CRATILO (Κρατύλος, Cratãlus)
Filosofo eracliteo, ateniese, della seconda metà del sec. V a. C. Le rare notizie che se ne hanno (per cui cfr. H. Diels, Die Fragmente der Vorsokratiker, I, 4ª ed., Berlino 1922, pp. 432-33) derivano principalmente da Aristotele (Metaphys., I, 6,987 a 32; IV, 5,1010 a 7 segg.) e dal dialogo platonico che porta il suo nome.
Secondo Aristotele, C. fu maestro a Platone di dottrina eraclitea, che egli conduceva alle più rigorose conseguenze, concependo il divenire come tale che non solo non permettesse (secondo quanto aveva già detto Eraclito) di tuffarsi due volte nello stesso fiume, ma perfino di tuffarcisi una volta sola (giacché, in ogni istante, esso è e non è lo stesso fiume). C. negava con ciò la possibilità di ogni affermazione vera sul reale, e persino quella di pronunciare qualsiasi parola: limitandosi quindi, come dice Aristotele, a "far cenno col dito". Egli portava così all'acme e insieme alla crisi, pur senza averne probabilmente ben chiara coscienza, la posizione eraclitea del divenire come realtà oggettiva. Abbastanza, se non del tutto, coerenti con queste dottrine son quelle attribuite a C. dal dialogo platonico (nelle quali convergono forse, tuttavia, anche motivi genericamente sofistici); quale, anzitutto, quella del linguaggio come in sé assolutamente esatto e veritiero, non potendo esso significare se non ciò che significa, e in ciò non essendo possibilità d'errore. S'intende che tale "esattezza" (ὀρϑότης) intrinseca del linguaggio (per cui quindi esso veniva chiarito, in rapporto alla questione allora viva, come ϕύσει "per natura", e non come ϑέσει "per convenzione"), se corrispondeva in sostanza alla "verità" soggettiva e assoluta di Protagora (costituendo con ciò una nuova documentazione del nesso ideale del protagorismo con l'eraclitismo), non importava affatto la veridicità oggettiva delle affermazioni, che restavano irrealizzabili per l'impossibilità di stabilire una qualsiasi relazione salda fra le parole e il mondo assolutamente mobile della diveniente realtà. Assai meno consona, invece, con l'intuizione fondamentale di C., e quindi di assai discussa conciliabilità, è la teoria, che pur si presenta nel dialogo platonico, di un'ulteriore, e propriamente oggettiva, ὀρϑότης del linguaggio, in quanto esso, nelle sue etimologie (assai bizzarramente ricavate) appariva come testimonio della stessa natura della realtà: anche se questa continuava ad essere intesa appunto sotto l'aspetto del divenire eracliteo.
Bibl.: F. Dümmler, Akademika, Giessen 1889, p. 129 segg.; J. Stenzel, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl. d. class. Altertumswiss., XI, coll. 1660-62 (con la restante bibliografia). Per ciò che concerne il Cratilo platonico, vedi le indicazioni bibliografiche in F. Ueberweg, Grundriss d. Gsch. d. Philosophie, I, 12ª ed., Berlino 1926, p. 77 dell'appendice; M. Warburg, Zwei Fragen zum Kratylos, Berlino 1929.