CRIMILDE
. È una delle principali figure femminili della leggenda eroica germanica. Nella prima parte del Nibelungenlied, che comincia col sogno di Crimilde, essa è sorella di Gunther, re dei Burgundî, e viene concessa in sposa a Sigfrido, giunto alla corte di Worms, attratto dalla fama della sua bellezza. Ma dopo alcuni anni Brunilde, che ha sposato Gunther, gelosa di Crimilde per l'amore di Sigfrido già da lei prediletto, fa uccidere quest'ultimo a tradimento dal suo fido Hagen. Nella seconda parte del poema, detta la Vendetta di C., essa ci appare inconsolabile e passa anni e anni in lagrime e in lutto: solo nel gran tesoro dei Nibelungi, lasciatole dal marito, ella trova qualche conforto al suo dolore di vedova. Ma Hagen, temendo che il tesoro possa diventare nelle mani di lei un pericoloso strumento di forza e di vendetta, glielo toglie e lo sommerge nel Reno. C. allora giura vendetta mortale e ordisce con demoniaca tenacia un ordito spaventoso. Perciò accoglie volontieri la proposta di Attila e si unisce col potente e ricco re degli Unni, per poter mettere più facilmente in effetto il suo pensiero; attende anni e anni ancora e alfine, poiché al tradimento si risponde col tradimento, invita i Burgundî alla sua corte e li fa assalire proditoriamente per distruggerli. Rimangono così uccisi, nella mischia feroce, i fratelli di lei, con quasi tutti gli eroi dell'una e dell'altra parte, mentre C. stessa, che ha troncato la testa del suo mortale nemico Hagen, è decapitata da Ildebrando, uno dei seguaci di Teodorico.
La figura di C. presenta, nel corso dell'azione, aspetti notevolmente diversi e brusche mutazioni di carattere. Nel principio essa è la vergine pura, un po' orgogliosa e schiva, ma mite e dolce d'animo, soggiogata dalla potenza irresistibile del primo e unico amore; profondamente dolorosa negli anni della vedovanza, assorta nei suoi ricordi, incurante d'onori e di piaceri, immagine dell'amore tenace e della fedeltà oltre la tomba e puro simbolo del lutto vedovile; ma feroce e sanguinaria, a un tratto, dopo che l'unione con Attila le ha dato il mezzo per vendicarsi, sempre più fremente d'ira e sitibonda di vendetta nel fatale precipitare degli eventi; mostruosa e implacabile, dal giorno in cui invita con perfida simulazione i fratelli alla sua corte fino agli ultimi momenti della tragedia, in cui tiene essa stessa per i capelli la mozza testa del fratello Gunther e nega a ogni altro il perdono.
Nei monumenti letterarî nordici, cioè nell'Edda e nella Volsungasaga, nei quali C., ha il nome di Gudrun, gli avvenimenti trascorrono alquanto diversamente; mentre, cioè, nella redazione tedesca della leggenda C. vendica la morte di Sigfrido sopra i suoi consanguinei, nella nordica invece, essa vendica l'assassinio di essi sopra il marito Attila.
Tale versione conterrebbe la forma autentica della tradizione antica e sarebbe più aderente al fatto storico, che fu probabilmente il seme della leggenda: la morte, cioè, di Attila, avvenuta nel 453 per un trabocco di sangue durante la notte nuziale accanto alla sposa Hildico; nel quale avvenimento la fantasia popolare non tardò a ravvisare la vendetta della moglie germanica per l'uccisione dei suoi connazionali, ben presto identificata con la strage dei Burgundî, compiuta da Attila nel 437. Anche il nome Hildico, del resto, non è che il vezzeggiativo germanico di un nome proprio femminile composto con Hild.
Bibl.: B. Symons, German. Heldensage, Strasburgo 1905; O. L. Iiriczek, Deutsche Held., Lipsia 1906; R. v. Muth, Einleitung in das Nibelungenlied, Paderborn 1907; J. Sturhmann, Die Idee und die Hauptcharakatere der ib., 3ª ed., Paderborn 1910; B. Vignola, Il poema dei Nibelungi, Verona 1912.