CRATERE (gr. κρατήρ, dalla radice κρα, da cui il verbo κεράννυμι "mescolare")
Il cratere era un grande vaso, nel quale si faceva la miscela di vino e acqua da servire nei banchetti. Sembra abbia le sue origini nella civiltà assira, donde sarebbe giunto ai Greci per mezzo dei Fenici. Omero infatti (Il., XXIII, 740-749) parla d'un cratere fenicio proposto come premio da Achille nei giochi in onore di Patroclo. D'allora, fino alla fine dell'età romana, il cratere non cessò d'essere uno degli utensili indispensabili alla casa, e insieme un arnese sacro offerto nei templi come dono votivo di gran pregio. Innumerevoli sono i passi di antichi scrittori che fanno menzione del cratere comune, o che riguardano gli esemplari preziosi d'oro e argento cesellato consacrati nei templi, o gli enormi crateri marmorei riccamente ornati posti a decorazione dei giardini romani (Plin., Epist., VI, 5,23), ma non abbiamo nessuna determinazione precisa della forma, sì che non possiamo distinguere il cratere dagli altri vasi che sappiamo essere stati adoperati per i medesimi scopi (dino, pito, stamno, celebe). Si è convenuto pertanto di dare il nome di cratere a tre tipi di vasi di grandi dimensioni e a imboccatura molto larga, usciti in gran numero dal suolo di Grecia e d'Italia. Il primo, dal corpo agile che si apre come il calice d'un fiore è chiamato appunto cratere a calice; il secondo, dalle volute che nascendo dalle anse sormontano la bocca del vaso, è detto cratere a volute; e il terzo, dal corpo più largo, cratere a campana.
Anche la celebe (v.) si fa rientrare nella classe dei crateri, designandola comunemente col nome di cratere a colonnette. Il cratere era sostenuto talora da un treppiede, più o meno ornato, detto ὑποστότης o ὑποκρατηρίδιον. (v. tav. CLIII).
Bibl.: E. Pottier, in Daremberg e Saglio, Dictionnaire des antiquités, I, ii, p. 154 seg. (con la bibl. preced.); E. Pfuhl, Malerei und Zeichnung der Griechen, Monaco 1923, §§ 42, 305, 312.