PALUMBO, Costantino
PALUMBO, Costantino. – Nacque a Torre Annunziata il 30 novembre 1843 da Aniello e Colomba Pagano.
Dopo le prime lezioni con lo zio Giuseppe Pagano, a dieci anni esordì in pubblico a Castellammare come enfant prodige. Nel 1854 entrò nel Conservatorio di Napoli, dove studiò pianoforte prima con Francesco Lanza, poi con Michelangelo Russo; studiò inoltre composizione con Saverio Mercadante, il quale, ormai completamente cieco, gli affidò la stesura di alcune delle sue ultime composizioni strumentali. Nel 1864 diede inizio alla carriera pianistica con una serie di concerti in Italia e all’estero. Dopo tappe a Milano, Bologna e Padova, alla fine del 1866 Palumbo si stabilì a Parigi, dove diede due concerti all’Esposizione universale e frequentò per un certo tempo il salotto di Rossini, entrando in contatto con Henri Herz e Francis Planté. Nel 1867 fece tappa anche a Londra, esibendosi in alcuni salotti. Tornato in Italia, nei primi mesi del 1868 fu a Milano, dove si mise in evidenza con due concerti al Conservatorio e alla Società del Quartetto che ottennero notevoli consensi e lo fecero apparire come uno dei più promettenti talenti pianistici italiani. Di ritorno a Napoli, entrò nella cerchia dei musicisti che gravitavano attorno a Sigismond Thalberg, stringendo un rapporto di collaborazione con l’allievo prediletto di quest’ultimo, Beniamino Cesi, insieme al quale tenne diversi concerti nel corso degli anni Settanta.
Nel 1873, in seguito a un concorso per titoli, divenne docente di pianoforte nel Conservatorio di Napoli. Negli anni seguenti ebbe per allievi Federico Bufaletti, Oscar Palermi, Mario Vitali, Vittorio Pepe, Alessandro Vessella, Emilia Gubitosi.
Nella prima fase della carriera Palumbo si dedicò con una certa continuità alla composizione di pezzi per pianoforte, spaziando dalle fantasie su motivi operistici a pezzi in ‘stile antico’ (Toccata op. 21, 1865 circa; Preludi e fughe op. 49-51, 1873), dagli usuali ballabili da salotto a pezzi caratteristici (Le fate op. 6, 1864; Danza delle Amazzoni op. 19, 1865 circa), con occasionali incursioni verso generi di maggiore impegno costruttivo (Sonata op. 24, rimasta manoscritta). Il 23 aprile 1876 esordì al S. Carlo con Maria Stuart, dramma lirico in quattro atti, libretto di Enrico Golisciani, che ebbe tre sole recite e non fu mai più ripreso, sebbene avesse riscosso, stando alle cronache, un certo favore di pubblico. Le critiche più severe si appuntarono sulla strumentazione, sommaria, e sulla scarsa esperienza nel trattar le voci. Nonostante l’esito deludente di tale esordio, l’anno successivo Palumbo intraprese un nuovo ambizioso progetto operistico, ottenendo la collaborazione di Arrigo Boito per il dramma lirico in quattro atti Pier Luigi Farnese; dopo una travagliata gestazione, durata circa quindici anni, nel 1891 l’opera venne messa in cartellone dal teatro Costanzi di Roma, ma non andò mai in scena per motivi mai chiariti.
Frattanto Palumbo aveva continuato l’attività di concertista, esplicata per lo più a Napoli, con sporadiche apparizioni fuori città. Nel maggio 1876 partecipò alle celebrazioni fiorentine in onore di Bartolomeo Cristofori, suonando in alcuni dei concerti ‘storici’. Nel 1878 Palumbo fondò a Napoli un proprio circolo, la cui attività – attestata almeno fino al 1890 – fu rivolta in prevalenza a favorire gli esordi concertistici dei suoi allievi.
Dotato di mani piccole ma agilissime, spesso ricordato dai cronisti come pianista di spiccata personalità interpretativa, capace di sofisticate soluzioni dinamiche e agogiche, Palumbo fu in prima fila, con i conterranei Cesi e Giuseppe Martucci, nel cruciale passaggio dall’accademia vocale-strumentale al recital storico, dal repertorio costruito con parafrasi e fantasie operistiche a quello fondato sui classici viennesi, i grandi autori romantici, Bach e i clavicembalisti settecenteschi. In tale percorso, ancora osteggiato nell’Italia dei primi decenni postunitari, Palumbo fu però meno sistematico e risoluto dei suoi più giovani colleghi, e finì presto per trovarsi in una posizione defilata, che negli anni Ottanta-Novanta lo portò a diradare le esibizioni pubbliche.
Nel 1896 abbandonò l’insegnamento in Conservatorio; da allora condusse vita appartata nella sua villa di Posillipo, ma rimase ancora attivo come compositore, consegnando alle stampe raccolte di pezzi pianistici (Suite romantica, 1915 circa; Veglie d’un solitario, 1924, composto nel 1919) e portando a termine anche opere di maggior respiro, alcune delle quali rimaste manoscritte: fra esse la «sonata-fantasia» Dante (1892), una sonata per violino e pianoforte, il poema sinfonico Rama (1900 circa), e l’ampio «poema sacro» Mater dolorosa su versi di Jacopone (1915, rimasto manoscritto). Coniugato con Rosa Buono, non si conosce la data del matrimonio.
Morì a Napoli il 16 gennaio 1928.
Fonti e Bibl: Gazzetta musicale di Milano, XXIII (1868), 5, p. 37; M.C. Caputo, Annuario generale della musica, I, Napoli 1875, pp. 154 s.; Circolo Palumbo. Statuto, Napoli 1878; F. Florimo, La scuola musicale di Napoli e i suoi conservatorii, III, Napoli 1882, p. 375; P. Guarino, Musica e musicisti in Napoli, in Il Teatro illustrato, VI (1886), 64, p. 58; A. Longo, C. P., in L’Arte pianistica nella vita e nella cultura musicale, I (1914), 7, pp. 1 s.; G. Napoli, C. P., in Vita musicale italiana, XV (1928), 2, pp. 5 s.; G. Pannain, La musica a Napoli dopo Bellini (da Mercadante a Martucci), in Id., Ottocento musicale italiano, Milano 1952, pp. 153 s.; M. Limoncelli, La musica nei salotti napoletani tra l’800 e il ’900, Napoli 1956, pp. 18, 27, 46; S. Martinotti, Ottocento strumentale italiano, Bologna 1973, pp. 168, 468 s.; V. Vitale, Il pianoforte a Napoli nell’Ottocento, Napoli 1983, pp. 83-86; F. Esposito - G. Olivieri, L’attività pianistica a Napoli al tempo di Alessandro Longo: Costantino Palumbo, in Alessandro Longo: l’uomo, il suo tempo, la sua opera, a cura di G. Feroleto - A. Pugliesi, Vibo Valentia 2001, pp. 105-152; P.P. De Martino, Beniamino Cesi da Napoli a San Pietroburgo, in Napoli nobilissima, s. 5, IX (2008), 3-4, pp. 131-136.