CRESCENZÎ
. Illustre casata, che primeggia nella storia di Roma dalla metà del sec. X al 1012, si propaga contemporaneamente nella Sabina e nella Marittima e, per i due rami femminili degli Stefaniani e degli Ottaviani di Sabina, partecipa, dopo il 1012, alle lotte cittadine dell'età dei Tusculani. Si considera come capostipite della famiglia un Crescenzio, che, se pure si tratta della medesima persona, assiste a due placiti, l'uno tenuto in Roma da Ludovico III, nel febbraio 902; l'altro tenuto in Roma stessa da Alberico II, il 17 agosto 942. Egli appartiene quindi a quell'aristocrazia romana che fa corona al princeps atque omnium Romanorum senator. Discenderebbero da lui, per quanto sia ignoto il grado di parentela, due rami, dei quali l'uno rappresentato da un Giovanni, marito di Teodora II del senatore Teofilatto, e padre di: Giovanni, Teodora III, Crescenzio de Theodora, Marozia II, Stefania; l'altro da Crescenzio a Caballo Marmoreo, padre di Teodoranda, andata sposa a Benedetto, figlio di Stefania e di un conte Benedetto, che va probabilmente identificato con l'omonimo conte di Campagna (963), appartenente egli pure alla cerchia di Allberico II.
Destreggiandosi fra i partiti, nel 965, i Crescenzî fecero eleggere papa, col nome di Giovanni XIII, Giovanni, figlio di Giovanni; repressero con l'aiuto di Giovanni III, duca di Napoli, vedovo di Teodora III, una rivolta capeggiata dal nuovo conte campanino, Roffredo di Veroli, e dal prefetto Pietro; s'ingrandirono col favore del papa, che concesse alla sorella Stefania la città e il territorio di Palestrina (970), e al figlio di lei, Benedetto, il comitato di Sabina.
Alla morte di Giovanni XIII (972), Crescenzio de Theodora uccise in Roma il papa imperiale Benedetto VI e gli sostituì Bonifacio VII. Espulso questo da Ottone II, ed eletto in suo luogo Benedetto VII, finì col conciliarsi con lui, almeno dal 978; infine, colto da grave infermità, si fece monaco e morì in Sant'Alessio sull'Aventino il 7 luglio 984. Aderente al partito imperiale appare anche Benedetto di Sabina per il titolo di patrizio (975), che gli conferiva il governo della città e la conferma delle elezioni papali.
Figlio di Crescenzio de Theodora, Giovanni, chiamato da fonti più tarde Nomentano, uccise il papa imperiale Giovanni XIV (984) e restaurò l'antipapa Bonifacio VII. Lasciato quindi l'orientamento bizantino per il germanico, sacrificò l'antipapa (985), assunse (probabilmente il 985) il patriziato e ottenne dall'imperatrice Teofania e dal nuovo papa Giovanni XV la città e il comitato di Terracina per il fratello Crescenzio (circa 988). Dopo violenti contrasti con Giovanni XV e col suo successore Gregorio V, compì l'ultimo voltafaccia politico, creando papa, col nome di Giovanni XVI, l'ambasciatore imperiale Giovanni Filagato, reduce da Costantinopoli, e inviando colà suo figlio Giovanni. Ma Ottone III, rientrato in Roma col papa nel febbraio 998, depose l'antipapa, costanse Giovanni alla resa, dopo due mesi di resistenza in Castel Sant'Angelo, e lo fece decapitare il 29 aprile. La sua morte pesò probabilmente anche sul fratello e sui C. di Sabina. Al posto del primo, a Terracina, troviamo due anni dopo un Dauferio; gli altri perdettero il rettorato, dovettero accordarsi con Farfa, di cui avevano occupato alcune terre, e restituire Cere usurpata alla Chiesa (998).
La fortuna dei C., oscurata in Roma, nella Sabina, nella Marittima, risorse con Giovanni, figlio del Nomentano, che dal 1006 fino alla morte (maggio o giugno 1012) tenne nelle sue mani il patriziato, e con esso il governo cittadino, serbando pacifiche relazioni coi pontefici Giovanni XVIII e Sergio IV, abbondando in segni di ossequio verso l'imperatore Enrico II, ma ostacolandone, a quanto sembra, la incoronazione romana, largheggiando di favori verso i congiunti. Ai sabinati Giovanni e Crescenzio, figli di Benedetto, preferì per ragione di sangue i figli di Ottaviano e di sua sorella Rogata, ai quali conferì il rettorato di Sabina e probabilmente la prefettura urbana. Dell'espansione verso la Marittima, rimane forse una traccia nel venerabile duca Crescenzio di Piperno; verso la Campagna un nuovo legame d'importanza famigliare e politica fu stretto per il matrimonio della figlia di Rogata, Marozia, con Gregorio, figlio di Amato, conte di Campagna.
Con la morte del patrizio ebbe fine il primato dei Crescenzî in Roma. Dei due principali rami superstiti, gli Stefaniani, attraverso lotte incessanti con la badia di Farfa, cercarono invano di riacquistare il potere contrastando al trionfo dei Tusculani, dal 1022 si piegarono alla loro alleanza, e verso la metà del secolo dileguarono dalla storia; i loro emuli, gli Ottaviani, tennero a lungo (l'ultima volta nel 1106) il rettorato di Sabina, combatterono Tusculani e Stefaniani alleati, levando alla tiara nel 1044 uno dei loro, il vescovo di Sabina Giovanni, col nome di Silvestro III, e perdettero ogni importanza politica sul principio del sec. XII.
Bibl.: G. Bossi, I Crescenzi. Contributo alla storia di Roma e dintorni dal 900 al 1012, in Dissertazioni della Pontificia Accademia Romana di Archeologia, s. 2ª, XII (1915), p. 47 segg.; id., I Crescenzi di Sabina Stefaniani e Ottaviani (dal 1012 al 1106), in Archivio della R. Società Romana di Storia Patria, XLI, (1918), p. 111 segg.; P. Fedele, Ricerche per la storia di Roma e del papato nel sec. X, ibid., XXXIV (1911), p. 408 segg.; G. B. Borino, L'elezione e la deposizione di Gregorio VI, ibid., XXXIX (1916), p. 190 segg.; G. Falco, L'amministrazione papale nella Campagna e nella Marittima dalla caduta della dominazione bizantina al sorgere dei comuni, ibid., XXXVIII (1915); id., I Comuni della Campagna e della Marittima nel Medioevo, ibid., XLII (1919), p. 543 segg.; R. Morghen, Le relazioni del monastero Sublacense col Papato, la feudalità e il Comune nell'alto Medioevo, ibid., LI (1930), p. 181 segg., e passim, cfr. anche Appendice, I; O. Vehse, Die päpstliche Herrschaft in der Sabina, ecc., in Quellen und Forschungen aus Italienischen Archiven und Bibliotheken, XXI (1929-30), p. 120 segg.