COSTO DELLA VITA
(XI, p. 656; App. II, I, p. 712; III, I, p. 448; IV, I, p. 541)
Nell'analisi economica il termine c. della v. indica la somma spesa da una famiglia per i suoi consumi. I confronti nel tempo e nello spazio di tali spese, qualora i prezzi dei beni e le preferenze dei consumatori rimangano invariati, permettono d'individuare i divari effettivi esistenti nel livello di benessere da essi raggiunto. In realtà però sia prezzi che preferenze cambiano; ciò rende necessario tener conto di tali variazioni nei citati confronti.
Il metodo più comunemente usato nel sistema delle statistiche nazionali e internazionali consiste nel depurare i rapporti nel tempo e nello spazio tra spese quantomeno degli effetti delle variazioni dei prezzi. A questo scopo si può procedere a un calcolo delle variazioni del livello complessivo dei prezzi. Una via alternativa consiste nel calcolare le variazioni delle quantità dei beni effettivamente consumate a parità dei relativi prezzi. Nel primo caso vengono stimati indici di variazione dei prezzi, nel secondo caso numeri indici di quantità. Nello studio del comportamento del consumatore, in particolare, gli indici del c. della v. costituiscono indicatori utili nel confronto tra situazioni diverse di cui si voglia individuare la situazione ''migliore'' (di maggior benessere) per il consumatore. Essi si utilizzano per separare nelle variazioni del reddito monetario quelle imputabili a variazioni del reddito reale da quelle dovute alle variazioni del potere d'acquisto della moneta.
In particolare i numeri indici di prezzo rendono possibile l'individuazione della situazione, tra quelle confrontate, nella quale l'individuo deve pagare in media un prezzo più elevato (o inferiore) per un medesimo paniere di beni che consuma, mentre i numeri indici di quantità consentono d'individuare in quale situazione un soggetto consegue, in media, una maggiore (o una minore) quantità di beni da consumare.
Gli indici di prezzo e di quantità più diffusamente utilizzati per queste analisi sono quelli di E. Laspeyres e di H. Paasche, così denominati dai nomi degli studiosi che hanno proposto le due formule di calcolo. Gli indici di prezzo di Laspeyres sono indici ponderati alla base, in quanto i prezzi sono moltiplicati per le quantità consumate nell'anno base, e nel caso di indici di quantità queste sono moltiplicate per i prezzi delle transazioni dell'anno base.
Gli indici di Paasche sono indici a ponderazione corrente, poiché sono calcolati in base ai prezzi o alle quantità dell'unità di tempo che viene confrontata con il periodo base.
Gli indici di Laspeyres o gli indici di Paasche sono i più comunemente usati perché consentono confronti tra paesi o, con riferimento allo stesso paese, tra tempi diversi sulla base di ipotesi restrittive, ma assai trasparenti. Occorre, tuttavia, tener presenti i limiti e le ipotesi implicite nella loro stima. Nel caso, per es. di indici dei prezzi di Laspeyres, l'ipotesi implicita è che le preferenze rimangano costanti nel tempo e che le elasticità di domanda diretta e incrociata dei singoli beni rispetto ai prezzi relativi siano pari a zero.
Qualora per es. si voglia confrontare il livello del benessere di un soggetto facendo riferimento a una situazione in cui prezzi e reddito varino, si potrà rilevare un miglioramento (o un peggioramento) del benessere dell'operatore determinato dal suo maggiore (o minore) potere d'acquisto, nell'ipotesi di staticità delle sue preferenze e di assenza di nuovi prodotti (o d'innovazione di prodotto), confrontando il reddito speso per consumi al netto delle variazioni di prezzo.
Per ricorrere a un esempio, supponiamo che il reddito di una famiglia sia pari a 1000 nell'anno 1 e pari a 1200 nell'anno 2. Ciò vuol dire che in termini monetari esso ha registrato un incremento del 20%. Questo aumento potrebbe aver migliorato le condizioni di vita della famiglia, ma potrebbe anche nella realtà risultare neutralizzato da variazioni del livello dei prezzi dei beni che entrano nel paniere dei consumi della famiglia.
Per valutare l'eventuale variazione del benessere dell'operatore si dovrà tener conto della variazione registrata in realtà dal c. della vita. A questo fine vengono utilizzati i numeri indici sopra ricordati. Nel caso ipotizzato si dirà che il consumatore sta meglio (peggio) di prima se l'indice dei prezzi assumerà un valore inferiore (superiore) a 1,20, essendo stato ipotizzato un incremento del reddito monetario del 20%. Questo significa che la quantità dei beni e servizi acquistabili dal nostro consumatore (''reddito reale'') è aumentata (diminuita).
Per misurare la variazione intertemporale nel livello di vita di un consumatore non è, cioè, sufficiente limitarsi a osservare i dati prezzo-quantità, ma è necessario confrontare i valori assunti dall'indice di reddito o di spesa (che misura il variare del reddito monetario o della spesa nell'intervallo in esame) con quelli assunti dagli indici di prezzo nello stesso intervallo temporale. La misura delle variazioni di benessere associata alla depurazione delle variazioni di spesa corrente della componente variazione dei prezzi dipende in modo cruciale dal tipo di indice che si utilizza. Così, per es., se l'indice di Laspeyres soppravaluta l'effetto prezzo perché non tiene conto delle variazioni di quantità domandate in funzione delle variazioni dei prezzi relativi, l'indice di Paasche sottostima in genere tali variazioni. Più in generale si può dire che se è estremamente utile il riferimento a quantità o prezzi fissi di un anno base non è meno vero che possono emergere arbitrarietà così come del resto è dimostrato dalle variazioni del profilo temporale degli indici di quantità e degli indici di prezzo quando vengono aggiornate le basi.
È per le suddette ragioni che, accanto ai citati indici, la teoria economica ha suggerito la stima di indici ''funzionali''. Questi ultimi genericamente possono essere definiti, con riferimento per es. a indici di prezzo, sulla base del calcolo di un sistema di pesi (ossia di quantità di beni e servizi) che lasciano il consumatore sulla stessa superficie d'indifferenza di fronte a variazioni nel livello generale dei prezzi e nei prezzi relativi. La variazione nel livello dei prezzi corrisponde a quanto deve aumentare il reddito monetario del consumatore o del sistema delle famiglie perché non si registri nessuna perdita di benessere di fronte a variazioni nel sistema dei prezzi. La parte di reddito monetario che eccede questa cifra (se esiste) determina effettivamente un incremento di benessere del consumatore (a questo proposito, oltre alle indicazioni delle pubblicazioni di carattere teorico inserite nella bibliografia acclusa, v. gli esempi più diffusi di stima quantitativa in R.N. Klein, H. Rubin, J.R.N. Stone e R.A. Pollak).
Pur con i limiti derivati dalle ipotesi e dai metodi adottati per il loro calcolo (quali le ipotesi di staticità dei gusti dei consumatori e di qualità costanti dei beni), i numeri indici di prezzo trovano applicazione pratica in particolare con riferimento a situazioni d'inflazione (per es. nella contrattazione salariale).
Bibl.: R. Frisch, Annual survey of general economic theory. The problem of index numbers, in Econometrica, 1936, pp. 1-38; L. R. Klein, H. Rubin, Constant-utility index of the cost of living, in The review of economic studies, 1947-48, pp. 84-87; J. R. N. Stone, The measurement of consumers' expenditure and behavior in the United Kingdom, 1820-1938, vol. i, Cambridge 1953; T. Kloek, H. Theil, International comparisons of prices and quantities consumed, in Econometrica, 1965, pp. 535-56; J. de V. Graaf, Teoria dell'economia del benessere, trad. it., Milano 1966; G. J. Stigler, The theory of price, New York 1967; R. A. Pollak, The theory of the cost-of-living index, in Research Discussion Paper, n. 11, Office of Prices and Living Conditions, U. S. Bureau of Labor Statistics, June 1971; L. Philips, R. Sanz-Ferrer, A dynamic true index of the cost of living, Working Paper 7201, Institut des Sciences Economiques, Lovanio 1972, ciclostilato; J. Muellbauer, The cost of living and taste and quality changes, in Journal of Economic Theory, 1975, pp. 269-83; E. Mansfield, Microeconomia, trad. it., Bologna 1975; R. A. Pollak, The intertemporal cost-of-living index, in Annals of economic and social measurement, 1975, pp. 179-95; S. Zamagni, Economia politica, Roma 1984; H. R. Varian, Microeconomia, trad. it., Venezia 1987.
Statistica. - Gli indici del c. della v. hanno in Italia una tradizione relativamente lunga, dal momento che i primi esempi di costruzione risalgono al 1914; dal 1968 hanno assunto la denominazione ufficiale di ''numeri indici dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati'', e sono calcolati dall'ISTAT (Istituto centrale di Statistica).
In termini formali il c. della v. è dato dal rapporto:
dove il denominatore − So = ΣQoPo − rappresenta la spesa effettiva iniziale (So) necessaria ad acquistare un determinato paniere di beni (Qo) ai relativi prezzi di mercato (Po). Il numeratore della [1] − S*t = ΣQoPt− costituisce la parte variabile dell'indice, e rappresenta la spesa (S*t) teoricamente necessaria ad acquistare ai prezzi correnti di mercato (Pt) sempre il paniere di beni e servizi dell'anno iniziale (Qo).
La [1] può essere trasformata moltiplicando e dividendo ciascun termine del numeratore per il relativo prezzo dell'anno iniziale:
e ulteriormente semplificata utilizzando, al posto dei valori assoluti dei prezzi e delle quantità, i corrispondenti valori relativi:
dove:
Dal punto di vista statistico la [3] si presenta come una media aritmetica ponderata, con pesi costanti [4], degli indici semplici di prezzo [5]. Per praticità i rapporti vengono generalmente moltiplicati per 100, per cui nell'unità di tempo iniziale, denominata anche anno base, il risultato del calcolo è Co=100. Per consuetudine la base degli indici è riferita all'anno cui il valore Co è relativo, per cui si usa scrivere, ad esempio nelle intestazioni delle tabelle, 1970=100 o 1985=100, per indicare che si tratta di indici costruiti rispettivamente a base 1970 oppure 1985.
Essenziale per la costruzione di un significativo indice del c. della v., è l'individuazione dei beni e servizi più rappresentativi da includere nell'indice, e soprattutto la determinazione dell'importanza relativa di tali beni e servizi, ovvero dei pesi Wo.
Per quanto riguarda il primo punto, pur ricordando che la bontà e la rappresentatività di un indice sintetico di prezzo dipendono non tanto dal numero elevato di merci considerate, quanto piuttosto da una loro scelta razionale (esperimento del Fisher), si può sottolineare come in Italia sia sia progressivamente passati dalle 7 diverse merci considerate nel primo indice costruito nel 1914 dall'Ufficio governativo del lavoro, ai 345 beni e servizi presi in considerazione dall'ISTAT per il calcolo degli indici a base 1989.
Per quanto riguarda la determinazione dei pesi, nei primi indici costruiti in Italia si è seguito il metodo del bilancio teorico, che consiste nel fissare per un certo tipo di famiglia (per esempio di 4 persone, padre, madre e due bambini, come negli indici costruiti dall'ISTAT a partire dal 1953), una lista di consumi con il relativo peso, sulla base dell'osservazione comune confortata dagli eventuali dati disponibili.
A partire dagli indici 1966=100 l'ISTAT ha utilizzato il metodo del bilancio tipo, basato cioè sui bilanci familiari effettivi (all'epoca quelli risultanti dall'indagine sui bilanci di famiglia 1963-64). Con i numeri indici costruiti successivamente − e cioè a base 1970, 1976, 1980, 1985, 1989 − l'ISTAT ha integrato tale metodo con quello dei consumi complessivi: i pesi relativi alle varie voci derivano dai consumi finali interni delle famiglie di contabilità nazionale. Tali dati si riferiscono all'intera collettività, e non al solo universo di particolare interesse per l'indice in questione (famiglie di operai e impiegati, o di lavoratori dipendenti extra-agricoli): i pesi Wo sono quindi ottenuti modificando, voce per voce, il valore dei consumi dell'intera collettività sulla base del rapporto, desumibile dall'indagine sui bilanci di famiglia, tra l'ammontare delle spese delle famiglie in questione e l'ammontare delle spese di tutte le famiglie.
In seguito alle successive revisioni, la struttura dei coefficienti di ponderazione si è profondamente modificata, riflettendo così il progressivo mutamento delle abitudini di consumo delle famiglie italiane nell'arco di mezzo secolo (tab. 1).
I numeri indici del c. della v. vengono calcolati con periodicità mensile e riassunti in medie annuali; la pubblicazione statistica assume la forma della tab. 2.
Gli indici del c. della v. vengono anche calcolati e pubblicati dall'ISTAT per tutte le città capoluogo di provincia. Occorre fare bene attenzione al significato di tali valori, e non confondere − come spesso accade − il c. della v. quale indice di variazione dei prezzi rispetto all'anno base nei diversi comuni, col valore assoluto comparativo del c. della v. tra i comuni stessi in un dato anno. Ad esempio, se gli indici del c. della v. (1985=100) di Milano e Roma sono rispettivamente 116,9 e 115,9 nel 1988, ciò significa semplicemente che, rispetto al livello medio in ciascuna città nel 1985, i prezzi di Milano sono aumentati di più di quelli di Roma; in valore assoluto, i primi potrebbero essere anche inferiori ai secondi, nel 1985 come nel 1988.
La costruzione di indici del c. della v. con finalità di comparazione territoriale dei valori assoluti dei prezzi − fra città o regioni diverse ecc. − procede, sul piano metodologico, in maniera esattamente analoga a quanto indicato in precedenza per gli indici temporali (espressioni [3-5]). Un indice di tale tipo è per esempio quello elaborato dall'ISCE (Istituto Statistico delle Comunità Europee) al fine di calcolare le Parità di potere d'acquisto (Ppa) tra i vari paesi membri (tassi di cambio tra le monete CEE diversi dalle quotazioni rilevate sui mercati finanziari, in quanto calcolati in base ai rapporti fra i prezzi interni dei paesi stessi).
Fra i principali impieghi dell'indice del c. della v. il più noto è senza dubbio nei contratti collettivi di lavoro, per l'adeguamento delle retribuzioni agli aumenti appunto del c. della vita. Viene usato a tal fine uno specifico indice − il cosiddetto indice sindacale − calcolato dall'ISTAT in conformità con gli accordi tra le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro, e basato su un paniere di beni e servizi che fa ancora riferimento ai consumi delle famiglie di operai e impiegati degli anni Cinquanta.
Fino a tutto il 1985, la parte di retribuzione salariale di ciascun lavoratore legata al c. della v. (denominata anche indennità di contingenza o scala mobile) è stata incrementata della stessa cifra fissa per ogni punto di aumento dell'indice: 6.800 lire per un punto dell'indice 1982 (agosto-settembre)=100. In seguito agli eccessivi effetti redistributivi determinati da tale meccanismo di scala mobile fra gli anni Settanta e Ottanta (appiattimento salariale), la l. n. 38 del 26 febbraio 1986 ha abolito il punto unico di contingenza, e ha introdotto un sistema di parziale indicizzazione del salario individuale: la retribuzione mensile è indicizzata al 100% per un prima quota, pari a 580.000 lire nell'ottobre 1985, e al 25% per la parte eccedente (un aumento dell'indice del c. della v. dell'1% incrementa la prima quota dell'1% e la seconda dello 0,25%).
Bibl.: ISTAT, Numeri indici dei prezzi al consumo, Base 1985=100, in Metodi e norme, s. A, n. 23, Roma 1987; Id., Bollettino economico, dicembre 1990; Banca d'Italia, Relazione del Governatore, anno 1990, Appendice.