COTTABO (κότταβος, cottăbos)
Gioco molto in voga presso i Greci e gli Etruschi, e che noi conosciamo dalle descrizioni lasciateci dagli antichi, dalle rappresentazioni vascolari e da varî esemplari, rinvenuti negli scavi, dello strumento che serviva per giocarlo e si chiamava anch'esso cottabo. Alceo e Anacreonte ne parlano già nel sec. VI a. C., ma soprattutto lo troviamo citato dagli scrittori dei secoli V e IV a. C. Si vede di frequente nelle scene di banchetto dipinte su vasi a figure rosse: esso era infatti il passatempo favorito della gioventù ateniese, specialmente durante i conviti. La passione per questo gioco predominò nel suo paese di origine, la Sicilia; i Siciliani si gloriavano della loro abilità nel colpire il bersaglio del cottabo più che della perizia nel lancio del giavellotto, e giunsero al punto di costruire per questo gioco appositi locali rotondi. Anche in Etruria, il cottabo deve essere stato molto in voga: numerosi esemplari si sono trovati nelle tombe e un sarcofago tarquiniese del sec. IV a. C. ci mostra due coniugi che giocano al cottabo nei campi Elisî.
Le fonti parlano di due tipi di cottabo:
1. Cottabo ἐν λεκάνῃ. Consisteva nel lanciare alcune gocce di vino rimaste nel fondo della tazza contro dei piccoli vasi (ὀξύβαϕα) messi a galleggiare in un recipiente pieno d'acqua (λεκάνη): chi ne colpiva il maggior numero rimaneva vincitore, e come premio (κοτταβεῖον) aveva uova, farina, dolci, ecc. La tazza con cui si lanciava il vino era di solito una kylix. Come lekane poteva servire qualunque recipiente. Il giocatore, poggiato sul braccio sinistro, teneva e faceva roteare la tazza con l'indice della mano destra infilato in uno dei manichi e scagliava il vino con uno speciale movimento del braccio.
2. Cottabo κατακτός, descritto da Antifane, di cui si son trovati varî esemplari in Etruria (sono ora nei musei di Firenze e di Perugia) e uno a Naucratide in Egitto (Higgins, in Archaeologia, LI, 1888, p. 389 segg.). È composto di tre parti: un'asta verticale, di lunghezza variabile (m. 1,30-2), assottigliata in alto, di cui un'estremità è fissa sopra una base pesante. Sull'estremità superiore è posto in bilico un dischetto. Negli esemplari trovati in Etruria l'asta termina con una figurina umana, e questa a sua volta regge il dischetto. A mezz'asta è infilato un secondo disco più grande (μάνης), sostenuto da una ghiera fissa o da un anello scorrevole (cottabo di Vetulonia). Il giocatore lanciava il residuo della libazione contro il piattello in bilico che doveva cadere sul manes. Alcuni studiosi chiamarono manes non il disco di mezzo, ma la figurina sostenente il bilico: tale opinione, ammissibile quando non si conoscevano ancora gli esemplari etruschi, è stata abbandonata dai moderni. (Ateneo e gli Scoliasti dànno descrizioni confuse di questo tipo di cottabo).
Il gioco del cottabo continuò ancora nel sec. III a. C., poi cadde in disuso. I Romani non lo hanno conosciuto (Plaut., Trinum., 1011, traduce l'originale greco).
Fonti: Athen., X, 427 d; XI, 479 c, 487 d, 782 d; XV, 665 d segg.; Schol. ad Aristoph., Pace, 343, 1242, 1244, 1444; Schol. ad Luc., Lexiph., 3; Poll., VI, 109 segg. Questi non conoscono personalmente il giuoco del cottabo; ma traggono da scrittori anteriori e non sempre li interpretano rettamente.
Bibl.: G. Lafaye, in Daremberg e Saglio, Dictionnaire des antiquités, III, 866 segg.; K. Schneider, Kottabos, in Pauly-Wissowa, Real-Encyklopädie der class. altertumswissensch., XI, col. 1528 segg., che citano la bibliografia precedente. Per i cottabi etruschi: G. Koerte, Das Volumniergrab bei Perugia, Exkurs, p. 41, in Abhandl. Göttinger gelehrte Gesell., n. s., XII (1909); L. Milani, Rendic. Lincei, 1894, p. 268 segg.; L. Pernier, in Ausonia, IX, p. 19 segg. Per le rappresentazioni su vasi dipinti: S. Reinach, Répertoire des vases peints, I, Parigi 1899, pp. 32, 56, 178, 207, 320, 337; II, Parigi 1900, p. 321, 336.