; E. Capolozza, C. F. fra letteratura e politica in alcuni documenti inediti della Federiciana, ibid. 1968, n. 4, Supplemento; G.Mazzoni, L'Ottocento, Milano 1973, I, pp. 349, 384; II, p. 76.