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CREPUSCOLO DEGLI DEI

di Bruno Vignola - Enciclopedia Italiana (1931)
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CREPUSCOLO DEGLI DEI (ted. Götterdämmerung)

Bruno Vignola

È una espressione impropria, ma usuale nella mitologia nordica, per indicare la fine del mondo. Ha origine dall'erronea interpretazione della parola dell'antico nordico ragnarök, che ricorre in alcune canzoni eddiche (Völuspá, 21; Baldrs Draumar, 14; Atlamál, 21; Vafthrudnismal, 55) ed equivale a "ultimo destino", "fine" degli dei. In un'altra canzone eddica, la Lokasenna, 39, si legge invece, certo per equivoco, ragnarökkr, vale a dire "oscurità", "notte" degli dei.

Tale lezione si ripete costantemente nella Snorra Edda; da ciò l'espressione, efficacemente suggestiva, ma non giustificata, la quale ha prevalso e sostituito, nell'uso generale, la voce originaria.

Il giorno fatale della grande catastrofe, immaginata come una generale battaglia fra gli dei e le oscure potenze avversarie, che si decide con la sconfitta dei primi e con l'incendio dell'universo, si annunzia con tre anni di aspri dissidî, di guerre cruente e di straordinaria dissolutezza: "l'età della scure, della spada, l'età del vento, del lupo".

Sopraggiunge un inverno di tre anni (Fimbul), dopo il quale sorge l'alba del tragico giorno, annunziato agli dei dal gallo Gullimkambi che sveglia gli eroi del padre Odino e li chiama alla fatale tenzone. Heimdall dà fiato al suo terribile corno e annunzia la fine; Garm, il cane infernale, latra ferocemente; tutto il mondo spaventato dai tremendi presagi è sottosopra; il lupo Fenris si libera dalle catene e si avanza con la bocca spalancata, toccando con l'una mascella il cielo, con l'altra la terra; il gigantesco serpente che attornia la terra, si solleva dalle acque e vomita veleno sul mondo; sul mare vien galleggiando il vascello dei cadaveri condotto da Hrim; Loki, sciolto dai suoi ceppi, guida dal settentrione i giganti del gelo e le schiere di Hel; dal sud viene il gigantesco Surt coi figli del fuoco; il sole e la luna sono divorati da lupi, il cielo e la terra tremano, i monti si squarciano, il mare inonda la terra. Sopra una pianura vasta mille miglia s'incontrano gli avversarî e avviene una lotta formidabile. Odino pugna contro Fenris, che lo divora, Thor contro il serpente, dal cui veleno resta ucciso, Freyr contro Surt, Tyr contro Garm, Heimdall contro Loki, Widar contro Fenris. Ma gli Asi procombono; Surt scaglia il fuoco sulla terra, e tutto il mondo s'incendia. Il genere umano dispare, la terra si sprofonda nelle acque, mentre in cielo si offuscano gli astri. Ma quando è spento l'universale incendio, emerge, più bella dell'antica, una nuova terra, su cui prospera il grano senza che la mano dell'uomo getti il seme; una nuova progenie umana appare, nata dalla coppia Lif e Lifthrasir sopravvissuta alla finale rovina, nascosta nel legno del frassino Hoddmimir, nutrita della rugiada mattutina; un nuovo sole risplende, nato dall'antico, che camminerà per la medesima via. Gli antichi iddii sono morti; soltanto Balder e Hod, Widar e Vali, il vendicatore di Balder, Hönir e i figli di Thor rivivono, e ricomincia una vita di gioie scevra di contese fraterne, come nell'età dell'oro. Ma la sovranità più non spetta agli dei morti e risorti, poiché:

???"dall'alto viene l'onnipotente

???augusto Signore al supremo giudizio"

come canta la Völuspá (65; cfr. anche la Canzone di Hyndla, 45).

Allora i buoni e gli onesti abiteranno sullo splendido Gimle; e il tristo drago Nidhogg trarrà sopra le sue ali i cadaveri dei maledetti; ma il suo ufficio è compiuto e dovrà per sempre soccombere (Völuspá, 64).

Non bisogna credere che tali figurazioni rappresentino la credenza comune e generale del paganesimo germanico, poiché presso le popolazioni del Mezzogiorno le idee religiose rimasero assai più semplici e più vaghe, soffocate e distrutte, molto prima che nel Settentrione, dalla conversione, talvolta violenta, al cristianesimo. Esse sono piuttosto, insieme con molti altri elementi della saga divina, il risultato di una fusione di molteplici e varie credenze, elaborate poeticamente nella Norvegia e nell'Islanda in un quadro d'innegabile grandiosità, nel quale lo spaventoso dramma della fine di tutte le cose create è rappresentato con elementi attinti a prossime e a lontane sorgenti, fusi e rivestiti dal linguaggio mitico nordico antico.

Quanto in un tale quadro sia figurazione pagana antica e comune ad altri popoli, e quanto sia elemento straniero d'importazione relativamente recente, cioè cristiano, non si potrebbe determinare con precisione, non potendosi talvolta escludere la formazione parallela e la concordanza fortuita. È però fuor di dubbio che la maggior parte di queste figurazioni, non escluso il disegno generale del quadro, sono inesplicabili con lo spirito delle credenze pagane, e appartengono a quel corredo di idee escatologiche giudaico-cristiane le quali pervennero a poco a poco, negli ultimi secoli del paganesimo, variamente contaminate, ai popoli settentrionali dai paesi cristiani, specialmente per il tramite dei Vichinghi. Pagano, anzi nordico in particolare, è certo il riferimento della fine alle divinità anziché agli uomini; nordico quanto riguarda i segni precursori del ragnarök, tra cui specialmente il lungo inverno; pagani forse anche la concezione della fine del mondo come un giorno di battaglia, il motivo del lupo che divora gli astri, e forse anche quello del mostro incatenato (Loki; cfr. p. es. Apocalisse, XX, 1-3 e 7). Cristiano è tutto il rimanente, dal corno di Heimdall che corrisponde alla tromba dell'arcangelo Michele, al concetto della resurrezione dei giusti, primo fra tutti l'innocente e puro Balder (v.), del giudizio finale, della separazione dei buoni dai tristi, della nuova Gerusalemme; e giudaico-cristiano in modo indubbio è pure l'incendio universale (cfr. p. es. Oracula sibyllina, V, 512-531), non potendosi ammettere che tra le idee escatologiche dei Germani fosse quella dell'ἐκπξρωσις (per usare il termine stoico) o "incendio finale" (v. muspilli), non meno che la comparsa dell'"onnipotente signore", che non può essere se non il Dio vittorioso della nuova fede.

Sotto il titolo Crepuscolo degli dei Riccardo Wagner ha liberamente rielaborato nel testo del suo dramma musicale (4ª parte della tetralogia l'Anello del Nibelungo) motivi della saga divina ed eroica del Settentrione.

Bibl.: S. Bugge, Studien über die Entstehung der nordischen Götter- und Heldensagen (trad. ted.), Monaco 1889; E.H. Meyer, Völuspá, Berlino 1889; W. Golther, Germanische Mythologie, Lipsia 1895; A. Olrik, Ragnarök, die Sagen vom Weltuntergang (trad. ted.), Berlino-Lipsia 1922.

Vedi anche
Wilhelm Richard Wagner Musicista (Lipsia 1813 - Venezia 1883). Nono figlio del funzionario K. F. Wagner (secondo alcuni figlio naturale dell'attore ebreo Ludwig Geyer) e di Johanna R. Pätz. Entrò all'università di Lipsia nel 1831. Per quanto riuscisse bene negli studî letterarî, fin da ragazzo si sentì attratto verso il teatro ... Ebe Stignani Mezzosoprano italiano (Napoli 1907 - Imola 1974). Esordì a Napoli, al teatro San Carlo, nel 1925 come Amneris nell'Aida di Verdi. L'anno successivo fu scritturata da A. Toscanini per la Scala di Milano. Dotata di voce tonda, morbida ed estesa, cantò nei più importanti teatri d'opera d'Europa e d'America, ... Leitmotiv Nell’opera sinfonica, motivo musicale ricorrente, corrispondente a un dato personaggio o a uno stato d’animo. Il termine, introdotto da F.W. Jähns nel 1871 con riferimento alle opere di C.M. von Weber (dove il L. trovò però un impiego limitato), fu applicato al teatro wagneriano da H.P. von Wolzogen, ... marcia In senso proprio, modo di locomozione, soprattutto dell’uomo, che differisce dalla corsa (nella quale si ha, nel ritmico movimento delle gambe, un attimo di sospensione in aria di tutto il corpo) ed è sostanzialmente identico al cammino (nel quale il corpo non abbandona mai l’appoggio del suolo), distinguendosene ...
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