criminalita organizzata transnazionale
criminalità organizzata transnazionale locuz. sost. f. – Forma di criminalità strutturata il cui raggio di azione oltrepassa i confini nazionali. Implica pertanto la cooperazione tra gruppi criminali di diversa etnia o nazionalità nella gestione e nell'allocazione di beni e servizi illeciti (traffico di droga, tabacco, armi, esseri umani, rifiuti tossici, ecc.). La globalizzazione – intesa come progressivo abbattimento delle frontiere, aumento della circolazione dei capitali, delle merci e dei servizi, trasmissione di nuove tecnologie – ha favorito la diffusione di forme di criminalità in grado di agire su dimensione transnazionale. Il crollo del Muro di Berlino, il dissolvimento dell’Unione sovietica e della Jugoslavia hanno offerto nuovi spazi e maggiori opportunità all'espansione della criminalità organizzata transnazionale. Non è pertanto casuale che il reato di crimine transnazionale si cominci a definire nella Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale firmata a Palermo nel 2000 (ratificata dall'Italia nel 2006). Alla Convezione sono stati aggiunti in seguito tre protocolli che ne completano il quadro di riferimento. Uno è relativo alla tratta delle persone (donne e bambini); un secondo al traffico di migranti e l'ultimo alla fabbricazione e al traffico illecito di armi. Gli Stati che hanno ratificato la Convenzione hanno il dovere di recepire nella propria legislazione nazionale le misure di contrasto, prevenzione e cooperazione previste dai suddetti documenti. Non è, infatti, esclusivamente la volontà di profitto a spingere la criminalità organizzata a oltrepassare le frontiere nazionali. Il vuoto legislativo, l’inefficacia dell’azione giudiziaria e l’ampia corruzione sono incentivi non secondari al radicamento e alla proliferazione di un gruppo criminale in un determinato Stato. L'esempio più recente è fornito dai cartelli sudamericani della cocaina, che, in questo decennio, hanno installato basi logistiche in Africa occidentale perché attratti dalla carenza di controlli della polizia, dall'instabilità politica e dall'alto grado di corruzione, fattori che rendono le nuove rotte dello stupefacente verso l’Europa più sicure e pertanto più remunerative delle precedenti. Installandosi in aree dove corrono rischi minori e fornendo beni e servizi nei mercati dove i profitti sono maggiori, le organizzazioni criminali transnazionali hanno dimostrato di saper lucrare tanto nei paesi ricchi quanto in quelli economicamente più arretrati. I capitali ricavati dalle attività illecite sono costantemente immessi nel sistema finanziario mondiale per essere 'lavati' al fine di nasconderne l'origine ed evitare così il rischio di sequestro da parte delle forze di polizia. Tali operazioni sono eseguite utilizzando i cosiddetti paradisi fiscali, Stati in cui i centri bancari offrono ai riciclatori servizi come la garanzia dell'anonimato nelle transazioni bancarie. In tal modo le organizzazioni criminali transnazionali sono diventate soggetti di primo piano dell'attività economica mondiale. La Casa Bianca, citando il Fondo monetario internazionale, calcola le dimensioni del riciclaggio all’interno di una forbice che spazia dagli 800 ai 2000 miliardi di dollari annui. Di questi dai 300 ai 500 sarebbero il frutto del traffico di droga. Con riferimento alla tratta di esseri umani, l’Organizzazione internazionale migrazioni stima un giro d’affari nel mondo di 8 miliardi di dollari l’anno: cifra, in alcuni casi, superiore al prodotto nazionale lordo di paesi in via di sviluppo. Ecco perché gli analisti del fenomeno tendono ad evidenziare come sia sempre più sottile la soglia tra criminalità organizzata e criminalità economica. La criminalità organizzata quindi si presenta sempre meno come un problema interno agli Stati e sempre più come una realtà che attenta alla sicurezza dei paesi che investe. È per questo che il contrasto richiede risposte internazionalmente concertate. Il timore per fenomeni quali il terrorismo e il crimine organizzato si è rafforzato in tutte le società occidentali dopo l’attento alle Torri gemelle di New York dell'11 settembre 2001. Se la globalizzazione ha, pertanto, agevolato lo spostamento di servizi, merci e persone favorendo nuove forme di criminalità in grado di agire su una dimensione transnazionale, lo stesso non si può dire delle funzioni e delle attività di polizia e magistratura, ancora lontane da un’efficiente armonizzazione nel quadro giuridico internazionale. È questo, infatti, il solo caso in cui le frontiere sono ancora un ostacolo insormontabile per lo sviluppo delle inchieste giudiziarie. Per tentare di dare una risposta a questa problematica l’Unione Europea, con l’inizio del millennio, ha istituito ed avviato una serie di organismi di coordinamento giudiziario. Essi sono l’OLAF (Office de lutte anti-fraude), l'ufficio europeo di lotta antifrode sito a Bruxelles, ed Eurojust, struttura centralizzata per il coordinamento tra le autorità nazionali responsabili dell’azione penale, con sede all’Aia. In particolare quest’ultimo funge da complemento all’Europol, l’ufficio di polizia europeo, privo, tuttavia, di poteri autonomi in materia di investigazioni e indagini (diversamente dall’Interpol, agenzia internazionale di polizia con pieni poteri operativi). I gruppi più coinvolti nella criminalità transnazionale sono i cartelli sudamericani, e tra questi è da rimarcare l’ascesa dei messicani nello smercio di narcotici; le Triadi cinesi; i clan kosovaro-albanesi; la mafia russa; quella nigeriana e la yakuza giapponese; le organizzazioni mafiose italiane, di cui la 'ndrangheta è, al momento, la più potente e capillare.