creazione
Ha due soli esempi, nel senso proprio di " atto del creare e dell'essere creato ", nel secondo trattato del Convivio: V 6 questi tre ordini fanno la prima gerarchia: non prima quanto a nobilitade, non a creazione; XIV 11 le cose incorruttibili... ebbero da Dio cominciamento di creazione e non averanno fine.
Nell'edizione del '21 c. si legge anche in Cv IV XXVIII 19 la nobile anima... vuole partire d'erta vita sposa di Dio, e vuole mostrare che graziosa fosse a Dio la sua creazione: il termine, dato dai codici, fu mantenuto da tutti gli editori, tra cui il Giuliani, che osservò tuttavia come " il vocabolo genuino sia operazione ": Busnelli-Vandelli (per la questione, cfr. ad l.) hanno optato per quest'ultima lezione; così la Simonelli ([oper]azione).
Dottrina della creazione. - D., pur non definendo mai la c., suppone che sia la produzione dal niente e della forma e della materia, perché afferma che i primi effetti furono creati da Dio in loro essere intero, e fra essi pone pure la materia (Pd VII 130-136 e XXIX 22-29). Ritiene la c. un atto istantaneo (XXIX 25-30). Quando la presenta quale ‛ sfavillamento ' o ‛ irradiazione ' dell' ‛ ardore ' di Dio (VII 65 e 74), non la concepisce secondo la metafisica della luce, ma si serve solo di metafore, come altre volte prende l'immagine dallo sbocciare dei fiori, dalla distillazione, dalla pioggia (XXIX 18, VII 67 e 70).
Nelle scuole, ‛ creare ' era il termine tecnico che indicava " l'atto di produrre dal niente della materia e della forma "; ma nell'uso corrente si scambiava con altri vocaboli, specialmente con ‛ fare '. D. conosce la distinzione tra ‛ fare ' e ‛ creare ': afferma che Dio cria e il complesso delle cause seconde face (Pd III 87); per chiarire un equivoco, usa il vocabolo ‛ creare ' per la produzione dal niente (VII 131 e 136-137) e altri termini per l'azione delle cause seconde o per l'azione divina di informare la materia già creata (vv. 135, 140, 147-148; cfr. anche XIII 45). Ma generalmente non è rigoroso: oltre a servirsi poeticamente di varie immagini, usa in modo indifferente ‛ creare ' e ‛ fare ' per indicare la produzione dal niente (cfr. Pg XII 25; Pd VII 131, XXIX 38 e 47 con 60 e 144, XXXI 6. In prosa, cfr. Cv II V 6 e 12 con V 2e III XII 9).
Causa efficiente. - D. presenta sempre Dio come causa efficiente della c. in senso stretto. L'approfondimento dei passi in cui qualche saggista ha visto tracce della c. mediata, dimostra che mai per D. un essere inferiore a Dio di fatto ha ‛ creato '. Del resto il passo di Mn III VII 6, di contro a Pietro Lombardo (Sent. IV 5 3, ediz. Quaracchi II 775-776), esplicitamente afferma che Dio non può comunicare la ‛ potestà creativa ' a nessuna creatura.
D. ‛ appropria ' la causa efficiente alla prima persona della Trinità, cioè al Padre (Pd X 1-6), e lascia intendere che si tratta di semplice ‛ appropriazione ', perché parla delle tre persone come di un unico principio creatore (If III 4-6; cfr. anche l'immagine dell'arco tricordo di Pd XXIX 24), ovvero pone il Verbo come soggetto agente (XIII 55-63).
Dio ha creato senza esservi stato necessitato (Pd XIX 89-90 e XXIX 13-14), come i piacque (XXIX 17); ha donato alle creature intelligenti la libertà per sua larghezza (V 19-24); dà alle anime diversità di doni naturali a suo piacer (XXXII 64-66).
Causa esemplare. - Dio ha creato il mondo e il suo ordine, e ha iniziato il movimento dei cieli facendosi dirigere dalla sapienza, come è affermato in Prov. 8, 27-30 (Cv III XV 15-17; cfr. V 21-22, Mn II IV 11, VI 4, III XV 12); è stato simile a un architetto che con un compasso abbia determinato la configurazione del mondo (Pd XIX 40-42; cfr. Iob 38, 5; Ps. 73, 17; Eccli. 43, 13). Secondo Boezio (Cons. phil. III m. 9), Dio ha prodotto tutto secondo l'esemplare esistente nella sua mente (Cv III II 17; cfr. VI 5-6). Anche i corpi corruttibili riflettono l'idea divina (Pd XIII 52-54; cfr. Quaestio 46).
Le creature prodotte direttamente da Dio attuano in pieno il proprio esemplare divino, non essendone impedite dalle cause seconde; e pertanto possiedono tutta la perfezion della loro natura (Pd XIII 67-81). Nella medesima condizione le creature sono anche incorruttibili (VII 67-69). Gli esemplari in Dio s'immedesimano con la sua essenza: Dio non agisce secondo un modello distinto da sé, come invece fanno i pittori; egli stesso è modello delle sue opere immediate, anzi è modello anche delle opere delle cause seconde (Mn II II 2-4; Pd XVIII 109-111, riferito a Pg XXXII 67).
La causa esemplare dell'universo è ‛ appropriata ' alla seconda persona della Trinità. Infatti l'idea che si riflette nei nove cori angelici con la loro c., è quella... / che partorisce, amando, il nostro Sire (Pd XIII 53-54); la Sapienza che dirigeva Dio nella c. del mondo, è la persona del Redentore (Cv III XV 15-17), la produzione delle creature è una ‛ impressione ' del Verbo (Pd XIII 79-81) e il Padre ha creato guardando nel suo Figlio (X 1-6). L'esemplare divino, essendo il Verbo, è sussistente: il Verbo è presentato come soggetto agente ed estrinsecante sé stesso nella c. (Cv III XV 15 e 17, Pd XIII 55-63).
Causa finale. - La ragione della c. deve essere posta in Dio stesso. La volontà divina, infatti, non viene mai mossa da un bene distinto da sé (Pg XXVIII 91, Pd XIX 86-90). Vuole i beni creati perché vuole sé stessa (Mn II il 2-4); dà l'esistenza agli angeli per sé (Pd XXIX 144; cfr. VE I V 2), per sua bontate (Pd XIII 58). Non crea per accrescere la sua bontà (XXIX 13-14), ma per diffondere le sue perfezioni producendone delle copie (Mn II II 2-4, Pd XXIX 14-15; cfr. Quaestio 45-47).
Pertanto la c. è un atto di mera benevolenza. Dio ha creato tutto per ardore di carità (Pd VII 65 e 74), in quanto è amore (XXIX 18); ha dato alle creature intelligibili la libertà in dono per sua larghezza (V 19-22; cfr. VE I V 2); ha avuto tanta... affezione a produrre gli angeli, da non desisterne benché prevedesse la caduta di alcuni (Cv III XII 9); vagheggia l'anima prima di crearla e gioisce quando la crea (Pg XVI 85-89).
Il fine della c. è ‛ appropriato ' alla terza persona della Trinità (Pd X 1-6) ed è supposto sussistente quando lo Spirito Santo è presentato come soggetto creante (XIII 79-81).
Oggetto. - D., conformemente alla fede cristiana, afferma che tutti gli esseri fuori di Dio hanno origine da lui, direttamente o per mezzo delle cause seconde (ad es. Pd VII 124-148, XXIX 13-48). In Ep XIII 54-57 questo è dimostrato anche con un argomento razionale.
Gli esseri creati in senso stretto sono tutte le anime umane (Cv IV XXI 5, Pg XXV 70-72, Pd VII 76-77 e 142-143) e gli effetti prodotti all'inizio, cioè, secondo il Paradiso, gli angeli, i nove cieli mobili e la pura potenza (XXIX 22-45, riferito a VII 130-138). Quest'ultima è la materia non ancora distinta nei quattro elementi, anzi del tutto informe (Pd VII 124-138, XXIX 22 e 32-36); pertanto è concepita come un'entità positiva, capace di esistere senza forma; invece in Mn I III 8 era pensata diversamente: dare potentiam separatam... est inpossibile. Fu prodotto da Dio anche l'ordine delle prime creature; ma esso fu propriamente concreato (Pd XXIX 31-36), perché solo le sustanze sono oggetto di c. (cfr. VE I VI 4 e IX 6, Pd II 19; così si deve pensare della virtù informante che fu creata nei cieli secondo Pd VII 135 e 137-138).
Riguardo alla produzione delle prime forme dei corpi sublunari, secondo il Paradiso, gli elementi e quelle cose che di lor si fanno / da creata virtù sono informati, cioè da la virtù informante creata nei cieli; perciò lo raggio e 'l moto delle stelle traggono l'anima d'ogne bruto e de le piante dalla complession potenziata (VII 133-141). Solo il corpo del primo uomo e quello della prima donna furono formati direttamente da Dio con la materia già creata (VII 67-87 e 145-148, XIII 37-39 e 79-87).
Tempo. - Il mondo non è stato creato ab aeterno. Dio solo è eterno (Ep XI 2), mentre il movimento e il tempo hanno avuto un inizio (Rime CII 49-50). Dalla c. del mondo al tempo di D. erano trascorsi poco più di seimila anni (Cv II XIV 12-13 e 16, secondo la cronologia allora comune) e dalla c. dell'uomo alla morte di Cristo erano passati 5233 anni (Pg XXXIII 61-63; Pd XXVI 118-123 e 139-142), mentre, secondo gli averroisti parigini, essendo il mondo eterno, numquam fuit primus homo (cfr. H.Denifle, Chartularium universitatis parisiensis, Parigi 1889, I 487). In modo esplicito è detto che l'etterno amore, con la prima c., produsse nuovi amor (Pd XXIX 18).
L'antitesi tra etterno e nuovi lascia intendere che Dio non solo creò ‛ altri ' amor, ma li creò pure ‛ temporali ': nel linguaggio tecnico medievale, novus si opponeva ad aeternus, creato o non creato. Non è in contrasto l'affermazione che Dio produsse le prime creature in sua etternità di tempo fore (Pd XXIX 16), perché essa ripete la soluzione data da s. Agostino (Conf. XI 10-13 = PL 32, 814-815) alla difficoltà che se il mondo fosse stato creato ‛ nel ' tempo, Dio sarebbe stato inoperoso: il mondo propriamente non fu creato ‛ nel ' tempo, essendo il tempo cominciato con la creatura.
Secondo il Paradiso, all'inizio furono creati nello stesso istante tre effetti: gli angeli, i nove cieli mobili e la materia sublunare del tutto informe (XXIX 22-45 riferito a VII 130-138). La c. contemporanea degli angeli con il mondo sensibile è presentata come certa da D. contro qualche dottore della Chiesa (XXIX 37-45). La Monarchia interpreta alla lettera la cosmogonia biblica perché pone la produzione del sole e della luna nel quarto giorno, dell'uomo nel sesto (III IV 1-16). La Commedia invece ammette l'interpretazione allegorica: l'emersione della terra dall'acqua secondo lo stato attuale avvenne in uno spazio di tempo inferiore a quello occorrente a ‛ numerare ' da uno a venti dopo il primo atto creativo, con la caduta di Lucifero (If XXXIV 121-126, Pd XXIX 49-51), mentre secondo Gen. 1, 9-10, avvenne nel terzo giorno.
Fonti storiche. - La dottrina dantesca della c. è stata oggetto di acri polemiche tra saggisti del nostro secolo: ad alcuni (per es. al Nardi) è apparsa con profonde tracce di aristotelismo averroistico e di neo-platonismo avicennistico; ad altri (per es. al Busnelli) è sembrata fedelmente tomistica. Approfondita, si presenta quale eco della dottrina comune degli scolastici, tranne nei pochi punti che ora esponiamo.
Il Paradiso s'ispira all'agostinismo francescano nell'ammettere che la materia creata all'inizio non era ancora distinta nei quattro elementi, e s'ispira particolarmente a Scoto (Ox. II 12 1, ediz. Vivès XII 546a-566a), nel ritenere che essa era priva di ogni forma; invece la Monarchia presenta la concezione aristotelico-tomistica della materia. La Monarchia conviene in particolare con P. Lombardo (Sent. II 12 2, 15 5-6, ediz. Quaracchi I 358-359 e 375-376) e con Bonaventura (Il Sent. 12 1 2, 13 1 1, ediz. Quaracchi II 295a-298b e 312a-313b), nell'interpretare alla lettera la cosmogonia biblica; invece la Commedia, interpretando allegoricamente tale cosmogonia, conviene con Alberto Magno (Sum. theol. II 46, ediz. Borgnet XXXII 517a-520b) e con Tommaso (Sum. theol. I 66 1, 69 1-2, 74 2).
La teoria che anche le prime forme delle piante e degli animali perfetti furono tratte dalla potenzialità della materia per mezzo delle cause seconde, era stata ammessa da s. Agostino nel De Genesi ad litteram (VI 14 25 = PL 34 349), ma era ripudiata dai dottori medievali. I principi che ogni effetto divino immediato riproduce tutta intera la propria idea esemplare e che è incorruttibile, esorbitano dalla scolastica; il primo s'ispira al De Causis (v.); il secondo s'ispira all'avicennistico " a stabili, in quantum stabile, non est nisi stabile ", ma in D. è conciliato con la libertà divina, con la molteplicità e l'inizio temporale degli effetti divini immediati. Gli scolastici, seguendo P. Lombardo (Sent. II 2 2, ediz. Quaracchi I 314), insegnavano comunemente che all'inizio vennero create quattro specie di creature, cioè gli angeli, l'Empireo, la materia corporale e il tempo; il Paradiso ritiene tre le prime creature e pone fra esse i nove cieli mobili al posto dell'Empireo (v.) che è concepito increato.
Bibl. - Per una dimostrazione più ampia della dottrina dantesca sulla c.: A. Mellone, La dottrina di D.A. sulla prima c., Nocera Sup. 1950; ID., Emanatismo neoplatonico di D. per le citazioni del " Liber de causis "?, in " Divus Thomas " (Piacenza) LIV (1951) 205-212; ID., Il concorso delle creature nella produzione delle cose secondo D., ibid. LVI (1953) 273-286; ID., L'esemplarismo divino secondo D., in " Divinitas " IX (1965) 215-243.
B. Nardi presentò e difese la sua interpretazione soprattutto nei seguenti studi: Sigieri di Brabante nella D.C. e le fonti della filosofia di D., Spianate 1912, 23-52; ID., Intorno al tomismo di D. e alla quistione di Sigieri, in " Giorn. d. " XXII (1914) 182a-187b; ID., Noterelle polemiche di filosofia dantesca: 11. D. in seminario, in " Nuovo Giorn. d. " I (1917) 129b-134b; ID., Saggi di filosofia dantesca, Firenze 19672, 81-109, 341-380; ID., D. e la cultura medievale, Bari 19492, 309-335; ID., La filosofia di D., in Grande antologia filosofica, IV, Milano 1954, 1172-1177; ID., Il canto XXIX del " Paradiso ", in " Convivium " XXIV (1956) 294-302. Contro il Nardi e a favore dell'interpretazione tomistica furono G. Calò nella recensione a B. Nardi, Sigieri di Brabante nella D.C. e le fonti della filosofia di D., in " Bull. " XX (1913) 264-278; P. Moretti, La filosofia di D. - Le creature eterne e il senso di un emistichio dantesco nel canto III dell'Inferno, ne " Il VI centenario dantesco " I (1914) 52a-54b; ID., La filosofia di D. studiata con D., ibid. VI (1919) 111a-120b; e specialmente G. Busnelli, Cosmogonia e antropogenesi secondo D.A. e le sue fonti, Roma 1922. Favorevoli solo in parte al Nardi furono C. Bäumker, Dantes philosophische Weltanschauung, in " Deutsche Lìteraturzeitung " XXXIV (1913) 2760-2761; M. Baumgartner, Dantes Stellung zur Philosophie, in Görres-Gesellschaft zur Pflege des Wissenschaft im katholischen Deutschland. Zweite Vereinschrift für 1921, Colonia 1921, 61-64; D. Bigongiari, recens. a B. Nardi, Saggi di filosofia dantesca, in " Speculum " VII (1932) 148-151.
Per uno sguardo globale della dottrina dantesca della c.: A. Santi, La questione della c. nelle dottrine di D. e del tempo suo, in " Giorn. d. " XXIII (1915) 197a-207b; D.O' Keeffe, Dantes theory of creation, in " Revue néoscolastique de philosophie " XXVI (1924) 45-64; S. Bersani, Dottrine allegorie simboli della D. C., Piacenza 1931, 238-247, 272-275 e 295-301; J.A. Mazzeo, The analogy of creation in D., in " Speculum " XXXII (1957) 706-721.