Costruzione su bene in comunione e accessione
La tematica dell’accessione, pur riguardando un istituto tradizionale del nostro ordinamento, presenta risvolti pratici attuali non da poco, soprattutto con riferimento al suo rapporto con la disciplina della comunione ordinaria e del condominio. Il contributo che segue esamina la più recente giurisprudenza di legittimità in materia la quale, affrontando la questione della relazione fra comproprietario costruttore e comproprietario non costruttore di un terreno in comunione, cerca di trovare un complesso punto di equilibrio fra istituti distinti ed in potenziale reciproco conflitto, al fine di garantire una maggiore certezza dei trasferimenti immobiliari.
Le Sezioni Unite hanno esaminato, con la sentenza 16.2.2018, n. 3873, i rapporti fra accessione, comunione dei beni e condominio. Nel giudizio de quo l’attore ha chiesto lo scioglimento della comunione dei beni realizzati nel sottosuolo di un terreno dalla parte convenuta, con la quale era comproprietario pro indiviso del fondo, con attribuzione delle quote di spettanza di ciascuno previa individuazione dei conguagli. Peraltro, la menzionata convenuta, nel costituirsi, ha rilevato che alcune delle porzioni interrate e seminterrate costruite ex novo ed oggetto del contendere erano di sua proprietà esclusiva. I giudici di merito hanno accolto la tesi della parte convenuta. La corte di appello, per escludere la comproprietà di quanto realizzato nel sottosuolo, ha affermato che alle costruzioni eseguite da uno dei comunisti su un terreno comune non si applicava la disciplina sull’accessione ex art. 934 c.c., che si riferiva alle opere su terreno altrui, ma quella sulla comunione. Pertanto, la nuova costruzione diveniva di proprietà pure dei condomini non costruttori solo se realizzata con il rispetto delle norme sui limiti del comproprietario nell’uso delle cose comuni, mentre le opere abusivamente create non diventavano beni condominiali per accessione. La Corte di cassazione è stata adita dall’attore in primo grado, che ha contestato l’affermazione della corte territoriale secondo cui il comproprietario, avendo pagato il costo delle opere, avrebbe avuto diritto di appropriarsi dell’intero bene o, comunque, di quanto costruito. Egli ha sostenuto che non poteva essere esclusa l’applicazione del principio dell’accessione perché le opere erano state eseguite da un comproprietario, tanto più che non vi era stata alcuna pattuizione scritta che legittimasse il radicale mutamento della destinazione del bene. Perciò, la costruzione delle unità immobiliari interrate ad iniziativa della convenuta costituiva appropriazione di parte della cosa comune, che poteva essere legittimata esclusivamente dal consenso scritto di tutti i partecipanti, e il comproprietario non costruttore aveva il diritto di fare proprie le opere pro quota, pagandone, in tale misura, se richiesto, il costo. La Seconda Sezione civile della Corte di cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite una questione concernente l’esistenza di un contrasto nella giurisprudenza di legittimità. Secondo un orientamento più risalente, per il principio dell’accessione la costruzione su suolo comune era pure comune, salvo diverso accordo scritto. Pertanto, per l’attribuzione in proprietà esclusiva ai contitolari dell’area comune dei singoli piani della costruzione erano inidonei sia il possesso esclusivo del piano che il relativo accordo verbale od il diverso contributo alle spese. Per una interpretazione più recente, invece, la disciplina sull’accessione ex art. 934 c.c. si riferiva alle sole costruzioni su terreno altrui, mentre a quelle eseguite da un comproprietario su terreno comune non si applicava tale disciplina, ma quella della comunione. La nuova opera diveniva, allora, proprietà comune dei condomini non costruttori se realizzata in conformità di detta disciplina; al contrario, le opere abusivamente realizzate non potevano considerarsi beni condominiali per accessione, ma proprietà del costruttore. Il Collegio remittente ha ritenuto che quest’ultima impostazione meritasse di essere rimeditata, «destando perplessità che l’edificazione sull’area comune da parte di uno solo dei comunisti in violazione degli artt. 1102 ss. c.c., riceva il beneficio dell’assegnazione della proprietà esclusiva della costruzione, difficilmente inquadrabile in uno dei modi di acquisto stabiliti dall’art. 922 c.c.».
La Suprema Corte ribadisce come l’accessione sia espressione del carattere assoluto del diritto di proprietà. Essa, quale modo di acquisto della proprietà a titolo originario, nasce nel diritto romano che, però, non aveva ricondotto ad unità le fattispecie in cui veniva in rilievo. Tale elaborazione si doveva ai giuristi medievali ed era stata recepita nel codice napoleonico e, poi, trasfusa nel primo codice civile italiano. Il legislatore del 1942, al contrario, non aveva dato una definizione dell’istituto. Le Sezioni Unite rinvengono l’elemento comune alle ipotesi di accessione regolate dal codice civile nel collegamento dell’acquisto della proprietà al fatto materiale ed obiettivo dell’incorporazione, da intendersi come unione stabile di una cosa con un’altra, non rilevando se avvenuta naturalmente o per opera dell’uomo. In particolare, fattore unificante delle dette ipotesi è la regola generale dell’art. 934 c.c. per cui il proprietario della cosa principale diviene proprietario di quella accessoria quando la seconda si congiunga stabilmente alla prima.
La decisione de qua esamina, passando in rassegna i due contrapposti orientamenti giurisprudenziali, la questione se l’accessione operi qualora la proprietà del suolo sia comune a più soggetti ed uno od alcuni di essi vi abbiano edificato. La conclusione è che, per il principio dell’accessione, la costruzione su suolo comune del singolo comproprietario è pure comune, salvo diverso accordo scritto. Le Sezioni Unite negano che presupposto dell’accessione sia la qualità di terzo del costruttore rispetto al dominus soli e che l’efficacia dell’istituto sia preclusa dal fatto che, in presenza di una comunione del suolo, la costruzione sia realizzata da uno dei comproprietari. Ciò perché l’art. 934 c.c., norma generale in materia, non conterrebbe riferimenti al costruttore, venendo in rilievo una nozione ampia di accessione collegata alla onnicomprensiva definizione della stessa contenuta nell’art. 443 c.c. del 1865, che vi includeva l’acquisto dei frutti prodotti dal fondo (art. 444) e, quindi, concerneva anche le opere eseguite dal proprietario del suolo. Questa interpretazione trarrebbe conferma dalla lettura sistematica delle disposizioni sull’accessione e dalla circostanza che i casi di accessione in cui il costruttore è terzo rispetto ai proprietari del fondo sono regolati dagli artt. 936 e 937 c.c., il che escluderebbe che l’art. 934 c.c. possa riferirsi alle costruzioni del terzo. Inoltre, l’art. 935 c.c., che disciplina l’accessione ove la res sia edificata dal dominus soli con materiali altrui, ha ad oggetto una situazione nella quale l’accessione avviene benché costruttore e dominus soli coincidano. A riprova che l’accessione non presuppone la distinzione soggettiva tra proprietario del suolo e costruttore sarebbe la giurisprudenza di legittimità in tema di comunione legale, per la quale l’opera realizzata durante il matrimonio dai coniugi su fondo di proprietà di uno solo di essi appartiene a quest’ultimo, in base al principio di accessione, e non entra nella comunione legale1. Ne consegue, alla luce di una interpretazione sia letterale che sistematica delle norme sull’accessione, che la regola generale di cui all’art. 934 c.c. prescinde dal riferimento soggettivo all’autore della costruzione e si applica anche alla costruzione del singolo comproprietario sul suolo comune. La Suprema Corte nega, poi, che, ove il fondo appartenga a più soggetti, l’art. 934 c.c. sia derogato dalla disciplina della comunione. Infatti, non vi è, tra accessione e comunione, rapporto di genere a specie, poiché la seconda regola le relazioni tra comproprietari nell’uso e nel godimento della cosa comune e i limiti entro cui sono ammessi atti eccedenti l’ordinaria amministrazione del bene comune o permesse le innovazioni e la disposizione della res comune, ma non incide sui modi di acquisto della proprietà in deroga al principio dell’accessione. Lo stesso art. 1102 c.c. sulla comunione consente al partecipante di servirsi della res comune «purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto». La medesima ratio è a fondamento degli artt. 1108 e 1120 c.c. sulle innovazioni, che vietano al singolo comproprietario, se non autorizzato, di cambiare destinazione al suolo comune e di edificarvi per escludere gli altri comunisti dal relativo godimento.
La Corte, inoltre, critica l’affermazione che la costruzione di uno dei comproprietari sul suolo comune diverrebbe di proprietà di tutti i comunisti solo se eseguita in conformità alle regole sulla comunione mentre, in caso contrario, sarebbe di proprietà esclusiva del costruttore, che sottrarrebbe agli altri comunisti altresì la proprietà del suolo ove sorge l’opera. Per le Sezioni Unite, la tesi rigettata creerebbe una nuova figura di acquisto a titolo originario della proprietà priva di base legale, nonostante la riserva di legge imposta dall’art. 42 Cost., non essendo contemplata dall’art. 922 c.c., né da una norma specifica. Si avrebbe, quindi, una sorta di espropriazione della proprietà privata in assenza di un interesse generale e senza indennizzo che premierebbe, invece di sanzionare, il comproprietario che commette un abuso. Secondo la Corte, non rileverebbe il fatto che l’art. 934 c.c. faccia salve le deroghe alla regola dell’accessione previste dalla legge o dal titolo. Infatti, nessuna delle eccezioni stabilite dalla legge riguarda la comunione del suolo né il titolo può essere costituito da un negozio unilaterale, essendo necessario un contratto stipulato tra il proprietario del suolo e il costruttore che attribuisca a quest’ultimo il diritto di proprietà sulle opere realizzate, con la costituzione di un diritto di superficie, e che sia redatto per iscritto ex art. 1350 c.c., come pure la rinuncia del proprietario al diritto di accessione. Le Sezioni Unite, pertanto, stabilito che la costruzione su suolo comune appartiene a tutti i comproprietari del medesimo in proporzione alle rispettive quote, hanno tentato di definire il regime giuridico dei rapporti tra il comproprietario costruttore e gli altri. Esse hanno rilevato che l’art. 934 c.c. nulla dispone circa la relazione tra edificatore e dominus soli e che deve escludersi che la materia possa essere regolata dall’art. 936 c.c., trattandosi di disposizione relativa alle «Opere fatte da un terzo» e non potendo il comproprietario del fondo essere qualificato terzo rispetto agli altri comunisti. Pertanto, hanno ricavato la disciplina dei rapporti tra comproprietario costruttore e non costruttore dalle norme sulla comunione, in primis quelle sull’uso della cosa comune e sulle innovazioni. Infatti, la costruzione su terreno comune, in quanto innovazione, deve essere deliberata ai sensi degli artt. 1108 c.c. (per la comunione ordinaria) e 1120 e 1121 c.c. (per il condominio), con il limite di non pregiudicare l’utilizzo della res da parte di alcuno dei partecipanti. Perciò, quando la costruzione sia stata edificata senza autorizzazione della maggioranza dei condomini ovvero leda il godimento della cosa comune di tutti i comproprietari, colui che ha patito un danno dall’opera può esercitare le ordinarie azioni possessorie e l’azione di rivendicazione. Il comproprietario può anche avvalersi dello ius tollendi e pretendere la demolizione del manufatto lesivo del suo diritto tramite la tutela in forma specifica ex art. 2933 c.c. Tale demolizione può essere decisa, al di fuori del caso di offesa al diritto del singolo comunista, dalla maggioranza dei comproprietari secondo il disposto dell’art. 1108 c.c.
La Corte di cassazione ha ritenuto, però, che il ricorso allo ius tollendi debba essere coniugato con i principi di tolleranza, affidamento e buona fede, che sono sottesi all’art. 936, co. 4, c.c., il quale stabilisce che «il proprietario non può obbligare il terzo a togliere le piantagioni, costruzioni ed opere, quando sono state fatte a sua scienza e senza opposizione o quando sono state fatte dal terzo in buona fede». In pratica, essendo principi generali dell’ordinamento giuridico, non è stato reputato di ostacolo alla loro applicazione il fatto che l’art. 936 c.c. non riguardi le opere edificate dal comproprietario sul suolo comune. Essa ha, quindi, distinto la fattispecie del comproprietario costruttore che abbia agito contro l’esplicito divieto dei condomini o a loro insaputa da quella in cui egli abbia operato, se non col consenso, a scienza e senza opposizioni degli altri comproprietari. Nella prima eventualità, ove siano state violate le norme sul condominio, hanno riconosciuto lo ius tollendi al comproprietario non costruttore. Nella seconda, invece, hanno negato tale diritto a tutela della buona fede e dell’affidamento del costruttore. Per lo stesso motivo, hanno affermato che pure la mera tolleranza, ossia la mancata reazione del comproprietario non costruttore all’abuso intrapreso dal comunista costruttore, protratta per un congruo periodo di tempo dal giorno della notizia dei lavori, precluderebbe l’esercizio dello ius tollendi. In particolare, il consenso alla costruzione, manifestato da un comunista all’altro, può essere dato con ogni forma e persino verbalmente, non attenendo alla sfera dei diritti reali e non impedendo l’accessione, poiché il suo rilievo giuridico non riguarda l’acquisto della proprietà dell’opera, ma i reciproci diritti e obblighi dei comproprietari e i loro rispettivi poteri in ordine ad una res divenuta comune. Infine, la Corte ha precisato che, ove lo ius tollendi non sia (o non possa essere) azionato, sorge, in favore del comproprietario costruttore, un diritto di credito verso gli altri comunisti, divenuti per accessione comproprietari dell’opera, al fine di ottenere il rimborso delle spese di edificazione dal medesimo sopportate, secondo le norme che regolano la comunione e gli altri istituti applicabili.
La decisione delle Sezioni Unite di ammettere l’applicabilità della disciplina dell’accessione in caso di costruzione realizzata su suolo comune da uno dei comproprietari è stata accolta positivamente in dottrina2. Peraltro, è stato criticato il passaggio della sentenza in esame in cui, ammessa l’operatività dell’accessione, si precisa che l’art. 936 c.c. non è invocabile, non essendo il comunista o condomino “terzo”, ma, poi, si afferma che, a tutela della buona fede e dell’affidamento del costruttore, i comproprietari non costruttori non possono esercitare lo ius tollendi ove l’edificatore abbia operato a scienza e senza opposizioni degli altri interessati, o qualora vi sia una tolleranza protratta per un congruo periodo di tempo dal giorno della notizia dei lavori.
Tale passo della motivazione riecheggia, secondo parte della dottrina3, la Verwirkung, istituto tedesco di origine giurisprudenziale, nato per assolvere ad una funzione equitativa, in virtù del quale, se il titolare di un diritto non se ne avvalga per un significativo periodo di tempo e se concorrono circostanze che facciano nascere nella parte l’affidamento che il detto diritto non verrà esercitato, la successiva pretesa del titolare di azionare il diritto può essere paralizzata invocando la violazione del principio di buona fede. La giurisprudenza italiana non ha seguito quella tedesca in materia, applicando la Verwirkung (probabilmente temendone la portata espansiva4) in casi e settori limitati (come nel diritto del lavoro) e quando il diritto sia utilizzato in ritardo con il fine di danneggiare la controparte e senza un apprezzabile interesse per il titolare. Questa tendenza restrittiva si spiega con la volontà di non derogare alle regole su prescrizione e decadenza in contrasto con l’art. 2936 c.c. e con i principi in tema di rinuncia, con l’assenza di precisi referenti positivi e con il desiderio di non riconoscere una eccessiva discrezionalità ai giudici. La dottrina rileva che la conclusione della Corte di cassazione, pur giustificandosi con l’intento di riprodurre il meccanismo dell’art. 936 c.c., rischia di condurre ad un sistema molto più elastico di quello codicistico, divenendo i confini dello ius tollendi poco definiti, con conseguente aumento delle questioni applicative, soprattutto nell’ambito dei diritti reali. In tale ottica, si sostiene che sarebbe stato forse più opportuno ricorrere ad una applicazione estensiva od analogica del menzionato art. 936 c.c.5 Queste considerazioni, certo degne di attenzione, dovrebbero, però, tenere maggiormente conto delle peculiarità della fattispecie, alla luce delle quali la decisione va ragionevolmente letta.
Infatti, sembra doveroso osservare che il terreno de quo era in comunione fra due soli proprietari (le parti del giudizio) e che non era in contestazione, in sede di legittimità, che i lavori fossero avvenuti con il loro reciproco accordo.
1 Cass., S.U., 27.3.1996, n. 651.
2 Cimmino, N.A., Immobile edificato su suolo comune da uno solo dei comproprietari, in Notariato, 2018, 300.
3 Bona, C., Accessione, comunione e Verwirkung, in Foro it., 2018, I, 1215 ss.
4 Bona, C., Accessione, cit., 1216.
5 Bona, C., Accessione, cit., 1217.