CRISTODULO
Non sono note né la data di nascita, né le origini di C. ed oscuri sono rimasti anche gli inizi della sua carriera. Quando è ricordato per la prima volta in un documento del 1107 è già qualificato come amiratus.
Con questo termine (in greco ἀμηρἐς) si indicava probabilmente allora, nella contea normanna di Sicilia, il capo dell'amministrazione finanziaria, anche se le competenze dell'ufficio non sono esattamente definibili, tanto più che a volte risultano in carica anche più amirati contemporaneamente. Con certezza si può affermare soltanto che gli amirati avevano le posizioni chiave nell'amministrazione centrale, che erano fra i più stertti collaboratori del conte, e successivamente re di Sicilia, e che normalmente non erano normanni, ma greci, arabi e più tardi anche longobardi.
C. sembra aver rivestito una posizione di grandissima importanza alla corte della contessa Adelasia durante la minore età di Ruggero II, se nel 1121 si poteva dire che un diploma del giovane conte era stato rilasciato nel mog al tempo dell'amiratus Cristodulo. Proprio in considerazione di questa sua posizione eminente alla corte siciliana, nell'aprile del 1109 l'imperatore Alessio I gli conferì l'alto titolo onorifico bizantino di protonobilissimos.
Titoli di questo genere che conferivano, oltre ad una particolare dignità, pure delle pensioni annue, venivano concessi anche a stranieri: all'inizio del secolo XII il titolo di protonobilissimos risultava infatti abbastanza diffuso nell'Italia meridionale. Lo portavano vari membri del patriziato amalfitano e barese, e ne era stato insignito anche il protonotario Bono, collega di C. nell'amministrazione centrale della Sicilia. Non è noto se l'imperatore abbia avuto un motivo, politico o personale, per conferire a C. il titolo. È possibile che il titolo di protonotarius attribuito a C. in alcuni documenti, di cui tuttavia non è conservato l'originale, non sia altro che una lettura errata del titolo di protonobilissimos. L'ipotesi sembra avvalorata anche dalla circostanza che C. non porta mai i due titoli contemporaneamente.
Nello stesso periodo in cui ricevette l'onorificenza bizantina C. deve aver fatto la conoscenza del monaco greco Bartolomeo di Simeri (prov. di Catanzaro), perché quando Bartolomeo fondò un monastero al di sopra di. Rossano dedicato alla Theotokos Hodegetria - l'odierno monastero di S. Maria del Pàtire - C. lo sostenne con tutte le sue forze. Dal 1111 in poi acquisì, mediante compere, permute e donazioni, terre dai feudatari normanni della Calabria settentrionale, che successivamente assegnò al monastero da lui favorito. Si trattava di terre nella valle del Coscile e del Crati, presso Rossano e a San Mauro, presso Corigliano Calabro. L'esempio e le sollecitazioni di C. indussero poi anche il duca Guglielmo ed altri nobili normanni a dotare riccamente il nuovo monastero, che in breve tempo diventò uno dei più importanti monasteri greci della Calabria.
Il suo protettore C. vi veniva con molta solennità ricordato nella liturgia il 30settembre (giorno, forse, della sua morte). C. stesso fondò il monastero di S. Maria a Marsala e forse anche una chiesa a Palermo, consacrata ai santi Maria, Matteo, Senatore, Viatore e Cassiodoro. Egli può forse essere identificato anche con il Cristodulo fondatore del monastero di S. Sebastiano presso San Mauro che nel 1120 era retto dai suoi figli, cioè dal monaco Teodolo e dalla monaca Teodola. Questo Cristodulo non viene qualificato come amiratus, ma la rarità del nome in Calabria e il fatto che C. aveva acquistato proprio a San Mauro le terre donate al monastero di Pàtire, rendono plausibile questa identificazione.
Anche quando nel 1112, dopo le seconde nozze della madre, Ruggero II assunse le redini del governo, C. rimase alla guida della "pubblica aniministrazione" della Sicilia, come si esprime l'autore arabo 'At Tîgânî. Già prima del 1115 C. aveva chiamato alla corte comitale Giorgio di Antiochia, un rifugiato del Maglireb, il quale fece carriera sotto la sua protezione e ancora al tempo di C. ascese alla dignità di amiratus e diventò in seguito il capo dell'amministrazione centrale durante il regno di Ruggero II (ἂρχων τῶν ἀρχόντων, ἀμηρἐς τῶν ἀμηράτων). Nel gennaio del 1123 C. figura al primo posto tra i giudici della Curia di Ruggero II che decidono una controversia tra un gruppo di proprietari arabi e uno normanno per il possesso di un mulino nell'entroterra di Palermo a favore dei Normanni. Nell'estate dello stesso anno comandò, insieme con Giorgio di Antiochia, una spedizione punitiva contro l'emirato degli Ziriti nell'Africa settentrionale che. da quando. nel 1121-22 il minorenne al-Ḥasan aveva assunto il governo, sembrava gravemente indebolito all'intemo. L'occasione dell'intervento era stata fornita dalla distruzione di Nicotera ad opera di una flotta ziritica nel 1122. La spedizione si concluse con una disfatta totale dei Normanni. Durante la traversata una parte della fiona era stata distrutta da una tempesta; le navi rimanenti riuscirono, comunque, a sbarcare in un'isola di sabbia posta davanti alla costa tunisina ("Le Sorelle") e a conquistare il castello di Dimâs. Ma un attacco a sorpresa degli Arabi costrinse la flotta a una fuga precipitosa e all'abbandono del presidio di Dimás che fu trucidato fino all'ultimo uomo.
Il fatto che i due amirati figurino come comandanti della flotta in quest'occasione ha fatto ritenere a molti studiosi che l'ufficio di amiratus si identifichi con quello dell'ammiraglio e abbia incluso il comando della flotta. Ma questa ipotesi è errata, come ha dimostrato il Ménager, o comunque non è valida per il periodo precedente la metà del secolo XII. La verità è che Ruggero II aveva affidato il comando della spedizione in Africa a due uomini di sua fiducia che supponeva fossero in grado di condurre la campagna con competenza maggiore dei suoi cavalieri normanni, poco familiari con la guerra marinara e con la mentalità e la tattica degli Arabi.
L'insuccesso della spedizione africana non pregiudicò, tuttavia, la carriera dei due amirati, se nel 1124 essi stessi accompagnarono Ruggero II a Montescaglioso (provincia di Matera) dove il conte di Sicilia si impossessò dell'eredità della defunta sorellastra Emma, dopo essere penetrato con la forza nei domini del nipote, duca di Puglia e Calabria. Nel dicembre del 1125 C. sottoscrisse, anche questa volta insieme con Giorgio di Antiochia e con altri fedeli collaboratori greci e normanni, di Ruggero II un privilegio a favore del vescovo di Catania. là questa l'ultima notizia sicura relativa a C.; dopo questa data egli è ricordato ancora una volta nel 1130 in un privilegio con cui Ruggero II confermò le donazioni più antiche a favore di S. Maria del Pàtire, ma dal testo non risulta con certezza se C. allora fosse ancora vivo. Non conosciamo la data della sua morte.
Tutte le sottoscrizioni note di C. sono greche, come è greco anche il suo nome che era talmente inusitato per i suoi contemporanei normanni da essere trasformato in alcuni documenti latini in "Cristophorus". L'autore arabo 'At Tîgânî lo ricorda, invece, con due forme arabe dei suo nome: 'Abd ar-Raḥman (servo dei Misericordioso) e 'Abd Allah an Naṣrānī (servo di Dio, Nazareno, cioè il cristiano). L'Amari credeva di poterne dedurre che C. fosse un saraceno convertito. Ma - come è stato a ragione obiettato - proprio l'esistenza di due forme diverse del nome induce a ritenere che 'At Tîgânî e i suoi contemporanei avessero tradotto il nome dal greco in arabo e non viceversa. D'altro canto si è rilevato che un rinnegato arabo al servizio normanno non avrebbe certamente assunto il cristianesimo secondo il rito greco, bensi secondo quello cattolico romano. Dalla protezione accordata da C. a S. Maria del Pàtire si è, infine, voluto concludere che C. fosse un greco originario della Calabria. Per quanto riguarda le due ultime questioni, le argomentazioni ricordate non appaiono convincenti. In merito alla prima si deve, infatti, dire che fino alla metà del sec. XII la maggioranza dei saraceni convertiti al cristianesimo sembra abbia assunto la lingua e il rito della popolazione greca. Quanto alla provenienza di C. pare certo che egli abbia avuto origini siciliane. Le sue proprietà fondiarie si trovavano nell'isola. Possedeva una casa a Messina e terre a Giarratana a settentrione di Ragusa e aveva fondato un monastero a Marsala, mentre aveva dovuto ottenere tutti i beni donati a S. Maria del Pàtire da proprietari normanni. Infine il suo nome era molto diffuso tra gli abitanti greco-arabi della Sicilia occidentale, mentre in Calabria era quasi sconosciuto. C. fu quindi con molta probabilità un siciliano cristiano di origine o greca o araba, e apparteneva alla piccola élite di quei temocrati indigeni utilizzati e favoriti dai sovrani normanni, i quali contribuirono in ultima analisi a far divenire il regno normanno nell'Italia meridionale e in Sicilia uno degli Stati più moderni dell'Occidente medievale.
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