Costantino nella storiografia tedesca del Novecento
Considerando a posteriori la ricerca su Costantino nel Novecento, si può affermare che, sulla scia della rappresentazione epocale offerta da Jacob Burckhardt, la questione relativa all’identità religiosa di Costantino e alle motivazioni che lo spinsero a una politica religiosa cristianamente orientata influenzino ancora la discussione della ricerca. In questa prospettiva sono esemplari i volumi che la Wissenschaftliche Buchgesellschaft di Darmstadt cura all’interno delle collane Wege der Forschung e Neue Wege der Forschung che pubblicano collazioni di articoli significativi o sezioni di libri scientifici finalizzate a porre in contatto un pubblico accademico preparato con l’oggetto della ricerca.
Nel 1974 lo storico della Chiesa di Kiel, l’evangelico Heinrich H. Kraft, diede alle stampe Konstantin der Große1. Il volume, che tiene conto della ricerca internazionale, offre un’apertura programmatica con il nono capitolo della monografia di Burckhardt – Constantin und die Kirche – ed è concepito come un dialogo tra quegli autori che partono dall’idea di un Costantino espressione di una religiosità personale (Norman H. Baynes, Andreas Alföldi, Hermann Dörries, Konrad Kraft e, appunto, Heinrich Kraft)2 e quelli che, secondo l’eredità di Burckhardt, valutano l’imperatore come uomo di potere, che desidera utilizzare il cristianesimo in primo luogo come arma politica e ideologica (Henri Grégoire)3. Accanto a questi ultimi va ricordata anche l’importante ricerca di Joseph Vogt, che, negli anni Cinquanta, delinea le principali modalità d’impostazione della questione4 e analizza in modo dettagliato la politica religiosa costantiniana5.
Il volume di Heinrich Schlange-Schöningen, apparso in occasione del centenario costantiniano celebrato a Trier nel 2007, che si ricollega al volume di Kraft, si concentra tuttavia principalmente sui contributi in lingua tedesca dell’ultimo ventennio sul tema della ‘svolta costantiniana’ e la ripercussione di tale scelta politico-religiosa sullo Stato romano6. In questo modo Schlange-Schöningen dà improvvisamente una collocazione centrale a un fatto che è considerato come epocale: l’inizio della cristianizzazione, politicamente incentivata, dell’Impero. Ai fronti tradizionali – da una parte, sulla scia di Burckhardt, gli aderenti a una linea di Realpolitik, sia pure moderata; dall’altra, i difensori della genuina ispirazione cristiana di Costantino – negli ultimi anni si è aggiunta una linea di ricerca che richiama in particolare l’attenzione sugli elementi sincretistici del periodo iniziale della politica di Costantino, quando ancora, accanto a un’adesione al cristianesimo, sopravviveva un’ideologia del Sol Invictus collegata al culto imperiale del sole. La ragione di questo sviluppo è che si è considerata, quale punto di partenza, la concezione sincretistica del fenomeno religioso di quel tempo, consolidatasi negli ultimi anni e da cui dipende anche l’approccio a Costantino, che in questa prospettiva non percepisce affatto la pretesa di esclusività del cristianesimo in termini di posizione politica o religiosa, ragion per cui i suoi atti e quanto si riesce a ricostruire della sua ideologia imperiale sono interpretabili in modo tutt’altro che univoco7.
Come da tradizione, comunque, anche la raccolta, l’interpretazione e la valutazione delle testimonianze delle fonti riguardanti Costantino stanno al centro della ricerca tedesca. Dopo che negli anni Cinquanta gli storici della Chiesa Dörries e Kraft si erano occupati in modo dettagliato delle ‘autotestimonianze’ di Costantino e della loro interpretazione per ricavare gli elementi indispensabili a ricostruire quanto Costantino comprese del cristianesimo, la necessaria raccolta e valutazione delle fonti documentarie si compì con lo studio delle emissioni monetarie da Maria Radnoti-Alföldi8 e delle testimonianze epigrafiche da Thomas Grünewald. La nuova traduzione e talvolta il commento delle fonti letterarie più importanti, quali la Vita Constantini di Eusebio e gli scritti di Lattanzio, dimostrano ancor più come la ricerca, dopo la Seconda guerra mondiale, si sia attivamente occupata delle fonti relative a Costantino e al suo tempo9. La critica dettagliata delle fonti resta tuttora il punto di partenza per la ricerca su Costantino nei paesi di lingua tedesca. Tra le numerose pubblicazioni, la nostra attenzione si rivolgerà dunque a quei lavori, di natura principalmente monografica, che si occupano della figura di Costantino nella sua interezza.
Come Otto Seeck che, con la sua rappresentazione monumentale del declino dell’età tardoantica, difese, da ‘ultimo illuminista’, una prospettiva morfologico-culturale dell’epoca costantiniana conforme agli anni Dieci del Novecento, così lo storico dell’antichità e della cultura Karl Hönn, nato a Mannheim nel 1883, è ricordato come esponente dell’Umanesimo, che nel difficile periodo che precedette, accompagnò e seguì la Seconda guerra mondiale, cercò di trasmettere la scienza dell’antichità a un vasto pubblico colto, con lo scopo di raggiungere la società civile europea.
Dopo avere studiato greco, latino e francese all’Università di Heidelberg, lavorò nell’ambito dell’istruzione dal 1906 al 1912, anno in cui fu assunto dalla casa editrice Teubner con un contratto part-time. Divenne via via sempre più noto sia per le sue ricerche scientifiche (Wissenschaftliche Forschungsberichte. Geisteswissenschaftliche Reihe 1, Berna 1919 e seguenti; e Berna 1949 e seguenti), che condusse e pubblicò durante gli anni delle guerre mondiali, trascorsi in Svizzera, sia per le biografie di personaggi dell’antichità come Augusto (Augustus 1938; Augustus im Wandel zweier Jahrtausende 1943, Augustus und seine Zeit 19534), Solone (Solon, Staatsmann und Weiser 1948), Costantino (Konstantin der Große. Leben einer Zeitenwende, 1940, 19452). Inoltre è il fondatore (1945) della collana Bibliothek der Alten Welt, che rese accessibile al pubblico di lingua tedesca i più importanti testi classici, attraverso una nuova traduzione a opera di accreditati studiosi.
Sebbene le sue biografie di Augusto e Costantino non possano competere con opere critiche di storici del calibro di Ronald Syme o Joseph Vogt e appaiano perfettibili sotto molto punti di vista10, esse hanno però il merito di introdurre al pubblico colto le personalità di queste figure e ciò che di utile all’umanità esse offrono. Vogt, del resto, nella sua biografia di Costantino del 1949 avrebbe menzionato esplicitamente anche Hönn come suo predecessore.
Sulla scia di Jacob Burckhardt, Hönn cerca di vedere l’evoluzione di Costantino e il suo ruolo storico inserendoli sullo sfondo dell’epoca tardoantica, che anche per lui è caratterizzata da una graduale decadenza politica, culturale e religiosa. Le riforme di Diocleziano nell’ambito dell’amministrazione e dell’esercito sono appena accennate, come pure il ruolo giocato dal padre di Costantino, Costanzo Cloro. Hönn, nelle osservazioni ai capitoli posti in chiusura del libro, si mostra sempre interessato alle fonti e alla discussione scientifica, basandosi su un’ampia scelta di letteratura specialistica coeva – tedesca, francese, italiana e inglese. L’interesse storico-culturale si giova anche dell’aggiunta di ventotto tavole di un’eccellente qualità. La rappresentazione dello studioso è dichiaratamente positivistica, quando arricchisce il resoconto di citazioni tratte da fonti che spiega poi in modo più critico nelle note ai testi rispetto a quanto non faccia nel commento. Non stupisce, quindi, che non dedichi grande spazio – seguendo in ciò i modelli dell’Anonimo Valesiano e Lattanzio – alla gioventù e alla carriera militare di Costantino prima della presa del potere a York. A tale riguardo, nella descrizione dei conflitti interni alla tetrarchia, Costantino è posto apertamente in secondo piano di fronte agli altri contendenti. Le battaglie di difesa dalle invasioni franche e alemanne costituiscono per Hönn l’occasione per rappresentare Costantino non quale usurpatore ma quale difensore della Gallia. La visione di Apollo come Sol Invictus del 310 (Paneg. 6(7),21) è infatti anche meno legata al ricorso alla legittimazione del potere di Claudio II il Gotico, quanto piuttosto allo stretto attaccamento di Costantino alla Gallia, che diviene la sua base di potere. Il conflitto con Massenzio si trasforma in una prima prova di difesa. Il suo arrivo in Italia, sulla scia dell’interpretazione di Burckhardt, è paragonato a quello compiuto da Napoleone nel 1796, ma anche all’esperienza di Cesare. Con il resoconto della battaglia di ponte Milvio, Hönn divide chiaramente i contenuti storici ricostruibili a partire dalle fonti dalle notizie provenienti da saghe o da leggende. L’oracolo di Massimiano e la visione di Costantino sono caratterizzati in modo esplicito come interpretazioni ex eventu, e soltanto le raffigurazioni sulle monete e l’arco di Costantino sono ritenute fonti attendibili, capaci di fornire informazioni sull’autentico atteggiamento religioso dell’imperatore. Nella visione di Hönn, Costantino si richiama a concezioni enoteistiche piuttosto sfumate, le quali, all’interno di un paganesimo colto, si possono sviluppare anche nella direzione di un astratto monoteismo che in questo modo ha calpestato il teismo cristiano. Nei confronti della dettagliata analisi dell’arco di Costantino compiuta da Hans-Peter L’Orange11, si manifesta pienamente in questa sezione lo scetticismo di Henri Grégoire e delle ricerche francofone da lui influenzate12.
Per Hönn, la svolta politico-religiosa di Costantino inizia prima con il conflitto con Licinio, quando questi muta per ragioni di potere la sua politica tollerante verso le cerchie cristiane in Oriente, che egli perseguita soprattutto a danno del suo avversario Massimino Daia. Hönn considera l’accettazione del chi-rho e, in seguito, di altri simboli cristiani da parte di Costantino come misure di propaganda del sovrano per conquistare i favori degli abitanti della parte orientale dell’Impero. Al contrario, Licinio cerca, attraverso un programma consapevolmente tradizionale, di portare dalla propria parte l’aristocrazia occidentale. Nella vittoria contro Licinio, Hönn legge la rinuncia di Costantino all’ideologia imperiale tradizionale e la sua adesione al cristianesimo. Per la sua impronta morale e per il rilievo dato alle virtù monarchiche, questo credo si adatta quale nuova religione universale all’unificazione dell’Impero lacerato dalle guerre civili. La monarchia universalistica di Costantino assomiglia a un assolutismo orientale e Hönn vi si riferisce menzionando le novità nel cerimoniale di corte e nella creazione di un apparato di funzionari rigidamente articolato in cui le differenze di condizione scompaiono, nel senso che tutti sono solo servitori dell’imperatore. Mentre Diocleziano cercava ancora di semplificare la natura ‘barocca’ del diritto romano, Costantino si profonde in verbosità orientali. L’influsso del cristianesimo sul versante della legislazione è spiegato con l’intenzione di ricavarvi lo spazio per la nuova religione. Sulla scia di tali misure sono comprese anche le riforme economiche, come tentativi di saccheggiare la piccola borghesia. In questo Hönn segue le concezioni di Michail Rostovzeff relative alla decadenza economica dell’epoca tardoantica, ulteriormente accelerata da un macchina amministrativa gonfiata. Anche con la fondazione di Costantinopoli, sulla base di riflessioni strategiche e quale segno della vittoria su Licinio, Costantino prosegue quindi sulla via del trasferimento del centro dell’Impero dall’Occidente all’Oriente.
Il rapporto particolare di Costantino con il cristianesimo nasce da motivazioni di ordine politico, a partire dallo scontro con i donatisti, in cui egli sembra tuttavia agire con troppa esitazione. In occasione del concilio di Nicea, conscio degli errori del passato, cerca ora con fermezza di controllare la presidenza e le decisioni, nonché di portare avanti la condanna di Ario e di dare alla Chiesa quell’unità dogmatica, culturale e amministrativa così importante per la nuova coscienza che egli ha di sé come sovrano. In ciò si colloca il fondamento del cesaropapismo. La costruzione di chiese e la loro architettura funsero da testimonianza monumentale di ciò, trasudanti del sontuoso splendore dell’Oriente. Personalmente, tuttavia – stando a quanto si evincerebbe dal suo tardo battesimo, diversamente dagli usi del tempo, e dall’impiego di motivi tradizionali nelle monete coniate fino alla sua morte – Costantino considerò come un fatto privato la propria adesione al cristianesimo. Insieme a Mommsen, Schwartz e Burckhardt, anche Hönn parte dalla considerazione che Costantino non poté, nel corso di tutta la sua vita, esimersi dal portare rispetto per i culti tradizionali, avendone bisogno per la sicurezza dell’ordine interno. Ma anche l’esempio del padre, con la sua tolleranza vissuta in prima persona, può avere avuto un certo influsso sul sovrano, così come il riconoscimento che le persecuzioni del passato non avevano determinato il rafforzamento dell’Impero ma semmai il suo indebolimento. Nella simile valutazione di Costantino offerta da Burckhardt compare ancora chiaramente l’idea secondo cui, come politico, Costantino seppe correttamente valutare e servirsi della forza del cristianesimo in qualità di alleato per la propria politica, per la sopravvivenza dell’Impero e della pax romana.
Nella sua valutazione finale della personalità di Costantino e del rilievo storico del suo agire, egli si collega ancora a Burckhardt quando sottolinea non solo la personale tolleranza in materia religiosa, ma anche l’effetto delle sue riforme nel quadro sia delle relazioni tra Stato e Chiesa sia dell’influsso esercitato dal cristianesimo sulla cultura occidentale.
In ogni caso, ciò che risulta problematico nella rappresentazione storiografica di Hönn è la tendenza all’orientalismo e al bizantinismo, sia nella stima di quanto realizzato da Costantino sia, talvolta, nella contraddittorietà dei giudizi sull’imperatore, specie nell’ambito dell’opposizione, assunta come fondamentale, tra il sovrano occidentale, romano, soldato valoroso che caratterizza la prima parte della sua vita, e il monarca che regnò secondo il modello orientale in modo impulsivo e dispotico dal 325 al 337. I pregiudizi che qui riecheggiano nei riguardi dell’Oriente bizantino e dell’Oriente più in generale sono tipici per il loro tempo, come pure la sconclusionata realizzazione di presentazioni dettagliate della figura di Costantino, costruite in base al desiderio di trasmettere al proprio pubblico di lettori impostazioni differenti della ricerca costantiniana coeva con valutazioni di tipo paratattico piuttosto che analitico. Ciò risulta particolarmente chiaro se, viceversa, si analizza l’impostazione dello studio pressoché coevo (per lo meno nella sua prima edizione) di Andreas Alföldi, che, in reazione alle tesi di Henri Grégoire, lega la conversione di Costantino al ponte Milvio con il carattere ‘vittorioso’ dei simboli cristiani, e spiega, in modo molto convincente per i contemporanei di Hönn, la lealtà del cristianesimo di Costantino con la coscienza della vocazione missionaria del tempo del suo regno13. Forse Hönn si ripromise personalmente troppo. Tuttavia la sua accalorata richiesta di una nuova monografia che riconsiderasse la figura di Costantino nel suo complesso a partire dalle nuove scoperte della ricerca, era giustificata, come vedremo, nei lavori pubblicati poco dopo da Joseph Vogt.
In assoluta opposizione rispetto alle figure che avevano portato avanti la ricerca tedesca su Costantino nell’Ottocento, Joseph Vogt14, nasce in Svevia nel 1895 in una famiglia contadina cattolica di Schechingen. Terminata la scuola secondaria, si iscrive nel 1913 alla facoltà teologica cattolica di Tubinga, prima di prestare servizio militare, dal 1914 al 1918, durante la Prima guerra mondiale. Nel 1916, durante una vacanza, cambia per la prima volta corso di studi universitari, scegliendo la facoltà di Filosofia, per poi concluderli conseguendo il dottorato in Storia antica, filologia classica e archeologia nel 1921. Nel 1923 consegue, sempre a Tubinga, l’abilitazione; la sua tesi, Die alexandrinischen Münzen. Grundlegung einer alexandrinischen Kaisergeschichte, verrà pubblicata nel 1924. Già nei suoi primi lavori Vogt si mostra aperto tanto a prospettive di storia intellettuale quanto a interessi storico-religiosi, che rimandano sicuramente all’influsso berlinese di Eduard Meyer, da lui ascoltato tra il 1921 e il 192315. Il suo interesse scientifico è rivolto, tuttavia, anzitutto alla Repubblica tardoromana (Cicerone) e all’alto periodo imperiale (Tacito). Dal 1926 Vogt è professore di ruolo di Storia antica presso diverse università dell’impero tedesco. Nel 1933 aderisce, a Würzburg, al sindacato nazionalsocialista degli insegnanti e alla SA16, sebbene le sue pubblicazioni non siano sempre influenzate dell’ideologia nazionalsocialista. La sua collaborazione con il sistema si può comprendere tenendo conto da un lato del suo rifiuto della democrazia parlamentare della Repubblica di Weimar, dall’altro del suo incessante sforzo di ottenere, anche nella nuova era, riconoscimenti per sé e per la propria materia d’indagine per mostrare come l’antichità avesse pronta una ‘proposta di soluzione politica’ per i problemi del presente. Il suo cattolicesimo, del resto mai rinnegato, è comunque guardato continuamente con sospetto dai pubblici uffici. Vogt inizialmente si occupa di temi generalmente tardoantichi con il suo scritto Kaiser Julian und das Judentum (Leipzig 1939), che propone opinioni scevre dall’ideologia nazionalsocialista e mostra una notevole indipendenza di valutazione. Nell’ambito della mobilitazione bellica delle scienze dell’antichità, Vogt redige tuttavia la raccolta di saggi Vom Reichsgedanken der Römer (Leipzig 1942) e l’opera generale Rom und Karthago (Leipzig 1943) per dimostrare come la dottrina nazionalsocialista potesse essere impiegata nell’antichistica. Ma nello stesso periodo arriva anche alla sua personale ‘svolta costantiniana’, come si evince dai suoi primi studi su Costantino, in cui rinuncia completamente alla terminologia e alla concezione storica nazionalsocialista17. L’intenso impegno nella ricerca su Costantino può essere pertanto visto come un punto di svolta ideologico e un ritorno ai valori cattolici e umanistici della sua gioventù. Contemporaneamente passa, con la cattedra all’Università di Friburgo in Breisgau nel 1944, a una sede palesemente non contaminata dal nazismo, per assicurare in loco, anche attraverso la protezione della Chiesa cattolica, un futuro alla propria carriera scientifica18. Dal 1946 al 1962, data in cui riceve l’emeritato, è nuovamente professore di storia antica a Tübingen.
Il suo più importante contributo su Costantino è rappresentato dalla monografia pubblicata nel 1949, Constantin der Große und sein Jahrhundert, che porta a ulteriori sviluppi bibliografici e di cui, nel 1960, compare una seconda edizione aggiornata19. Fin qui Vogt ha preparato, tra l’altro, una dettagliata relazione scientifica sulla questione della conversione al cristianesimo di Costantino dal titolo Die Constantinische Frage per il decimo congresso degli storici (Firenze 1955) e la voce Constantinus der Große per il Reallexikon für Antike und Christentum (terzo volume, cc. 306-379). Grazie alla sua ampia conoscenza delle fonti e della letteratura specialistica, la sua ricostruzione è considerata, sotto il profilo scientifico, fondamentale. Nella sua monografia Vogt rinuncia, come già Seeck e Hönn, a un apparato di note ampio, ma nella sezione dedicata alle osservazioni finali presenta l’indicazione di fonti e letteratura specialistica. Grazie alle sue conoscenze nei campi dell’archeologia classica e della numismatica, è in grado di inserire, sulla scorta di Burckhardt, nella propria opera, anche aspetti artistici dell’autorappresentazione di Costantino riuscendo a delinearne lo sviluppo. Il suo orientamento storico-culturale, sulla scia di Burckhardt e Hönn, si palesa inoltre nell’articolazione stessa dello scritto. La prima metà s’incentra anzitutto sulla crisi del mondo antico nel III secolo e durante la restaurazione di Diocleziano, mentre la seconda si divide in due parti, una dedicata alla ‘rivoluzione di Costantino il Grande’ e l’altra propone una sintesi su ‘l’epoca costantiniana’. La trasformazione dell’Impero romano del III secolo è interpretata da Vogt specialmente dal punto di vista della storia intellettuale. Le crisi politiche avrebbero determinato negli uomini una nostalgia e una ricerca di sicurezza personale tali da rendere possibile una sempre maggiore diffusione di religioni della salvezza e del mistero. Vogt non inscrive però il cristianesimo in questo genere di religioni, in quanto, diversamente da esse, non promette una semplice liberazione, per mano divina, dalla sofferenza, ma esige dai fedeli, in misura maggiore rispetto alle altre religioni, mediante prescrizioni, una condotta di vita moralmente retta. Le condizioni dell’epoca avrebbero dovuto favorire il cristianesimo, ma la sua superiorità è una di queste condizioni, non una loro conseguenza. Con questo Vogt si allontana dalla tesi di Gibbon, che farebbe risalire la vittoria del cristianesimo solamente a motivazioni esterne, sociali, come l’esclusivismo religioso, la fede nell’immortalità, il potere taumaturgico palesato dalla Chiesa primitiva, la sua rigida struttura organizzativa e la statura etica dei suoi membri20.
Diversamente dalla maggioranza dei suoi predecessori e successori, Vogt si serve della figura di Diocleziano non come antimodello o come sfondo per il ‘suo’ Costantino, desidera piuttosto che se ne discutano i contributi rispettivamente politico e storico. Di sicuro il periodo di reggenza di Diocleziano rappresenta il ‘prologo all’epilogo di un’intera epoca’, e di certo alcune sue misure, come il collegio di imperatori, la statalizzazione di numerosi ambiti della vita cittadina, la divisione tra carriere civili e militari (ma anche l’ampliamento dell’amministrazione e un migliore controllo nel sistema fiscale) hanno dato allo Stato la stabilità necessaria. Le riforme della tetrarchia arginano così il declino generale e trovano anche nell’ambito religioso, con la persecuzione dei cristiani, una loro logica conseguenza.
Sin dal principio, nell’opera di Vogt Costantino appare plasmato dal monoteismo solare di suo padre, da cui proverrebbe il suo simpatizzare per il cristianesimo. Alla base di questa interpretazione vi è uno studio delle monete fatte coniare da Costantino a partire da quando divenne imperatore. Grazie alla sua intelligenza, alla sua moderazione e alla sua bella presenza, egli poté sfruttare il sentimento dinastico dei soldati per sferrare l’attacco alla tetrarchia21. Poiché a partire dalla morte di Massimiano, nel 310, cresce il numero dei motivi ornamentali del Sole e di Marte nelle monete di Costantino, Vogt considera anche questo dato per ricavarne che Costantino si preoccupa ora di un nuovo programma di legittimazione, in cui il cristianesimo non giochi nessun ruolo fondamentale. Allo stesso modo, lo studioso intende mettere in dubbio la conversione di Costantino prima della battaglia di ponte Milvio, in quanto il resoconto di Eusebio22 sarebbe inverosimile. Egli suppone piuttosto che il racconto lattanziano della visione23 e la credenza tipica degli ambienti militari di avere al proprio fianco, attraverso il monogramma di Cristo, un dio supplementare abbiano indotto Costantino ad applicare il signum Christi sulle insegne dei suoi soldati24. L’iscrizione sull’arco di Costantino relativa all’instinctu divinitatis, la rinuncia al sacrificio pagano a Roma e il successivo sostegno dei chierici sono sicuramente espressioni del suo lento avvicinamento al cristianesimo. La tolleranza di questa religione nell’Impero tocca il suo culmine nelle trattative con Licinio. Nella sua parte di Impero, Costantino interviene certamente nei conflitti interni della Chiesa in qualità di pontifex maximus. Lo fa non come giudice ma come paciere cui sta a cuore più l’unità della Chiesa che le differenze dogmatiche. La politica e la legislazione di Costantino mirano quindi a fare in modo che la Chiesa operi in collaborazione con lo Stato. La decisione di fare della domenica una giornata di riposo per tutti è interpretata da Vogt nell’ambito di una legislazione avversa ai privilegi dei giudei, che lo storico rileva attentamente non per il suo passato nazionalsocialista, ma per la sua formazione cattolica25.
Il conflitto con Licinio, malgrado le palesi differenze in relazione alle rispettive regole di successione, ha tuttavia anche per Vogt una dimensione troppo religiosa, in quanto il cristianesimo diventa parola d’ordine della fazione costantiniana26. Dopo la vittoria su Licinio, Costantino prosegue il suo progetto di formare una Chiesa universale corrispondente a un Impero universale. Il concilio di Nicea, secondo Vogt, assomiglia a una seduta del Senato, in cui Costantino opera influenzato e consigliato dal vescovo Ossio di Cordova27. Il paragone tra la struttura territoriale sia della Chiesa sia della sua gerarchia e la divisione statale in province è inteso, in ogni caso, come il fattore che rende i sinodi ecclesiastici strumento politico nelle mani dell’imperatore28. Attraverso questa politica religiosa univoca, a giudizio di Vogt anche l’adesione di Costantino al cristianesimo risulta palese29. Le limitazioni poste al culto dell’imperatore, le pratiche sacrificali pagane come pure la fondazione di Costantinopoli vanno considerate le ennesime prove del rifiuto delle pratiche religiose tradizionali a vantaggio di una cristianizzazione dell’Impero. Gli elementi pagani della fondazione della città sono presentati da Vogt come ‘antiche reminiscenze’, prive di un autentico contenuto religioso30. Vogt con la sua tesi principale, secondo cui Costantino avrebbe introdotto il cristianesimo nell’Impero romano per una profonda convinzione religiosa attraverso un gesto di portata universale e non sulla base di un calcolo politico, si rivolge contro il rigetto della testimonianza di Eusebio formulato da Burckhardt e dal suo successore Henri Grégoire. Diversa trattazione spetta invece all’orazione all’‘assemblea dei santi’ a Nicea, che nemmeno Vogt considera autentica, mentre sicuramente il battesimo – impartito al termine della vita dell’imperatore affinché, corrispondentemente alla prassi corrente, il battezzato non potesse commettere altri peccati – e la sepoltura nella chiesa dei Santi Apostoli sono da ritenere decisioni prese personalmente da Costantino e sarebbero indizi probanti nei confronti di un suo cristianesimo intimo e sincero. Vogt archivia le critiche mosse a Costantino da Giuliano e Zosimo come interpretazioni malevole: Costantino, secondo lo storico, riconobbe il momento giusto (kairós) e la necessità e di impiegare tutte le sue forze per lo Stato e la cultura, così da diventare il «grande costruttore di ponti della storia universale».
Per Vogt, con l’introduzione del cristianesimo e le norme a esso legate il contributo di Costantino alla storia fu ‘rivoluzionario’. Egli valuta le altre sue riforme in materia di politica interna realizzate sulla base della politica di Diocleziano. Sebbene nella seconda edizione della sua opera del 1960, probabilmente secondo il modello elaborato da Santo Mazzarino31, Vogt ammetta che attraverso l’introduzione del solidus ampi strati della popolazione si fossero impoveriti, egli sostiene anche che gran parte del ceto medio potesse avere uno standard di vita più alto. Il principio di successione dinastica Vogt la intende come mutamento della tetrarchia e le vere novità operate da Costantino sarebbero state soltanto l’ingresso nell’esercito dei germani, esperti nell’arte della guerra, e il riconoscimento di un determinato statuto sociale al clero cristiano32.
Da quando Adolf Harnack, non solo come storico della Chiesa e del dogma, ma anche in quanto responsabile scientifico dell’Accademia berlinese, diffuse il metodo storico-critico della filologia classica e della storia antica nella storia della Chiesa protestante, si può osservare un crescente dialogo tra le discipline che si occupano del rapporto di Costantino con il cristianesimo e della conseguente posizione dell’imperatore sul piano della storia universale33. Franz Joseph Dölger sul versante cattolico e Hans Lietzmann (1875-1942), successore di Harnack a Berlino dal 1923, ampliano il ventaglio delle discipline complementari alla storia della Chiesa concernenti l’archeologia cristiana nonché le fonti e la loro interpretazione come punto di partenza.
A tal proposito si rivela esemplare la Geschichte der Alten Kirche (Berlin 1932-1944) di Hans Lietzmann, di prospettiva storicistica. Nel suo terzo volume egli si dedica dettagliatamente alla figura di Costantino, che anche lui desidera comprendere a tutto tondo in modo che, accanto all’imperatore cristiano, anche le altre riforme nello Stato assumano valore. Lietzmann si orienta a tal proposito principalmente verso le fonti antiche come secondo le ricerche di Mommsen e di Seeck. Di questi studi lo storico, nel dettaglio, si sforza non di offrire un’interpretazione, ma si limita piuttosto a proporre un puro riassunto. Come il cattolico Vogt anche il protestante Lietzmann è convinto che Costantino avesse deciso abbastanza presto di abbracciare il credo cristiano, cioè la fede in una divinità che l’aveva prescelto per grandi cose, e dunque posto sotto la sua particolare protezione. Nella conquista del mondo intero Costantino si percepisce come un alfiere del cristianesimo34. La necessità di prendersi cura della Chiesa matura nell’imperatore a partire da questo compito divino, per poter garantire sicurezza e pace alle proprie decisioni in campo militare e politico al fine di unificare l’impero. La sua politica ecclesiastica è perciò anche politica in ambito secolare. Certo anche Lietzmann riconosce in Costantino alcune zone d’ombra, il suo carattere di despota e di politico, per cui il raggiungimento dei propri fini è una priorità. Ragionando nell’ottica della storia ecclesiastica, Lietzmann attribuisce questo comportamento certo al demone del potere, tuttavia alla fine egli considera Costantino, sulla scia di Augusto, come imperatore di pace.
Quasi contemporaneamente a Vogt compaiono alcune intense ricerche su Costantino e sull’età tardoantica a opera di Hermann Dörries (1895-1977), Das Selbstzeugnis Kaiser Konstantins (Göttingen 1954) e Heinrich Kraft (1918-) Kaiser Konstantins religiöse Entwicklung (Tübingen 1955, tesi di abilitazione ad Heidelberg discussa nel 1954). Entrambi sono storici della Chiesa protestanti attenti allo sviluppo personale del cristianesimo nell’imperatore. Partendo dagli scritti attribuiti a Costantino, tramandati sia in citazione dagli storici della Chiesa sia nelle costituzioni imperiali, cercano entrambi di risalire a quella che poteva essere l’intima personalità dell’imperatore. Mentre Dörries presenta un catalogo cronologico di fonti e, commentandolo, le elabora per arrivare a un significato teologico globale, Kraft procede per temi. Entrambi sono convinti che Costantino si sentisse un cristiano autentico. Dörries è più interessato alle implicazioni teologiche del pensiero e dell’operato di Costantino, e intende giungere a spiegare come si sia potuto arrivare alla congiunzione Chiesa-Stato dopo il riconoscimento del cristianesimo. Le sue analisi positivistiche delle fonti e le interpretazioni teologiche hanno goduto di grande risonanza nella ricerca successiva su Costantino nell’ambito della storia antica, trovando peraltro consenso e opposizione tali da riaprire nuovamente la discussione35.
Kraft invece, e lo si può intuire dal titolo della sua opera, intende delineare gli sviluppi della figura di Costantino e quindi la sua biografia. Essa è, secondo lui, un percorso continuativo, senza interruzioni, proiettata verso una crescente cristianizzazione del suo programma politico e della sua personale comprensione del mondo. Kraft esclude con ciò un’esperienza di improvvisa conversione, frutto della visione presso ponte Milvio. La questione dell’autenticità è per lui di secondaria importanza, in realtà attraverso questa leggenda Costantino avrebbe voluto mostrare che ora egli era aperto seguace del culto cristiano. L’atteggiamento tenuto nei confronti dei donatisti, la battaglia per il governo monocratico, la controversia ariana e la legislazione ispirata al cristianesimo rappresentano le importanti fasi successive di tale ‘percorso biografico’, fuse da Kraft in un quadro coerente, tanto che l’immagine di Costantino – come ha ritenuto un recensore – assomiglia a quella di un patriarca biblico36.
L’assunzione che sta alla base sia dello studio di Dörries sia di quello di Kraft – cioè che se si vuole ricostruire correttamente la sua personalità, bisogna considerare Costantino e il suo rapporto con il cristianesimo solo in base alle sue ‘autotestimonianze’ (Selbstzeugnissen) e a un orizzonte di ricerca attinente esclusivamente a questo tipo di indagine – ha suscitato, proprio come conseguenza e come reazione agli storici dell’Antichità, un rinnovato ricorso alla posizione di Burckhardt e quindi alla corollaria tesi di Grégoire. Già Eduard Schwartz aveva richiamato l’attenzione sul fatto che Costantino voleva rappresentarsi sotto una luce particolare37, così che si ampliasse lo spazio nella trattazione delle fonti sia della trasformazione operata da Costantino sia della critica al suo comportamento.
Sul piano documentario si possono considerare lo studio di Konrad Kraft sul medaglione d’argento di Ticinum, la ricerca di Radnoti-Alföldi e il volume della serie RIC di Patrick Bruun sulla coniazione costantiniana come risposta della numismatica alle troppo poco valorizzate monete – e peraltro studiate con un approccio non sempre adeguato da Dörries38. Thomas Grünewald (Constantinus Maximus Augustus. Herrschaftspropaganda in der zeitgenössischen Überlieferung, Stuttgart 1990) si è posto l’obiettivo, in risposta all’incompleta collazione di iscrizioni di Dörries, di raccogliere e analizzare le fonti epigrafiche39. Egli procede in questo senso risolutamente secondo un’interpretazione attenta dell’autorappresentazione cristiana e vede in Costantino innanzitutto lo stratega, che usa le iscrizioni per alludere più a sue prerogative legate a formule tradizionali di legittimazione che alla sua professione di fede cristiana40.
Dörries redige successivamente una biografia costantiniana (Konstantin der Große, Stuttgart 1958) che riprende le sue riflessioni dal 1955 per diffonderle presso un pubblico più ampio. Fu ristampato più volte, nel 1972 fu anche tradotto in inglese41 e diffuso, insieme alla rappresentazione di Costantino offerta da Vogt, come testo fondamentale per una formazione accademica. Non c’è poi da meravigliarsi se i grandi temi come la presunta conversione di Costantino e la data del 312 a essa collegata siano rimasti al centro del dibattito storiografico42. Invece altre macroaree tematiche, come ad esempio la politica estera o le regole di successione, furono trattate molto più di rado, ma comunque sempre nel modo opportuno43. Anche nell’ambito delle attività accademiche furono pubblicati più volumi, che sotto diversi aspetti fungono da buona introduzione, nei contenuti e nella documentazione, a Costantino e al suo tempo44. Contro il recupero di Costantino nell’ottica di una moderna visione del mondo cristianamente orientata, cercò di muovere invece Jochen Bleicken.
Jochen Bleicken45, storico dell’antichità nato sull’isola di Sylt, studiò all’Università di Kiel Filologia classica e Storia antica. Sempre qui si addottorò con Alfred Heuß (1909-1995) nel 1954 e lo seguì all’Università di Gottinga come assistente, dove nel 1961 completò il suo percorso accademico con l’abilitazione. Dopo aver lavorato come professore ad Amburgo (1961-1967) e a Francoforte (dal 1967) nel 1977 divenne successore del suo maestro Heuß a Gottinga (fino al 1991). Il punto nodale della ricerca di Bleicken si trova nella storia costituzionale, nella storia sociale nell’epoca repubblicana romana e in quella imperiale nonché nella storia del periodo della democrazia ateniese46. Nei suoi studi sui sistemi sociali e politici dell’Impero, per i quali è considerato l’autentico successore di Mommsen, egli è uno dei primi storici dell’ordinamento a tenere conto anche della diffusione del cristianesimo. Come il suo maestro Heuß, Bleicken si vede meno come scienziato dell’Antichità e più come storico che lavora sulla base di una matura critica filologica delle fonti e della chiarificazione del loro rapporto con la tradizione senza premesse metodologiche o dibattiti teorici.
In questo senso si può comprendere sia la pubblicazione del trattato Constantin der Grosse und die Christen: Überlegungen zur konstantinischen Wende (München 1992) – edito come supplemento della Historische Zeitschrift – sia la dedica stessa al suo maestro di filologia classica a Kiel, Erich Burck (1901-1994) come un atto programmatico. Partendo dalla prospettiva d’indagine aperta dalla monografia di Vogt, Bleicken osserva che la moderna storiografia fa risalire, a parte poche eccezioni, la politica religiosa di Costantino a un suo cambiamento interiore. Con uno sguardo ai lavori di Grégoire, Piganiol e H. von Schönebeck47, che già Hönn per la sua monografia aveva analizzato spesso, egli vede però la necessità di esaminare nuovamente la questione della motivazione di Costantino all’interno di una raccolta di sei studi singoli. Diversamente dal suo predecessore Bleicken considera fattore scatenante per la svolta di Costantino al cristianesimo non la persecuzione dei cristiani da parte dei tetrarchi, ma l’editto di tolleranza di Galerio del 311. Costantino non avrebbe riconosciuto il significato sociale del cristianesimo, ma l’agire di Galerio si spiega con una motivazione di potere politico desideroso di ristabilire l’equilibrio che inizia a vacillare tra gli imperatori orientali e occidentali. La persecuzione dei cristiani avrebbe indebolito particolarmente la parte dell’Impero controllata da Massimino Daia (in Oriente), di cui questi tuttavia, necessitava per la sicurezza della sua posizione contro le ambizioni degli imperatori d’Occidente Costantino e Licinio. Allo stesso modo Bleicken vede anche nell’alleanza tra Licinio e Costantino del 313 certamente una mossa politica volta, nello specifico, a rafforzare Licinio a discapito di Massimino Daia, che dopo la morte di Galerio si era allontanato nuovamente dalla linea tollerante di quest’ultimo.
Il citato contrasto fra un cristianesimo forse già ampiamente diffuso nella parte orientale dell’Impero e lo scarso numero di seguaci in Occidente, porta Bleicken (sulla scia delle posizioni di Harnack e altri) «innanzitutto a una maturata diffidenza» nei confronti dei racconti della conversione prima della battaglia di ponte Milvio, poiché attribuire alla politica filocristiana di Massenzio il valore di un’aperta professione di fede gli appare rischioso.
Come Vogt, perciò, anche lui predilige il racconto di Lattanzio (del 315) rispetto all’agiografia di Eusebio (del 337). La versione di Lattanzio sulla visione è interpretata inoltre come una tarda lettura cristiana di segni meteorologici nel senso di una previsione di vittoria48. Anche nel periodo immediatamente successivo al 312 Bleicken non riconosce nessuna svolta univoca verso il cristianesimo. Spiega la rinuncia al trionfo con le circostanze del momento e sostiene la sua tesi citando l’iscrizione sull’arco di Costantino. Con arcum triumphis insignem Costantino evita la forma plurale tradizionale di ‘trionfi’, e con instinctu divinitatis opta per una formulazione generica allusiva degli dei nel loro complesso. Anche i cristogrammi spesso eseguiti sulle prime monete sono interpretati come simboli polisemici, che possono anche far pensare al Sol Invictus oppure a Mitra49.
Successivamente, nella questione dello scontro con i donatisti, Costantino si è comportato da pontifex maximus, sommo responsabile delle questioni legate ai culti e arbitro tra le parti50, mentre per Bleicken soltanto la guerra contro Licinio marcherebbe una svolta politico-religiosa. Licinio aveva cominciato a discriminare i cristiani deponendoli dalle posizioni di ufficiali o dai loro ruoli nell’amministrazione poiché egli temeva che la tensione fra cristiani e non-cristiani si estendesse fino a raggiungere la natura di conflitto civile. La politica religiosa di Costantino fra il 314 e il 324 viene conseguentemente compresa come un strumento di politica interna, finalizzata a farlo apparire agli occhi dei cristiani nella parte orientale dell’Impero come liberatore e benefattore in opposizione a Licinio. La religione però non è evidentemente l’unica ragione della guerra, infatti Costantino continua a coniare Marte e Sol sulle sue monete51. Anche negli altri ambiti della politica Costantino si mostra aperto nei confronti sia di cristiani sia di pagani, così che l’irruzione del cristianesimo come religione preferita dal sovrano nell’Oriente dell’Impero ebbe luogo solo lentamente e senza rompere con gli usi tradizionali, a partire dalla vittoria su Licinio nel 32452. Così Bleicken evita da una parte di dover spiegare l’atteggiamento interiore di Costantino e i suoi cambiamenti, cosa che – sulla base delle fonti disponibili – gli pare comunque difficile, ma dall’altra anche la necessità d’intendere la sua conversione come astuta e calcolata politica di potere, sulla scia di Burckhardt. Non lui, bensì gli altri imperatori cominciano a utilizzare il cristianesimo come fattore politico funzionale ai loro scopi di governo. Con questo Bleicken spiega la diffusione del cristianesimo come processo storico nella cornice di uno sviluppo politico53.
In risposta a questa tesi il testo di Klaus Bringmann, Die konstantinische Wende: zum Verhältnis von politischer und religiöser Motivation54, fa senz’altro riflettere per il fatto che le misure filo-cristiane sotto Licinio e Costantino furono riconoscibili solo dopo la conquista dell’Oriente, e, in merito alla loro rilevanza politica, nella cornice di una dimensione collegiale della sovranità erano certo trascurabili. In ogni caso il sovrano d’Oriente nella sua politica interna doveva fare i conti con il possibile fattore di disturbo rappresentato dai gruppi cristiani inseriti in un ambiente pagano. Anche la debolezza economica che spesso caratterizzava i culti tradizionali li mise in concorrenza con il cristianesimo.
Dopo la rassegnazione di Galerio di fronte all’insuccesso delle persecuzioni in Oriente e l’editto di tolleranza del 311, i suoi successori dovettero darsi il compito di integrare i cristiani per assicurare l’Impero dall’esterno, e per garantire la quiete e l’ordine pubblici all’interno. Passando alle misure spesso classificate come anticristiane di Massimino Daia e di Licinio, si può dire che Bringmann le ritenga conseguenza del potenziale conflittuale rappresentato dai cristiani, con il loro atteggiamento nei confronti dei riti statali e a causa delle controversie dogmatiche interne.
Al contrario di Bleicken, dunque, Bringmann parte dal fatto che Costantino avrebbe accettato il cristianesimo già nel 311/312, ma fa sue, per ragioni di Realpolitik, le formulazioni enoteistiche di Licinio (summa divinitas)55, di cui rafforza le fondamenta con l’instinctu divinitatis nell’iscrizione sull’arco di Costantino. Il riferimento di questa formula a Marte, Apollo, Sol Invictus o anche a Cristo, Costantino lo lascia all’interpretazione di ciascuno, ma la formula poteva corrispondere a esigenze di occasione e contesto locale, e potrebbe risalire all’ideologia imperiale o di governo.
Le rappresentazioni cristiane vengono continuamente fuse con i simboli tradizionali, come ad esempio il Sole, per trovare una larga convergenza intercultuale. Il privilegio accordato alla spiritualità cattolica è da giustificare col fatto che Costantino, come pontifex maximus, voleva garantire la corretta prassi del culto cristiano, sicché, in questa prospettiva, ledere la pax deorum non pareva certo un approccio corretto. Nelle leggi emanate successivamente, infatti, Costantino limita le pratiche pagane ancor meno di quanto egli non esprima, con il lessico da lui scelto, il suo implicito disprezzo nei confronti dei riti tradizionali. La legislazione antipagana viene quindi intesa come conseguente. Per questo Bringmann in Costantino vede, al contrario di Bleicken, un cristiano convinto che, per mantenere la pace interna, rinuncia alla persecuzione di chi è nell’errore, ma anche che, con la sua ideologia della sovranità, con il suo impegno nella Chiesa e con le sue dichiarazioni, desidera condurre chi ha sbagliato sulla retta via. La politica di Costantino è per lui da comprendere come la cristianizzazione della società e dell’Impero in considerazione alle circostanze di Realpolitik.
Poco dopo l’articolo di Klaus Bringmann, Bruno Bleckmann56 pubblica nella collana rororo-Biographien, destinata a un vasto pubblico, un’importante biografia che conosce una diffusione molto ampia, ma che trova anche impiego nell’insegnamento accademico e sarà più volte ristampata. Dalla sua bibliografia, composta in modo complessivamente scientifico, così come dal dibattito dettagliato e dal giudizio che si trae dalle testimonianze delle fonti, risulta che quest’opera può essere pienamente considerata un prodotto della ricerca storico-critica su Costantino. La buona ricezione di questa biografia si spiega, a differenza di altri profili, anche perché l’autore, per il suo dottorato nel 1991 con Gustav A. Lehmann a Colonia57 e i numerosi saggi sulle fonti della storia ecclesiastica si è affermato come specialista nell’ambito della tarda antichità58. Dopo il soggiorno Gottinga nel 1997, Bleckmann ha ottenuto una cattedra universitaria a Strasburgo II (1998-2002), a Berna (2002-2003), e a Düsseldorf (dal 2003). Bleckmann è considerato il tipico rappresentante della scuola tedesca della critica delle fonti. Però egli, nella sua biografia di Costantino, non omette le importantissime fonti numismatiche, archeologiche ed epigrafiche. All’inizio della sua biografia offre una breve panoramica d’insieme sulla storia dell’interpretazione di Costantino fino a Gibbon, con cui egli fa iniziare la ricerca moderna. Come i suoi predecessori anche Bleckmann considera l’interpretazione del compito di Costantino nella storia universale come l’elemento fondante della ricerca. Egli però richiama l’attenzione anche sul fatto che le molte e diverse tradizioni costantiniane impediscono più che facilitare l’accesso alla sua personalità. Per questo Bleckmann intende trarre conclusioni sull’identità e sul carattere di Costantino soltanto con molta cautela. E a questo si può ricondurre anche il fatto che l’imperatore è studiato dalla prospettiva dello stesso ambiente culturale e sociale comune ai suoi predecessori e rivali59. L’elevazione ad Augusto a York risulta una violazione dell’ordine tetrarchico dioclezianeo, finalizzato ad arginare, attraverso riforme nel campo della politica interna, il pericolo di usurpazione, e con lo scopo ulteriore di ottimizzare la difesa dei confini. Le riforme di politica interna che anche Costantino proseguì servirono a rafforzare la sicurezza militare dell’Impero. La persecuzione dei cristiani che precede il regno di Costantino è intesa innanzitutto come conseguenza della protezione ideologica e di politica interna dell’Impero. Galerio invece, nei confronti del suo Cesare Massimino Daia, deve emanare l’editto di tolleranza del 311 per ricevere carta bianca e poter agire nell’ambito del conflitto affiorato con gli imperatori occidentali e usurpatori. La battaglia di ponte Milvio e la conversione di Costantino – spesso a essa collegata – viene valutata anche da Bleckmann in modo molto scettico. Da un lato, con Henri Grégoire, egli riconosce nella visione di Apollo trattata nel Panegirico del 31060 lo sfondo per la descrizione del fenomeno offerta da Eusebio61, dall’altro Bleckmann preferisce il resoconto riservato di Lattanzio62 a causa della sua vicinanza con quanto accaduto realmente a Roma e con le circostanze della visione di Treviri. Bleckmann inoltre non si occupa della natura del miracolo, perché, dato il periodo storico, così ricco di segni e miracoli, per lui esso non rappresenta il modo essenziale di porre il problema. Egli non parte nemmeno da un’esperienza di conversione, bensì dal fatto che Costantino credeva a certe e non ben definite potenze divine che favorivano il suo operato. I segni (della croce) sugli scudi dei suoi soldati vengono considerati perciò non come un simbolo puramente cristiano quanto piuttosto come marchio di riconoscimento per distinguere l’amico dal nemico – cioè le truppe di Massenzio equipaggiate con delle uniformi romane63. Solo più tardi i diversi rapporti furono adattati alla dottrina cristiana. Altre testimonianze di questo monoteismo primitivo, indefinito e forse di matrice neoplatonica, Bleckmann le vede nell’iscrizione sull’arco di Costantino e nel conio delle monete, che mostrano l’imperatore con il Sol Invictus. Solamente questo credo personale, e non già il padre Costanzo, avrebbe allontanato Costantino, in occasione della persecuzione dei cristiani messa in atto da Diocleziano, dall’ideologia della sovranità d’epoca tetrarchica.
Solo dopo la vittoria su Massenzio Costantino poté mettere da parte le sue cautele politiche in materia di religione. L’intervento nella controversia con i donatisti pertanto, non va spiegato unicamente in virtù del suo ruolo di ‘sorvegliante’, cioè come pontifex maximus, perché Bleckmann riconosce nei documenti ufficiali l’interesse personale di Costantino per le questioni interne alla Chiesa. Il cosiddetto editto di tolleranza, con cui egli voleva portare dalla sua parte politica Licinio, contro Massimino Daia, così, risalirebbe a lui. Dopo la sconfitta di Daia Costantino accentua ancor più la sua inclinazione verso il Cristianesimo, per mettere in luce sé stesso, ora, di fronte a Licinio. La legislazione religiosa vale perciò come prova, perché privilegia il cristianesimo senza però violare i culti pagani64. Licinio risponde riducendo i privilegi accordati ai cristiani e attuando un programma di legittimazione incentrato sulla figura di Giove. Con la vittoria su Licinio e con il cambio del titolo da Invictus (in allusione a Sol) a Victor, Costantino dal 325 mostra apertamente di riconoscere Cristo65. Il rapporto temporale con le ‘enigmatiche’ tragedie familiari relative agli assassinii del figlio Crispo (l’accusa pare, probabilmente, quella di alto tradimento) e della moglie Fausta, come è detto in Zosimo66, Bleckmann lo ritiene casuale. Sarebbe giusta soltanto la data della professione di fede pubblica.
Durante il periodo della monarchia costantiniana la preferenza nei confronti del cristianesimo diviene il filo rosso di tutte le decisioni amministrative67. Elementi tradizionali della rappresentazione dell’imperatore vengono continuamente integrati in modelli esplicativi cristiani attraverso i quali si forma un voluto doppio senso. Solo le cose che più possono infastidire i cristiani vengono rimosse con decreto68. Il Dio cristiano è venerato in seguito al successo di Costantino, principalmente come divinità protettiva cui deve corrispondere una Chiesa unificata. La convocazione del concilio di Nicea, la presidenza di Costantino, la sua posizione e il suo discorso servono alla fine alla «trionfale autorappresentazione» dell’imperatore69. I problemi materiali si trasformano perciò in una variante retorica della teologia70. Costantino dirige i lavori del sinodo, perciò, come un’assemblea del Senato, in cui mantiene una distanza dai vescovi dettata da un rapporto di differente autorità, senza approfittarne per appoggiare l’una piuttosto che l’altra fazione71.
Con la fondazione di Costantinopoli, città che ha una indubbia rilevanza strategica ma non dovrebbe rappresentare una concorrenza per Roma, Costantino emula i sovrani ellenistici. A causa degli elementi pagani anche per Bleckmann la nuova residenza non viene edificata come città puramente cristiana72.
Contrariamente alla testimonianza di Zosimo, Bleckmann vede nelle riforme militari costantiniane, che mirano a costituire un esercito di movimento, il vero segreto che consente di arginare con successo i pericoli nell’ambito della politica estera, come quello dei goti tervingi che minacciavano l’area danubiana nel 33273 oppure quello della campagna militare pianificata contro i sasanidi. Il battesimo e la successiva sepoltura nella chiesa dei Santi Apostoli indicano, secondo Bleckmann, il rapporto personale di Costantino con Cristo, suo «potente dio protettore», che in venti anni di battaglie per restaurare un governo monarchico si è rivelato, di fronte agli dèi dei tetrarchi, la miglior «opzione politico-religiosa»74. Con ciò Bleckmann mostra certamente di riconoscere il contributo costantiniano alla storia universale, che però al contempo relativizza nel senso in cui l’aveva fatto anche Vogt, quando egli ammette che Costantino potesse non essere consapevole della portata delle sue azioni, che egli stesso classifica come personali.
L’anno 2007 fu dedicato, in Germania e in special modo a Treviri, all’anniversario dell’insediamento di Costantino nella residenza di suo padre Costanzo Cloro. Accanto al ricco catalogo della mostra allestita e al volume sul simposio a essa connesso75, apparvero in tale occasione numerose biografie, tra le quali in questa sede saranno presentate quelle di maggiore importanza76. Accanto a esse, un non esiguo numero di convegni e di miscellanee si sono interessati di alcuni aspetti del regno di Costantino77. Una sezione del congresso federale degli storici tedeschi riunitosi nel 2006 a Costanza è stata dedicata esclusivamente all’imperatore e alla sua ricezione78. Come tema principale prevale la questione posta da Burckhardt relativa alla posizione personale e ufficiale di Costantino in rapporto al Cristianesimo e alle altre culture. La maggior parte della discussione ha riguardato la critica delle fonti e la loro interpretazione, poiché accostate da parte sia di storici della Chiesa sia di storici dell’antichità79.
Questa tendenza emerge con particolare chiarezza negli scritti di Klaus Martin Girardet, comparsi già prima del 2006 e che successivamente vengono ampliati e ripubblicati. Il pregio dei suoi lavori sta anche nel fatto che, attraverso il minuzioso lavoro sulle fonti e l’approfondita familiarità con la letteratura secondaria, gli esiti cui giunge lo storico costituiscono una visione d’insieme degli studi finora presi in esame.
Dopo la maturità conseguita in una scuola serale nel 1966, Girardet studiò Storia e Teologia evangelica all’Università di Bonn, dove si addottorò nel 1972 con Johannes Straub. Si abilitò nel 1979 a Trier con una tesi sul De Legibus di Cicerone, prima di ottenere la cattedra di Storia antica presso l’Università del Saarland, dal 1980 al 2006. Girardet si è occupato di Costantino dapprincipio in occasione della sua dissertazione dottorale80 e, in occasione dell’anniversario di Treviri, rieditò insieme due studi, pubblicati separatamente nel 1998, incentrati sul modo di porre la questione della svolta costantiniana e sulla ‘religiosità’ di Costantino81. A questi seguirono Kaisertum, Religionspolitik und das Recht von Staat und Kirche in der Spätantike (Bonn 2009), un volume che raccoglieva articoli e contributi precedenti, e Der Kaiser und sein Gott. Das Christentum im Denken und in der Religionspolitik Konstantins des Großen (Berlin-New York 2010)82.
Nella prima parte dello studio del 2007 viene approfondita la questione relativa a quale imperatore prima di Costantino avesse avuto simpatie per il cristianesimo, e termina sostenendo che tutto ciò che si sa è da considerare come invenzione di apologeti cristiani o pagani. La svolta verso il cristianesimo è quindi da attribuire solamente a Costantino. Nella seconda parte Girardet si confronta con la discussione degli ultimi dieci anni attorno alla nozione di ‘svolta’. Girardet intende difendere l’idea di ‘svolta costantiniana’ contro chi vi si è opposto, attraverso una coerente critica delle fonti e con argomenti in parte conosciuti e in parte nuovi. Girardet argomenta dunque in particolare contro la posizione di Bleicken, che, sulla scia di Jacob Burckhardt e di Henri Grégoire, non ha voluto riconoscere nessuna relazione tra il comportamento religioso personale di Costantino e le sue azioni religioso-politiche, perché egli considera quale motivazione primaria delle scelte dell’imperatore una serie di calcoli di potere e diffida notevolmente delle fonti83. Uno dei perni attorno a cui ruota la questione, del resto, è il comportamento di Costantino dopo la vittoria contro Massenzio a ponte Milvio. Girardet lo intende non come esito di un lungo processo religioso, ma come una cesura univoca con le tradizioni pagane e con un passo per lui conscio verso il cristianesimo, cosa che lo storico tedesco chiama «salto qualitativo». Partendo dall’autotestimonianza dell’imperatore84 e dall’osservazione di Lattanzio secondo cui il «vero cristiano» si riconosce dal disprezzo per le immagini degli dei85, questo atteggiamento per Girardet diventa evidente nel rifiuto del trionfo e delle vittime sacrificali86. Di conseguenza egli analizza le restanti testimonianze in base alla loro plausibilità. Il fatto che Costantino mantenga tuttavia sulle monete il linguaggio simbolico tradizionale, attesta ad esempio il suo istinto politico e la sua sensibilità in relazione alla maggioranza pagana della popolazione nell’Impero.
Altre argomentazioni di Girardet sulla politica religiosa, sul ruolo dell’imperatore ora cristiano, così come sul suo atteggiamento di fronte ai non cristiani e agli eretici dovrebbero sostenere la sua visione della svolta. Egli si rivolge risolutamente contro la separazione tra norme in ambito religioso e norme in ambito politico. Gli aspetti monoteistico-universalistici del cristianesimo, del resto, non si presentano solo nel conflitto con i culti tradizionali, ma anche in relazione alla controversia donatista. Anche se il pluralismo delle religioni sotto il segno della pretesa di verità e assolutezza cristiane è impossibile, l’imperatore rinuncia per motivi di Realpolitik alla violenza contro i pagani, mentre le misure coercitive contro gli eretici si possono giustificare come misure di protezione dell’unità della cristianità e della potenza dell’operato del Dio cristiano. L’universalismo cristiano incontra qui in modo addirittura naturale la pretesa di dominio sul mondo unita alla funzione di imperatore e all’impero.
La svolta difatti viene presentata, come conseguenza di ciò, anche con una citazione del suo maestro Straub, in una cornice di storia universale: senza la svolta costantiniana, l’allontanamento personale e politico di questo sovrano dagli dei tradizionali di Roma e il rivolgersi al dio dei cristiani, dal politeismo attraverso un vago filosofico enoteismo fino a un monoteismo cristiano, la storia del mondo avrebbe seguito un altro corso87.
In Der Kaiser und sein Gott Girardet segue il tracciato segnato in precedenza in Die Konstantinische Wende: la conversione al cristianesimo di Costantino sarebbe stata sincera. Considerando a posteriori Burckhardt, Girardet spiega ancora una volta il condizionamento personale e temporale di quell’immagine di Costantino definita attraverso la teoria della decadenza degli antichi e una concezione dell’imperatore elaborata dalla storia teleologica. Di conseguenza, per Girardet, Costantino deve essere giunto al cristianesimo necessariamente spinto dal gran numero di abitanti cristiani dell’Impero, del loro grado di organizzazione o della loro posizione sociale, e non soltanto per importanti motivi religiosi. Il successo della religione viene fatto risalire, infine, al successo militare di Costantino, che attraverso la sua lunga vita ha portato il cristianesimo a imporsi. A tal proposito Girardet non esclude che Costantino abbia saputo, molto probabilmente, valutare i diversi vantaggi della religione e tra essi anche quelli legati ai suoi livelli organizzativi. La parte principale del libro consiste nell’appoggiare la tesi, che fu dapprima di Dörries, relativa al valore decisivo delle (auto-)testimonianze d’epoca costantiniana88. In costante spirito critico, anche rispetto a tale concezione, Girardet non manca mai di sottolineare, tuttavia, il carattere parzialmente ipotetico delle assunzioni derivabili da queste autotestimonianze.
Con Girardet divengono centrali due problemi. In primo luogo la visione della croce, che non è ritenuta, come nel racconto di Eusebio, precedente alla battaglia di ponte Milvio e avrebbe avuto luogo in Gallia nel 310, sebbene secondo Girardet sia stata fatta passare – probabilmente per ragioni di politica interna – come visione di Apollo. Solo dopo la vittoria contro Massenzio, e dunque da incontrastato sovrano della parte occidentale dell’Impero, Costantino, verso la fine del 312, poté rendere pubblica la sua conversione.
Girardet muove pertanto contro tutti quelli che prendono le mosse dall’idea che il monoteismo di Costantino fosse di matrice pagana, solare e universale e si fosse cristianizzato soltanto dopo un lungo processo e in seguito alle possibilità di esercizio di potere offerte dalla nuova religione. Il suo argomento principale muove contro l’idea per cui il cristianesimo antico avrebbe voluto differenziarsi da un enoteismo pagano, come quello dei culti tradizionali, che ammetteva la possibilità che esistessero anche divinità minori, emanazione dell’unico e sommo dio. Di conseguenza Girardet muove anche contro chi intende quello del Sol Invictus come un culto adatto a permettere a Costantino di ricongiungere in esso il mondo simbolico cristiano e pagano, oppure davvero un culto da cui Costantino avrebbe sviluppato la sua devozione a Cristo89.
In secondo luogo, a seguito di questo processo Girardet cerca anche di provare dettagliatamente che l’Oratio ad sanctorum coetum sia innanzitutto autentica e inoltre che venne tenuta nel 314 a Trier per siglare la chiusura dei cosiddetti anni della decisione (310-314). Anche questo avvenne, come nella descrizione della diatriba con i seguaci di Ario, con lo scopo di dimostrare che Costantino comprendeva i concetti teologici del cristianesimo del suo tempo più di quanto si desidera generalmente riconoscergli in quanto militare. La legislazione religiosa, il suo ruolo come pontifex maximus e come episcopus episcoporum sono tutti elementi che Girardet vede nuovamente sorretti da un coinvolgimento personale dell’imperatore, coinvolgimento che si allinea perciò al ruolo sociale che avevano i culti tradizionali, nel senso di essere al servizio del suo esercizio del potere. Girardet di conseguenza abbozza, nell’ultima parte del suo saggio, la cristianizzazione dell’umanità come fine politico di Costantino che, per lo studioso tedesco, deriva sia dalla sua professione di fede sia dall’idea romana di dominio sul mondo.
Hartwin Brandt studiò dal 1979 al 1985 a Kiel storia, latino e germanistica prima di addottorarvisi nel 1986 con Frank Kolb (1945-) e, dopo la nomina di quest’ultimo a Tubinga nel 1992, di conseguire l’abilitazione in quello stesso anno. L’ambito del suo principale interesse è, come per il suo maestro Kolb, la storia della tarda antichità e dell’Asia Minore. Accanto a un’indagine sull’Anonymus De rebus bellicis90, ha redatto anche un manuale accademico sulla storia imperiale romana del periodo della tarda antichità91. Dopo un periodo come professore alla Technische Universität di Chemnitz (dal 1993) Brandt è, dal 2002, professore di Storia antica a Bamberga.
Brandt inizia la sua biografia di Costantino il Grande92 con una riflessione metodologica sul compito di una biografia scientifica – avendo come modello quella di Cesare di Christian Meier – e sulla questione93 di come lo storico si debba comportare dovendosi muovere tra mito e storia. Su questa domanda Brandt postula, come fondamento teorico, «l’onnipresenza del religioso», che dà forma allo spirito dell’epoca tra III e IV secolo.
Questo lo conduce a pensare che la ‘svolta costantiniana’ vada compresa non come una miracolosa, improvvisa conversione, ma come prodotto delle circostanze del tempo94. Poiché la maggior parte delle fonti sul periodo della vita di Costantino, e a maggior ragione quelle successive, si propongono ex eventu di offrire un’interpretazione dell’imperatore, Brandt si sforza – per quanto possibile – di fare una critica esatta delle fonti, la quale tuttavia molto spesso porta a dubitare dei dettagli biografici. Brandt non cerca risposte univoche, ma si preoccupa della chiara denominazione del problema e del modo di porre le questioni.
Contrariamente alle autotestimonianze costantiniane raccolte da Dörries95, Brandt rinuncia a dare un’interpretazione dettagliata della personalità di Costantino quale emerge dalle biografie antiche, e si concentra piuttosto sulla descrizione dell’ambiente e dei frammenti biografici. Il rapporto con l’ordine tetrarchico, ordine in cui Costantino non aveva nessun ruolo, viene visto alla luce dell’usurpazione del 306, alla luce della conferenza imperiale di Carnuntum (308) e a maggior ragione tramite il ricorso alla figura di Claudio II il Gotico (268-270) inteso – a ragione – come personaggio poco convincente; ma Costantino doveva superare il sistema, se voleva soddisfare la propria personale ambizione. Brandt tratta il tema della maturazione religiosa di Costantino in modo altrettanto cauto, premettendo, con la menzione del panegirico del 310 e con la visione di Apollo in esso descritta, innanzitutto l’importanza che il richiamo a questa divinità doveva inizialmente avere per legittimare la sovranità di Costantino, che viene presentata, nella forma del Sol Invictus, come alternativa al co-dominio degli Iovii e degli Herculii.
Notando la completa assenza di Costantino nel cosiddetto editto di tolleranza di Galerio del 311, Brandt deduce che anche Costantino si trovasse, in ogni caso, sulla via per il cristianesimo e considerasse il monoteismo solare come una fase momentanea. La cosiddetta svolta costantiniana nell’autunno del 312 Brandt la vede tuttavia, con Klaus Martin Girardet, come «salto qualitativo»96 che fa capo all’esperienza di un’improvvisa conversione. Con questo egli contraddice quella tradizione di studi germanofoni – si pensi ad esempio a Klaus Rosen e Jochen Bleicken – che prende le mosse dall’ipotesi di una lenta maturazione religiosa a partire da un monoteismo solare per giungere alla cristianizzazione delle tradizioni pagane97. Brandt sottolinea la svolta mirabile nella battaglia di ponte Milvio, nonché le successive misure prese in merito ai conflitti interni alla Chiesa (donatisti) e l’edificazione di chiese a Roma, come tratti della politica di Costantino fortemente cristiani e al contempo riconosce che non tutti gli elementi ideologici costantiniani – come ad esempio l’arco di Costantino a Roma – possono portare a una «relazione il più concorde possibile». Proprio l’intuito costantiniano per la Realpolitik lo porta a ricorrere alle forme comunicative tradizionali nella rappresentazione della sua stessa persona e del programma imperiale. Per questo le ambigue possibilità interpretative sono da imputare alla volontà di Costantino di soddisfare tutte le categorie e le aspettative, senza pronunciarsi in modo radicale in direzione antipagana. Brandt valorizza molto la differenza tra il cristianesimo privato di Costantino, di cui egli non dubita, e quella «politica pragmatica, razionale nello scopo che si prefigge, non dogmatica e orientata al suo fine».
Riguardo alla discussione sull’evidente peso di Costantino per le vicende della storia ecclesiastica al concilio di Nicea e alla sua sensibilità monarchica, Brandt intende valutare prudentemente fin dove Costantino abbia voluto impiegare la pretesa di assolutezza del cristianesimo e dove non l’ha ancora compresa nella sua radicalità. Tuttavia egli parte in fondo dal fatto che Costantino volesse incarnare l’«unità del regno terreno e spirituale».
Brandt approccia il tema della fondazione di Costantinopoli a partire da una chiara differenza tra le fonti coeve e quelle postcostantiniane, intende la città come monumento alla vittoria dell’imperatore – in rapporto alla sconfitta di Licinio – più che come residenza strategica vicino al fronte danubiano. L’allestimento della città e la sua espansione mostrano chiaramente che Costantino aveva concepito per Costantinopoli un’importanza pari a quella di Roma (così emerge dall’interpretazione delle immagini sulle monete), ma non voleva necessariamente equipararla a Roma sul piano del valore o farla costruire simile a essa. Allo stesso modo Brandt evita di definirla ‘nuova capitale cristiana dell’Impero’, perché non vengono eliminati gli elementi tradizionali, che anzi vengono inclusi nella pianificazione coscientemente orientata al modello di Roma. La cristianizzazione è innanzitutto da attribuire ai successori Costanzo II e Teodosio I e ai membri della dinastia di quest’ultimo. Le riforme negli ambiti della politica interna, dell’amministrazione e delle finanze seguono la direzione imboccata da Diocleziano e dai suoi coreggenti e si spiegano sulla base di quel che sembra la politica religiosa di un imperatore che opera in modo pragmatico. L’introduzione del solidus viene considerata da Brandt come una conseguenza logica della riforma dioclezianea della moneta.
L’aspirazione di Costantino a rimpiazzare il sistema tetrarchico della cooptazione con il principio di successione dinastica si era delineata già nel 317 nell’accomodamento con Licinio, e divenne palese dopo la sconfitta di quest’ultimo nel 324. Dalle fonti numismatiche risulta evidente inoltre che egli, almeno dal 335, formò un collegio di quattro cesari da lui presieduto per prepararli alla presa del potere. Al contrario dell’ideologia dominante monarchica diffusa da Eusebio, che uguaglia l’imperatore a un dio, Costantino, da pragmatico del potere quale era, aveva invece compreso che, sulla base della sua situazione familiare, non poteva evitare una divisione del potere tra i successori senza rischiare una guerra civile, che peraltro poi scoppiò ugualmente. Questo pragmatismo politico, che spesso può essere ritenuto ambivalente, per Brandt è invece chiaro nelle descrizioni del battesimo, della morte e della consacrazione di Costantino, attraverso le quali l’imperatore, ispirato da Cristo Verus Sol, s’imbatte negli elementi tradizionali del culto imperiale.
Dopo la laurea in Storia, filosofia e latino Elisabeth Herrmann-Otto si addottorò nel 1977 all’Università di Magonza con Heinz Bellen discutendo una tesi dal titolo Ecclesia in Re publica. Die Entwicklung der Kirche von pseudostaatlicher zu staatlich inkorporierter Existenz (Frankfurt a.M. 1980). Dopo aver ricoperto la carica di assistente ed essere stata direttrice dell’Arbeitsstelle Forschungen zur antiken Sklaverei, dove maturarono anche le sue idee per la tesi di abilitazione98, dal 2000 è titolare della cattedra di Storia antica all’Università di Treviri. Per questo motivo le fu chiesto di redigere una nuova biografia per l’anniversario costantiniano99.
A causa delle ambigue decisioni dell’imperatore e dei problemi sulle fonti letterarie, cercò di accostare la figura di Costantino attraverso il suo ambiente sociale e politico. Ecco perché il suo Leitmotiv è l’ambivalenza religiosa fra le tradizioni pagane e il cristianesimo nell’ideologia imperiale. Questo diventa chiaro dapprima con la proclamazione di Costantino ad Augusto a York, che viene spiegata alla luce della tradizione del programma dinastico di suo padre Costanzo Cloro e con la simbologia del Sol Invictus da lui adorato ricorrendo a Claudio II il Gotico.
Hermann-Otto include il successivo scontro con Massenzio nel tema della svolta costantiniana. La studiosa non parla di conversione, perché – sulla scia delle posizioni degli storici della Chiesa Heinrich Kraft e Martin Wallraff – a proposito della natura della religiosità tardoantica, vede un anacronismo in questo concetto. Per quanto concerne la rinuncia di Costantino a sacrificare sul Campidoglio, Hermann-Otto, al contrario di Girardet, vi riconosce non una decisione coscientemente religiosa, ma suppone o che nessuno menzioni il sacrificio costantiniano sul Campidoglio in quanto ovvio, oppure, al contrario, che fosse un rito caduto in disuso.
Le affermazioni ambigue delle testimonianze rispecchiano probabilmente per Hermann-Otto l’insicurezza dei commentatori pagani, mentre Costantino, dal 310, proprio con la visione dell’Apollo-Sol opta, in un primo momento, consapevolmente per l’ambivalenza, perché egli non riconosce nessuna contraddizione negli elementi solari e nella professione di fede cristiana. In altri termini, dato che i cristiani utilizzano anche per indicare Cristo la figura del sole di giustizia, Costantino coglie l’occasione per fondere questi elementi all’interno della sua personale propaganda di sovrano. Sol Invictus scompare solo con la vittoria definitiva contro Licinio, che offre a Costantino la possibilità di sbarazzarsi completamente della metafora del sole nelle rappresentazioni cristiane e nelle sue allusioni a sé stesso.
Del resto questa è per Costantino anche l’occasione di intraprendere una politica d’azione nei confronti di gruppi ecclesiastici in lotta tra loro in Oriente. Dopo una panoramica retrospettiva sulla persecuzione contro i cristiani, infatti, che non è attribuita alla conflittualità potenziale dei singoli gruppi cristiani e il cui fallimento è imputato alla mancanza di volontà dei funzionari di imporsi, Hermann-Otto spiega il conflitto donatista di cui – secondo la studiosa – Costantino aveva totalmente compreso la portata teologica. Hermann-Otto riconosce l’intervento dell’imperatore anche nella serie di compiti del pontifex maximus, responsabile della correttezza del culto degli dei al fine di allontanare la sventura dallo Stato (cioè al fine di conservare la pax deorum). Ora, lo stesso vale ugualmente per la controversia ariana, poiché era altrettanto necessario che tra i cristiani vi fosse un solo culto, il benessere dello Stato.
Come politico potente Costantino manifesta in modo chiaro il suo rapporto nei confronti di Licinio. Il conflitto religioso viene considerato in modo meno marcato, considerate le continue provocazioni di Costantino nei confronti del suo coreggente, che egli esclude dalle iscrizioni onorifiche e dai conii monetali nel territorio di sua competenza. Hermann-Otto interpreta l’allontanamento di Licinio dal cristianesimo, che spesso viene interpretato come misura contro i «naturali alleati» di Costantino, alla luce dei violenti diverbi all’interno della Chiesa in Oriente. A causa delle minacce per la sicurezza interna che queste diatribe rischiavano di causare, esse richiedono una particolare severità all’imperatore. Il dramma familiare relativo all’assassinio di Crispo, invece, per la storica tedesca è un complotto politico. Il desiderio impellente di Crispo di essere elevato ad Augusto d’Occidente viene inteso dall’imperatore come usurpazione, poiché presumibilmente anche parte dell’aristocrazia senatoria di Roma era coinvolta in questo piano. Tuttavia Hermann-Otto ammette che ciò contrasta con il fatto che la successione costantiniana intende in realtà proseguire il principio – cooptativo – tetrarchico sulla base di una logica dinastica. Il motivo per cui Costantino non volle, di fatto, elevare il suo Cesare e figlio a coimperatore rimane invece taciuto. Per quanto concerne poi la prosecuzione costantiniana delle riforme dei tetrarchi, è sufficiente prendere in esame le norme emanate in campo economico e politico-amministrativo. La legislazione costantiniana generale e quella specificamente religiosa, dunque, non mirano a una cristianizzazione dell’Impero o alla repressione dei culti tradizionali, ma servono per assicurare elementi già esistenti di quell’ordine sociale nuovo avviato dai tetrarchi. La fondazione di Costantinopoli secondo questa visione non rappresenta alcunché di cristiano né vuole essere una forma di concorrenza alla città di Roma, ma ubbidisce a una necessità politica e strategica. In questo senso Costantino è più un monarca conservatore che un visionario: ha dato avvio all’integrazione del cristianesimo perché il clamoroso insuccesso della persecuzione ha danneggiato lo Stato.
1 Konstantin der Große, hrsg. von H. Kraft, (Wege der Forschung, 131), Darmstadt 1974.
2 Ristampa e parziale traduzione di E. Schwartz, Zur Geschichte des Athanasius. Der Aufstieg Konstantins zur Alleinherrschaft, in Nachrichten von der königlichen Gesellschaft der Wissenschaften zu Göttingen. Philologisch-historische Klasse, 5 (1904), pp. 518-547; N.H. Baynes, Constantine the Great and the Christian Church, in Proceedings of the British Academy, 15 (1929), pp. 341-369; A. Alföldi, Hoc signo victor eris. Beiträge zur Geschichte der Bekehrung Konstantins des Großen, in Pisciculi. Studien zur Religion und Kultur des Altertums. Franz Joseph Dölger zum sechzigsten Geburtstage dargeboten von Freunden, Verehrern und Schülern, hrsg. von Th. Klauser, A. Rücker, Münster 1939, pp. 1-18; J. Vogt, Die Bedeutung des Jahres 312 für die Religionspolitik Konstantins des Großen, in Zeitschrift für Kirchengeschichte, 61 (1942), pp. 171-190; H. Dörries, Das Selbstzeugnis Kaiser Konstantins, Göttingen 1954, pp. 397-412; K. Kraft, Das Silbermedaillon Constantins des Großen mit dem Christusmonogramm auf dem Helm, in Jahrbuch für Numismatik und Geldgeschichte, 5/6 (1954-1955), pp. 151-178.
3 H. Grégoire, La ‘conversion’ de Constantin, in Revue de l’Université de Bruxelles, 36 (1931), pp. 231-272.
4 J. Vogt, Die constantinische Frage, in Relazioni del X Congresso Internazionale di Scienze Storiche, Roma 4-11 settembre 1955, II, Storia dell’Antichità, Firenze 1955, pp. 377-423 e, per una bibliografia sulla letteratura dal 1955 al 1972 si veda U. Schmidt, Literatur zu Konstantin dem Großen, in Konstantin der Große, cit., pp. 457-462.
5 Cfr. la ristampa di Th. Brieger, Constantin der Große, Kirchengeschichtlicher Essay, Gotha 1880, pp. 5-33; Th. Zahn, Skizzen aus dem Leben der Alten Kirche, Erlangen-Leipzig 1894, pp. 241-266 e A. Ehrhardt, Constantin der Große. Religionspolitik und Gesetzgebung, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte, 72 (1955), pp. 127-190.
6 Konstantin und das Christentum, hrsg. von H. Schlange-Schöningen, Darmstadt 2007.
7 Riguardo al Sol Invictus e alle tendenze sincretistiche di Costantino, cfr. M. Wallraff, Christus Verus Sol. Sonnenverehrung und Christentum in der Spätantike, Münster 2001.
8 M. Radnoti-Alföldi, Die constantinische Goldprägung. Untersuchungen zu ihrer Bedeutung für Kaiserpolitik und Hofkunst, Mainz 1963; K. Kraft, Das Silbermedaillon Constantins des Großen mit dem Christusmonogramm auf dem Helm, in Jahrbuch für Numismatik und Geldgeschichte, 5/6 (1954/1955), pp. 151-178; RIC VII.
9 Eusebius von Caesarea. Über das Leben Konstantins, hrsg. von B. Bleckmann, H. Schneider, Turnhout 2007; Laktanz. Die Todesarten der Verfolger, hrsg. von A. Städele, Turnhout 2003; I. König, Origo Constantini. Anonymus Valesianus, I, Text und Kommentar, Trier 1987.
10 Cfr. la recensione di W. Enßlin, in Historische Zeitschrift, 163 (1941), pp. 352-356.
11 H.P. L’Orange, A. von Gerkan, Der spätantike Bilderschmuck des Konstantinbogen, Berlin 1939.
12 H. Grégoire, La ‘conversion’ de Constantin, cit.; ma anche J. Maurice, Les dernières monnaies de consécration des Divi émises à Rome par Maxence en l’honneur des familles des «Jovii» et des «Herculii» et les monnaies commémoratives de la dynastie solaire des seconds Flaviens frappées par ordre de Constantin le Grand, in Mélanges en hommage à la mémoire de Fr. Martroye, Paris 1941, pp. 127-137. Si veda ancora il riferimento a A. Piganiol, L’empereur Constantin, Paris 1932 e H. von Schönebeck, Beiträge zur Religionspolitik des Maxentius und Constantin, Leipzig 1939.
13 A. Alföldi, Hoc signo victor eris, cit.
14 T. Heinze, Konstantin der Große und das konstantinische Zeitalter in den Urteilen und Wegen der deutsch-italienischen Forschungsdiskussion, München 2005, pp. 211-224; K. Christ, Neue Profile der Alten Geschichte, Darmstadt 1989, pp. 63-124.
15 K. Christ, Von Caesar zu Konstantin: Beiträge zur römischen Geschichte und ihrer Rezeption, München 1996, p. 268.
16 D. Königs, Joseph Vogt, Ein Althistoriker in der Weimarer Republik und im Dritten Reich, Frankfurt a.M. 1995, p. 15.
17 J. Vogt, Streitfragen um Constantin den Großen, in Mitteilungen des deutschen archäologischen Instituts, Römische Abteilung, 58 (1943), pp. 190-203; Id., Die Bedeutung des Jahres 312 für die Religionspolitik Konstantins des Großen, in Zeitschrift für Kirchengeschichte, 61 (1942) (= 3 s., 13 (1944), pp. 171-190); Id., Die Frage des christlichen Einflusses auf die Gesetzgebung Constantin des Großen, in Festschrift für Leopold Wenger: zu seinem 70. Geburtstag dargebracht von Freunden, Fachgenossen und Schülern, II, München 1945, pp. 118-148.
18 D. Königs, Joseph Vogt, cit., p. 51.
19 J. Vogt, Constantin der Große und sein Jahrhundert, München 19602.
20 K. Christ, Römische Geschichte und Wissenschaftsgeschichte, III, Wissenschaftsgeschichte, Darmstadt 1983, p. 171.
21 J. Vogt, Constantin der Große, cit., p. 145.
22 Cfr. Eus., v.C. 1,27-32.
23 Cfr. Lact., mort. pers. 44.
24 Ivi, pp.166-167.
25 D. Königs, Joseph Vogt, cit., p. 283.
26 J. Vogt, Constantin der Große, cit., pp. 188-190.
27 Ivi, p. 199.
28 Ivi, pp. 200-201.
29 Ivi, p. 214.
30 Ivi, pp. 218-222.
31 S. Mazzarino, Aspetti Sociali del IV secolo. Ricerche di Storia Tardo-romana, Roma 1951.
32 J. Vogt, Constantin der Große, cit., pp. 234 e 242.
33 Su questo tema si veda il contributo di J. Wischmeyer in questa stessa opera.
34 H. Lietzmann, Geschichte der Alten Kirche, III, Berlin 1938, pp. 148-149.
35 Si vedano le recensioni di W. Enßlin, in Historische Zeitschrift, 181 (1956), pp. 604-607 e A.H.M. Jones, in The English Historical Review, 81 (1956), pp. 136-137.
36 Si veda la recensione a Dörries e Kraft di H.U. Instinsky, in Gnomon, 30 (1958), pp. 125-133.
37 E. Schwartz, Kaiser Konstantin und die christliche Kirche, Leipzig 1913.
38 M. Radnoti-Alföldi, Die constantinische Goldprägung. Untersuchungen zu ihrer Bedeutung für Kaiserpolitik und Hofkunst, Mainz 1963; K. Kraft, Das Silbermedaillon Constantins des Großen, cit.; RIC VII.
39 Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus. Herrschaftspropaganda in der zeitgenössischen Überlieferung, Stuttgart 1990.
40 Ivi, p. 173.
41 H. Dörries, Konstantin der Große, Stuttgart 19672; H. Dörries, Constantine the Great, New York 1972.
42 Esemplare J. Szidat, Konstantin 312 n. Chr. Eine Wende in seiner religiösen Überzeugung oder die Möglichkeit, diese öffentlich erkennen zu lassen und aus ihr heraus Politik zu machen?, in Gymnasium, 92 (1985), pp. 514-525; W. Kuhoff, Ein Mythos in der römischen Geschichte. Der Sieg Constantins des Großen über Maxentius vor den Toren Roms am 28. Oktober 312 n. Chr., in Chiron, 21 (1991), pp. 127-174.
43 P.A. Barceló, Roms auswärtige Beziehungen unter der Constantinischen Dynastie (306-363), Regensburg 1981; H. Chantraine, Die Nachfolgeordnung Konstantins des Großen, Stuttgart 1992.
44 Quellensammlung zur Religionspolitik Konstantins des Großen, hrsg. von V. Keil, Darmstadt 19952; H. Brandt, Geschichte der Römischen Kaiserzeit. Von Diokletian und Konstantin bis zum Ende der konstantinischen Dynastie (284-363), Berlin 1998; F. Kolb, Herrscherideologie in der Spätantike, Berlin 2001; K. Piepenbrink, Konstantin der Große und seine Zeit, Darmstadt 20072.
45 T. Heinze, Konstantin der Große, cit., pp. 273-282.
46 J. Bleicken, Die Verfassung der römischen Republik, Paderborn 1975, Id., Verfassungs- und Sozialgeschichte der römischen Kaiserzeit, 2 voll., Paderborn 1975; Id., Die athenische Demokratie, Paderborn 19954; Id., Augustus. Eine Biographie, Berlin 1998.
47 H. Grégoire, La ‘conversion’ de Constantin, cit.; A. Piganiol, L’empereur Constantin, Paris 1932, H. von Schönebeck, Beiträge zur Religionspolitik des Maxentius und Constantin, Berlin 1939.
48 J. Bleicken, Constantin der Grosse und die Christen: Überlegungen zur konstantinischen Wende, München 1992, p. 29.
49 Ivi, p. 42.
50 Ivi, p. 47.
51 Ivi, pp. 59-60.
52 Ivi, p. 63.
53 Ivi, p. 65.
54 In Historische Zeitschrift, 260 (1995), pp. 21-47, ristampato in Konstantin und das Christentum, hrsg. von H. Schlange-Schöningen, Darmstadt 2007, pp. 109-132.
55 Sulla preghiera enoteistica dei soldati, cfr. Lact., mort. pers. 46,6.
56 T. Heinze, Konstantin der Große, cit., pp. 283-290.
57 B. Bleckmann, Die Reichskrise des III. Jahrhunderts in der spätantiken und byzantinischen Geschichtsschreibung: Untersuchungen zu den nachdionischen Quellen der Chronik des Johannes Zonaras, München 1992.
58 B. Bleckmann, Pagane Visionen Konstantins in der Chronik des Johannes Zonaras, in Costantino il Grande dall’Antichità all’umanesimo, Colloquio sul cristianesimo nel mondo antico (Macerata 18-20 dicembre 1990), a cura di G. Bonamente, F. Fusco, I, Macerata 1992, pp. 151-170; Id., Zu den Quellen der Vita Gallieni Duo, in Historiae Augustae Colloquium Maceratense, a cura di G. Bonamente, G. Paci, Bari 1995, pp. 75-105; Id., Bemerkungen zu den Annales des Nichomachus Flavianus, in Historia, 44 (1995), pp. 83-99; Id., Constantin und die Donaubarbaren: ideologische Auseinandersetzung um die Sieghaftigkeit Konstantins, in Jahrbuch für Antike und Christentum, 38 (1995), pp. 38-66; Id., Ein Kaiser als Prediger: zur Datierung der Konstantinischen Rede an die Versammlung der Heiligen, in Hermes, 125 (1997), pp. 183-202; Id., Überlegungen zur Enmannschen Kaisergeschichte und zur Formung historischer Traditionen in tetrarchischer und konstantinischer Zeit, in Historiae Augustae colloquium Bonnense, a cura di G. Bonamente, K. Rosen, Bari 1997, pp. 11-37; Id., Sources for the History of Constantine, in Age of Constantine, ed. by N. Lenski, Cambridge 2006, pp. 14-31; Eusebius von Caesarea. Über das Leben Konstantins, cit.
59 B. Bleckmann, Konstantin der Große, Reinbeck 20024, p. 20.
60 Cfr. Paneg. 7(6)21,4.
61 Cfr. Eus., v.C. I 28-30.
62 Cfr. Lact., mort. pers. 44,5.
63 H.R. Seeliger, Die Verwendung des Christogramms durch Konstantin im Jahre 312, in Zeitschrift für Kirchengeschichte , 100 (1989), pp. 149-168.
64 B. Bleckmann, Konstantin der Große, cit., p. 84.
65 Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus, cit., pp. 134-144.
66 Cfr. Zos., II 29,3-4.
67 B. Bleckmann, Konstantin der Große, cit., p. 97.
68 Ivi, p. 94.
69 Ivi, p. 103.
70 Ivi, p. 102.
71 Ivi, pp. 107-108.
72 Ivi, p. 115.
73 Ivi, p. 126 e B. Bleckmann, Constantin und die Donaubarbaren: ideologische Auseinandersetzung um die Sieghaftigkeit Konstantins, in Jahrbuch für Antike und Christentum, 38 (1995), pp. 38-66.
74 B. Bleckmann, Konstatnin der Große, cit., p. 22.
75 Imperator Caesar Flavius Constantinus, Konstantin der Große. Ausstellungskatalog (catal.), hrsg. von A. Demandt, J. Engemann, Mainz 2007; Imperator Caesar Flavius Constantinus, Konstantin der Große. Kolloqiumsband, hrsg. von A. Demandt, J. Engemann, Trier 2006.
76 Accanto alle biografie descritte, bisogna rimandare anche a quella di O. Schmitt, Constantin der Große (275-337): Leben und Herrschaft, Stuttgart 2007, che, al contrario di quelle di Brandt, Bleckmann e Hermann-Otto, è criticata a causa dei suoi giudizi apodittici, si veda la discussione di K.-W. Welwei in Sehepunkte, 7 (2007). Il libercolo di M. Clauss, Konstantin der Große und seine Zeit, München 2007 va inteso come una breve introduzione per non specialisti.
77 Konstantin der Grosse: der Kaiser und die Christen – die Christen und der Kaiser, hrsg. von M. Fiedrowicz, G. Krieger, W. Weber, Trier 2006; Kaiser Konstantin der Große. Historische Leistung und Rezeption in Europa, hrsg. von K.M. Girardet, Bonn 2007; Konstantin der Große, Kaiser einer Epochenwende, hrsg. von F. Schuller, H. Wolff, Lindenberg 2007.
78 Konstantin der Grosse: das Bild des Kaisers im Wandel der Zeiten, hrsg. von A. Goltz, H. Schlange-Schöningen, Köln-Wien 2008.
79 Si veda la relazione di ricerca per l’anno giubilare di U. Lamprecht, Neue Konstantin-Literatur. Teile I-III, in Kurtrierisches Jahrbuch, 46-48 (2006-2008), pp. 283-293, 557-591, 413-439.
80 K.M. Girardet, Kaisergericht und Bischofsgericht. Studien zu den Anfängen des Donatistenstreits (313-315) und zum Prozess des Athanasius von Alexandrien (328-346), Bonn 1975.
81 K.M. Girardet, Die Konstantinische Wende. Zur Religionspolitik Konstantins des Großen, Darmstadt 2006 già in Id., Christliche Kaiser vor Konstantin dem Großen, in Imperium Romanum, Studien zur Geschichte und Rezeption, Festschrift für Karl Christ, hrsg. von P. Kneissl, V. Losemann, Stuttgart 1998, pp. 288-310, e Id., Die Konstantinische Wende und ihre Bedeutung für das Reich, in Die Konstantinische Wende, hrsg. von E. Mühlenberg, Gütersloh 1998, pp. 9-122.
82 Si veda la recensione di H. Schneider, in Göttinger Forum für Altertumswissenschaft, 14 (2011), pp. 1001-1009.
83 J. Bleicken, Constantin der Große und die Christen, cit., pp. 64-66.
84 Optat., App. 5.
85 Lact., inst. VII 26,11 e ira 2,2-6.
86 Ciò a sostegno di J. Straub, Konstantins Verzicht auf den Gang zum Kapitol, in Historia, 4 (1955), pp. 297-313.
87 K.M. Girardet, Die Konstantinische Wende, cit., p. 155.
88 H. Dörries, Das Selbstzeugnis, cit., 1954.
89 R. Leeb, Konstantin und Christus, Die Verchristlichung der imperialen Repräsentation unter Konstantin dem Großen als Spiegel seiner Kirchenpolitik und seines Selbstverständnisses als christlicher Kaiser, Berlin-New York 1992; M. Wallraff, Christus verus Sol. Sonnenverehrung und Christentum in der Spätantike, Münster 2001; Konstantin der Große. Zwischen Sol und Christus, hrsg. von K. Ehling, G. Weber, Darmstadt 2011.
90 H. Brandt, Zeitkritik in der Spätantike: Untersuchungen zu den Reformvorschlägen des Anonymus De rebus bellicis, München 1988.
91 H. Brandt, Geschichte der römischen Kaiserzeit. Von Diokletian bis zum Ende der konstantinischen Dynastie (284-363), Berlin 1998.
92 H. Brandt, Konstantin der Große. Der erste christliche Kaiser, München 2006.
93 Ch. Meier, Caesar, Berlin 1982, pp. 579-585.
94 Cfr. H. Brandt, Konstantin der Große, cit. p. 22.
95 H. Dörries, Das Selbstzeugnis, cit.
96 K.M. Girardet, Die Konstantinische Wende, cit., pp. 57-60.
97 J. Bleicken, Constantin der Grosse und die Christen, cit., pp. 64-66 e K. Rosen, Cor regnum inscrutabile. Eine quellenkritische Untersuchung zur Bekehrung Constantins des Großen, in Humanitas – Beiträge zur antiken Kulturgeschichte. Festschrift für Gunther Gottlieb zum 65. Geburtstag, hrsg. von P.A. Barceló, V. Rosenberger, München 2001, pp. 247-281.
98 E. Herrmann-Otto, Ex ancilla natus. Untersuchungen zu den “hausgeborenen“ Sklaven und Sklavinnen im Westen des römischen Kaiserreiches, Stuttgart 1994.
99 E. Herrmann-Otto, Konstantin der Große, Darmstadt 20092.