CIANO, Costanzo
Nacque a Livorno il 30 ag. 1876da Rainiondo e Argia Puppo. Fu avviato quindicenne, come i suoi fratelli Alessandro e Arturo, a seguire le orme del padre, capitano marittimo e armatore di velieri da carico, e il 3 nov. 1891 entrò nell'Accademia navale di Livorno, nella quale rimase fino al 16 luglio 1896, allorché conseguì la nomina a guardiamarina.
Sottotenente di vascello (1° luglio 1898), fu promosso tenente il 16 sett. 1901 e fu addetto alla scuola per mozzi sul veliero "Miseno"; successivamente fu sulla "Caracciolo", sulla "Pisa" in allestimento, sul caccia "Fulmine". Sposò nel novembre 1901 Carolina Pini, figlia di un benestante livornese; il 18 marzo 1903 nacque il primogenito, battezzato Galeazzo in omaggio al suocero da poco scomparso.
Negli anni successivi si trasferì con la famiglia alla Spezia, per dirigere la scuola semaforisti e telegrafisti della marina, posta nel forte di Varignano. Fu impegnato nella guerra di Libia, al comando della torpediniera "A. 22", poi di piroscafi requisiti per trasporti oltremare, fra i quali il "Siracusa", meritando un encomio solenne per la sua attività. Nella primavera del 1914 venne nominato primo tenente di vascello, e gli venne affidato il comando del "Misurata", alla fonda nel porto di Durazzo, con il compito di sorvegliare la situazione albanese; sempre al comando del "Misurata" fu sorpreso dallo scoppio della prima guerra mondiale nel porto di Tobruk, dove prese parte alla cattura di alcuni ribelli senussiti, ottenendo una medaglia d'argento al valor militare.
Esperto di armi subacquee, fu trasferito nell'agosto del '15 alla direzione del silurificio di Venezia. Il 10 apr. 1916 sostituì il fratello Arturo al comando dei cacciatorpediniere "Zeffiro", adibito a compiti di esplorazione e di posamine davanti alle coste dell'Impero austriaco. Il 12 giugno scortò Nazario Sauro ed altri in una incursione nelle acque di Parenzo, ed ottenne così la seconda medaglia d'argento. La terza fu da lui conseguita partecipando ad una incursione con i mas nelle acque di Pola contro la nave austriaca "Maria Teresa". Capitano di fregata dall'agosto '17, fu anche in seguito fra i massimi sostenitori di questo tipo di guerriglia, fondata sull'impiego dei mas, all'interno della marina italiana. La prima impresa della quale detenne la responsabilità diretta fu quella compiuta il 16 nov. 1917 in mare aperto, davanti a Cortellazzo, e che si inserì nel blocco dell'offensiva delle corazzate "Wien" e "Budapest", partite da Trieste per bombardare le posizioni difensive italiane alla foce del Piave. Al C. fu conferita la quarta medaglia d'argento. Nella notte fra il 10 e l'11 febbr. 1918 prese parte con D'Annunzio a quella che in seguito venne definita la beffa di Buccari, spingendosi con i mas fin dentro la costa dalmata, a est di Fiume, e affondando un piroscafo austriaco nella baia di Buccari.
Finita la guerra, nonostante le concrete possibilità di carriera che gli si schiudevano grazie ai meriti acquisiti (il C. era stato proposto al grado di contrammiraglio), chiese di essere collocato nella riserva e passò al lavoro civile, accettando la più remunerativa direzione della compagnia di navigazione "Il mare". offertagli dall'industriale Giovanni Agnelli.
A quel tempo il C. era su posizioni genericamente nazionaliste, professando idee comuni a moltissimi ex combattenti, centrate sulla polemica attorno alla definizione dei confini orientali dellItalia prevista nei trattati di pace, e sulla rivendicazione del ruolo dei combattenti nella vita sociale e politica. La sua prima manifestazione politica attiva fu la candidatura nelle liste dell'Unione democratica per la circoscrizione Livorno-Pisa nelle elezioni politiche del novembre 1919, ma non risultò fra gli eletti.
Inasprendosi i termini dello scontro sociale e politico nel paese, aderì al movimento fascista ormai irrobustitosi in tutta la penisola, e nella primavera del 1921 fu nuovamente candidato, questa volta con successo, nella lista del Blocco nazionale, in rappresentanza dei fasci di combattimento. Fu eletto deputato e si dedicò prevalentemente all'attività politica e parlamentare, dimettendosi dalla compagnia di navigazione che dirigeva.
All'interno del movimento fascista si segnalò per il suo equilibrio conservatore, assai più che, per capacità politiche o oratorie che non ebbe mai. La sua formazione militare e nazionalistica lo induceva a rifuggire dall'indulgenza verso le forme di demagogia sociale che pure erano componente essenziale del fascismo di quegli anni. Conservatore in campo sociale e di sicura fede monarchica sul piano istituzionale (non accettò infatti l'iniziale tendenzialità repubblicana del movimento fascista, e nel giugno 1921, durante i lavori del Consiglio nazionale dei fasci, votò contro la parte dell'o.d.g. presentato da Mussolini che chiedeva ai deputati fascisti di astenersi dal partecipare alla seduta reale, e si comportò di conseguenza, rifiutando di abbandonare l'aula), aveva aderito al fascismo anziché al nazionalismo perché attirato dall'attivismo più marcato del primo movimento.
Grazie alla sua collocazione moderata nella costellazione del nascente movimento fascista, intensificò contatti e amicizie con la destra liberale e gli ambienti dinastici, e si parlò di lui come di un possibile sottosegretario fascista in un eventuale governo Orlando (col quale ebbe colloqui come membro della delegazione fascista) durante la crisi aperta dalle dimissioni del penultimo governo Facta. Aveva aderito all'Alleanza parlamentare economica, presieduta nel giugno '22 dall'industriale e deputato Olivetti, che comprendeva uomini appartenenti ai gruppi di Centro e di Destra, e che si proponeva di contemperare sul piano dell'attività parlamentare i diversi interessi dei gruppi industriali e agrari di cui i deputati erano espressione.
Il 4 ag. 1922, durante lo sciopero generale proclamato dall'Alleanza dei lavoro, partecipò alle violenze squadristiche che portarono all'occupazione del comune di Livorno e all'estromissione degli amministratori socialisti. Presente all'adunata fascista di Napoli nell'ottobre '22, si adoperò assieme ad altri esponenti moderati del fascismo (De Vecchi, Grandi) per evitare la marcia su Roma. Il 26 ottobre conferì assieme a De Vecchi con Salandra per chiedergli di suggerire al re le dimissioni di Facta e un nuovo governo, da lui presieduto, che comprendesse al suo interno i fascisti. Il giorno successivo fu a Milano per esporre i risultati del sondaggio a Mussolini, e fu da quest'ultimo inviato nuovamente a Roma con il compito di proseguire la trattativa, chiedendo lo scioglimento della Camera e l'assegnazione ai fascisti di cinque portafogli ministeriali nel quadro della possibile soluzione Salandra. Tornato a Roma, svolse appunto la sua missione presso l'uomo politico pugliese; il tentativo fu poi superato dal corso degli avvenimenti, e il 29, mentre il C. assieme a De Vecchi e Grandi comunicava a Salandra il rifiuto definitivo di Mussolini, quest'ultimo ricevette l'incarico di formare il suo primo ministero, nel quale incluse il C. come sottosegretario alla Marina, preferendogli, contrariamente alle sue speranze, il più prestigioso Thaon di Revel come ministro. Al C. fu anche assegnato il commissariato per la Marina mercantile, e in questa veste operò una estesa epurazione degli elementi di sinistra segnalatisi nelle agitazioni degli anni precedenti. Affiliato alla massoneria di palazzo Giustiniani (come numerosi gerarchi fascisti) accettò le norme sulla incompatibilità tra fascismo e massoneria sancite dal Gran Consiglio del fascismo e uscì dalla Grande Loggia di Palermi.
Il 3 febbr. 1924, in seguito alle dimissioni dei ministro Colonna di Cesarò, venne nominato ministro delle Poste e Telegrafi. Pochi mesi dopo le prerogative del ministero vennero notevolmente ainpliate: il 3 maggio assunse infatti la denominazione di ministero delle Comunicazioni, competente anche per la marina mercantile, la radio e le ferrovie. Il C. avrebbe mantenuto per un decennio quel ministero, presiedendo alla gestione e alla ristruttarazione di settori importantissimi della vita nazionale ("le mie spalle sono gravate dal francobollo al transatlantico, dal transatlantico alla locomotiva" ebbe a dire nel presentare, il 15 dic. 1924, il primo bilancio del nuovo dicastero).
Fra i primi compiti che il C. ebbe di fronte fu quello dell'attuazione del decreto sulla privatizzazione della rete telefonica urbana (non di quella interurbana che era largamente passiva e poco redditizia) già firmato dal suo predecessore, ma non attuato per le eccessive pretese dei privati, accogliendo in pieno le richieste degli ambienti imprenditoriali. Nella definizione del passaggio di proprietà, il C. accettò che lo Stato rinunciasse a chiedere in cambio dei propri impianti una partecipazione al capitale azionario, ridusse il canone destinato allo Stato sugli introiti ed elevò i criteri dì valutazione per un eventuale successivo riscatto degli impianti.
Legato da tempo ad ambienti marittimi e industriali, e speculatore in proprio, il C. mostrò anche particolare sensibilità per le possibilità di impiego e di sviluppo dei moderni mezzi di telecomunicazione. Amico di Marconi e ammiratore entusiasta dei suoi esperimenti, fu tra i primi a rendersi conto degli aspetti commerciali e spettacolari della radio, nonché delle possibilità di uso Politico che il mezzo dischiudeva. In questo campo la sua opera fu pionieristica, e coincise con il primo avvio di una rete di radiocomunicazioni direttamente sorretta e gestita dallo Stato. Significativamente, il C. propose che l'esordio della radiofonia in Italia avvenisse con la trasmissione di un discorso di Mussolini, tenuto a Roma il 25 marzo 1924.
Esperimento peraltro. fallito sia dal punto di vista tecnico sia da- quello del pubblico coinvolto nell'ascolto, e che avrebbe suscitato la diffidenza di Mussolini verso quel mezzo di comunicazione nei primi anni dei suo governo. Lo sviluppo della radiofonia continuò comunque ad essere curato dal C. e dalle autorità fasciste, se pure con interesse e dispendio di energie innegabilmente minori rispetto alla stampa, ma già nel decennio successivo la radio poteva dirsi assurta alle dimensioni di uno dei canali della formazione del consenso al regime e dei controllo dell'opinione pubblica.
Nel 1925, nel quadro della tendenza invalsa dopo la guerra di creare una nuova nobiltà per meriti patriottici, il C. venne insignito del titolo nobiliare di conte di Cortellazzo, in ricordo della sua impresa bellica, che trasmise anche al figlio.
Durante la crisi Matteotti il C. tenne fin dall'inizio un atteggiamento di dura intransigenza nei confronti degli oppositori ("O gli avversari si ritirano nelle loro tane - dichiarò il 20 sett. '24, secondando i primi propositi di una 'seconda ondata', che andavano manifestandosi nella provincia - o noi saremo pronti coi nostri talloni a schiacciar loro la testa") e subito dopo il discorso di Mussolini alla Camera del 3 genn. 1925 partecipò con Mussolini, Federzoni e i responsabili dell'Ordine pubblico alla elaborazione delle misure repressive straordinarie contro gli oppositori.
La sua collocazione all'interno della nuova classe politica assurta alla direzione dello Stato dopo l'avvento del fascismo era rafforzata dalla stima e dalla considerazione di cui godeva presso gli ambienti dinastici come, soprattutto, presso Mussolini, che in un documento, riservato lo designò quale suo successore in caso di morte improvvisa, dopo l'attentato del 31 ott. 1926 compiuto a Bologna e attribuito al giovane anarchico Zamboni.
Le ragioni di questa scelta di Mussolini vanno ricercate proprio nelle caratteristiche di politico incolore proprie del C., rassicuranti per l'opinione pubblica moderata e "fiancheggiatrice" del fascismo e non discutibili presso i fascisti stessi per i suoi trascorsi bellici e per la sua indiscussa fedeltà al regime; il C., inoltre, dava garanzie di solida e assiomatica fede monarchica. Conservatore, autoritario, nazionalista e monarchico, il C. non era liberale, ma era anzi estraneo alla tradizione del liberalismo italiano; mpstrava invece una particolare sensibilità verso gli aspetti moderni delle comunicazioni di massa e della organizzazione, del consenso, importanti nel decennio di formazione dei caratteri specifici del "regime reazionario di massa" instaurato poi compiutamente negli anni Trenta dal fascismo. L'opera del C. al ininistero delle Comumcazioni va letta e interpretata soprattutto in questa luce.
Il C. in tutti i suoi discorsi sul bilancio del ministero tenuti di anno in anno alla Camera e al Senato tenne a presentarsi come ministro "tecnico" ed "efficiente". In realtà, oltre ad assicurare i "treni in orario", secondo l'immagine propagandistica, largamente diffusa fino a divenire proverbiale e che colpiva l'immaginazione dell'opinione pubblica perché riferita ad un settore dell'amministrazione statale nel quale erano state nel primo dopoguerra particolarmente numerose e intense le agitazioni dei lavoratori e le disfunzioni dei servizio, la gestione del C. si caratterizzò soprattutto per i due elementi, strettamente coerenti fra loro, della centralizzazione e ristrutturazione amministrativa in senso autoritario e della precostituzione degli, elementi connettivi di un regime di massa a carattere reazionario e paternalistico.
Dopo il breve periodo, immediatamente successivo alla presa del potere da parte del fascismo, in cui era stato istituito un commissario straordinario, il C. provvide subito al riordinamento dell'amministrazione ferroviaria, snellendo la struttura amministrativa. e restaurando di fatto il potere decisionale dell'esecutivo, ridimensionándo drasticamente le forme di autonomia amministrativa che si erano affermate in passato. La nuova struttura organizzativa prevedeva un direttore generale e due vicedirettori, scelti tra il personale ferroviario, e un Consiglio d'amministrazione, non più presieduto dal direttore generale, ma dal ministro stesso; il Consiglio era ridotto a funzioni eminentemente consultive, e il ministro era tenuto a sentirlo in tutte quelle che erano le pratiche amministrative per cui prima aveva voto deliberativo. Dopo i licenziamenti "politici", precedenti l'assunzione da parte dei C. del ministero, fu avviata la graduale liquidazione del personale avventizio immesso durante la guerra per sostituire i combattenti, poi assunto in pianta stabile (nella misura di circa 47.000 unità) che bloccava i posti riservati per legge ai mutilati e agli ex combattenti. Venne istituita una speciale milizia ferroviaria, con compiti di tutela dell'Ordine sui servizi ma anche di controllo politico del personale. Si avviò una lenta modernizzazione tecnica degli impianti, che si accompagnò a una chiusura di rami secondari poco frequentati o alla loro restituzione all'iniziativa privata. Fra le realizzazioni avviate o portate a termine è giusto ricordare la linea "direttissima" Roma-Napoli e la Firenze-Bologna col difficile traforo appenninico.
Tra i primi a cogliere gli aspetti e le implicazioni di unsì politica di massa da parte del fascismo che si avviava a divenire regime, il C. potenziò le strutture dopolavoristiche o assistenziali, allora ancora embrionali. In un rapporto a Mussolini del 30 ott. 1925 suggeriva e otteneva la riduzione del 50% sul prezzo dei biglietti ferroviari ai membri del nascente Dopolavoro fascista, per porre questo in una condizione di privilegio rispetto alle altre organizzazioni non fasciste. In seguito, all'interno dell'amministrazione di cui era responsabile, favorì lo sviluppo dell'apposito Dopolavoro ferroviario e della "Provvida" che, secondo il bilancio del ministero aveva già nel '27 assunto proporzioni considerevoli, che si compendiavano in duecento distributori, con la vendita mensile per circa 10 milioni di lire di generi alimentari a prezzo ridotto, dal 10 al 40 per cento, sui diversi mercati. Gli iscritti al Dopolavoro erano, secondo le cifre ufficiali del '27, duecentomila circa, ossia la quasi totalità dei dipendenti di ruolo. Tra gli altri elementi assistenziali o associativi destinati a curare "l'elevazione spirituale e il benessere materiale del personale" si possono ricordare il Bollettino del Dopolavoro ferroviario, mensile distribuito ai dipendenti; le riduzioni per l'ingresso nei cinematografi; l'impulso, in accordo con l'Ist. naz. Luce, dato alla cinematografia educativa, con film sulla costruzione e l'esercizio delle strade ferrate; i corsi di igiene; le "gare per la buona tenuta della casa"; l'istituzione di filodrammatiche ferroviarie; la costituzione di squadre sportive del Dopolavoro ferroviario; l'istituzione di trenta stazioni sperimentali di pollicultura nel compartimento di Napoli e nella Sardegna; l'impulso dato alla "coltivazione del gelso e degli alberi da frutto, utilizzando le scarpate e i relitti dei terreni ferroviari". "Queste sono le occupazioni ricreative del personale ferroviario e postale d'oggi, ben diverse invero da quelle del passato "affermava il C. alla Camera il 2 apr. 1927, per presentare il personale dei pubblici servizi come disciplinato, alacre e orgoglioso "di servire generosamente nella fede fascista il Duce e la Nazione" (Diecianni di attività al Min. delle Comun., p. 106).
Nel 1928 il C. fu il massimo artefice della costituzione dell'Ente italiano audizioni radiofoniche, che segnò il decisivo momento di decollo della radio come strumento di comunicazione di massa direttamente gestito dal potere centrale (caratteristica questa che contraddistinse tutta la storia della radiofonia italiana per poco meno di un cinquantennio, a differenza di quanto sarebbe accaduto nella quasi totalità degli altri paesi); nel realizzare questo obiettivo il C. riuscì a contemperare esigenze politiche e interessi finanziari di notevole entità.
Fu lo stesso C. a proporre i nomi dei componenti del comitato di vigilanza (tutti accettati da Mussolini, salvo Toscanini al quale venne preferito Mascagni) presieduto dall'ex ambasciatore Tittoni, comitato che aveva compiti di garante del controllo politico sull'Ente ma anche di propulsione della sua situazione economica e finanziaria. Caratteristica principale della composizione del comitato, anomala e, arbitraria secondo ogni logica giuridica, era la presenza dei gruppi industriali interessati allo sviluppo dell'ente, chiamati a esercitare sullo stesso una funzione di controllo in nome dell'interesse pubblico.
Al dicastero di sua competenza, il C. accumulò una notevole fortuna, e di lui si parlò lungo tutto l'arco del regime da parte dell'antifascismo come del prototipo del nuovo tipo di "pescecane" arricchitosi illecitamente in virtù della sua posizione di potere. Di questa intensa attività speculativa e affaristica il C. ha lasciato poche tracce documentabili con assoluta certezza, e i cenni sull'argomento presenti nella storiografia come nella pubblicistica politica appaiono comprensibilmente, generici. È certamente riduttivo il memoriale difensivo sulla situazione patrimoniale paterna che il figlio Galeazzo inviò a Badoglio il 23 ag. 1943 per difendere la memoria del padre dalle accuse della stampa. Oltre alla proprietà del quotidiano Il Telegrafo assai diffuso sulla costa tirrenica della Toscana, il C. si assicurò proprietà in beni immobili e in titoli azionari (della Terni, della, Montecatini, della Romana Elettricità. della Valdarno, della Navigazione generale, dell'Ilva, dell'A.N.I.C., dell'Amiata, dell'I.M.I., del Consorzio credito opere pubbliche). Una valutazione può essere tentata, amai più che sulla fortuna del C., su quelle della famiglia nel suo complesso.
Nella sua posizione pubblica, il C. non apparve quasi mai in prima persona negli affari. condotti dalla famiglia, ma furono i fratelli Alessandro e Arturo, entrambi ammiragli, a figurare come protagonisti, sfruttando non solo l'appoggio e le pressioni del C., ma anche precise irregolarità commesse dal ministro e definibili senza dubbio come interesse privato in atti pubblici. Gran parte delle attività della famiglia Ciano si accentrava infatti su ditte che avevano nello stesso ministero delle Comunicazioni il principale acquirente o il responsabile degli appalti. Arturo Ciano, ad esempio, partecipava agli utili ingentissimi che derivavano da percentuali sul tonnellaggio di carbone tedesco trasferito in Italia in conto riparazioni di guerra e distribuito anche alle Ferrovie dello Stato.
Nel 1934, comunque, Alessandro Ciano era presidente della Società anonima Sylos e Magazzini generali di Civitavecchia e della Società anonima Agenzie Florio di Roma, nonché consigliere delegato della Società anonima Tirrenica Flotte Riunite Florio Citra di Roma e della Società anonima Sarda di navigazione di Roma. Era inoltre vicepresidente della Società anonima Sylos di Genova e consigliere della Società di assicurazioni già Mutua marittima nazionale di Genova, della Società anonima silurificio Whitchead di Fiume, della Unione italiana di Sicurtà marittima di Genova, del Sindacato internazionale fra gli armatori di Genova. Alla stessa data, Arturo Ciano era a sua, volta consigliere delegato della Odero-Terni-Orlando Società per la costruzione di navi, macchine ed artiglierie di Genova e della Società anonima silurificio Whitchead di Fiume; consigliere inoltre della Società metallurgica italiana di Roma, della Società anonima metallurgica bresciana, della San Giorgio, Società anonima industriale stabilimenti riuniti San Giorgio, Officine elettromeccaniche di Genova-Sestri.
Il 28 apr. 1934, il C. venne chiamato da Mussolini alla presidenza della Camera dei deputati, carica nella quale rimase fino alla morte. Era questa una collocazione altamente rappresentativa e ormai distaccata rispetto alla prassi politica e ammini, strativa che aveva segnato la sua azione nel decennio precedente, quasi a rafforzare, anche sotto il profilo costituzionale, il suo ruolo di eventuale successore inpectore di Mussolini. La sua presidenza non si ricorda se non per pochi episodi che si distaccarono dal tono incolore e rituale impresso abitualmente ai lavori parlamentari, segnato da brevi discorsi di tono mussoliniano e di carattere retorico pronunciati dal presidente (raccolti nel volumetto I discorsi di Costanzo Ciano presidente della Camera, Roma 1939).
Il 30 marzo 1938 il C. fu protagonista di un episodio dalle ambigue implicazioni istituzionali (e che risultò assai poco gradito alla monarchia) proponeúdo l'istituzione del grado di primo maresciallo dell'Impero da assegnare a Mussolini e al re, sottoponendo la legge, in due soli articoli e senza discussione, "superando le formalità di ogni regolamento", ai parlamentari, proponendo l'approvazione "esclusivamente per acclamazione" e inoltre invitando i deputati a recarsi in massa al Senato per proporre l'approvazione della stessa legge e imporla così con questa inusitata pressione ai senatori giudicati tiepidi verso iniziative che intaccassero le prerogative della monarchia.
Per pochi mesi il C. fu anche presidente della nuova Camera dei fasci e delle corporazioni, alla cui preparazione aveva partecipato come membro della commissione nominata dal Gran Consiglio del fascismo il 18 nov. 1936, assieme a Starace, Solmi, Bottai e Lantini. Il 17 luglio del 1937 egli fu insignito dal re del collare dell'Annunziata..
Il C. morì improvvisamente nella notte fra il 26 e il 27 giugno 1939 colpito da malore mentre si recava in automobile nella sua tenuta di Ponte a Moriano in provincia di Lucca.
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