CRISTINA (Christine) da Pizzano (de Pizan)
Nacque a Venezia nel 1365 da Tommaso di Benvenuto e da una figlia di Tommaso Mondini.
Il nome di C. deriva dalle proprietà che la famiglia del padre possedeva nel territorio di Pizzano, in quel di Bologna. Il padre aveva fatto studi di medicina all'università bolognese, prima di insegnarvi l'astrologia tra il 1344 e il 1356. In seguito raggiunse a Venezia un suo condiscepolo, Tommaso Mondini da Forlì, passando con lui al servizio della Repubblica in qualità di consigliere stipendiato, e ne sposò la figlia, dalla quale ebbe tre figli: C., Paolo e Aghinolfo. A Bologna, dove era ritornato alcuni mesi dopo la nascita di C. per sistemarvi le sue cose, Tommaso ricevette due inviti piuttosto lusinghieri da parte del re d'Ungheria Luigi I il Grande e del re di Francia Carlo V: i due sovrani, informati delle sue capacità astrologiche, cercavano di assicurarsi i suoi servigi. Tommaso optò per il re di Francia di cui ammirava la saggezza; questi dal canto suo apprezzava le qualità dell'astrologo fino al punto di invitarlo ad abitare presso di lui e a far trasferire la sua famiglia in Francia a spese della Corona. Dopo avere esitato per tre anni, Tommaso accettò.
Verso la fine del 1369 C., allora in età di soli quattro anni, valicò le Alpi insieme con la madre e i fratelli. Dopo avere risalito le valli del Rodano e della Saona, raggiunsero Parigi e furono presentati al re in dicembre. L'infanzia parigina di C. fu felice: Carlo V ricolmava il padre di benefici, perché ne apprezzava non solo il talento di astrologo, ma anche i consigli politici (sembra che Tommaso abbia avuto una parte non trascurabile nel ravvicinamento, avvenuto nel 1377, tra il regno di Francia e la Repubblica di Venezia). Tommaso si preoccupò di procurare alla figlia, a dispetto del suo sesso, una cultura letteraria di cui ella saprà profittare in seguito.
Quando C. raggiunse l'età matrimoniale, il credito del padre presso il re le valse ogni sorta di proposte vantaggiose. La scelta di Tommaso cadde infine su di un giovane gentiluomo piccardo, Étienne Castel, meno ricco forse di altri pretendenti, ma il cui padre apparteneva alla casa del re. Il matrimonio ebbe luogo all'inizio del 1380: C. aveva quindici anni, ottenne ventiquattro, e subito ottenne l'ufficio di notaio e segretario del re. La prosperità della famiglia dell'astrologo, provvisto di rendite confortevoli e di donazioni d'ogni sorta da parte del re e dei suoi fratelli, era allora al suo apogeo.
Tutto cambiò con la morte di Carlo V sopraggiunta il 16 sett. 1380. Tommaso rimase al servizio della corte, ma il suo credito cominciò a declinare. Vittima di una campagna contro l'astrologia, di cui Philippe de Mézières si fece eco, o più probabilmente degli intrighi di rivali gelosi del favore di cui aveva goduto al tempo del defunto re, vide diminuire le sue entrate che cessarono del tutto a partire dal 1385 circa. Infine, dopo lunga malattia, morì nel 1387. Étienne Castel divenne allora il capo della famiglia, ma per poco tempo: egli soccombette infatti a sua volta ad una epidemia, alla fine del 1390, nel corso di un viaggio a Beauvais al seguito del re.
C. si venne a trovare vedova a venticinque anni, dopo dieci anni di matrimonio felice del quale lamenterà sempre la fine prematura e brutale. Fu obbligata a prendere a sua volta in mano le sorti della famiglia: i suoi due fratelli ritornarono in Italia nei possedimenti del padre, ma la madre, i suoi tre figli piccoli e una nipote restarono a suo carico.
Era un compito pesante: Tommaso, a quanto pare, non aveva saputo amministrare saggiamente i suoi beni ed Étienne Castel gli era sopravvissuto troppo poco per potere ristabilire solidamente la situazione economica della famiglia. L'educazione di C., del resto, non era fatta per agevolarla a risolvere i complicati problemi giuridici e finanziari che le stavano di fronte. Lo stipendio del marito non le venne più pagato o le fu pagato irregolarmente. Il possesso dei beni del padre le fu contestato. Per quasi quindici anni passò da un processo all'altro davanti alla Camera dei conti di Parigi, dove la sua condizione di donna e di vedova la rendevano particolarmente vulnerabile di fronte alla disonestà e all'impertinenza dei suoi avversari. C. fu insomma costretta ad operare in sé stessa simbolicamente quella "mutazione" che è alla base di uno dei suoi libri più importanti: trasformarsi in uomo.
Alle difficoltà nelle quali si dibatté nel corso dell'ultimo decennio del sec. XIV, C. trovò una soluzione inedita: utilizzando le conoscenze e il tatto di cui il padre aveva avuto la buona idea di dotarla, divenne il primo scrittore professionista della letteratura francese.
Nessuno prima di lei era stato costretto fino a tal punto dalle circostanze a vivere della propria penna, nessuno si era preoccupato di perseguire la propria carriera con tanta abilità. La necessità e le occasioni spinsero C. a fare i suoi primi tentativi letterari: per assicurarsi la protezione degli amici che conservava ancora a corte dai tempi della sua stagione brillante, ella indirizzò loro poesie appartenenti a generi ben codificati, che deliziavano il pubblico colto del sec. XIV: ballata, virelai o rondeau. S'impegnò anzitutto nella poesia lirica, illustrata prima di lei da Guillaume de Machaut, Jean Froissart e soprattutto da colui che considerava il suo maestro, Eustache Deschamps. Non abbandonò mai completamente questi generi:; tuttavia la maggior parte dei testi contenuti nel primo volume dell'edizione di M. Roy (Oeuvres poétiques de Christine de Pisan)risalgono all'inizio della sua carriera di scrittrice (1394-1400): le Cent ballades, sedici Virelais, quattro Ballades d'estrange façon (capolavori di tecnica letteraria degni dei futuri "rhétoriqueurs"), due Lais, sessantanove Rondeaux, settanta Jèuxa vendre, e ancora cinquantatré Ballades de divers propos, un po' più tardive, e due Complaintes amoureuses.
I temi svolti in questa poesia di corte sono diversi: fatta eccezione per alcuni componimenti di circostanza a carattere politico, si tratta quasi sempre di poesia personale o amorosa. Poesia personale: C. vi invoca la sua esperienza, i dolori della vedovanza, le sue difficoltà materiali, per attirare sì compassione, ma collegando sempre i suoi problemi individuali a questioni di morale che già fanno intravedere il suo gusto per la filosofia. Poesia amorosa: descrivendo secondo il modo cortese le diverse fasi e i diversi aspetti dell'amore, la poetessa ricama su temi convenzionali, nella linea di Guillaume de Machaut. Come per ogni poesia medievale, la questione della sincerità biografica dei suoi scritti non si pone neanche. Si può parlare purtuttavia di sincerità di sentimenti: a tale scopo adotta sempre il punto di vista femminile, anzi femminista, e sceglie di indirizzare questi poemi a uomini come Charles d'Albret, Louis de Sancerre, Jean de Cháteaumorant, che passavano alla corte di Carlo VI come i campioni delle virtù cortesi e che C. rivendica come protettori.
In ogni caso questa strategia si rivelò proficua, e la situazione materiale di C. sembrò migliorare nel corso degli ultimi anni del secolo: il conte di Salisbury, Jean de Montaigu, prese al suo servizio uno dei suoi figli, Jean Castel di tredici anni, e lo condusse in Inghilterra nel 1397. Dopo la morte del conte e quella di Riccardo II, il re Enrico IV tentò senza successo di trattenere il ragazzo e di far venire la madre presso di sé. Ella rifiutò le offerte di un sovrano "desloyal" e sistemò il figlio nella casa del duca di Borgogna (dopo un vano tentativo presso Luigi d'Orléans). Nello stesso tempo riuscì a sistemare la figlia nel priorato delle domenicane di Saint-Louis di Poissy, presso Parigi. C. stessa fu invitata a rientrare in Italia da Gian Galeazzo Visconti, che desiderava assumerla al suo servizio, ma rifiutò per attaccamento alla Francia. Di fatto cominciava a godere della protezione di mecenati assai potenti; da allora fu sempre protetta dall'uno o dall'altro dei principi del sangue, gli zii e i cugini del re, senza però risultarne mai asservita. Verso il 1400 le sue preferenze andavano a Luigi d'Orléans, il brillante cavaliere.
Ella mise inoltre a profitto questi anni per perfezionare la sua cultura letteraria, leggendo con accanimento le opere degli storici, dei moralisti e dei poeti. Per quanto deducibile dallo studio delle sue fonti, il sapere che C. allora acquisì fu esteso ed eclettico, andando dagli autori antichi, Ovidio, Valerio Massimo, Vegezio, lo pseudo-Seneca (Martin da Braga), Boezio, a quelli contemporanei come Jacques Legrand e le grandi compilazioni medievali come i Miroirs di Vincent de Beauvais o la Histoire ancienne jusqu'à César; conosceva bene anche l'opera dei suoi compatrioti Dante, Boccaccio e Cecco d'Ascoli. Aveva dunque una cultura moderna che le valse a giusto titolo la qualifica di umanista. Va notato tuttavia che cita sempre gli scritti antichi da traduzioni francesi. Godendo ormai di una relativa sicurezza materiale e in possesso di vaste e solide conoscenze intellettuali, C. poteva dedicarsi, tralasciando le composizioni leggere, alla grande opera filosofica che voleva intraprendere.
Verso il 1402 si colloca probabilmente il punto di svolta della carriera letteraria di Cristina. L'occasione fu la "querelle" del Roman de la Rose. L'opera di Jean de Meun aveva entusiasmato gli umanisti Jean de Montreuil, prevosto di Lilla, Gontier Col, segretario del re, e suo fratello Pierre. C. si era espressa al contrario fin dal 1399, data di composizione della sua Epistre au dieu d'amours, e con veemenza, contro il naturalismo e soprattutto contro l'antifemminismo del Roman. Il dibattito così fu aperto e varie lettere furono scambiate. C. aveva dalla sua l'autorità schiacciante del cancelliere Gerson e l'appoggio del prevosto di Parigi, Guillaume de Tignonville e del maresciallo Boucicaut fondatore dell'Ordine cortese dell'"Ecu verd a la dame blanche". Nel febbraio del 1402 C. prese l'iniziativa di portare il dibattito in pubblico, dedicando alla regina una raccolta di Epistres du debat sur le Roman de la Rose. Il dossier, sotto il velo di un'apparente obiettività (la parola è concessa anche ai rappresentanti del partito avverso) è costruito con grande abilità allo scopo di imporre il punto di vista degli avversari del Roman come il solo ragionevole. Le reazioni di Montreuil e dei fratelli Col si rivolsero contro gli autori.
Questo episodio rappresenta un'operazione pubblicitaria molto ben riuscita: a conclusione di una polemica di cui fu istigatrice e grande trionfatrice, C. apparve di colpo come una figura letteraria di primo piano. Già nel giugno del 1402 ella fece copiare una prima raccolta delle sue opere complete e dare l'avvio alle sue grandi opere morali e filosofiche con la certezza di trovare un pubblico (il che, data la sua condizione di donna, le sarebbe stato impossibile altrimenti). Non si può dire però che C., che confuse i suoi avversari con un'abilità consumata, si fosse comportata in modo disonesto nel corso della polemica. Si buttò a fondo nella battaglia per difendere un punto di vista che coincideva perfettamente con le sue idee (il Dit de la Rose, scritto nella stessa epoca, lo attesta), difendendo il femminismo, almeno a livello intellettuale.
Gli anni 1402-1407 furono per C. un periodo di produzione intensa che meraviglia per il numero e l'estensione delle sue composizioni in uno spazio di tempo così breve. La sua vita sembrò allora confondersi con le sue opere. Il primo scritto morale fu l'Epistre d'Othea a Hector, composta nel 1400, che ebbe fino al 1404 varie copie dedicate successivamente a Luigi d'Orléans, Carlo VI, Filippo l'Ardito e Jean de Berry. Si tratta di una serie di cento exempla in versi estratti dalla storia antica e dalla mitologia, in cui la lezione morale e religiosa è esposta in una glossa e in un'allegoria in prosa. Quest'opera, in cui C. inaugura il metodo di compilare da numerose fonti (L'Ovide moralisé, l'Histoire ancienne iusqu'à César, la Divina, Commedia, la Légende dorée, e così via), ebbe un grande successo, attestato dalla tradizione manoscritta, e fu tradotta in inglese nello stesso sec. XV. In questa stessa epoca compose per suo figlio centotredici quartine di Enseignements moraux.
Il Livre du chemin de long estude, un poema di 6.392 versi, fu scritto tra la fine del 1402 e l'inizio del 1403. È il racconto di un sogno allegorico: C. si vede condotta dalla Sibilla cumana presso la fontana della sapienza, dove risiedono i filosofi, per iniziare poi un vero e proprio giro del mondo, da Costantinopoli alle colonne d'Ercole, prima di visitare la corte della Ragione nell'Empireo. Certi passaggi di questo testo si ispirano chiaramente alla Divina Commedia, che C. ha il merito di avere rivelato ai Francesi. La fonte delle descrizioni geografiche è invece il Voyage di John Maundeville.
Il Livre de le mutacion de Fortune, un enorme poema (23.636 versi, oltre ad alcuni passi in prosa!) fu composto tra il 1400 e il 1404 e fu dedicato prima al duca di Borgogna, poi al duca di Berry. Si divide in sette parti: la prima è l'evocazione allegorica della biografia dell'autrice che le disgrazie costringono a trasformarsi in uomo (da qui il titolo dell'opera); la seconda una descrizione della dimora della dea Fortuna, il "Chateau tournant" e delle entità astratte che la costituiscono (Ricchezza, Speranza, Povertà, ecc.); la terza parte è un catalogo degli abitanti del castello, gli uomini, ripartiti in funzione dei diversi "stati del mondo"; le altre quattro parti evocano la storia universale dei popoli a partire dalla creazione, la grandezza e la decadenza degli Imperi. Le fonti di questo poema sono innumerevoli, da Boezio e Isidoro di Siviglia a Cecco d'Ascoli e Jacques de Cessoles. Se ne conoscono dieci manoscritti.
Il Livre des fais et bonnes meurs du sage roy Charles V, scritto nel 1404, in prosa, è l'opera storica più importante di Cristina. Numerosi aneddoti servono ad illustrare successivamente le virtù morali, le capacità guerriere e le qualità intellettuali del re, del quale parallelamente viene narrata la biografia. Ma questo libro è anche un ritratto del sovrano ideale, nel quale si riconosce in trasparenza la figura dei committente dell'opera, il duca di Borgogna Filippo l'Ardito, che morì prima di vederla completata.
Il Livre de la Cité des dames, composto all'inizio del 1405, è un pamphlet femminista. Per rispondere alla misoginia oltranzista che si esprime nelle Lamentations di Mattheolus, C. enumera e descrive le azioni di una lunga serie di donne illustri. La maggior parte degli exempla sono desunti dal Demulieribusclaris di Boccaccio. L'opera, ampiamente ricopiata, ebbe un grande successo e fu tradotta in olandese nello stesso XV secolo.
Il Livre des trois Vertus, scritto prima dei novembre del 1405, fa seguito al precedente. là una "guida di morale" (S. Solente) che si rivolge a tutte le donne. Per invito di Ragione, Dirittura e Giustizia, C. enuncia le virtù specifiche che devono praticare le donne dei diversi ceti sociali (il piano scelto è di nuovo l'ordihe gerarchico discendente dei diversi "stati del mondo") per raggiungere le illustri abitanti della città delle donne. Anche quest'opera fu abbondantemente copiata.
Ugualmente del 1405, l'Avision è un racconto allegorico assai oscuro nel quale C. narra gli incontri fatti in sogno con una dama coronata (la Francia), con l'Opinione, quindi con la Filosofia. Sotto la forma velata dell'allegoria, si avverte nella prima parte l'inquietudine che sente l'autrice per la situazione politica del paese. Nella terza parte., esemplata sul De Consolatione di Boezio, C. fornisce i dettagli più ricchi della sua biografia.
Queste preoccupazioni politiche si riflettono nella Lettre a Isabelle deBavière, scritta il 5 ott. 1405: C. chiede alla regina di Francia di appianare la tensione che cresce tra i duchi di Orléans e di Borgogna e di fare tutto il possibile per impedire la guerra civile.
Il Livre de la Prod'hommie de l'homme, la cui prima versione s'intitola Livre de Prudence, fu indirizzato nel 1406 a Luigi d'Orléans, che aveva fatto la pace con il cugino. Sotto l'apparenza di elogio entusiasta - si tratta forse di una messa in guardia e di un appello alla moderazione - è desunto dal Livre des quatre Vertus dello pseudo-Seneca, del quale il Livre de Prudence è una libera parafrasi.
Il Livre du corps de policie (1406-1407) è una vasta descrizione dell'ordine sociale ideale. Le sue tre parti sono indirizzate ai principi, ai nobili e al popolo che incarnano le diverse parti dell'organismo sociale (rispettivamente la testa, le braccia e le mani, le gambe e il ventre). Agli uni e agli altri è indicata la condotta da seguire, relativamente alla loro situazione, perché si mantenga l'armonia pubblica.
Durante questo primo decennio dei sec. XV, C. non rinunciò completamente alla produzione lirica e alla vena delle sue prime composizioni, perché scrisse ancora un certo numero di ballate, dei "dits" (1400: Livre du dit de Poissy; 1403: Dit de laPastoure), una Epistre a Eustache Morel (Deschamps), dove rende omaggio al suo maestro di poesia, e tre orazioni in versi (l'Oroyson NotreDame, Les quinze joyes Nostre Dame e l'Oroyson Nostre Seigneur). Il Livre du duc des vrais amans (1405) è un buon esempio dei problemi di casistica amorosa che pongono i circoli cortesi: l'amore extraconiugale, a condizione che resti casto e spirituale, vi è celebrato.
La produzione di C. s'interrompe provvisoriamente durante gli anni difficili del 1408 e del 1409. Bisogna attendere il 1410 perché faccia apparire tre nuove opere in prosa: i Sept psaumes allégorisés, scritti su richiesta dei re Carlo di Navarra e dedicati al duca di Berry, il Livre desfais d'arme et de chevalerie, insieme trattato di strategia e manuale di diritto di guerra, ispirato da Vegezio e da Frontino, che fu una delle sue opere più copiate e tradotte, e la Lamentacion: scritta nell'agosto del 1410, nel momento in cui scoppiava la guerra civile tra Armagnacs e Borgognoni, è un appello patetico a Isabella di Baviera e a Jean de Berry perché riportino la concordia tra i Francesi.
Gli anni seguenti videro un'alternanza di guerre e paci effimere. Dopo una di esse la pace d'Auxerre (agosto 1412)., C. cominciò a scrivere quella che sarà la sua ultima opera politica, il Livre de la paix, dedicato al figlio primogenito del re, il duca di Guienna; per l'istruzione di questo futuro re, ella enumera, come faceva nel Livre des fais et bonnesmeurs, le virtù che il buon principe deve praticare per mantenere e aumentare il bene pubblico. Allo stesso anno 1413 risale un altro scritto ugualmente dedicato al duca di Guienna, l'Avision du coq, opera oggi perduta.
Le opere seguenti sono di ispirazione piuttosto cupa: le disgrazie della Francia, dilaniata dalla guerra civile, vinta dagli Inglesi, spiegano il pessimismo dell'Epistre de la prison de la vie humaine, indirizzata nel 1414 a Marie de Berry, duchessa di Borbone, la cui famiglia era stata duramente provata da lutti e sconfitte; è una specie di consolatoria alla maniera di Seneca, dove C. mostra che la morte, lungi dall'essere una disgrazia assoluta, è una liberazione. Le Heures de contemplacion sur la Passion de Notre Seigneur, scritte sicuramente subito dopo, svolgono lo stesso tema su di un tono ancora più patetico.
A partire dal 1418 C. si chiuse in un silenzio che durerà più di dieci anni. Al momento della presa di Parigi da parte dei Borgognoni, fuggì dalla città in rivolta e dal massacro per ritirarsi in un monastero - forse quello di Poissy, dove la figlia era monaca - per meditare con disperazione sulle disgrazie della sua patria di adozione. Riprese la parola un'ultima volta per celebrare con entusiasmo, alla fine del luglio 1429, in un Ditié a la Pucelle, le imprese di Giovanna d'Arco che era riuscita a liberare Orléans dall'assedio e a fare incoronare a Reims il re Carlo VII. Nella pastora lorenese s'incarnano idealmente le due cause per le quali C. aveva sempre combattuto: quella della femminilità e quella della Francia. Così il suo canto del cigno è un canto di speranza.
Sembra infatti che C., come suppone S. Solente, sia morta prima della cattura e del supplizio di Giovanna, cioè nel 1430. In ogni caso è sicuro che C. non era più in vita nel 1434, data in cui Guillebert de Metz fece il suo elogio all'imperfetto.
Dei due versanti che comporta l'opera di C. (quello lirico e quello moralizzante), è certamente al secondo. che ella diede maggiore importanza. Il solo riassunto delle opere basta a rivelare la sua tecnica di composizione, basata sull'accumulazione di "exempla" presi dalle fonti più diverse e sull'allegoria. Questi procedimenti che ne impediscono oggi una lettura che non sia erudita, sono il - fondamento stesso della creazione letteraria del basso Medioevo: da qui il successo immediato e considerevole delle sue opere, a dispetto della difficoltà di una lingua talvolta oscura, spesso appesantita dall'accumulazione delle subordinate, delle parentesi e degli incisi.
Queste imperfezioni dovute alla fretta non impedirono a C. di essere una vera professionista della scrittura. Donna di lettere lo fu completamente, non solo per l'abilità con la quale perseguì la sua carriera, ma anche per la cura con cui si occupò personalmente della diffusione delle sue opere. Di lei si possiedono infatti parecchi manoscritti autografi e soprattutto dei magnifici esemplari di dedica, da lei fatti copiare e miniare superbamente nelle migliori botteghe di Parigi prima di indirizzarli ai "princes des fleurs de lys", come quello delle sue opere poetiche complete, offerto nel 1405 a jean de Berry (oggi Mss. Français 605, 606, 835 e 836 della Biblioteca nazionale di Parigi) o quello del Livre des fais et bonnes meurs, donato nel 1406 a Giovanni senza Paura, (Parigi, Bibl. nazionale, Fr. 10153). La scelta delle dediche delle sue diverse opere porta il segno di una "politica editoriale" estremamente elaborata. La politica di C., nel senso proprio del termine, appare invece molto più fluttuante, perché in pochi anni passò successivamente al servizio di quei "fratelli nemici" che erano i duchi d'Orléans, di Borgogna e di Berry. È stato detto spesso che si trattò di una linea di condotta opportunista, dettata dalle necessità del momento. Di fatto, l'ideale politico che ella espresse in tutta la sua opera non cambiò mai: consiste in un desiderio di pace civile che richiedeva la concordia dei diversi "états" e una concezione vigorosa della crescita del bene pubblico. L'uno e l'altro potevano essere garantiti solo da un re degno, incontestato e circondato da consiglieri illuminati e disinteressati. Questa fermezza sui principi spiega paradossalmente la successione degli atti di fedeltà di C. a vari principi: vista l'incapacità di Carlo VI, nulla di più di un simbolo, all'inizio ella si rivolse naturalmente verso il brillante duca d'Orléans, il principe cortese per eccellenza, la cui leggerezza non tardò però a deluderla. Pose allora le sue speranze in Filippo l'Ardito, riformatore ambizioso, ma prudente e avvertito, che disgraziatamente mori nel 1404 e il cui figlio, Giovanni senza Paura, non realizzò le promesse che faceva sperare la casa di Borgogna. Con i suoi eccessi demagogici provocò un susseguirsi di rivolte popolari che fece inorridire C., costretta allora a rivolgersi, in mancanza di meglio, verso il vecchio duca di Berry - che incarnava almeno una certa continuità - e verso il delfino, speranza del regno. Se fuggì davanti alla rivolta parigina del 1418 fu perché essa non era considerata neutrale: il suo coraggio politico la esponeva ad affrontare seri pericoli.
Come la sua politica, così la sua morale passa per un coacervo di luoghi comuni: l'onnipresenza del tema della Fortuna sarebbe la piatta espressione di un pessimismo alla moda nel corso dell'autunno del. Medioevo. L'esistenza stessa di C. prova invece che la fatalità può essere combattuta. D. Poirion ha parlato giustamente a questo proposito di un'etica del superamento. Alle false apparenze di una certa forma della cortesia, questo gioco esclusivamente maschile, ella oppose l'autenticità della sua esperienza di donna. Il femminismo astratto della precedente poesia lirica lei lo volle trasferire sul piano della vita pratica, esattamente come gli scritti politici proponevano, sotto il guazzabuglio degli exempla, soluzioni concrete ai problemi che dilaniavano il paese. In un'epoca di parossismi, in cui i comportamenti individuali o collettivi sembrano dettati dall'isteria o dalla malinconia, nel senso clinico dei termini, una tale attitudine, fatta di energia e di realismo, non era certo delle più banali.
C. è nel novero degli scrittori del Medioevo francese destinati ad una grande fortuna postuma. La sua opera ampiamente letta e copiata, poi stampata nel corso dei secc. XV e XVI, conobbe l'inevitabile eclissi del secolo XVII. Riscoperta, senza essere stata mai completamente dimenticata, verso la metà del secolo XVIII dagli storici, da allora è stata incessantemente studiata, e persino usata da nazionalisti e da femministe. Se oggi suscita numerosi studi eruditi di alta qualità, non è però più letta, indubbiamente perché non è più leggibile: la sua vastità, la difficoltà della lingua, la natura delle tecniche letterarie adoperate ne impediscono l'accesso al grande pubblico. Il nome di C., come simbolo della creazione letteraria femminile del Medioevo, continua tuttavia a parlare alla memoria collettiva.
I manoscritti e le ediz. delle opere di C. sono recensiti da J. A. Wisman, Manuscrits et éditions des oeuvres de Christine de P., in Manuscripta, XXI(1977), pp. 144-153. Noi ci limitiamo qui ad indicare le ediz. più recenti ed accessibili. Il complesso delle Oeuvres poétitiques, eccettuati il Livre du chemin de long estude, il Livre de la mutacion de Fortune e il Ditié a la Pucelle è stato pubblicato da M. Roy nella collezione della Soc. des anciens textes français (SATF), I-III, Paris 1886-1896; Le débat sur le Roman de la Rose, da E. C. Hicks, Paris 1977; L'Epistre Othea, da C. F. Bühler, London 1970 (col titolo The Epistle of Othea, accompagnato dalla traduzione inglese di S. Scrope) e da H. D. Loukopoulos, in Classicalmythologyin the works of C. de P. with art edition of Epistre Othea from the Ms. Harley 4431,Ph. D. diss., Wayne State University, Detroit, a.a. 1977; il Livre du chemin de long estude, da R. Püschel, Paris 1887 e da P. B. Earge, Ph. D. diss., University of Georgia, a. a. 1973; il Livre de la mutation de Fortune, da S. Solente, (SATF), I-IV, Paris 1959-1965; il Livre des fais et bonnes meurs du sage roy Charles V, da S. Solente, (SATF), I-II, Paris 1936-1941; il Livre de la Cité des dames, da M. C. Curnow, Ph. D. diss., Vanderbilt Univer., a. a. 1975; il Livre des trois Vertus, da L. L. Debouwer, Ph. D. diss., Univer. of Massachussetts, a. a. 1979; Lavision [sic] Christine, da M. L. Towner, Washington 1932; la Lettre à la reine Isabeau de Bavière, da R. Thomassy, nel suo Essai sur les écrits polit. de Christine de Pisan, Paris 1838, pp. 132-140, e da M. D. Legge, in Anglo-norman Text society, III, Oxford 1941, pp. 144-150; il Livre du corps de policie, da R. H. Lucas, in Textes litteraires français, CXLV, Genève 1967; Les Sept psaumes allègorisés, da R. R. Pains, Washington 1965; la Lamentacion, da R. Thomassy, Cit., pp. 141-149; Le Livre de la paix, da C. C. Willard, s'Gravenhage 1958; Le Ditié de Jèhanne d'Arc, da A. J. Kennedy-K. Varty, in Medium Aevum monographs, IX, Oxford 1978.
Esiste solo un incunabolo del Livre des fais d'arme et de chevalerie (Paris 1488); la traduzione inglese di W. Caxton (1489) è stata ripubblicata recentemente da A.T.P. Byles (The Book of fayttes of armes and of chivalrye..., London 1932). Dell'Epistre de la prison de la vie humaine esiste solo una edizione parziale, a cura di S. Solente (Un traitéinédit de C. de P., l'Epistre..., in Bibliothèque de l'Ecole des Chartes, LXXXV [1924], pp. 263-301). Il Livre de la Prod'hommie de l'homme (conservato a Parigi, Bibl. naz., Mss. Fr. 5037, e alla Bibl. Ap. Vat., Reg. lat. 1238). e le Heures de contemplacion sur la Passion (conservato a Parigi, Bibl. naz., Nouv. Acq. fr. 10059, ff. 114-144) sono inediti. Infine la traduzione in antico portoghese del Livre des trois Vertus èstata edita da D. Carstens-Grikberger (Buch von den drei Tugenden in portugiesischer Übersetzung, Münster 1961) e la traduzione inglese del Livre du corps de policie da D. Bornstein (The middle English translation of C. dè P.'s Livre du corps de policie ed. from ms. C. U. L. Kk 1.5, Heidelberg 1977).
Fonti e Bibl.: Una bibl. completa, fino al 1967, degli studi dedicati a C. si trova nell'articolo di S. Solente in Histoire littéraire de la France, XL, Paris 1974, pp. 335-422. Fra gli studi generali v.: J. Boivin de Villeneuve, Vie de C. de P., in Mém. de l'Acad. des Inscriptions et Belles-Lettres, II (1736), pp. 704-714; A. Lebeuf, Dissertations sur l'histoire ecclés. et civile de Paris, III, Paris 1743, pp. 1-35; A. Sallier, Notice sur C. de P., in Mém. de l'Acad. des Inscr., XVII(1751), pp. 515-525; XXVII(1761), pp. 417-441; Melle de Kéralio, Collection des meilleurs ouvrages français composés par des femmes, III, Paris 1787, pp. 1-133; R. Thomassy, Essai sur les écrits politiques de C. de P., suivi d'une notice littér. et de pièces inédites, Paris 1838; P. Pougin, C. de P. sa vie et ses oeuvres, tesi dell'Ecole des Chartes (inedita), 1856; E. M. D. Robineau, C. de P., vie et oeuvres, Saint-Omer 1882; F. Koch, Lebenund Werke der C. de P., Goslar 1885; G. 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