Creature from the Black Lagoon
(USA 1954, Il mostro della laguna nera, bianco e nero, 79m); regia: Jack Arnold; produzione: William Alland per Universal; soggetto: Maurice Zimm; sceneggiatura: Harry Essex, Arthur Ross; fotografia: William E. Snyder; montaggio: Ted J. Kent; scenografia: Bernard Herzbrun, Hildyard M. Brown; musica: Robert Emmet Dolan, Henry Mancini, Milton Rosen, Hans J. Salter, Herman Stein.
Una spedizione scientifica, alla ricerca di fossili nella giungla amazzonica, scopre e viene assalita da un mostro preistorico, creatura arcaica metà uomo e metà pesce, che conduce un'esistenza subacquea nella laguna ma è anche in grado di muoversi, in posizione eretta, sulla terraferma. I tentativi di catturare il mostro si incrociano alla competizione virile tra i due uomini della spedizione, il serio scienziato David Reed e il ricco sbruffone Mark Williams, entrambi interessati alla graziosa Kay Lawrence, che il clima tropicale invita a mostrarsi spesso in costume bianco da pin-up; i bagni nel fiume di Kay sono peraltro spiati con un certo languore anche dalla creatura, che agli istinti assassini unisce aspirazioni amorose. Infine il mostro viene catturato, ma riuscirà a fuggire.
Nel cuore degli anni Cinquanta, Jack Arnold realizzò quattro film in 3D, melodrammi dell'orrore imparentati alla fantascienza che risultarono produttivamente straordinari per il radicale contenimento dei costi e, come fenomeni cinematografici, proposero al pubblico le delizie inesplorate del kitsch di genere (un pubblico d'epoca che rispose entusiasticamente all'invito, riportando la Universal al primato nel campo del fantastico, mentre la critica ci avrebbe messo qualche decennio a rivalutare i film di Arnold). Creature from the Black Lagoon è il primo della serie e ancora offre, soprattutto nella sua versione tridimensionale, un'emozione indimenticabile, tra intrighi erotici a buon mercato e mani palmate che spuntano in primo piano dalle acque della laguna. Più che una nuova interpretazione di archetipi classici, o un viaggio visionario nel profondo della vita psichica, quel che si mette in scena è lo scontro diretto tra l'uomo moderno e un 'mostro', o sopravvivenza primitiva: la poetica pulp del film assume quindi un singolare dinamismo. L'immagine è tendenzialmente piatta, ma la sua superficie viene letteralmente 'infranta' dagli effetti speciali (primo tra tutti, appunto, l'emergere della mano mostruosa verso il viso dello spettatore); la bella qualità delle riprese subacquee e l'uso creativo dello spazio conferiscono una speciale ricchezza suggestiva a molte sequenze. Il mostro, che vagamente somiglia alla Bestia di Cocteau, è metà uomo e metà pesce; era interpretato negli esterni da Ben Chapman e, nelle sequenze subacquee, da Ricou Browning, un professionista capace di restare sott'acqua per cinque minuti senza respirare. Personaggio e film diventarono oggetti di culto popolare già negli anni Cinquanta, ispirando (come sarebbe successo per Star Wars un quarto di secolo dopo) la produzione di giocattoli, manifesti, maschere, modellini e altri gadget.
Nel mostro si concentrano violente pulsioni sociali e sessuali, ma la sua esistenza resta inspiegabile: a differenza di quanto accade in altra fantascienza coeva, la creatura non è il risultato di una cospirazione scientifica né, tantomeno, il prodotto di un avvenimento soprannaturale; semplicemente esiste come forza primordiale evidente. Così spiega Arnold stesso: "Il mio film agisce sulla base di quella paura fondamentale che prova la gente per tutto ciò che è situato sotto la superficie dell'acqua. Conosciamo tutti, nuotando, la sensazione di sentirci sfiorare il piede da qualcosa di non identificato ‒ fa veramente paura. È il terrore dell'uomo davanti all'ignoto. Ho deciso di utilizzarlo al massimo nel mio film, cercando al tempo stesso di creare simpatia verso il personaggio del mostro".
Le inquadrature di Arnold disegnano un deserto e una riva, cieli vuoti e grigi, lagune nere e impenetrabili fino a farne un affresco spirituale dalle cui profondità tutto potrebbe svilupparsi (come in effetti si svilupperà), perché anche nell'esistenza più quieta e prevedibile cova sempre un'incognita gravida di minaccia. Le scenografie elementari, l'arredamento degli interni sommario e banale acquistano una fantomatica neutralità ‒ e attraverso questi oggetti e la loro eco Arnold produce un'autentica sismografia dell'epoca Eisenhower.
Un film dopo l'altro, Arnold ha creato situazioni in cui la convenzione (per esempio la relazione fra uomo e donna messa alla prova di fronte al più inatteso degli spaventi) si addensa in un timbro surrealista, comico, fumettistico ‒ secondo il cliché e al di là di esso. Il fantastico diventa contrapposizione alla più completa banalità dei dettagli della vita quotidiana e l'America media viene ritratta come sottoprodotto culturale, secondo uno schema che riapparirà in modo particolarmente fecondo nel cinema di Steven Spielberg (e Jaws ‒ Lo squalo, 1975, deve molto a Creature from the Black Lagoon). Il protagonista, l'anonimo e insignificante Richard Carlson, è un eroe dalla stolidità quasi vegetativa, pienamente nel solco dell'epoca (un derivato a basso costo di John Wayne o di Rock Hudson). Jack Arnold è stato un grande ritrattista della più vuota americanità.
Interpreti e personaggi: Richard Carlson (David Reed), Julia Adams (Kay Lawrence), Richard Denning (Mark Williams), Antonio Moreno (Carl Maia), Nestor Paiva (Lucas), Whit Bissell (Edwin Thompson), Bernie Gozier (Zee), Henry A. Escalante (Chico), Julio Lopez (Tomas), Sydney Mason (Matos), Rodd Rewding (Louis), Ricou Browning, Ben Chapman.
Brog., Creature From the Black Lagoon, in "Variety", February 10, 1954.
F.D. McConnell, Song of Innocence: 'The Creature From the Black Lagoon', in "Journal of Popular Film", n. 1, winter 1973.
P.H. Broeske, Creature From the Black Lagoon, in Magill's Cinema Annual 1982, a cura di F.N. Magill, Englewood Cliffs, NJ 1982.
B. Warren: Keep Watching the Skies! America Science Fiction Movies of the Fifties, 1° vol., Jefferson, NC-London 1982.
D.B. Reemes, Directed by Jack Arnold, Jefferson, NC-London 1988.
F. Liberti, Un 'marziano' a Hollywood, in Bergamo Film Meeting 2003, Bergamo 2003 (catalogo).