CREMONESI, Cremona
Figlio di Neri, della nota famiglia di mercanti e banchieri pistoiesi, ricordato per la prima volta dalle fonti nel 1322 come affittuario moroso della Chiesa di Pistoia, ebbe una parte di rilievo negli avvenimenti politici che, nel corso del terzo decennio del sec. XIV, portarono la sua città sotto il dominio di Castruccio Castracani.
Dal 1321 Pistoia era soggetta ad Ormanno Tedici, abate di Pacciana, che le aveva imposto la pace con Castruccio e, quindi, un cauto allontanamento dalle posizioni filofiorentine sin'allora seguite, senza però farla passare nel campo ghibellino. Questa linea di prudente equidistanza era però minacciata dall'interno. Un nipote dell'abate, l'ambizioso Filippo Tedici, mirava infatti a scalzare la signoria dello zio e, per raggiungere questo scopo, si appoggiava al condottiero signore di Lucca. A copertura dell'intera manovra, andava spargendo la voce tendenziosa che proprio Ormanno fosse in segreta combutta con Castruccio.
Fautore di Filippo Tedici, il C. propugnò la linea politica di ravvicinamento al potente signore di Lucca, avviando e portando a termine rapidamente nel corso del 1323 i negoziati, che si conclusero con un accordo segreto fra Castruccio e Filippo: "questo trattato tra m. Filippo e Castruccio facea e menava celatamente m. Cremona de' Cremonesi", afferma esplicitamente l'anonimo autore delle Storie pistoresi. Nel luglio del 1324, allorché Filippo Tedici si impadronì del potere, facendosi riconoscere dai Consigli cittadini, grazie all'appoggio dei guelfi, signore col titolo di capitano generale di Pistoia e del suo distretto (24 luglio), il C. fu ancora di nuovo lo strumento preciso ed accorto della sua politica. Inviato a Firenze sotto il pretesto di discutere l'invio di aiuti militari per fronteggiare la minaccia di Castruccio, riuscì infatti per ben due volte ad evitare che le milizie fiorentine entrassero in Pistoia proprio quando in città si susseguivano i tafferugli fra i partigiani di Filippo, da poco salito al potere, ed i sostenitori dell'ormai esautorato Ormanno, che i Fiorentini miravano a riportare al governo. Forse proprio al C. è da attribuire anche il merito di aver permesso al capitano generale di sventare la congiura ordita dagli ambasciatori fiorentini a Lucca per la notte del 22 sett. 1324, quando, grazie al tradimento dell'abate di Pacciana e con l'appoggio dei suoi aderenti, reparti fiorentini tentarono di forzare l'ingresso alla porta S. Pietro e di introdursi nella città. Nei tumulti che accompagnarono la repressione del moto sedizioso trovò la morte un parente del Cremonesi. Premuto dai Fiorentini, che sul finire dell'anno si impadronirono di Carmignano, e attaccato da Castruccio, che nel febbraio del 1325 conquistò Sambuca, una fortezza pistoiese sull'Appennino, il capitano generale si vide costretto ad un riavvicinamento nei confronti di Firenze, nel tentativo di frenare la potenza del signore di Lucca, che gli appariva, in quel momento, il pericolo maggiore. Incaricato di negoziare fu ancora una volta il C., che portò avanti le trattative con estrema prudenza, ben sapendo che doveva prender tempo per consentire al suo signore la possibilità di valutare bene la situazione. Al termine di una serie di incontri laboriosi, si convenne di concludere un accordo definitivo tra Pistoia e Firenze sulla base delle decisioni prese, circa il contenzioso esistente fra le due città, da una commissione di giuristi, che avrebbe dovuto essere nominata dal Comune di Bologna (decreti del Consiglio fiorentino del 16 febbraio, del 18 marzo, del 3 apr. 1325).
L'accordo fu effettivamente stipulato ai primi di aprile del 1325. Esso conteneva numerose clausole segrete, che prevedevano, da parte fiorentina, il riconoscimento di Filippo Tedici quale legittimo signore di Pistoia, l'appoggio militare nell'eventualità di un attacco di Castruccio, l'obbligo di mantenere in Pistoia un contingente di 100 cavalleggeri (comandato però da un ufficiale scelto dalle autorità locali), e l'impegno alla restituzione di Carmignano. Il trattato, inoltre, salvaguardava largamente gli interessi personali del capitano generale. Firenze prometteva infatti, fra l'altro, una notevole somma di danaro a Filippo Tedici; si obbligava, inoltre, a garantire le nozze delle due figlie dei Tedici con due nobili fiorentini (e si sarebbe sobbarcata le spese del corredo), e a creare cavaliere del popolo Carlino Tedici, figlio di Filippo (e gli avrebbe versato, per l'occasione, 3.000 fiorini d'oro).
Sia che non si fidasse dei Fiorentini, sia che volesse lasciare a Filippo la decisione ultima sulle sorti future della loro città, il C. aveva tuttavia convinto il capitano generale ad avviare contemporaneamente trattative anche col Castracani. Di questi maneggi fu anima un frate, l'eremitano Gregorio: il 7 apr. 1325, quando in ottemperanza ai patti sottoscritti entrarono in Pistoia i 100 cavalleggeri, che avrebbero dovuto rappresentare la garanzia fiorentina contro le mire del signore di Lucca (Davidsohn, p. 903), i negoziati con quest'ultimo erano già a buon punto.
A convincere il Tedici dell'opportunità di accordarsi col signore di Lucca, valse senza dubbio l'atteggiamento del governo fiorentino che - sia per diffidenza, sia per avidità di guadagno degli uomini politici - non mostrava, ad onta delle sollecitazioni, di voler far fronte agli impegni assunti, specie in campo finanziario. La convenzione con Castruccio venne rapidamente perfezionata nel corso del mese di aprile: in cambio della mano di Dialta, figlia di Castruccio, e della somma di 10.000 fiorini d'oro, il Tedici si impegnò a consegnare Pistoia al signore di Lucca, cui dovette dare, a garanzia della sua parola, il figlio Carlino.
Il 5 maggio 1325, giorno di domenica, prima che gli stessi guelfi pistoiesi avessero modo di rendersi conto di quanto stava accadendo, la gente di Filippo Tedici aprì le porte della città alle milizie di Castracani, che occuparono rapidamente l'abitato: al presidio fiorentino non si dette il tempo di reagire. L'anonimo autore delle Storie pistoresi annota a questo punto, facendo rilevare le precise responsabilità del C.: "E voglio che tutta gente sappia chi furono li Pistolesi che questo tradimento sentirono. Tutto lo tradimento sordinò per m. Cremona; frate Grigoro fu quello che fece lo trattato; Mino di m. Cino e Baltromeo Bricciardi, insieme con Carlino di m. Filippo, apersono la porta del tradimento". Premio per i servizi del C. furono, secondo l'autore delle Storie, 5.000 fiorini d'oro, versatigli da Castruccio (la cifra sembra però un po' troppo alta, specie se confrontata con quella promessa dal Castracani allo stesso Tedici).
Il C. sembra essere passato indenne attraverso la tempesta del mutar delle fortune politiche. Dopo la morte di Castruccio, nel 1328, quando si profilò nuovamente la minaccia fiorentina sulla città, egli si schierò infatti dalla parte dei fautori della pace con la potente rivale; anzi, si ha l'impressione che, tutto sommato, egli fosse riuscito egregiamente a mettere a frutto le amicizie, che aveva potuto stringere con gli uomini politici fiorentini per presentarsi ai guelfi dell'una e dell'altra città come persona sostanzialmente simpatizzante della loro parte anche durante gli anni tempestosi della signoria di Filippo Tedici e della dominazione del Castracani. Di fronte al pericolo che alcune consorterie cittadine - come quella dei Vergiolesi, dei Chiaramonti e dei Tedici -, per aver ragione dei loro avversari, finissero con l'appoggiarsi a Ludovico il Bavaro, il governo di Pistoia preferì cercare immediatamente un accordo con i Fiorentini: pare che, fra gli Anziani, il C. fosse uno dei sostenitori più decisi di questa linea politica. Nell'aprile del 1329 si trovava comunque a Prato insieme con Chiarentino de' Chiarenti come oratore pistoiese per stipulare la pace con Firenze.
È questa l'ultima notizia che noi abbiamo sul C., il cui nome non compare più, dopo questa data, nelle fonti a noi note.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico. Capitolo di Pistoia, 1322 giugno 18; Ibid., Missive Signoria, III, 38, 1329 apr. 18; 111, 40, 1329 apr. 22; Archivio di Stato di Pistoia, Familiario Franchi, C-D, III, cc. 46r, 77v; Storie pistoresi, 45-47, 76, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XI, 5, a cura di A. Barbi, pp. 81 s., 84-87, 134; M. Salvi, Delle Historie di Pistoia e fazioni d'Italia, I, Roma 1656, p. 391; R. Davidsohn, Storia di Firenze, a cura di G. B. Klein-R. Palmarocchi, IV, Firenze s. d. [ma 1960], p. 982.