crisi d'impresa
crisi d’imprésa locuz. sost. f. – Condizione di squilibrio economico, patrimoniale o finanziario dell’impresa; l'espressione si è diffusa soprattutto nella comunicazione giornalistica, nella letteratura giuridica e nel linguaggio normativo nel corso del primo decennio del nuovo secolo. Nella comune accezione si distingue dallo stato di insolvenza – conclamata e irreversibile incapacità del debitore di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni e presupposto oggettivo per la dichiarazione di fallimento (art. 5, l. fallimentare) – per la sua tendenziale temporaneità e la sua potenziale superabilità. Intorno al tema della crisi si sono originate e si sono venute accentuando una più meditata consapevolezza e una sensibilità nuova in ordine ai problemi dell’impresa, che hanno determinato – anche sul piano legislativo - un mutamento delle tecniche di intervento e l’elaborazione di nuovi strumenti giuridici. È opinione largamente condivisa, infatti, che l’istituto del fallimento costituisca un rimedio inefficiente e tardivo; inefficiente, perché normalmente inidoneo ad assicurare la soddisfazione dei creditori chirografari non assistiti da garanzie su specifici beni aziendali; e tardivo, perché interviene quando la crisi ha già assunto una particolare gravità ed è divenuta ormai irreversibile. Ma si è anche acquisita la consapevolezza che il fallimento, siccome finalizzato alla liquidazione dell’attivo e all'eliminazione dal mercato dell’impresa inefficiente, è inevitabilmente destinato a disperdere i valori aziendali, a ripercuotersi negativamente sui fornitori dell’impresa fallita e a provocare perdite di occupazione con conseguente riduzione della capacità di spesa delle famiglie ed effetti depressivi sull’economia. La diffusa sensibilità per le ricadute economiche e sociali del fallimento ha indotto il legislatore nazionale ad affiancare alle tradizionali procedure liquidatorie previste dalla legge fallimentare nuovi rimedi focalizzati sulla conservazione dei valori aziendali e sulla tutela dell’occupazione. Un primo significativo intervento si è avuto con il d. lgs. 270/1999, che ha dettato una nuova disciplina dell’amministrazione straordinaria – procedura concorsuale «con finalità conservative del patrimonio produttivo, mediante prosecuzione, riattivazione o riconversione delle attività imprenditoriali» (art. 1) – che consente alle grandi imprese in stato di insolvenza di essere ammesse a tale procedura qualora sussistano concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico delle attività imprenditoriali, da attuarsi o mediante la cessione dei complessi aziendali o tramite la ristrutturazione economica e finanziaria dell’impresa (art. 27). Ancora più rilevanti appaiono il d.l. 35/2005, il d. lgs. 5/2006 e il d. lgs. 169/2007, che hanno profondamente riformato la legge fallimentare rimasta pressoché immutata dal 1942. Dei provvedimenti normativi da ultimo richiamati merita di essere segnalata l’attenzione riservata dal legislatore a strumenti di intervento tempestivi, che consentano di scongiurare l’aggravamento dello squilibrio economico-finanziario e di favorirne il superamento; nonché la possibilità di pervenire a soluzioni stragiudiziali della crisi d’impresa mediante congegni di natura negoziale, fondati sul consenso e sui poteri di autonomia privata. Dell’una e dell’altra costituiscono esempi: il nuovo concordato preventivo (art. 160 e segg., l. fallimentare), gli (art. 182 bis, l. fallimentare), i piani attestati di risanamento (art. 67, 3 co., lett. d, l. fallimentare).