CRISTINA di Lorena, granduchessa di Toscana
Figlia di Carlo III duca di Lorena e di Claudia di Francia, nacque nell'anno 1565 a Bar-le-Duc (nel dipartimento della Mosa) e venne battezzata alla presenza di Caterina de' Medici regina di Francia, sua nonna. L'infanzia e la fanciullezza furono dominate dalla personalità di Caterina, senza però che nessuna caratteristica della tempra forte e volitiva di quest'ultima venisse ereditata da Cristina. Infatti alla morte della madre (1574) C. passò alla corte di Francia. dove fu allevata sotto la direzione di Caterina, il cui affetto e sollecitudine nei confronti della nipote è testimoniato dalle lettere che ci sono pervenute. C. crebbe nel clima delle guerre di religione, che lasciarono indubbiamente una traccia profonda nel suo animo. Giunta in età da marito, Caterina si preoccupò di combinare alla nipote un matrimonio di prestigio.
Andato a monte nel 1580 un progetto di nozze tra C. e suo zio Francesco di Valois, duca d'Angiò, progetto che però non aveva incontrato il favore della stessa C., Caterina nel medesimo anno caldeggiò il matrimonio di C. col duca di Mantova, Vincenzo Gonzaga che nel 1584 sposò invece Eleonora de' Medici, e col nuovo duca di Savoia, Carlo Emanuele, che sposò in seguito Caterina d'Asburgo, infanta di Spagna. Caterina, che delle quattro figlie di Claudia di Lorena preferiva C., si mostrava assai preodcupata che ancora non si fosse accasata, e le concedeva 300.000 scudi di dote. Dopo un nuovo progetto di nozze col duca di Epernon, furono avviate trattative col neo granduca di Toscana, Ferdinando I.
Questi, che aveva abbandonato il cardinalato per succedere al fratello Francesco morto senza eredi, in linea colla nuova politica di allontanamento dalla Spagna e di conseguente avvicinamento alla Francia, accolse con favore le proposte matrimoniali della corte francese. Ferdinando, che anche in precedenza aveva mantenuto cordiali rapporti con Caterina, stipulò nel 1587 il contratto nuziale con Cristina.
Il matrimonio venne ritardato di due anni dalle varie difficoltà incontrate nella stesura del contratto; successivamente dagli ostacoli frapposti dalla guerra al viaggio verso Firenze; infine il 5 genn. 1589 morì Caterina. L'ambasceria inviata da Ferdinando, guidata da Orazio Rucellai perché scortasse C. a Firenze, rimase bloccata a Blois fino al marzo per le esequie e il periodo di lutto, quando C. poté finalmente partire. Raggiunta Marsiglia, si imbarcò scortata da galere di Francia, Genova, Marsiglia e Malta. In tale occasione scoppiò il solito incidente diplomatico poiché le galere maltesi pretesero invano di precedere il corteo, come riferì l'ambasciatore genovese.
C. portava in dote 600.000 corone; inoltre, Caterina le aveva lasciato tutti i suoi diritti sui beni dei Medici, nonché quelli sul ducato di Urbino, che le provenivano dal padre Lorenzo. Tali diritti non erano stati mai annullati, neppure quando Adriano VI aveva restituito il ducato ai Della Rovere.
C. entrò in Firenze il 30 aprile. Portava con sé un ricchissimo corredo di vesti di foggia francese che abbandonò subito per adottare la moda fiorentina, onde accattivarsi i favori dei suoi nuovi sudditi. In occasione del matrimonio furono allestite nel teatro mediceo agli Uffizi varie opere teatrali, tra cui la commedia La pellegrina di Girolamo Bargagli, le commedie dell'arte La pazzia di Isabella e la Zingara, una naumachia nel cortile di palazzo Pitti. Firenze divenne in quei giorni il centro di uno dei più grqndiosi festival della sua storia. Per circa due settimane la vita della città fu movimentata da manifestazioni teatrali di vario genere, che costituiscono una tappa fondamentale nella storia del teatro e delle invenzioni sceniche.
C. collaborò attivamente col marito nell'avviare una politica di restaurazione morale, dopo le fosche tragedie di cui era stata teatro la corte fiorentina. Ferdinando Cercò di restaurare i valori scossi dalla condotta del fratello Francesco, tentando di recuperare all'interno il rispetto dei sudditi e all'estero, particolarmente presso il pontefice, il favore indispensabile, specie in tempi di controriforma. Tale atteggiamento venne confermato anche quando, scoppiata la violenta contesa tra Paolo V e Venezia, il granduca di Toscana si offrì come negoziatore e C. si interpose affinché non giungessero a Venezia aiuti dalla Lorena, che suo fratello stesso, il principe di Vaudemont, si apprestava a condurre in aiuto della Serenissima.
Contemporaneamente C. si adoprò molto per una riconciliazione tra Enrico IV e Carlo di Lorena, inviando ambasciatore presso quella corte Raffaello de' Medici. C. sosteneva che, se un buon cattolico non avrebbe dovuto aver nulla a che fare con il re di Francia, era pur vero che gli alleati della lega non avevano mai fatto niente a favore del duca di Lorena che C. invitava ad approfittare della mediazione medicea per riconciliarsi con Enrico.
Pertanto, durante il regno del marito, C. godette di una certa popolarità, dovuta alla saggia e oculata politica di costui. L'aver riportato l'ordine e la tranquillità alla corte guadagnò ai sovrani il favore dei sudditi della città; la politica di apertura nei confronti delle campagne, le agevolazioni concesse alla mercatura, l'incremento dei porto di Livorno, il potenziamento della marina, acquisì quello dei sudditi del granducato. Bisogna però riconoscere che C. ben poco ebbe parte in quest'opera riformatrice, pur se poté godere i benefici di una popolarità giuntale di riflesso; di temperamento mediocre in cui avevano ben attecchito spiriti controriformistici, C. si dedicò soprattutto alla fondazione di monasteri e conventi, quali ad esempio il monastero della Pace a Firenze e quello delle convertite a Pisa (1610). I riconoscimenti per tale opera non tardarono: Sisto V nel 1589 e Clemente VIII nel 1593 le inviarono la rosa d'oro.
Durante il regno di Ferdinando venne proseguita la politica di avvicinamento alla Francia, perseguita anche attraverso i matrimoni; nel 1600 la nipote di Ferdinando, Maria, andò sposa a Enrico di Francia e C. l'accompagnò a Marsiglia con un ricco corteo.
Rimasta vedova nel 1609, dopo che il trattato di Lione (1601), avendo infranto i disegni di Ferdinando sul Saluzzese, aveva nuovamente affiancato il granduca all'Impero, come dimostrava il matrimonio di suo figlio Cosimo II con Maria Maddalena d'Austria (1608), sorella del futuro imperatore Ferdinando II, C. ebbe, secondo i patti nuziali, il libero e assoluto governo dei capitanati di Montepulciano e Pietrasanta. Ma è proprio con la morte del marito che la figura di C. assume un suo rilievo nella politica toscana, influenzandola in maniera nefasta, sia durante il regno di Cosimo II (1609-1621), sia nel periodo tra il 1621 e il 1629 in cui fece parte del Consiglio di reggenza per il nipote Ferdinando II. Durante il regno di Cosimo II C. e il ministro Belisario Vinta intervennero pesantemente nella politica del granduca, dando l'avvio al malgoverno e al processo di deterioramento finanziario da cui il granducato non si riebbe più. Purtuttavia il nome di C. è legato, durante il regno di Cosimo II, a quello di G. Galilei, che nel 1615 le dedicò una delle sue quattro lettere copemicane.
In essa Galilei sostiene essere pericoloso portare le Scritture in sede di discussione di scienze naturali perché esse non possono errare, bensì possono errare gli interpreti; inoltre, Galilei affermava che il famoso passo di Giosuè si accordava perfettamente col sistema copernicano, dimostrando così la falsità dei sistema tolemaico. Tale lettera, che ha le dimensioni di un breve trattato, rimase poco nota al pubblico e non mancò di sollevare dubbi sul fatto se fosse lecito ad un laico trattare problemi teologici.
Alla morte di Cosimo II (1621), C. fu nominata reggente, insieme con la nuora Maria Maddalena; le due granduchesse dovevano essere assistite da un Consiglio di quattro ministri nominati da Cosimo nel testamento. Ambedue le reggenze si dimostrarono incapaci e inette. Insieme alla nuora C. spese in maniera dissennata per il lusso e la pompa della corte. Inoltre, la sua bigotteria la rese facile preda degli ecclesiastici che le si raccoglievano intorno e che in poco tempo stabilirono il loro controllo sugli affari dello Stato. Ogni ordine impartito da Roma, anche se dannoso alla Toscana e alla famiglia, era accolto da C. con cieca sottomissione. Ben presto la situazione finanziaria dello Stato portò i segni del malgoverno ecclesiastico.
Nel 1623 il futuro granduca Ferdinando II fu fidanzato a Vittoria della Rovere erede del ducato di Urbino, che il neopontefice Urbano VIII ambiva per la propria famiglia o per lo Stato pontificio. Su Urbino Ferdinando poteva giustamente far valere i propri diritti sia grazie al fidanzamento con Vittoria della Rovere, sia per l'eredità ricevuta, tramite C., da Caterina figlia di Lorenzo, duca di Urbino. Ma Urbano VIII riuscì ad ottenere da Francesco Maria II della Rovere una dichiarazione inequivocabile con la quale riconosceva la signoria feudale della S. Sede sullo Stato di Urbino. C. e la nuora cedettero di fronte al volere del papa, allarmate anche dalla concentrazione di truppe pontificie alla frontiera del ducato e il 16 nov. 1623 approvarono la dichiarazione del duca d'Urbino.
Nel 1636 Ferdinando II, sdegnoso per le molte umiliazioni impostegli dai gesuiti e per il malgoverno in cui lo Stato era ridotto, aveva deciso di liberarsi dell'autorità di C., allontanandola dalla corte, quando questa, il 20 dic. 1636, morì nella villa medicea di Castello.
Assolutamente incapace di governare, morendo lasciò la Toscana sotto la dominazione del clero; ecclesiastici di ogni specie formicolavano per il ducato e gli uffici pubblici erano quasi tutti nelle loro mani; la maggior parte delle terre era divenuta proprietà degli Ordini monastici e come tale era esente da tasse, il cui peso ricadeva soltanto su una parte della popolazione; intanto il tribunale dell'Inquisizione teneva nel chiostro di S. Croce le sue tetre udienze. Questo divenne il luogo più temuto di Firenze; chiunque non andasse a genio ai gesuiti correva il rischio di dovervisi prima o poi presentare. Di scarso ingegno e di ancor minore capacità politica, C. si trovò a governare per un periodo eccessivamente lungo. Lo stesso Galluzzi, lo storico settecentesco toscano, scrisse di C.: "Una pietà regolata dalle idee di quel secolo gl'inspirò la passione di fondare dei conventi e moltiplicare nel granducato i Frati e le Monache e gli ecclesiastici, da lei sempre favoriti e protetti, poterono facilmente abusare di questa pietà per intraprendere sopra il governo".
Dalle sue nozze con Ferdinando nacquero otto figli: Cosimo, che successe al padre, Francesco, Carlo, Lorenzo, Eleonora, Caterina, Maddalena e Claudia. Di C. esiste a palazzo Pitti un ritratto dipinto dal Sustermans.
Fonti e Bibl.: Lettres de Catherine de Médicis, a cura di G. Bagnenault de Puchesse, VII-IX, Paris 1899-1905, ad Indices; Negociations between king James VI and Fordinand I, a cura di J. D. Mackie, Oxford 1927, pp. 11 s., 19 s., 51 s., 55 s.; Istruzioni e relazioni degli amb. genovesi, a cura di R. Ciasca, II, 1619-1635, in Fonti per la storia d'Italia, XX, Roma 1955, ad Indicem; III, 1636-1655, ibid., XXI, ibid. 1955, ad Indicem; G. Galilei, Opere (ed. naz.), V, ad Indicem; Catalogue of the Medici Archives..., London 1918, pp. 158 s.; I. R. Galluzzi, Istoria del granducato di Toscana, III, Firenze 1781, pp. 18 s., 20 ss., 473, 486; A. Solerti, Musica, ballo e drammatica alla corte medicea..., Firenze 1905, pp. 12 ss. e passim; A. Müller, G. Galilei, Roma 1911, ad Indicem; G. G. Guarnieri, Lo sviluppo del porto e del commercio di Livorno, Livorno 1912, passim; A. De Rubertis, Ferdinando I de' Medici e la contesa fra Paolo V e la Repubblica veneta, Venezia 1933, ad Indicem; Il luogo teatrale a Firenze (cat.), Firenze 1975, ad Indicem; P. Litta, Le fam. celebri..., sub voce Medici di Firenze, tav. XV.