LOBBIA, Cristiano
Nacque ad Asiago il 30 genn. 1826, da Giovanni Domenico e da Maddalena Bonomo. Studente universitario a Padova, nel febbraio 1848 il L. partecipò alle manifestazioni antiaustriache guidate dal futuro deputato G.G. Alvisi, e, tornato ad Asiago, assunse il comando in seconda di un corpo franco che fu detto dei crociati dei Sette Comuni con il quale affrontò gli Austriaci presso il valico di Vizze (aprile 1848). In seguito, si unì al corpo dei tiragliatori romani, partecipando alla difesa di Vicenza nelle giornate del 20 maggio e 10 giugno 1848. Dopo la caduta della città, raggiunse a Revere, presso Mantova, la coorte mobile modenese e reggiana, posta agli ordini del generale piemontese E. Bava. Tale corpo, nel quale il L. rivestì il ruolo di luogotenente addetto allo stato maggiore, non fu però impegnato in scontri significativi e venne sciolto dopo la battaglia di Custoza (26-27 luglio 1848). Il L. decise allora di recarsi a Venezia, per prendere parte alla difesa della città, ma venne arrestato dagli Austriaci a San Benedetto Po (agosto 1848). Dopo alcuni mesi di detenzione nella fortezza di Mantova, fece ritorno ad Asiago, ove fu posto sotto la sorveglianza della polizia.
Terminato il periodo rivoluzionario, il L. riprese gli studi, laureandosi infine a Padova in ingegneria civile (1852). L'anno seguente ebbe la direzione dei lavori per il completamento della rete stradale dell'altopiano di Asiago e in tale compito fu impegnato fino alla metà del decennio. Non smise, tuttavia, di occuparsi di politica, mantenendo sempre vivi i contatti con esponenti liberali di varie città del Veneto.
Nell'estate del 1856, avuto sentore di un imminente arresto, lasciò Asiago, rifugiandosi dapprima a Genova, quindi a Malta, dove conobbe N. Fabrizi, insieme con il quale concepì il disegno di uno sbarco in Sicilia, risoltosi però in un misero fallimento (1857).
Assai più fortunati furono Fabrizi e il L. nell'estate del 1860: sbarcati a Pozzallo presso Ragusa il 2 giugno, insieme con uno sparuto gruppo di esuli siciliani, riuscirono a raccogliere, nella marcia di avvicinamento al grosso dei Mille, oltre 300 volontari, dando vita alla colonna dei cacciatori del Faro (nella quale il L. ebbe il grado di tenente del genio). Dopo il ricongiungimento con le truppe garibaldine, particolarmente significativo fu il ruolo svolto dal L. nello scontro di Meri (18 luglio 1860) e nella successiva battaglia di Milazzo (20 luglio), al termine della quale G. Garibaldi lo promosse sul campo al grado di capitano. Tra i primi a entrare a Messina (25 luglio 1860), nei giorni seguenti il L. fu nominato dapprima sottocapo, poi capo di stato maggiore presso il comando militare della Provincia omonima, detenuto da Fabrizi. Dopo la nomina di quest'ultimo a ministro della Guerra nel governo del nuovo prodittatore A. Mordini (17 sett. 1860), il L. seguì il suo comandante a Palermo. Dimessosi Fabrizi nel novembre successivo, il L. rimase al ministero della Guerra, al servizio del luogotenente M.P.G. Cordero di Montezemolo.
Profondamente deluso dall'esito delle elezioni politiche del gennaio 1861, il L. espresse il proprio disappunto in una lettera a Fabrizi del 7 febbraio successivo: "Le elezioni son andate male perché i migliori patriotti si sono allontanati, ed hanno lasciato libero il campo al raggiro. […] Si scioglie un'armata, che aveva già una storia gloriosa, e le cui tradizioni di vittorie sarebbero riuscite a creare in Italia la più grande armata d'Europa! E tutti tacciono […] Ma dov'è il partito repubblicano? Il partito d'azione? Perché si tiene in disparte? Non si tratta forse più dell'interesse di quel paese pel quale abbiamo sempre lavorato? […] Il partito liberale non potrà mai discolparsi dell'attuale inerzia" (Roma, Arch. centrale dello Stato, Carte Fabrizi, b. 3, f. 17, n. 44).
Lo smacco per la carente azione della Sinistra determinò probabilmente la decisione del L. di passare nell'Esercito regolare: trasferitosi a Torino nel giugno 1861, ottenne il grado di maggiore di stato maggiore. Negli anni seguenti, lavorò presso il ministero della Guerra e strinse preziose relazioni con alcuni generali, in particolare con C.F. Nicolis conte di Robilant (futuro ambasciatore a Vienna e ministro degli Esteri). Nel maggio 1866, approssimandosi la guerra contro l'Austria, il L., all'epoca membro dello stato maggiore del generale A. Ferrero della Marmora, chiese di potersi aggregare ai volontari garibaldini. Inserito nello stato maggiore di Garibaldi, il L. si distinse nello scontro di Condino (16 luglio 1866) e, in particolare, nella vittoriosa giornata di Bezzecca (21 luglio). Finita la guerra, rientrò nell'Esercito assumendo il ruolo di capo di stato maggiore del generale I. de Genova conte di Pettinengo. L'anno dopo, sollecitato dal ministro della Guerra G.G. Thaon di Revel a compilare una storia militare della guerra del 1866, declinò l'invito per il timore di incontrare troppe difficoltà nella ricerca documentaria.
Nel luglio 1867 il L. era stato frattanto eletto deputato per il collegio di Thiene-Asiago. Alla Camera sedette a sinistra, occupandosi, nei primi due anni, solamente di questioni relative al bilancio del ministero della Guerra. La presenza in Parlamento del L. è però indissolubilmente legata allo scandalo della Regìa cointeressata dei tabacchi, scoppiato in seguito alla decisione, maturata nel giugno 1868, del gabinetto Menabrea di appaltare il monopolio dei tabacchi ad ambienti finanziari privati (guidati dal Credito mobiliare di D. Balduino). Già durante la discussione parlamentare per l'approvazione della convenzione (agosto 1868) vi erano stati velati riferimenti all'esistenza di tangenti indirizzate ad alcuni deputati. Fu però A. Bizzoni, dalle colonne del Gazzettino rosa, ad accusare chiaramente di corruzione, all'inizio del 1869, gli onorevoli G. Civinini, R. Brenna (direttore del quotidiano La Nazione di Firenze) e P. Fambri. Nonostante la condanna di Bizzoni per diffamazione a otto mesi di carcere, l'affare della Regìa tornò alla Camera, ove G. Ferrari il 31 maggio 1869 chiese l'istituzione di una commissione parlamentare d'inchiesta. Il 5 giugno seguente il L. annunciò solennemente in aula di essere in possesso di dichiarazioni giurate comprovanti l'avvenuta corruzione di un deputato (Civinini). Contenute in due voluminosi plichi, disse che le avrebbe mostrate solamente a una commissione apposita, che fu alla fine istituita con voto unanime. Nella notte fra il 15 e il 16 giugno 1869, in via dell'Amorino a Firenze, il L. fu aggredito a colpi di coltello da uno sconosciuto, poi dileguatosi, che gli procurò ferite al capo e al braccio sinistro. La notizia dell'attentato al L. (subito ricollegato all'affare dei tabacchi) suscitò viva emozione: manifestazioni di solidarietà al deputato si svolsero nei giorni seguenti in varie città italiane e a Milano si conclusero con gravi incidenti.
Con la sua spettacolare denuncia, il L. aveva verosimilmente spaventato quanti, corrotti e corruttori, erano coinvolti nell'affare della Regìa, ma non possedeva in realtà assi nella manica, come dimostrarono i lavori della commissione parlamentare (giugno-luglio 1869): i documenti in suo possesso delineavano infatti uno squallido quadro di corruttela, ma non contenevano concreti elementi di prova. I potenti nemici del L. ebbero così buon gioco nel trasformarlo in breve tempo da moralizzatore a mitomane: decisiva fu in questo senso l'opera del ministro guardasigilli M. Pironti (da cui all'epoca dipendeva il potere giudiziario), il quale affidò l'inchiesta della procura di Firenze sull'agguato in via dell'Amorino a un uomo di propria fiducia trasferito appositamente da Bologna, il conte A. De Foresta. Le testimonianze in favore del L., numerose e pertinenti, furono sistematicamente distorte o ignorate. Stessa sorte toccò al parere, favorevole al L., formulato dai periti nominati dal tribunale. Viceversa, venne dato il massimo risalto a tutti quei particolari che riducevano il tentato omicidio a un'abile messa in scena.
Il L. fu così rinviato a giudizio per simulazione di reato: processato in gran fretta, per non richiedere l'autorizzazione a procedere alla Camera (in quel momento chiusa), il 15 nov. 1869, nonostante la strenua difesa dell'avvocato P.S. Mancini, fu condannato dal tribunale correzionale di Firenze a un anno di carcere militare (peraltro mai scontato). Seppe invece coraggiosamente sottrarsi alle indebite ingerenze ministeriali il procuratore G. Borgnini, che, nello stesso torno di tempo, prosciolse in istruttoria il L. dall'accusa di aver rubato alcuni documenti contenuti nei suoi plichi. Terminata l'inchiesta, anch'essa svoltasi a Firenze, Borgnini indirizzò una durissima lettera di dimissioni dalla magistratura al ministro Pironti. Condannato anche in appello a sei mesi di reclusione, il L. ottenne un primo successo il 10 sett. 1872, quando la Corte di cassazione di Firenze dispose un nuovo processo. L'intricata vicenda giudiziaria si concluse il 14 genn. 1875, quando la corte d'appello di Lucca, criticando a fondo il lavoro compiuto sei anni prima dai giudici fiorentini, emise per il L. un verdetto di assoluzione. Da tempo però lo scandalo della Regìa era caduto nel dimenticatoio.
Nell'autunno 1870 il L., dimessosi dall'Esercito, prese parte con i volontari garibaldini alla campagna di Francia in difesa della neonata Repubblica. Comandante di brigata e, in seguito, vicecapo di stato maggiore, il L. conseguì brillanti successi in una serie di scontri svoltisi nel teatro militare dei Vosgi (dicembre 1870). Si guadagnò così, oltre al pubblico elogio di Garibaldi, i gradi di colonnello e di generale della Repubblica francese (che si aggiunsero alle croci di Savoia, della Corona d'Italia, dei Ss. Maurizio e Lazzaro e alla medaglia d'argento al valore militare conseguite nelle precedenti campagne). Tornato in Italia, si stabilì dapprima a Firenze poi a Venezia, riprendendo la professione di ingegnere. Nelle elezioni del novembre 1874 la Sinistra veneta tentò di riportarlo alla Camera candidandolo nel collegio di Thiene-Asiago, ma il L. fu sconfitto per un pugno di voti dall'ex ministro della Pubblica Istruzione E. Broglio. Già gravemente malato, il L. si recò nel 1875 a Roma per collaborare con Garibaldi al progetto di risistemazione del bacino del Tevere.
Il L. morì a Venezia il 2 apr. 1876.
Fonti e Bibl.: Roma, Museo centrale del Risorgimento, Carte P.S. Mancini, b. 685, nn. 1-13 (contiene i documenti dei vari gradi del processo), e Carte G. Garibaldi, b. 44 (con le missive del L. a G. e R. Garibaldi durante la campagna di Francia); Ibid., Arch. centrale dello Stato, Carte N. Fabrizi, bb. 3, ff. 17, 18, 20, 21, 22; 4, ff. 24, 25 (vi è conservato l'ampio carteggio fra il L. e N. Fabrizi del periodo gennaio 1861 - maggio 1862). Particolare importanza rivestono i necrologi apparsi nel quotidiano veneziano Il Tempo (4, 5, 6 apr. 1876). Si vedano inoltre gli Atti della Commissione d'inchiesta parlamentare sui fatti della Regìa cointeressata dei tabacchi, in Camera dei deputati, Documenti, X legisl., 1867-68, vol. IX, n. 315-A, pp. 43-48, 93-95. Si veda poi R. Sonzogno, Memorie politiche, Milano 1875, pp. 27-71.
Riferimenti storiografici al L. in: G. Arangio Ruiz, Storia costituzionale del Regno d'Italia (1848-1898), Firenze 1898, pp. 230-232; E. Arbib, Cinquant'anni di storia parlamentare del Regno d'Italia, III, Roma 1902, pp. 630 s.; U. Pesci, Firenze capitale, 1865-1870 (1904), Firenze 1988, ad ind.; G. Aliprandi, Asiago (Visione spirituale), Padova 1937, p. 60; G. Castellini, Eroi garibaldini, a cura di C. Agrati, Milano 1944, pp. 392, 397; M. La Torre, Cent'anni di vita politica e amministrativa italiana, 1848-1948, I, Firenze 1952, p. 38; F.S. Merlino, Questa è l'Italia, a cura di F. Della Peruta, Milano 1953, p. 67; P. Gerbore, Commendatori e deputati, Milano 1954, pp. 18-21; G. Parravicini, La politica fiscale e le entrate effettive del Regno d'Italia (1860-1890), Torino 1958, pp. 62, 357; D. Novacco, Inchieste politiche, in Storia del Parlamento italiano, a cura di N. Rodolico, XVIII, Palermo 1964, ad ind.; A. Berselli, La Destra storica dopo l'Unità, II, Italia legale e Italia reale, Bologna 1965, p. 165; G. Candeloro, Storia dell'Italia moderna, V, La costruzione dello Stato unitario, Milano 1968, pp. 348-350; L.R. Levi Sandri, Il giallo della Regìa, Roma 1983, pp. 47-119 passim; S. Turone, Corrotti e corruttori. Dall'Unità d'Italia alla P2, Milano 1984, pp. 25-45 passim; N. Colajanni, Corruzione politica, a cura di A. Li Volsi, Catania 1988, pp. 58 s.; A.A. Mola, C. L. e lo scandalo della Regìa dei tabacchi, in Il Parlamento italiano (1861-1988), IV, Milano 1989, pp. 282-284, 495; L. Del Boca, Maledetti Savoia, Casale Monferrato 2001, pp. 211-217; Diz. del Risorgimento nazionale, III, sub voce.