credo
Componimento in terzine, attribuito in antico a D., il quale contiene, dopo che l'autore ha dichiarato di aver in passato scritto rime d'amore e di voler ora volgersi a " ragionar di Dio come cristiano ", non soltanto una parafrasi del Credo, ma anche un'esposizione dei Sacramenti, del Decalogo, dei Vizi capitali, del Pater noster e dell'Ave Maria: in complesso nasce dalla suggestione esercitata dalla presenza delle famose preghiere nella Commedia.
Il componimento fu spesso stampato come opera dantesca, mentre i codici recavano varie indicazioni: di quelli fiorentini, ad esempio, 13 non ne indicano l'autore, 22 attribuiscono il componimento a D., 5 ad Antonio da Ferrara. Ma considerando che ribadiscono l'attribuzione ad Antonio da Ferrara gli autorevoli Barberiniano lat. 4035 (c. 117) e l'Ambrosiano E 56 sup. (c. 59), e che nel codice Riccardiano 2151 si corregge esplicitamente l'attribuzione da D. ad Antonio (v. infatti Beccari, Antonio); che Antonio non soltanto scrisse molti componimenti d'intonazione simile, ma ebbe come consuetudine quella d'introdurre nelle sue composizioni reminiscenze e interi passi danteschi; che nel testo stesso si legge: " Io non so dicer meglio né più chiaro / el Pater noster che per Dante e' dico / come da grande mio magistro chiaro ", dove si parla di D. come di persona diversa dall'autore; si è indotti a ritenere che questi componimenti siano stati scritti non da D. ma per D., e che più precisamente derivino da un movimento di viva ammirazione per D. e contemporaneamente dalla precisa volontà di difendere la sua ortodossia messa in dubbio: come tali presentano un forte interesse storico. Che la genesi sia questa lo potrebbero confermare le novellette nate sulle ragioni che avrebbero indotto D. alla composizione del Credo. Nel codice 1011 della Riccardiana si espone - in altri (1154, 1691) vi si accenna - il motivo che avrebbe indotto il poeta a scrivere la parafrasi in rima del C. e delle altre preghiere: la volontà di sfuggire all'accusa di eresia, e in particolare alla persecuzione di alcuni francescani. Un'altra storia, presente in due codici, l'uno privato, l'altro della Magliabechiana (Conventi soppressi, c 1 1588, c. 83), narra di uno scontro tra l'inquisitore di Ravenna e D., durante il quale il primo lo avrebbe rimproverato di non aver scritto in " gramatica " cose riguardanti la dottrina della Chiesa ma " frasche ", sicché D. avrebbe composto il C. convincendo l'inquisitore della propria profonda retta religiosità (storia che appare compendiata in terzine da un certo messer Francesco nel codice Palatino 678, c. 117).
Fin dal Seicento Leone Allacci nei suoi Poeti antichi attribuiva il C. ad Antonio da Ferrara, seguito da Apostolo Zeno (Lettere I 273): e in epoca recente l'attribuzione ad Antonio è stata di nuovo sostenuta con gli argomenti sopra accennati soprattutto da Ezio Levi. Quanto al valore artistico, alcuni (Levi e Chiappelli) trovano nel C. passi vigorosi, mentre in verità il componimento appare mediocre soprattutto per la prolissità tutt'altro che dantesca.
Bibl. - L. Rigoli, Saggi di rime di buoni autori che fiorirono dal sec. XIV fino al sec. XVIII, Firenze 1825, 1-11; G. Papanti, D. secondo la tradizione e i novellatori, Livorno 1873, 46; E. Lamma, Studi sul " Canzoniere " di D.: il " Credo " e i " Salmi ", in " Propugnatore " XIX (1887) i I 84 ss.; L.C. Bollea, Di una miscellanea quattrocentista di rime e di prose, in " Atti R. Accad. di Scienze di Torino " XLVII (1911-12), recens. in " Bull. " XX [1913] 293; E. Levi, Il canzoniere di M. Antonio da Ferrara, in " Arch. Stor. It. " LXXV (1917) 93-198; ID., Maestro Antonio da Ferrara, rimatore del secolo XV, in " Rass. Nazionale " XLI (1920) 260-265; A. Chiappelli, Novità dantesche, in " Nuova Antologia " CCXII, luglio-agosto 1921, 7 ss. (rec. in " Bull. " XXVIII [1921] 121-122).