COSTANZI (Constantius, Constantinus), Giacomo, il Giovane
Nacque a Fano nelle Marche dal noto umanista Antonio e da Taddea Pallioli. L'anno di nascita non si può stabilire con sicurezza. Il suo più antico biografo, Stefano Amiani (Mem., pp. 10, 24), la fa risalire al 1473.
Grazie a una nota autografa del padre Antonio (Chig. H. VI.204, f. 77v)siamo in grado di sapere che il C. "(a dì) 8de septembre ... a hore 19 o circa nacque... in Fano in el studiolo che usai io alcuni anni". Purtroppo l'indicazione dell'anno è abrasa. Fondandosi principalmente sul fatto che il matrimonio d'Antonio avvenne nel 1471 e che il C. era terzogenito dopo le sorelle Lucrezia e Camilla, il Campana (Scritture, p. 244) è del parere che "la data di nascita va forse portata qualche anno più giù del 1473", mentre il Castaldi (Studi, p. 276)l'attribuisce al 1477.
Primo maestro del C. fu senza dubbio lo stesso Antonio, che diede al figlio un'istruzione letteraria e filologica molto accurata. In seguito il giovane passò a perfezionarsi a Ferrara, dove ascoltò Battista Guarini (al quale il C. dedicò il carme "ad Baptistarn Guarinum praeceptorem": Hutton, p. 147 n. 1), e studiò sotto Alessandro Filomeno di Lucca, Nicolò Panizzati, Luca Ripa e Antonio Antimaco. Neanche la morte del padre, nel 1490, interruppe il corso dei suoi studi. La madre Taddea prese con energia in mano la conduzione della famiglia, e il C. poté continuare serenamente il suo tirocinio, fino ad acquistarsi tal fama di studioso da aprire lui stesso una scuola o per lo meno svolgere l'attività di precettore privato. Alcune testimonianze fanno credere che il C. insegnasse a Bologna, oltre che a Ferrara, dove pare che si facesse raggiungere dal nipote Lelio Torelli, figlio della sorella Camilla, per curarne personalmente l'istruzione. Benché saltuaria, la permanenza del C. a Ferrara durò almeno sette anni, visto che nella dedica degli Opuscula del padre Antonio (Fani 1502) egli scrive: "legebam anno abhinc septimo cum Ferrariac essem". Il C. soggiornò dunque a Ferrara tra il 1495 e il 1502, come maestro, con una certa stabilità (sembra priva di fondamento la notizia che abbia insegnato all'università locale o in quella di Bologna, per cui manca qualsiasi prova).
Il 4 luglio 1502 morì a sessantacinque anni la madre Taddea, e il C. ne celebrò le eccellenti virtù domestiche in un commosso epicedio di nitida fattura classica, dedicato al cognato Giovanni Torelli. Fece quindi ritorno a Fano e qui si acquistò solida fama di dottrina, tanto da essere definito da Lorenzo Astemio "iuvenis utriusque linguae doctissimus" nella prefazione all'Ars grammatica di Donato, da questo pubblicata a Fano nel 1503. Nel 1507 il C. si sposò con Battista Negusanti, nipote per parte materna del cardinale Adriano Castellesi di Corneto, come ricorda egli stesso nella dedica della sua Collectaneorum Hecatostys prima datata 5 sett. 1507 (Fani 1508).
Nel periodo che va dal 1507 al 1514 il C. continuò la sua attività di insegnante, dividendosi probabilmente tra Fano, Ferrara, Bologna. Sembra problematico un suo viaggio "culturale" a Roma, come suppone il Prete (L'umanista, pp. 80, 82), fondandosi sulle indicazioni di Collect., c. Iiir/Hiiiiv. Alcuni accenni delle sue opere ce lo mostrano specialmente in contatto con l'ambiente filologico bolognese. Il 27 marzo 1514 il duca Francesco Della Rovere confermò la decisione del Consiglio municipale di Pesaro del 18 marzo 154, in forza della quale il C. fu assunto come maestro di grammatica nel ginnasio locale con lo stipendio annuo di 150 fiorini. Qui fu ascoltato dal nipote Giacomo Torelli, che ricorda di aver assistito alle lezioni dello zio materno nella prefazione del suo libro Exquisitior Patronymia (Venetiis 1563). Dopo pochi mesi tuttavia il C. si dimise dall'incarico per il sopraggiunto disaccordo con l'amministrazione comunale in merito al proprio compenso. L'Amiani (Memorie, p. 21) ritiene invece che il C. sia tornato a Fano dopo un anno di magistero, perché richiamato in patria da un importante incarico politico. Infatti il C. fu tra i consiglieri di Fano nel bimestre novembre-dicembre 1516, ma, a quanto sembra, la sua indole di studioso gli impedì di partecipare attivamente alla vita pubblica della sua città, coinvolta in dure lotte intestine.
Nel non lungo periodo della sua attività di precettore e maestro, il C. fu legato personalmente al dotto bolognese Giovan Battista Pio (Collect., c. Biir: "Io. Bapt. Pius Bononiensis summa nobis familiaritate coniunctus"), mentre mostra nel complesso delle sue opere erudite buona conoscenza dei metodi e dei risultati conseguiti dai maestri delle maggiori scuole umanistiche italiane: Beroaldo il Vecchio, Ermolao Barbaro, M. Antonio Sabellico, Lorenzo Valla, Pomponio Leto, Angelo Poliziano. Il C. fu solerte raccoglitore di libri e di codici, e possedette la ricca biblioteca ereditata dal padre (Antonio "bibliothecam construxit eamque - omnium generum libris undique comparatis exornavit", secondo le parole del discepolo Francesco Ottavio), purtroppo in seguito dispersa. Come risulta da Collect., c. Aiiiv, egli era solito tenere scuola a Fano nella propria casa, ad amici o al nipote Lelio, oppure "publice... in Fanensi academia". Argomento delle sue lezioni erano essenzialmente passi di poeti, in particolare di Ovidio e dell'Antologia Planudea. Del primo si sa che leggeva nel 1502 il libro VI delle Metamorfosi nel giardino del suo mecenate Agostino Villa, mentre l'assiduo contatto con i poeti dell'Antologia greca è dimostrato dal centinaio di epigrammi latini, un quarto dei quali sono traduzioni e rifacimenti di originali greci che si trovano alla fine della selezione degli Opuscula paterni (A. Constantii Epigrammatum libelli, Fani 1502, cc. Niir-Ovr; contiene anche l'epicedio "In Thadeam matreni", c. Ovrv).
Gli epigrammi del C. hanno contenuto occasionale o letterario; molti trattano argomenti amorosi senza uscire dalla convenzionalità dell'imitazione del modello di Meleagro, benché in essi di recente il Prete abbia voluto vedere "tonalità diverse" (Epigrammi, p. 32) da quelle dei poeti greci e latini. Ad ogni modo il C. traduce con eleganza, valendosi di allitterazioni, giuochi di parole, figure retoriche, ora amplificando, ora accorciando il testo greco. Rispetto ai modelli, egli aggiunge il titolo spesso mancante e sopprime in tal modo i nomi propri che l'inserzione rende superflui. Gli epigrammi sono per lo più in distici elegiaci, ma non mancano esempi di faleci e strofe saffiche. La dizione è pura, la metrica rispettata.
A Pesaro nel 1507 il C. pubblicò il trattato De re militari, traduzione latina di un poemetto in terza rima di A. Cornazzano (Venezia 1493), dedicandolo a Francesco Maria Della Rovere. Nel 1508il C. stampava a Fano, presso il Soncino, con intenti didascalici (cap. XLV, c. Dviir: "cum semel in animum induxerim studiosae iuventuti prodesse quantuin possim"), la Collectaneorum Hecatostys prima, raccolta di cento capitoli dedicati ad altrettanti problemi di grammatica e filologia, "miniera ricca di informazioni preziose sulla letteratura greca e su quella latina con acute osservazioni sui passi più difficili di alcuni testi antichi" (Prete, L'umanista, p. 79). Insieme con questa centuria, sono pubblicati altri due opuscoli: In Ibin Ovidii sarritiones annotationum ultra centum, apprezzato dall'Ellis (Ibis, p. VI) e alcune delle cui proposte esegetiche sono accolte ancora dal La Penna (Ibis, v. 127 [p. 28], 329 [p. 80], ecc.), e In Ovidii Metamorphoseos assumenta annotationum snper centum. Sull'Ibis il C. si riprometteva di tornare con unlavoro più ampio (Collect., c. VIr), ma è dubbio che egli l'abbia mai portato a termine.
Il metodo filologico del C. è molto simile a quello del Poliziano, da cui è manifestamente influenzato: prima di procedere alle emendazioni testuali, egli opera una collazione dei codici per stabilire la lezione che gli sembra più giusta.
Nel 1513, secondo un'ipotesi del Weiss (L'arco, p. 357) il C. avrebbe assistito il maestro Bernardino da Carona nell'esecuzione del disegno dell'immagine dell'arco di Augusto a Fano. Nel 1517, persa la fiducia che Fano potesse riottenere la pace e la stabilità interna, forse anche colpito dalla morte violenta di un congiunto, il C. si ritirò con la famiglia nella quiete della sua casa di campagna, a Mondolfo, dove in precedenza era solito recarsi a villeggiare. Ma le truppe di Lorenzo de' Medici penetrarono nella cittadina, tenuta dal duca di Urbino, ostile al papa, e la misero a ferro e fuoco. Nell'incendio e nel saccheggio andò perduta la casa del C. con i suoi libri e i suoi manoscritti. Il C., sopraggiunto da Ancona dove si era rifugiato durante la guerra, morì di crepacuore il 28 luglio 1517 (Valeriano, De infel., pp. 63 s.).
Opere a stampa. Oltre a quelle citate, si possono ricordare alcuni epigrammi contenuti nella stampa Pyndari bellum Troianuni ex Homero, Fani 1515, con dedica a G. Acquerio, e nella dedica del De verbis conimunibus di Lorenzo Astemio (Venetiis 1519; 1530); Observationes nel volume Ovidii Heroides epistolae cum omnibus commentariis (Venetiis 1543, 1558, 1560, 1581, 1587); Ovidii Metamorphoseon libri cum explanationibus... (Venetiis 1545; Basileae 1550;Amstelodami 1727); Disceptatio an Ovidius plures filias habuerit, an tertia uxor ei soli nupserit, pubblicata nel 1549 a Basilea dal Mycillus insieme con le opere di Ovidio; Adnotationes alle Georgiche di Virgilio, insieme con quelle del Bembo (Venetiis 1555) e di Celio Rodigino (Venetiis 1558, 1562, 1586, Basileae 1561); Lucubrationes et adnotationes in loca difficiliora Virgilii (Venetiis 1566, 1578).
Fonti e Bibl.: P. Valeriano, De litteratorum infelicitate, Amsterdam 1647, pp. 63-64; F. Vecchietti-T. Moro, Biblioteca Picena, III, Osimo 1793, pp. 318-321; S. Tomani Amiani, Mem. biogr. di G. C., Fano 1850; I. C. T. Graesse, Trésor de livres rares et précieux, II, Dresde 1861, p. 254; V, ibid. 1864, p. 73; R. Ellis, P. OvidiiNasonis Ibis, Oxford 1881, p. VI; Id., On Ausonius, in Hermathena, VI (1888), pp. 17-18; R. Sabbadini, Le scoperte dei codici latini e greci nei secoli XIV e XV, I, Firenze 1905, pp. 181-182; II, ibid. 1914, p. 252; G. Castaldi, Studi e ricerche intorno alla storia della scuola in Fano, in Atti e mem. della R. Deputaz. di storia patria per le Marche, n. s., X (1915), pp. 275-76; Id., Unletterate del Quattrocento, in Rend. della R. Acc. dei Lincei, classe di scienze mor., stor. e filol., XXV (1916), p. 305; J. Hutton, The Greek Anthology in Italy to the Jear 1800, Ithaca-London 1935, pp. 37, III, 147-48; A. Campana, Scritture di umanisti, in Rinascimento, I (1950), pp. 236-256; P. Ovidi Nasonis Ibis, a cura di A. La Penna, Firenze 1957, passim; P.Paschini, Tre illustri prelati del Rinascimento, Roma 1957, pp. 46, 119; R. Weiss, L'arco di Augusto a Fano, in Italia medioev. e umanist., VIII (1965), p. 357; S. Prete, L'umanista fanese G.C., in Fano. Supplem. al Notiz. 1973, Fano 1974, pp. 75-84; Id., Gli epigrammi di G. C., in Fano. Suppl. al Notiz. 1976, Fano 1976, pp. 27-41; F. Battistelli, Luoghi e spettacoli teatrali a Fano dalla fine del sec. XV alla metà del sec. XVII, ibid., p. 73; M. E. Cosenza, Dict. of the Ital. Humanists, II, Boston, Mass., 1962, pp. 1080-1081; P. O. Kristeller, Iter Italicum, I, pp. 43-45, 70, 140; II, p. 29.