Costantino nella storiografia della Controriforma
Sigonio e Baronio tra filologia, censura e apologetica
La frattura religiosa e lo scontro apertosi tra le diverse confessioni cristiane esercitarono un’influenza decisiva sulla produzione storica e in particolare sull’analisi delle origini e degli sviluppi delle vicende legate alla nascita e affermazione del cristianesimo nell’Occidente europeo. Il campo dello scontro che divise i due partiti (quello protestante e quello cattolico) era la legittimità dell’autorità pontificia sia in spiritualibus sia in temporalibus sul resto della cristianità: la storia e l’uso delle fonti erano le armi in grado di sostenere le reciproche posizioni. Le Centuriae di Magdeburgo uscite a Basilea tra il 1559 e il 1574, principale laboratorio storiografico protestante, investirono la storia della Chiesa muovendo un attacco senza precedenti alla centralità religiosa e politica del papato romano. I cattolici impiegarono alcuni anni e diversi tentativi prima di trovare le appropriate risposte all’aggressione d’Oltralpe negli Annales di Cesare Baronio. All’interno di questo conflitto la figura di Costantino e il documento della sua donazione a papa Silvestro acquistarono un valore di primo piano e in particolare quest’ultimo aspetto e il dibattito sulla sua presunta autenticità influenzarono l’interpretazione su tutta l’età costantiniana. Agli storici cattolici impegnati a rispondere alle opere protestanti si poneva dunque il problema di come affrontare tale argomento stretti fra il rispetto delle regole della metodologia storico-filologica e la volontà della Chiesa romana di affermare la verità della dottrina. Carlo Sigonio e Cesare Baronio, a partire dagli anni Settanta del XVI secolo, si trovarono impegnati a risolvere nelle loro opere questo dilemma: entrambi allievi della tradizione filologica umanistica, percorsero due strade diverse a seconda del diverso significato che essi attribuivano a tale metodologia, che li condussero entrambi a uno scontro con le esigenze apologetiche della Curia romana, ma che si risolsero nella sconfitta del primo e la vittoria del secondo, in un profondo e radicale mutamento di prospettiva nello scontro tra il cattolicesimo romano, le confessioni protestanti e le monarchie europee1.
Carlo Sigonio è stato uno dei più importanti storici della seconda metà del XVI secolo. Formatosi allo Studio bolognese e poi a Modena sotto la guida, tra gli altri, dell’erudito greco Francesco Porto, egli ha dedicato la sua ricerca all’indagine della storia delle istituzioni politiche antiche e medioevali. Erede della tradizione filologica umanistica, Sigonio affinò la sua metodologia durante gli anni di insegnamento a Venezia e all’università di Padova, pubblicando opere sulla cronologia e sulle istituzioni della Roma repubblicana e imperiale, ma anche traduzioni di Aristotele e un trattato sull’arte del dialogo2. A partire dal 1563, quando venne chiamato a ricoprire la cattedra di Umanità allo Studio bolognese, i suoi interessi di ricerca mutarono: nel 1568 il Senato bolognese gli diede incarico di scrivere una storia della città dalle origini, progetto che si ampliò negli anni successivi in un trattato che analizzava la trasformazione delle istituzioni occidentali, e in particolare italiane, in un’epoca compresa tra il IV e il XIV secolo. L’opera, che doveva uscire in più di quaranta libri e che si basava su una critica delle fonti sia letterarie sia archivistiche, subì un rallentamento allorquando la censura ecclesiastica incominciò a rivedere i primi libri della Historia Bononiensis e a bloccarne l’uscita a stampa3. Più fortuna ebbe un’altra parte del progetto, il De regno Italiae, anch’esso sottoposto a revisione censoria, ma che fu edito a Venezia nel 1574, dopo che il Sigonio fu costretto a modificare alcuni passi4. Nel 1578 uscì a Bologna, per i tipi della Società Tipografica Bolognese, la prima parte del progetto sigoniano, i De occidentali imperio libri XX, nel quale lo storico modenese ricostruiva le vicende che avevano caratterizzato l’Impero occidentale in un periodo compreso tra Costantino e Giustiniano5. In particolare i primi sei libri dell’opera erano dedicati alla trattazione dell’Impero costantiniano e nello specifico alle politiche con le quali l’imperatore aveva favorito la religione cristiana: la questione era estremamente delicata, perché investiva i decenni chiave della nascita e affermazione del cristianesimo e della Chiesa di Roma e soprattutto comprendeva il controverso episodio della donazione di Costantino a papa Silvestro. I censori romani, che avevano da anni concentrato la loro attenzione sull’opera dello storico, intervennero bloccando la pubblicazione del trattato fino a quando il Sigonio non avesse adeguato la sua narrazione alle esigenze apologetiche in difesa della Chiesa e delle prerogative del pontefice: l’abbondante documentazione manoscritta e a stampa permette di seguire dettagliatamente i passaggi che contraddistinsero il braccio di ferro tra i due protagonisti.
Sigonio descrive Costantino, usando come fonti soprattutto gli scritti di Eusebio di Cesarea, come colui che aveva riunito sotto un unico impero e sotto un’unica religione tutti i popoli6. Il testo chiave per comprendere la sua trattazione è il libro terzo del De occidentali imperio, che comprende gli anni dal 312, la vittoria su Massenzio, al 327, anno della morte della madre Elena, ma soprattutto, per quanto riguarda Sigonio, è l’arco di tempo in cui Costantino governa e riordina Roma e l’Italia7. In questo contesto Sigonio descrive un imperatore che, entrato a Roma dopo la vittoria del ponte Milvio, rinunciò alle cerimonie tradizionali, preferendo non solo ornare diversi monumenti della città con il simbolo della croce, ma soprattutto rendere omaggio ai vescovi cristiani e in particolare al papa Milziade, al quale Costantino, prosegue Sigonio, per testimoniare che la città di Roma non solo era capitale dell’Impero, ma anche sede della religione cristiana, concesse ricchi doni e proprietà e un palazzo degno del suo ruolo: la dimora imperiale del Laterano8. Per sostenere la sua tesi, dal momento che l’episodio era assente in Eusebio, Sigonio riporta come fonti l’epistola De primitiva ecclesia di Milziade citata anche dai Decreta di Burcardo di Worms, Ivo di Chartres e dallo stesso Graziano. Lo storico non si limita a citare il documento, ma riporta un lungo passo della lettera del papa, in cui si conferma il dono del palazzo9.
Sigonio, in queste prime pagine del terzo libro, già indirizza la sua analisi degli anni decisivi per la storia della Chiesa romana in una direzione precisa e per certi versi sorprendente, che ha come unico obiettivo sottrarre ogni autorità al Decretum Constantini. Tre sono i punti su cui egli insiste. In primo luogo Costantino, prima e dopo la vittoria su Massenzio nel 312, era già favorevole alla religione cristiana, come è confermato dalla reverenza che tribuì alle autorità cristiane e al culto della croce, con cui adornò la città di Roma; in secondo luogo Milziade, eletto papa dopo Eusebio nel 311, non fu martirizzato da Massenzio, come scritto nel Liber Pontificalis, ma resse la Chiesa di Roma per quattro anni, fino al 315, quando salì al soglio pontificio Silvestro. Infine Costantino donò esclusivamente il palazzo del Laterano e altre proprietà, ma non investì la Chiesa di alcuna particolare auctoritas.
Lo snodo principale della sua trattazione si fonda sulla figura di papa Milziade e sulla donazione che gli fu fatta da Costantino. Il testo del De primitiva ecclesia, contenuto nelle epistole dello Pseudo-Isidoro e poi confluito nel Decretum Gratiani, era sì confermato dalle raccolte di Ivo di Chartres e da Burcardo da Worms, ma già dal Medioevo era stato riconosciuto come falso10. In anni più vicini alla pubblicazione del De occidentali imperio, Agostino Steuco aveva pubblicato un’opera contro il De falsa donatione di Lorenzo Valla dimostrando l’inattendibilità del documento sulla donazione di Costantino a Milziade11. E proprio il Valla era colui che, per primo, aveva utilizzato il testo del De primitiva ecclesia per attaccare la donazione costantiniana usandolo nello stesso modo in cui aveva fatto Sigonio: egli, campione della storiografia e filologia umanistica, paradossalmente contrastava un falso (la donazione di Costantino a Silvestro) con un altro falso (la donazione di Costantino a Milziade)12.
Sigonio occupa gli anni successivi alla donazione con una lunga digressione sulla questione che aveva diviso la Chiesa africana e che aveva visto confrontarsi i donatisti e il vescovo di Cartagine Ceciliano13. Le fonti principali di questo passo dell’opera sono Eusebio, Agostino, ma soprattutto i De Schismate Donatistarum libri sex adversus Parmenianum di Ottato di Milevi14.
L’opera del vescovo africano serve a Sigonio per confermare, e per certi versi per rafforzare, ciò che aveva scritto sul papato di Milziade e sull’atteggiamento benevolo che Costantino aveva tenuto già a partire dal 312 nei confronti dei cristiani. Sigonio, sulla base dei testi che ha a disposizione, ricostruisce la ribellione dei donatisti alla nomina di Ceciliano a vescovo di Cartagine e la loro conseguente richiesta a Costantino di risolvere lo scontro che minacciava la Chiesa del Nordafrica. La reazione dell’imperatore si articolò in tre fasi distinte, sulla base delle ripetute richieste dei seguaci di Donato affinché fosse lo stesso imperatore a dirimere la questione. Costantino, invece, in un primo momento incaricò papa Milziade di giudicare la questione a Roma insieme a diciotto vescovi provenienti dalla Gallia e dall’Italia; poi, visto il rifiuto apposto al giudizio favorevole a Ceciliano pronunciato dal sinodo romano, egli delegò la questione a un altro sinodo che si riunì ad Arles e infine, a una terza richiesta dei donatisti, si pronunciò in prima persona confermando la condanna di questi ultimi15.
La questione donatista è usata da Sigonio per sottolineare i tre punti che avevano caratterizzato i primi sviluppi del rapporto tra Costantino e la Chiesa di Roma: la delega data alle autorità ecclesiastiche nel giudicare la questione era testimonianza, secondo lo storico, del fatto che Costantino, all’epoca degli eventi, si era già avvicinato al cristianesimo o era addirittura da considerarsi già cristiano16; il sinodo di Roma, presieduto da papa Milziade, si riunì al palazzo del Laterano, confermando che esso era già di proprietà del pontefice17; l’atto con il quale Costantino aveva lasciato alle autorità ecclesiastiche il compito di risolvere la contesa tra i seguaci di Donato e Ceciliano ribadiva la volontà imperiale di separare gli interventi della sua autorità da ogni questione di carattere religioso-dottrinale18.
Proprio quest’ultimo aspetto, e in particolare l’analisi, condotta da Ottato, dell’atteggiamento imperiale, era al centro del dibattito europeo sul problema spinosissimo riguardo all’intervento delle magistrature civili in questioni di natura religiosa. L’editio princeps dell’opera del vescovo di Milevi, infatti, era uscita a Magonza nel 1549 a cura di Cocleus e aveva avuto una forte valenza polemica in chiave antiprotestante19. La questione donatista, infatti, e l’intervento di Costantino erano visti dalle diverse confessioni in lotta o come una subordinazione del potere di Roma all’Impero (luterani, calvinisti, zwingliani) o come il riconoscimento dell’indipendenza delle autorità ecclesiastiche romane nel giudicare questioni religiose (cattolici)20.
A questo dibattito si era aggiunto l’erudito francese François Bauduin, che nel 1563 e nel 1569 a Parigi aveva pubblicato il testo di Ottato profondamente emendato e riccamente commentato, insieme ad altri scritti sulla Chiesa africana21. Bauduin, nelle diverse redazioni, attacca le interpretazioni di Calvino dell’affaire donatista, e riconosce nell’atto di Costantino di eleggere il papa e i vescovi italiani e francesi come giudici l’attribuzione dell’esclusiva auctoritas giurisdizionale in questioni di carattere religioso22.
L’analisi dei primi anni dell’epoca costantiniana e soprattutto il periodo compreso tra il 312 e il 315 diventano per Sigonio un momento chiave nella storia della Chiesa, che getta una nuova luce sugli eventi in cui emergeva e si legittimò la donazione fatta da Costantino a papa Silvestro: introducendo la figura di Milziade in modo così evidente egli sembra fissare, soprattutto grazie a Ottato, il momento in cui il potere imperiale e il papato distinsero la propria autorità e la propria influenza.
Il De occidentali imperio fu pubblicato a Bologna dopo l’estate del 1578: gli anni e i mesi precedenti alla stampa sono caratterizzati da un durissimo scontro sulla legittimità della donazione di Costantino che vede protagonisti da una parte Carlo Sigonio e dall’altra la Curia romana, rappresentata dal cardinale Guglielmo Sirleto. Lo storico modenese inviò a Roma una prima versione dell’opera, o almeno di alcune sue parti, in cui non aveva fatto alcun accenno alla donazione di Costantino. La versione non fu accettata, e i censori indicarono al Sigonio tutti i passi che contribuivano a mettere in dubbio la legittimità della donazione23. La risposta dello storico non si fece attendere con un memoriale in cui egli controbatte puntualmente a ogni accusa, facendo precedere la sua analisi da una breve prolusione nella quale sostiene la sua indisponibilità a inserire nell’opera il testo della donazione, se ciò lo obbligava a omettere o modificare la verità storica24. Il testo riprende la cronologia dei fatti compresi fra il 311 (elezione a papa di Milziade) e il 314 (anno del concilio di Arles e definitiva condanna dei donatisti), in cui Sigonio dimostra in maniera puntuale, supportato dalle fonti Eusebio, Agostino, Milziade e Ottato, che Costantino nel 312 era già cristiano, che donò a Milziade il palazzo del Laterano e che nel 313 promulgò una legge in favore del clero cattolico25. Nessun giudice, conclude Sigonio, di fronte a queste prove incontrovertibili, sia per l’autorità delle fonti, sia per il rigoroso ordine cronologico, potrebbe accettare che tali eventi siano cancellati per lasciare spazio al documento della donazione26. Al termine della sua difesa, consapevole che un compromesso doveva essere trovato, Sigonio trascrive quello che era disposto a concedere come mediazione tra ciò che la Chiesa chiedeva e ciò che era meno incompatibile con la verità storica: ammalatosi di lebbra Costantino, poiché nessun rimedio era riuscito a guarirlo, fece chiamare il papa Silvestro che, dopo averlo edotto nei principi della fede e della penitenza, lo battezzò nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e lo guarì; come ringraziamento Costantino incominciò la costruzione delle basiliche dedicate a San Pietro e a San Paolo e fece larghe donazioni al papa27. Sigonio presenta la guarigione di Costantino come un atto di purificazione spirituale promosso da Silvestro, e, come era stato per Milziade, riduce le donazioni di Costantino a beni esclusivamente di natura privata.
La difesa di Sigonio non venne presa in considerazione e la Curia romana pretese che egli inserisse un riferimento esplicito alla donazione fatta a Silvestro. Lo storico inviò un’altra versione del testo, conservata in un manoscritto che contiene le prime pagine del terzo capitolo28. Tale documento riproduce il testo della stampa del 1578, tranne il punto che riguarda l’incontro tra Costantino e papa Silvestro, in cui Sigonio dà un breve riassunto dell’editto, sottolineando che tra gli altri segni di ringraziamento che l’imperatore concesse al papa ci fu anche la donazione dell’Occidente stesso29.
La proposta di Sigonio e il parziale riconoscimento della donazione, non sono sufficienti alla Curia per concedere il permesso di stampa dell’opera: è necessario che lo storico inserisca nella sua trattazione il testo completo della donazione.
Sigonio obbedisce alle pressioni romane riproducendo il testo della donazione riprendendolo però dalla lettera di papa Adriano I30. Ancora una volta le intenzioni di Sigonio non sono sufficienti: il cardinale Sirleto, infatti, invia il testo modificato prima al maestro del Sacro Palazzo, che in quegli anni era Paolo Costabili, poi a un altro membro della Curia. Il giudizio espresso da quest’ultimo anonimo censore e contenuto in una lettera inviata allo stesso cardinale (datata 18 giugno 1578) è estremamente negativo, tanto da invitare lo stesso Sirleto a bloccare la stampa dell’opera31. Il testo è una summa delle posizioni tradizionali in difesa della donazione, con l’aggiunta di alcuni elementi nuovi, frutto della letteratura polemica del XVI secolo. Il testo del Sigonio, così come era stato presentato, non poteva ricevere l’approvazione alla stampa da parte dell’Inquisizione, perché, sebbene riportasse il battesimo di Costantino, il contesto in cui tale documento era inserito, vale a dire la cornice cronologica che esaltava la figura di Milziade e anticipava la donazione del palazzo del Laterano allo stesso pontefice, di fatto svuotava di ogni legittimità il Constitutum32. Per tali ragioni, al fine di avere l’approvazione delle autorità di Roma, proseguiva la lettera, Sigonio doveva riportare coerentemente, sulla base della cronologia tradizionale, la storia di papa Silvestro, il battesimo di Costantino e il conseguente dono fatto dall’imperatore al papa e ai suoi successori. Tanto più, aggiungeva l’autore anonimo, che il documento della donazione non solo era stato accettato da autori latini pii ed eruditi, ma anche dai greci, come dimostrava l’inserimento del testo nel Nomocanone di Balsamone e l’approvazione datane, tra gli altri, da Emanuele Caleca, dal cardinale Bessarione e dal patriarca di Costantinopoli Gennadio33.
Nonostante le fortissime pressioni esercitate sul Sigonio affinché cambiasse la prima parte del terzo libro, adattandolo alle esigenze apologetiche della Curia romana, lo storico non cedette, anzi, quasi volendo salvaguardare la sua ‘anima’ di storico, fece uscire pochi mesi dopo dai torchi di Giovanni Rossi (lo stampatore della Società Tipografica Bolognese) l’opera che presentava il testo della donazione tratta dalla lettera di papa Adriano I, stampata in caratteri in un corpo superiore, e si concludeva con un ringraziamento ironico al cardinale Sirleto che gli aveva suggerito i testi greci di Teodoro Balsamone, Emanuele Caleca e del patriarca Gennadio, come autorità fondanti l’autenticità del documento anche per la Chiesa Orientale34.
L’operazione editoriale di Sigonio si rivelava quasi come una sfida beffarda alle autorità ecclesiastiche e soprattutto a colui che aveva guidato l’attacco alla sua opera; egli non aveva modificato nulla della sua trattazione dei primi decenni del IV secolo: la storia di Milziade, la donazione del palazzo del Laterano, lo scontro con i donatisti rimanevano a testimoniare l’inattendibilità della credenza romana nella donazione costantiniana. Sigonio si era potuto permettere tale affronto perché protetto da personalità importanti, non solo il vescovo di Bologna Gabriele Paleotti, ma anche Giacomo Boncompagni, figlio del papa Gregorio XIII, destinatario dell’opera, o addirittura il pontefice, che nello stesso anno, dopo l’uscita del De occidentali imperio, aveva investito Sigonio del gravoso compito di scrivere una Historia Ecclesiastica capace di misurarsi con i Centuriatori di Magdeburgo35. Ma la risposta del Sirleto non si fece attendere: quattro anni dopo lo scontro sulla donazione, quando Sigonio aveva dato alle stampe le ultime sue due fatiche, il commento alla Historia sacra di Sulpicio Severo e i sette libri del De republica Hebraeorum, il cardinale predispose una revisione puntuale delle ultime opere edite a Bologna dallo storico, in cui la figura di Costantino e la donazione ritornano al centro dello scontro, rientrando, però, in un discorso più ampio che allargava i suoi confini fino a comprendere la questione della legittimità del potere temporale del papa36.
L’opera di revisione promossa dal cardinale si articola in una serie di rilievi puntuali alle singole opere del Sigonio, a cui lo storico rispose difendendo la propria posizione. Molto probabilmente furono redatte dopo il 1582, usando però materiali precedenti come nel caso del De regno Italiae, già sottoposto a revisione nel 1574, e proprio del De occidentali imperio. Le ragioni che portarono Guglielmo Sirleto a riprendere lo scontro con il Sigonio, che già durava dal 1571, non sono immediatamente chiare: l’attacco, però, non era rivolto tanto a singoli passi di determinate opere, come era avvenuto negli anni precedenti, ma investiva l’intero progetto che aveva impegnato lo storico modenese nell’ultimo periodo della sua carriera, e, in particolare, quella storia dell’Impero occidentale e dell’Italia, in cui erano nate e si erano formate le istituzioni della Chiesa romana. Le settantadue censure al De Occidentali imperio investono tutta l’opera, non solo le parti dedicate alla donazione: di queste circa un terzo (venti) criticano la trattazione fatta da Sigonio del periodo costantiniano. Alcune contestano le fonti usate dallo storico nel discutere alcuni momenti della vita dell’imperatore, ma la maggior parte (dieci) riguarda Costantino, i suoi rapporti con la Chiesa e la credibilità della donazione. Lo scontro dialettico tra il censore e Sigonio si articola in modo serrato, senza esclusione di colpi, e rappresenta un documento in cui le due parti sviluppano argomentazioni più complete a sostegno delle rispettive posizioni37.
Rispetto alle critiche degli anni precedenti, infatti, il censore costruisce un discorso che non si limita a imporre l’accettazione della donazione sulla base dell’autorità della Chiesa, ma ingaggia un vero e proprio corpo a corpo con l’avversario sul suo proprio campo fatto di fonti e cronologie. Dopo un primo approccio che riproduce lo scontro del 1578 e l’opposizione tra gli Actus Sylvestri da una parte e il De primitiva ecclesia dall’altra, il censore modifica la sua strategia, non più insistendo sull’autenticità delle fonti, ma cercando di smontare la cronologia proposta dallo storico38.
Sigonio aveva ricostruito sulla base della successione dei consolati e degli editti conservati nel Codice Teodosiano gli anni in cui Costantino si era convertito al cristianesimo, aveva donato il palazzo del Laterano a Milziade ed era intervenuto nella questione donatista. Milziade era stato papa dal 310 al 314; Costantino aveva donato il palazzo lateranense nel 312, subito dopo la vittoria su Massenzio; l’imperatore nel 313 (nel terzo anno del suo consolato) aveva concesso le prime licenze al clero e alla Chiesa cristiana e aveva fatto convocare il sinodo di Roma per discutere della causa africana tra Ceciliano e i donatisti.
Il censore, dal momento che Sigonio «annorum et mensium maximam diligentiam adhibere usus est in edictis illis enumerandis», proponeva una sequenza degli anni completamente diversa, sulla base della cronologia dei consoli proposta da Haloandro in appendice al suo commento al Codice Giustinianeo pubblicato in varie edizioni nel XVI secolo39. Sulla base di questa fonte il terzo anno del consolato di Costantino e Licinio era da spostare al 315 e il quarto anno al 317, quando già Silvestro era papa. Qui, rispetto alla contestazione del De primitiva ecclesia, il censore forza la sua fonte, che invece conferma la cronologia proposta dal Sigonio. Lo sforzo degli avversari dello storico, però, dimostra la volontà, come si è detto, di contrastare Sigonio sul terreno storico. Le censure successive, infatti, sono tutte dello stesso tenore: l’autore ecclesiastico, dopo aver dichiarato falso ancora una volta il testo di Milziade, contesta la seconda ‘colonna’ del ragionamento di Sigonio, vale a dire il passo in cui Ottato di Milevi riportava che il sinodo sui donatisti si svolse presente Milziade presso il palazzo Laterano40.
Essendo stato voluto da Costantino, ragiona il censore, è più semplice dedurre che lo stesso imperatore avesse messo a disposizione del papa un suo palazzo: non c’era alcuna prova che esso fosse già stato donato alla Chiesa. A questi appunti Sigonio ribatte in modo estremamente debole, sostenendo che nell’opera di Ottato non c’era alcuna prova che affermasse il contrario, vale a dire che Ottato, pur non affermando esplicitamente che il palazzo era di Milziade, non affermava neppure esplicitamente che fosse di Costantino; muovendosi tra i silenzi delle sue fonti lo storico recuperava conferme al suo assunto41.
Di diverso tenore sono le critiche riportate nelle censure successive, che cercano di smontare ancora l’impianto complessivo in cui Sigonio aveva collocato la donazione: il primo punto contestato è l’impegno da parte di Costantino nel risolvere la questione donatista, attribuendo a Milziade l’autorità di giudicare sulla colpevolezza o innocenza di Ceciliano. Se Sigonio aveva riportato questo episodio come testimonianza della precoce conversione al cristianesimo dell’imperatore, il censore propone un’interpretazione diversa, sostenendo che l’intervento dell’autorità politica è giustificato dalla volontà di non far scoppiare disordini tra cristiani all’interno dell’Impero; era dunque una ragione contingente, di ordine pubblico, piuttosto che un reale interesse per i destini della Chiesa cristiana. Il ragionamento compiuto dal censore presenta un’appendice che batte ancora sullo stesso punto affrontato nei rilievi precedenti: se la decisione di Costantino era mossa da intenti politici, allora anche la sede in cui si svolge il giudizio di Milziade, il palazzo Laterano, è da considerarsi edificio imperiale e non ancora in possesso del papa42.
L’episodio del sinodo romano contro i donatisti rappresenta anche la differente idea che i due protagonisti dello scontro avevano della figura di Costantino all’interno della storia della Chiesa. Per Sigonio l’imperatore e la sua politica religiosa rappresentavano un modello nel quale il governo degli affari ecclesiastici era stato reso di esclusiva competenza delle gerarchie ecclesiastiche, mentre la giurisdizione civile, anche a Roma, rimaneva saldamente nelle mani dello stesso imperatore; per il censore, invece, ogni avvenimento legato alla vita e agli atti di Costantino doveva necessariamente essere ricondotto al momento supremo in cui l’imperatore aveva trasferito al pontefice l’auctoritas sull’Italia e il resto dell’Occidente43.
Lo scontro su Costantino e la donazione oltrepassa i limiti cronologici del IV secolo: il De occidentali imperio, infatti, non era un’opera autonoma, ma faceva parte di un più ampio progetto elaborato da Sigonio a partire dal 1568, che aveva come naturale completamento i quindici libri del De regno Italiae. Il lavoro sulle vicende legate alla penisola investigava i profondi mutamenti che le invasioni dei longobardi, franchi e germani produssero in Italia, anche all’interno delle istituzioni ecclesiastiche.
L’opera era stata pubblicata nel 1574 a Venezia ed era stata già sottoposta a critiche da parte delle autorità ecclesiastiche, costringendo Sigonio, in fase di stampa, a modificare alcuni passi. Il De regno Italiae era riapparso a Bologna nel 1580, presso la Società Tipografica Bolognese, come continuazione ideale del De occidentali imperio44. Lo stesso Sigonio, rivolgendosi a Giacomo Boncompagni al termine di quest’ultimo trattato, ricorda la continuità tra i due lavori, giustificando il cambio di soggetto dall’Impero all’Italia con le invasioni barbariche che avevano frammentato l’unità politica e istituzionale dell’Occidente europeo costringendo gli storici a trattare le diverse aree singolarmente45. Nell’analizzare le vicende italiane a partire dalla discesa dei longobardi, Sigonio continua a sviluppare la propria ricerca incrociando le vicende politiche con quelle ecclesiastiche, soffermandosi in particolare sul potere temporale dei papi e la sua relazione con le diverse autorità che, nell’arco di sette secoli, si erano succedute nel governo della penisola. In questa prospettiva la donazione di Costantino e la questione della Translatio imperii tornano a essere un argomento centrale e, soprattutto, centrale per il destino del papato e per il suo ruolo istituzionale diventa la legittimità o meno del dono costantiniano nel rapporto con i re longobardi, gli imperatori franchi e tedeschi.
Infatti, nelle censure al De regno Italiae, composte e ordinate negli stessi anni di quelle al De occidentali imperio, i rilievi degli esponenti della Chiesa di Roma ritornano sullo stesso argomento, mentre le risposte di Sigonio rendono più chiare le sue intenzioni46.
Già un innocuo passaggio sulla fondazione da parte di Carlo Magno di un monastero dedicato a papa Silvestro sul monte Sorace conferma l’idea che Sigonio aveva di una delle principali fonti della donazione. Secondo gli Actus Sylvestri, infatti, il papa si era rifugiato su tale monte per sfuggire alle persecuzioni costantiniane: Sigonio, nel trattare l’episodio del re franco, aveva messo in dubbio la veridicità dell’episodio di Silvestro, e, ai rilievi del censore, aveva affermato che gli Actus erano da considerarsi del tutto falsi, ribadendo ciò che aveva sostenuto nelle risposte alle censure al De occidentali imperio47.
Ma Sigonio è più esplicito in altri punti dell’opera, in particolare in quegli snodi storici in cui riconosce l’inizio del potere temporale della Chiesa: il privilegium ludovicianum o l’impero di Ottone I diventano, nelle mani di Sigonio, momenti in cui riconoscere gli sviluppi del rapporto tra le due auctoritates48.
Il risultato che emerge dall’analisi sigoniana è il legame indissolubile tra la nascita delle prerogative secolari della Chiesa di Roma e gli eventi storici che avevano caratterizzato la penisola per un millennio, tra il IV e il XIV secolo: legame giustificabile solo rifiutando la donazione di Costantino. Le critiche dei censori al De regno Italiae si muovono proprio contro questa visione dello storico: ogniqualvolta Sigonio mette in dubbio il potere del papa o definisce lo Stato della Chiesa come un novum dominium, le argomentazioni della Curia romana richiamano sempre la donazione di Costantino come documento legittimante il potere pontificio sui territori italiani.
L’apice dello scontro tra i due si ritrova nella censura 42, nella quale Sigonio svela un ulteriore frammento del suo pensiero, che completa e quasi giustifica il suo progetto generale.
Discutendo le novità introdotte da Ottone I nel regno d’Italia, Sigonio fotografa l’equilibrio tra il potere imperiale e quello pontificio. Egli sottolinea, infatti, che il papa governava i territori a lui soggetti più con l’auctoritas che con l’imperium, che invece era riservato esclusivamente all’imperatore: egli dunque stabiliva, per quanto riguarda il potere in temporalibus, una sottomissione del pontefice a Ottone I, quasi un rapporto di vassallaggio. Ma lo storico modenese compie un passo in più, sembra quasi procedere attraverso un’operazione di astrazione, dall’esempio storico concreto (il confronto dei poteri di Ottone e di papa Giovanni XIII) alla rappresentazione teorica ideale: egli infatti sottolinea che al primo spettava il summum ius esercitato attraverso il potere delle armi e al secondo l’auctoritas spirituale esercitata attraverso il potere della scomunica: entrambe le potestates, concludeva lo storico, derivavano direttamente da Dio e ciascuna nel suo ambito contribuiva alla salvaguardia della respublica christiana49.
A queste affermazioni del Sigonio il censore opponeva accuse gravissime, quali, per esempio, quella di favorire le idee che Oltralpe attaccavano la legittimità del potere temporale del pontefice50. In particolare, al rilievo sigoniano che il papa aveva solo un potere spirituale, il censore abbandonava ogni riferimento alla donazione costantiniana, ma spostava la discussione a un livello superiore, fondando la legittima possessione della potestas gladii materialis nel passo evangelico di Luca 22,35-3851. La risposta di Sigonio, che contestava in modo netto il principio autoritativo del passo evangelico, svelava l’idea, o meglio l’ideologia, che lo guidava e lo aveva guidato nel trattare la storia delle istituzioni politiche ed ecclesiastiche dal Tardo Impero al pieno Medioevo52.
Dietro la riflessione del Sigonio sull’età ottoniana è possibile, infatti, riconoscere la figura di Costantino, l’imperatore che non aveva assegnato alcun diritto in temporalibus sulle terre imperiali occidentali, ma che, facendo del cristianesimo la religione dell’Impero, aveva riconosciuto alla Chiesa di Roma la piena legittimità della sua potestas in spiritualibus.
Il De occidenti imperio non venne messo all’Indice, così come evitarono la stessa sorte le altre opere sottoposte a censura, ma tutte quante non vennero più stampate, mentre la loro fama e le edizioni crescevano Oltralpe. Nonostante gli attacchi durissimi della censura, le opere di Sigonio furono, anche per chi rimaneva a scrivere di storia in Italia, un modello. Paradossalmente, proprio colui che sostituì lo storico modenese nel compito di controbattere i Centuriatori di Magdeburgo, lo usò come fonte per il periodo costantiniano, giungendo però a conclusioni diametralmente opposte.
Nel novembre del 1579 Carlo Sigonio scriveva un’accalorata richiesta a Cesare Baronio affinché intercedesse presso il cardinale Sirleto per avere notizie sui primi tre libri della Historia Ecclesiastica, commissionatagli soltanto un anno prima dal papa Gregorio XIII53. La lettera del professore bolognese, che sollecitava il Baronio anche a dare un giudizio sul suo lavoro, acquista il sapore di un profondo mutamento di indirizzo all’interno della Curia romana. Sigonio, travolto dallo scandalo che le sue ultime opere pubblicate avevano suscitato negli ambienti romani, non era più considerato adatto al ruolo di oppositore della storiografia protestante: troppo fedele alla veritas historiae piuttosto che alle prerogative pontificie che doveva difendere. Se numerosi dubbi avevano circondato la scelta fatta da papa Boncompagni nel 1578, i primi libri del nuovo lavoro del Sigonio avevano cancellato ogni incertezza: il compito di difendere il ruolo della Chiesa nella storia contro le ‘calunnie’ dei Novatores doveva necessariamente essere affidato a un altro storico di provata fede, ma anche munito degli strumenti filologici adatti a contrastare sul loro stesso campo i Centuriatori54. La scelta cadde su Cesare Baronio, che già da anni si era misurato con questo soggetto nei sermoni che aveva tenuto per i propri confratelli55. Egli aveva anche dimostrato solide basi filologiche, che gli facevano apprezzare i lavori eruditi del compianto Onofrio Panvinio (morto nel 1568) e dello stesso Carlo Sigonio. La lettera di quest’ultimo, infatti, oltre alle finalità pratiche della richiesta, conteneva apprezzamenti reciproci dei propri lavori storici, giudizi che andavano anche al di là di semplici lodi di circostanza, ma che denunciavano un profondo, comune interesse per le fonti e la veritas in esse contenuta56. Il difetto principale delle risposte precedenti alle Centurie di Magdeburgo era stato, infatti, la debolezza storiografica e il dilettantismo metodologico. Baronio doveva, nelle intenzioni della Curia romana, rimediare a questo errore, e a tal fine gli fu data la possibilità, tramite il cardinale Sirleto, di avere accesso non solo alle fonti conservate nella Biblioteca Vaticana, di cui il cardinale calabrese era prefetto, ma anche a quelle opere vietate perché messe all’Indice57. Lo storico dell’Oratorio venne dunque messo nelle condizioni migliori per comporre la sua risposta alla storiografia protestante, risposta che necessariamente doveva, per Roma, insistere sul suo ruolo apologetico, ma che per Baronio doveva anche rispettare il principio dell’onestà critica delle fonti. Il tentativo di conciliare questi due aspetti all’interno della sua opera porta il Baronio, in alcuni casi, a entrare in contrasto con gli ambienti più intransigenti della cultura controriformistica romana. L’esempio emblematico di questo conflitto è rappresentato dalla trattazione che lo storico dell’Oratorio riserva all’età costantiniana e in particolare alla questione della Donatio.
Vi prego per carità non mi fatte imbrattar la penna a scrivere e defendere sì fatte menzogne […]. Ho visto quanto sopra di ciò è stato scritto da altri in defensione, et trovo tutto esser pagliaccia58.
Così scrive Baronio al confratello Antonio Talpa di Napoli alla vigilia della stampa del terzo volume dei suoi Annales, dove doveva affrontare la questione del periodo costantiniano e in particolare del Constitutum. I toni usati dallo storico sorano richiamano per certi versi quelli usati da Sigonio; ammettere la veridicità della leggenda di papa Silvestro significava tradire il mandato che gli era stato affidato: scrivere una storia della Chiesa che contrastasse gli attacchi protestanti, ma che allo stesso tempo fosse fondata su rigorose basi filologiche. Nel 1592 uscì il terzo libro dell’opera di Baronio, che manteneva al suo interno tutti i rilievi fatti sull’epoca costantiniana. Baronio non si limita a dichiarare falsa la donazione, ma, come aveva fatto Sigonio, ricostruisce gli avvenimenti dell’Impero di Costantino in modo tale da dimostrare inattendibili i fatti narrati negli Actus Sancti Silvestri e nel testo del Constitutum da un punto di vista sia filologico sia cronologico.
Il punto di partenza è dimostrare la cristianità dell’imperatore già a partire dal 312 e la sua benevolenza verso la Chiesa di Roma, in particolare verso papa Milziade, realizzatasi nella donazione del palazzo del Laterano. Gli anni compresi fra il 312, data della sconfitta di Massenzio, e il 324, anno in cui Baronio riporta la sua contestazione alla donazione, vengono analizzati dallo storico sorano attraverso l’uso di fonti molto simili a quelle utilizzate da Sigonio, che probabilmente ne fu il modello59. Ma la trattazione di Baronio contiene alcune novità che lo distanziano dalla sua fonte e trasformano il racconto del periodo costantiniano in qualcosa di completamente diverso.
Nelle mani di Baronio, come in quelle di Sigonio, Milziade emerge come un protagonista della svolta religiosa impressa da Costantino al suo Impero e soprattutto, come era stato per lo storico modenese, diventa il grimaldello con il quale scardinare la leggenda di papa Silvestro. Baronio rifiuta il racconto del papa descritto nel De Romanis pontificibus liber, vale a dire il suo breve pontificato e il martirio patito per mano di Massenzio, ma lo colloca tra il 311 e il 313, come già aveva fatto Sigonio60. Il ruolo di Milziade diventa decisivo nel racconto degli Annales nel momento in cui egli riceve in dono da Costantino il palazzo del Laterano: come per Sigonio, e come anche per Valla, l’atto imperiale svuota, di fatto, il racconto del Constitutum e la legittimità del potere in temporalibus del papa fondata su di esso.
Rispetto però al suo predecessore, Baronio si dimostra, in questo caso, meglio attrezzato filologicamente, rifiuta infatti l’attendibilità del De primitiva ecclesia, attribuendolo allo stesso Isidoro, e fondando la sua ricostruzione storica sulle altre due fonti utilizzate dal Sigonio: Ottato di Milevi e Girolamo61. Lo storico dell’Oratorio, forse memore dello scontro che aveva visto vittima il Sigonio, dedica alcune righe proprio a smontare la veridicità della lettera di Milziade, con l’obiettivo di rafforzare la dimostrazione che l’imperatore Costantino donò veramente al successore di Pietro il palazzo del Laterano: operazione necessaria dal momento che Ottato di Milevi, nel suo racconto della questione donatista, si era limitato ad accennare che i vescovi chiamati a giudicare Ceciliano su invito di Costantino si erano riuniti nel palazzo del Laterano, senza alcun accenno alla reale proprietà del luogo. Baronio, dunque, sacrifica una fonte considerata da tutti falsa, per legittimare la forzatura interpretativa di un testo sicuramente degno di fede62.
Se il processo filologico di critica dei testi messo in atto dallo storico sorano è paragonabile alla metodologia usata da Sigonio, e, addirittura, in alcuni punti si dimostra superiore, le analogie tra i due autori terminano nel momento in cui si passa dall’uso delle fonti alla loro interpretazione e contestualizzazione dentro un progetto più ampio.
Sigonio, nella sua trattazione, aveva quasi annullato ogni intervento diretto di commento alle fonti, preferendo intervenire, quasi per necessità ‘nicodemitiche’, o attraverso la semplice giustapposizione di testi, o all’interno delle stesse fonti usate, scegliendo le versioni più adatte al suo progetto. Baronio, invece, avvolge le sue fonti di commenti e interpretazioni nelle quali lo spirito apologetico dell’opera sopravanza la filologia, usata come prova di forza metodologica contro i protestanti. Nelle mani di Baronio, per esempio, il dono del palazzo del Laterano diventa il riconoscimento, da parte di Costantino, del primato romano sulla cristianità.
Ma è la critica alla donazione nel suo complesso, ripresa da Baronio in maniera più ampia e polemica nel XII volume degli Annales, che rende evidente come i due storici, pur partendo dagli stessi testi, avessero motivazioni e finalità diverse.
Egli si muove nella critica al documento seguendo tre vie che si intrecciavano l’una con l’altra: una storico-flologica, una giuridica, la terza teologica63.
Seguendo la prima strada, Baronio non si limita ad ampliare l’importanza della figura di papa Milziade, ma individua nei greci scismatici gli autori di questo falso. Se per Agostino Steuco e i censori di Sigonio la versione greca contenuta nel Nomocanone di Balsamone rappresentava una prova decisiva per sostenere la veridicità del Constitutum, per lo storico sorano era invece una testimonianza della pervicacia dei greci, che, nel legittimare la donazione costantiniana, riducevano il legittimo potere temporale dei papi a un atto umano dell’imperatore, sottomettendo di fatto la Chiesa di Roma all’autorità imperiale. A questa presa di posizione polemica verso coloro che accettavano il documento costantiniano, Baronio fa seguire una riflessione teologico-giuridica con la quale svela apertamente il suo pensiero ‘radicale’ sull’origine e la legittimità della potestas in temporalibus della Chiesa di Roma. Essa, infatti, non deriva da alcuna trasmissione del potere da parte dell’autorità secolare, ma direttamente da Dio dal momento in cui Pietro è erede di Cristo.
Da questa posizione Baronio legge tutta la storia della Chiesa e il suo sviluppo nei secoli successivi. Pur negando il passaggio dei poteri dall’imperatore al papa, egli, infatti, afferma che Costantino attribuì alla Chiesa donativi e proprietà superiori a quelli dei pagani, attribuendo di fatto a tale istituzione un ruolo determinato nel sistema giuridico romano, riconoscendole il diritto di possedere proprietà. Attraverso un serrato confronto con le religioni pagane, Baronio fa emergere l’ascesa progressiva del cristianesimo romano come religione privilegiata all’interno del nuovo Impero costantiniano. Sebbene tale centralità, nell’analisi dello storico sorano, andasse intesa esclusivamente sul piano religioso, la progressiva acquisizione di beni, di potere e di diritti favorita dall’imperatore per proteggere la Chiesa dai suoi numerosi avversari, sottintendeva la volontà di Costantino «di garantire costituzionalmente l’esistenza di una proprietà eminente ed esclusiva, di un patrimonio autonomo sottratto alla disponibilità dei privati»64. Da un lato, dunque, Baronio rifiuta la donazione e ammette la presenza di prefetti imperiali a Roma dopo la partenza di Costantino, dall’altro però fa emergere in modo ambiguo l’idea di un riconoscimento della potestas in temporalibus di cui la Chiesa era legittimamente titolare fin dalle origini.
Tale ambiguità si scioglie nel momento in cui Baronio analizza i secoli successivi della storia della Chiesa e, in particolare, il passaggio che caratterizzò la penisola italiana dal regno dei longobardi a quello dei franchi. Nell’atto di consegna (restitutio) al pontefice da parte dei re carolingi dei territori appartenuti ai precedenti re del Regnum, Baronio insiste sul fatto che i nuovi sovrani riconobbero alla Chiesa di Roma il legittimo possesso di quelle terre, non più però per via di quella autonomia voluta da Costantino, ma piuttosto in forza di una sovranità che affondava le sue radici in un’epoca precedente al IV secolo. La pretesa (vindicatio) di restituzione dei territori sottratti dai longobardi invasori al pontefice è fondata, secondo lo storico, proprio sulla base di un diritto preesistente, che nelle fonti non viene indicato ma che è logicamente deducibile dalla richiesta stessa (da parte della Chiesa) e dall’atto di restituzione (da parte dei re franchi)65.
La trattazione del periodo compreso tra l’epoca costantiniana e il principio del dominio carolingio viene sviluppata da Baronio attraverso una sapiente analisi delle fonti, che gli permette di smontare i pilastri su cui si fonda la donazione e di dimostrare agli avversari della Chiesa romana di essere capace di usare gli strumenti metodologici più raffinati. Egli, però, cuce il lavoro sulle fonti con un filo ambiguo e allusivo, piega la loro interpretazione ai fini che principalmente gli interessano: la legittimità del potere temporale della Chiesa derivato direttamente da Dio. L’evidenza di questo procedere è data dalle parole che egli spende per giustificare la sua ricostruzione storica: Baronio, infatti, è consapevole delle lacune che caratterizzano la sua trattazione e ripara a tale mancanza con una frase, che nel testo è inserita tra parentesi, ma che racchiude in poche righe il fondamento del suo pensiero: se anche il diritto positivo non riconosce l’autorità temporale del pontefice, esso era comunque legittimato da una fonte più alta e superiore, il diritto divino, riconosciuto dai re e dagli imperatori66.
Se il terzo libro era la patria dell’allusione, il dodicesimo volume degli Annales, uscito nel 1607 nel pieno del conflitto tra Venezia e la Chiesa sulla questione dell’interdetto, rende esplicito, in modo ancora più radicale, il pensiero di Baronio. Egli, narrando le vicende occorse sotto l’anno 1191, ritorna sulla donazione ribadendo le critiche espresse nel terzo tomo: il Constitutum era un falso creato ad arte dai greci scismatici per indebolire l’autorità della Chiesa di Roma e le sue prerogative. Coloro che, anche nel suo tempo, continua, si ostinano a difendere la sua veridicità non fanno altro che alimentare l’intensità degli attacchi che i Novatores hanno portato e stanno continuando a portare contro l’auctoritas in spiritualibus e in temporalibus della Chiesa67.
Nel chiudere la sua analisi Baronio ritorna su ciò che aveva incidentalmente scritto nel precedente volume, ma sviluppandolo in modo esplicito: né i papi prima e dopo Leone IX (il solo che lo abbia citato) né gli imperatori e i re hanno mai fatto riferimento al testo del Constitutum, questo perché i privilegi della Chiesa di Roma non si fondavano sulla concessione di re o imperatori, ma sulle parole di Cristo a Pietro che lo indicavano come la pietra sulla quale avrebbe fondato la sua Chiesa, autorità che era stata trasmessa ai suoi successori68.
La trattazione di Baronio provocò violente reazioni sia all’interno sia all’esterno della Chiesa. Gli avversari protestanti attaccarono duramente la concezione della divinità del potere temporale del papa, mentre in alcuni ambienti curiali ancora non si accettò il rifiuto del Constitutum. Caratteristica di quest’ultimo aspetto è l’opera, rimasta manoscritta, di Girolamo Foschi, composta nel 1608. Il trattato è interessante perché, nell’attaccare l’opera di Baronio, pur ammettendone la buona fede e apprezzandone la dottrina, usa gli stessi argomenti che i censori avevano usato contro Sigonio. Egli, infatti, contesta la trattazione della figura di Milziade e del dono del palazzo Laterano e soprattutto ribadisce la validità della donazione costantiniana sulla base della tradizione greca69. Le posizioni del Foschi rappresentano quella parte della Curia romana che ancora insisteva nei primi anni del XVII secolo a legittimare il potere temporale del papa attraverso la difesa del Constitutum. Le critiche, però, a differenza di ciò che era successo solo trent’anni prima con l’opera di Sigonio, non sortirono alcun effetto sul destino degli Annales di Baronio, che, al contrario, divennero modello per tutta la storiografia successiva. La ragione non è però da ricercare in un mutato indirizzo nei confronti dell’approccio filologico alle fonti della Storia Ecclesiastica: erano i tempi che erano cambiati, insieme agli equilibri politici in cui lo Stato pontificio era inserito.
Baronio, attraverso l’uso sapiente della filologia, aveva creato un vuoto nella storia della legittimità temporale della Chiesa, ma tale spazio era stato immediatamente riempito con una nuova dottrina, aliena da ogni principio storico-critico, attraverso la quale la potestas in temporalibus del papa risultava rafforzata e pronta ad affrontare le sfide dei secoli a venire.
Sigonio e Baronio rappresentano due vie diverse di analisi della figura di Costantino e della donazione. Entrambi prediligono un approccio storico-cronologico, spostando al centro dei loro lavori il pontificato di Milziade e il dono da parte di Costantino del palazzo del Laterano. Entrambi riconoscono nell’opera di Ottato di Milevi la chiave di volta attraverso la quale dimostrare i propri assunti, e proprio l’uso di questa fonte testimonia forse la dipendenza di Baronio dall’opera storica di Carlo Sigonio. Entrambi, infine, sono l’obiettivo di una durissima critica da parte di ambienti curiali che, ancora nei primi anni del XVII secolo, insistono sul valore determinante, in chiave antiprotestante, della donazione costantiniana, anche se la virulenza degli attacchi andò attenuandosi nel corso degli anni. Ma l’analogia tra i due storici si interrompe in questo punto: il destino delle loro opere imboccherà cammini completamente diversi. L’uno, Sigonio, sarà cancellato dal panorama culturale della penisola e le sue opere non saranno più ristampate fino al Settecento, ricevendo invece una grande accoglienza in tutto il resto d’Europa; l’altro, Baronio, incarnò la risposta storica della Controriforma agli attacchi protestanti. La sorte dei due autori è stata interpretata come il confronto tra il metodo storico-filologico da una parte (Sigonio) e l’ideologia apologetica dall’altra (Baronio): il confronto, in altri termini, tra un uso rigoroso delle fonti, incompatibile con una trattazione piegata alle necessità controversistiche, e un metodo che di questa necessità faceva la propria ragione imprescindibile.
In realtà proprio il modo di interpretare la storia di Costantino e della donazione modifica in parte questa visione, presentandoci una prospettiva diversa. L’uso delle fonti fatto da Sigonio e, in particolare, la sua insistenza sulla veridicità del De primitiva Ecclesia come attribuito a papa Milziade, è una spia di come, dietro l’opera dello storico e dietro il suo rifiuto di piegare l’analisi dei fatti all’auctoritas della Chiesa di Roma, ci sia un progetto preciso che rifiuta ogni legittimità divina al potere temporale dei papi, inserendolo piuttosto in un processo storico identico a quelli delle altre istituzioni politiche nate nel regno d’Italia. Per imporre questa idea Sigonio fa delle scelte precise nel selezionare e adattare le sue fonti, anche, come nel caso di Milziade o del dono del palazzo del Laterano da parte di Costantino descritto da Ottato, sacrificando il metodo filologico.
Baronio appare in alcuni punti più filologicamente attento rispetto a Sigonio, ma ciò che lo allontana in modo decisivo dallo storico modenese è il ruolo attribuito a Costantino e la ragione del rifiuto della donazione. Egli riconosce nel documento una minaccia alla legittimità del potere temporale pontificio, fondato più sulla auctoritas divina che sulla successione dei fatti storici che portarono alla formazione dello Stato della Chiesa, mentre fa dell’imperatore cristiano colui che per primo riconobbe la divinità di tale prerogativa e fu modello per i re e gli imperatori successivi. La filologia, nelle sue mani, diventa ancilla al servizio di un progetto più ampio.
L’analisi dell’età costantiniana di Carlo Sigonio e di Cesare Baronio acquista il suo vero significato solo se inserita all’interno dei loro rispettivi progetti storiografici, animati entrambi e sorretti da forti motivazioni ideologiche.
In questa prospettiva se l’exemplum ‘apologetico’ baroniano risulterà vincitore, paragonato con l’opera ‘filologica’ di Sigonio, in realtà il progetto di quest’ultimo, proprio perché frutto di una visione determinata della storia delle istituzioni del regno d’Italia, sopravvivrà, contribuendo, anche se non è ancora possibile stabilire in che misura, agli scontri sulla giurisdizione e il potere temporale della Chiesa che caratterizzeranno i secoli successivi.
1 P. Prodi, Il Cardinale Gabriele Paleotti, 1522-1597, 2 voll., Roma 1959-1967; Id., Storia sacra e controriforma. Nota sulle censure al commento di Carlo Sigonio a Sulpicio Severo, in Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento, 3 (1977), pp. 75-104; A. Lauro, Baronio, De Luca e il potere temporale della Chiesa, in Baronio Storico e la Controriforma, Atti del Convegno internazionale di studi (Sora 6-10 ottobre 1979), a cura di R. de Maio, L. Gulia, A. Mazzacane, Sora 1979, pp. 362-418; G. Antonazzi, Lorenzo Valla e la polemica sulla donazione di Costantino, Roma 1985; A. Biondi, La storiografia apologetica e controversistica, in La Storia. I grandi problemi dal Medioevo all’Età Contemporanea, a cura di N. Tranfaglia, M. Firpo, IV/2, L’Età Moderna. La vita religiosa e la cultura, Torino 1986, ora in A. Biondi, Umanisti, eretici, streghe. Saggi di storia moderna, a cura di M. Donattini, Modena 2008, pp. 555-574, da cui si cita; V. Aiello, Aspetti del mito di Costantino in occidente. Dalla celebrazione agiografica alla esaltazione epica, in Annali della Facoltà di Lettere di Macerata, 21 (1988), pp. 87-116; W. McCuaig, Carlo Sigonio: the Changing World of the Late Renaissance, Princeton 1989; Costantino il Grande dall’Antichità all’Umanesimo, Colloquio sul Cristianesimo nel mondo antico (Macerata 18-20 dicembre 1990), a cura di G. Bonamente, F. Fusco, 2 voll., Macerata 1992; J. Irmscher, L’imperatore Costantino nel giudizio dei riformatori tedeschi, in Costantino il Grande, cit., II, pp. 487-493; S. Zen, Baronio storico. Controriforma e crisi del metodo umanistico, Napoli 1994; R. Fubini, Baronio e la tradizione umanistica. Note su di un libro recente, in Cristianesimo nella Storia, 20 (1999), pp. 147-159, ora in Id., Storiografia dell’Umanesimo in Italia da Leonardo Bruni ad Annio da Viterbo, Roma 2003, pp. 360-371 da cui si cita; P. Prodi, Vecchi appunti e nuove riflessioni su Carlo Sigonio, in Nunc alia tempora, alii mores. Storici e storia in età postridentina, Atti del Convegno internazionale (Torino 24-27 settembre 2003), a cura di M. Firpo, Firenze 2005, pp. 291-310; Baronio e le sue fonti, Atti del Convegno internazionale di studi (Sora 10-13 ottobre 2007), a cura di L. Gulia, Sora 2009; Costantino il Grande tra medioevo ed età moderna, a cura di G. Bonamente, G. Cracco, K. Rosen, Bologna 2008; S. Zen, Cesare Baronio sulla Donazione di Costantino tra critica storica e autocensura (1590-1607), in Censura, riscrittura, restauro (Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia), s. 5, 2,1 (2010), pp. 179-220.
2 Per i dati riguardanti la biografia di Carlo Sigonio le principali opere di riferimento sono: Ludovico Antonio Muratori, Vita Caroli Sigonii, in Carolus Sigonius, Opera omnia edita et inedita, I, Mediolani, in aedibus Palatinis, 1732-1737; Girolamo Tiraboschi, Biblioteca Modenese, V, Modena, Società Tipografica, 1781-1786, pp. 76-119; L. Simeoni, Documenti sulla vita e la biblioteca di Carlo Sigonio, in Studi e Memorie della storia e dell’Università di Bologna 11, Bologna 1933, pp. 183-262; W. McCuaig, Carlo Sigonio, cit., pp. 3-95 e, per un elenco completo delle opere del Sigonio, pp. 346-356.
3 Sulle vicende legate alla Historia Bononiensis e alla sua storia editoriale cfr. G. Fasoli, Appunti sulla Historia Bononiensis ed altre opere di Carlo Sigonio (1522-1584), in Id., Scritti di Storia Medievale, Bologna 1974, pp. 683-710; C. Bastia, Per una ricostruzione della genesi e delle vicende censorie dell’Historia Bononiensis di Carlo Sigonio, in Schede Umanistiche, 2 (1993), pp. 99-113; G. Manfrè, L’Edizione bolognese della «Historia Bononiensis» di Carlo Sigonio, in Accademie e Biblioteche d’Italia, 61,1 (1993), pp. 14-20; Id., L’Edizione bolognese della «Historia Bononiensis» del Sigonio (Parte II), in ivi, 62,2 (1994), pp. 16-35. I testi delle censure all’opera di mano di Guglielmo Sirleto, Ugo Boncompagni e Giovan Battista Amalteo furono pubblicati da Filippo Argelati nel terzo volume degli Opera Omnia del Sigonio, cfr. Carolus Sigonius, Opera omnia, cit., III, cc. 330-350. Per un’analisi di queste censure cfr. W. McCuaig, Carlo Sigonio, cit., pp. 253-257.
4 Cfr. Carolus Sigonius, Historiarum de Regno Italiae libri XV, Venetiis, apud Iordanum Zilettum, 1574. Per la storia editoriale di questa prima edizione dell’opera cfr. W. McCuaig, Carlo Sigonio, cit., pp. 72-75, 257-258; M. Doni Garfagnini, La prefazione al De regno Italiae di Carlo Sigonio, in Id., Il teatro della storia fra rappresentazione e realtà. Storiografia e trattatistica fra Quattrocento e Seicento, Roma 2002, pp. 197-230. Nelle intenzioni del Sigonio il progetto doveva comprendere i venti libri del De occidentali imperio, i venti libri del De regno Italiae e i libri della Historia Bononiensis.
5 Carolus Sigonius, Historiarum de Occidentali Imperio libri XX, Bononiae, apud Societatem Typographiae Bononiensis, 1578.
6 Cfr. Carolus Sigonius, De occidentali imperio, cit., p. 109: «Quod si Augustum iure amiramur, quod eo regnante ad unum Imperatorem unumque Deum omnium terrenarum caelestiumque rerum summa redacta sit, multo iustiore studio ipsum suspicere Constantinum debemus, cui Deus concessit ut tam religionem, quam imperium gentium constituit».
7 Ivi, pp. 60-93.
8 Ivi, pp. 61v-62r: «Quod si Constantinus, illo teste [Eusebio], cum omnes episcopos, tum in primis illum, qui a ceteris colebatur, excoluit, profecto pontificem ipsum romanum praecipuo honore complexus est, ille vero fuit Miltiades, probe ratus namque ad fidem dignitatemque suam pertinere, ut urbem Romam, quam, ut dixit Prosper, non Romani solum arcem Imperii, sed Christianae quoque religionis solium esse comperiebat, illustri aliquo maioris templi monumento instrueret, ac simul episcopo romano, Petri principis apostolorum successori, Christi vicario, domicilium tanto conveniens fastigio compararet, Miltiadi cum praedia ac dona multa tum in primis augustale palatium in Laterano imperiit atque ipse alio ad habitandum perrexit».
9 Ivi, p. 62r: «Itaque Miltiades paullo post, cum decretum de primitiva ecclesia in concilio faceret, Burcardo, Ivone et Gratiano testibus, sic scripsit». Dopo aver aggiunto un passo di Girolamo a supporto dell’identificazione del palazzo donato da Costantino come il Laterano, Sigonio sottolinea in modo puntuale l’arco temporale in cui Costantino fece questi doni alla Chiesa: tra ottobre e dicembre del 312.
10 Il testo è contenuto in Opera quae extant universa Constantini Magni, PL 8, cc. 565-568, e in Decretum Gratiani emendatum et variis lectionibus simul et notationibus illustratum […] iussu editum Justi Henningii Boehmeri, curas brevi adnotatione critica instructum ad exemplar romanum denuo edit Aemilius Ludovicus Richter tomus unicus, cur. J.-P. Migne, parte II, c. 12, cap. 15, c. 682. Per la falsità del documento cfr. P. Hinschius, Decretales Pseudo-Isidorianae, Lipsiae 1863, p. 144. Le altre fonti del Sigonio sono: Ivonis Carnotensis, Decretum, in Id., Opera Omnia, PL 161, cc. 47-1035, in partic. 199-201, pars III, capp. 3-7; Burchardus Wormaciensis, Decretorum libri XX, in Id., Opera Omnia, PL 140, cc. 673-674, liber III, capp. 2-5.
11 Cfr. A. Steuchus Eugubinus, Contra Laurentium Vallam De falsa donatione Constantini libri duo, Lugduni, apud Sebastianum Gryphium, 1547, pp. 145-148. Cfr. R.K. Delph, Valla Grammaticus, Agostino Steuco and the Donation of Constantine, in Journal of the History of Ideas, 57,1 (1996), pp. 55-77.
12 Sull’uso fatto dal Valla del testo di Milziade cfr. Lorenzo Valla, De falso credita et ementita Constatini donatione, hrsg. von W. Setz, Weimar 1976, pp. 93 segg.; R. Fubini, Contestazioni quattrocentesche della donazione di Costantino: Niccolò Cusano, Lorenzo Valla, in Costantino il Grande dall’antichità all’Umanesimo, cit., I, pp. 385-431, ora in Id., Storiografia dell’Umanesimo in Italia, cit., pp. 249-290, in partic. 267-268, da cui si cita.
13 Carolus Sigonius, De occidentali imperio, cit., pp. 64-67.
14 Le fonti a cui Sigonio fa riferimento sono rispettivamente Eus., h.e. X 7; Aug., epist., PL 33, cc. 302-309; Optat de Milève, Traité contre les Donatistes, éd. par M. Labrousse, 2 voll., Paris 1995.
15 Sulla questione donatista e sul ruolo esercitato da Costantino cfr. S. Calderone, Costantino e il Cattolicesimo, Firenze 1962, pp. 171-181, 230-296, 311-322.
16 Cfr. Carolus Sigonius, De occidentali imperio, cit., p. 65r: «Haec apud Eusebium, Optatum et Sanctum Augustinum ita ut rettulimus, hoc anno acta a Constatino Catechumeno, sive, ut inquit Sanctus Augustinus, Christiano, leguntur».
17 Ivi, p. 64v: «Contendere igitur Romam tres ex Gallia episcopi, atque, ut inquit Optatus, convenere in Laterano, Constantino Augusto tertium et Licinio Augusto tertium consulibus, quod est argumento Miltiadem Lateranum inhabitasse priore anno sibi a Constantino donatum». Si noti che Ottato non fa alcun accenno alla proprietà pontificia del palazzo, anzi, proprio perché i vescovi si erano riuniti su invito dello stesso Costantino, sarebbe stato più logico pensare che egli avesse messo a disposizione delle autorità ecclesiastiche una sede usata dall’Impero. Cfr. Optat de Milève, Traité, cit., I, pp. 222-225, I 23,1-2.
18 Significativa di questa volontà imperiale è la frase di Costantino, che Sigonio riprende da Ottato, con la quale l’imperatore ribadisce la sua inadeguatezza nel giudicare questioni di ordine religioso. Cfr. Carolus Sigonius, De occidentali imperio, cit., p. 64v: «Petitis a me in saeculo iudicium, cum ego ipse Christi iudicium expectem». Cfr. Optat de Milève, Traité, cit., I, pp. 222-225, I 23,1. Sul ruolo di Costantino nell’interpretazione di Ottato cfr. M. Labrousse, Introduction, in Optat de Milève, Traité, cit., pp. 72-81.
19 Optati Milevi, Libri sex de schismate Donatistarum, contra Parmenianum Donatistam, Apud S. Victorem prope Maguntiam, ex officina Francisci Behem Typographi, 1549.
20 Cfr. M. Turchetti, Concordia o Tolleranza? François Bauduin (1520-1573) e i «Moyenneurs», Milano 1984, pp. 476-512. Bauduin era stato anche autore di un trattato sulle leggi ecclesiastiche e civili di Costantino, opera nella quale aveva esaltato la figura dell’imperatore come auctor concordiae. Franciscus Balduinus, Constantinus Magnus sive de Constantini imperatoris legibus ecclesiasticis atque civilibus commentariorum libri duo, Basilea, per Ioannem Oporinum, 1556.
21 Optatus Afer, Milevitanus episcopus, Libri sex De schismate Donatistarum, aduersus Parmenianum, multo quam ante hac emendatiores. Cum præfatione Fr. Balduini, Parisiis, apud Claudium Fremy, via Iacobaea, sub insigni Divi Martini, 1563; Franciscus Balduinus, Delibatio Africanae historiae ecclesiasticae siue Optati Mileuitani libri 7 ad Parmenianum de schismate Donatistarum. Victoris Uticensis libri 3. De Persecutione vandalica in Africa, cum annotationibus Ex Fr. Balduini I.C. Commentariis rerum ecclesiasticarum, Parisiis, apud Michaelem Sonnium, sub scuto Basiliensi via Iacobaea, 1569.
22 Sembra improbabile che Sigonio non conoscesse l’opera edita da Bauduin. Un indizio è riconoscibile nel testo dello storico modenese quando egli affronta la datazione del primo sinodo di Roma. Mentre il testo di Ottato indicava come data il IV anno del consolato di Costantino e il III anno del consolato di Licinio, Bauduin aveva emendato il testo sulla base di Agostino correggendo il riferimento al III anno del consolato di Costantino: Sigonio segue la stessa cronologia proposta dall’erudito francese. Cfr. Optat de Milève, Traité, cit., I, pp. 224-225, I 23,1.
23 La ricostruzione delle fasi di riscrittura del III capitolo del De occidentali imperio, di cui non abbiamo testimonianze scritte, è desumibile dalle risposte che sia il Sigonio che i censori danno.
24 Milano, Biblioteca Ambrosiana, P 193 sup., cc. 5r-8r (= Sigonius, Opera, cit., VI, cc. 985-988). Ivi, c. 5r (= Sigonius, Opera, VI, cit., c. 985): «Quo usque actum esse de baptismo et donatione Constantini in Historia intexenda assensum sum propter reverentiam Romanae Ecclesiae quae illa approbat. Nunc vero quoniam id igitur, ut inserendae donationis causa omnes verae historiae quae huic officiant omittantur ac pervertantur, non videtur esse silentio praetereundum».
25 Ivi, cc. 5r-6r (= Sigonius, Opera, VI, cit., cc. 985-986).
26 Ivi, c. 6v (= Sigonius, Opera, VI, cit., c. 986): «Nunc rogo ut aequus iudex iudicet an superioribus manentibus haec esse possint quae nullam habent antiquam autoritatem quam edicti Constantini quod apocryphum esse constat. Deleanturque scripta S. Augustini qui scripsisse superiorem historiam repetit ac disputat et inquit se acta legisse eorum iudiciorum et Eusebii qui vixit cum Constantino et Optati qui rem ex instituto tractavit contra Donatistas et Milciadis ipsius qui ita scriptum reliquit et Constantini cuius costitutio extat in codicibus Theodosi». In più, aggiungeva, l’accusa che Costantino fosse stato ariano e per questo avesse perseguitato i vescovi cattolici non era vera, dal momento che Ario incominciò a predicare nel 319 e l’eresia ariana si diffuse in Occidente solo cinquant’anni più tardi. Cfr. ibidem.
27 Ivi, cc. 7r-v: «Quid igitur censes? Ne ecclesiae Romanae auctoritas contemni videatur, et ut repugnantia historiarum tollatur, ita scribendum censeo. 325 Eodem anno Constantinus in morbum lepare faedissimum lapsus cum idoneum ac praesens nullum tantae pesti remedium reperiret in somnis ab Apostolis Petro et Paulo divinitus est admonitus, ut Silvestrum Pontificem ad se vocaret ab eoque sacrum baptismum acciperet, sic enim consecuturum ut lue eiusmodi mundaretur. Divino viso statim Constantinus obtemperavit atque a Silvestro de iis quae ad fidem et paenitentiam pertinebant, diligenter edoctus ac situ ecclesiae expiatus post trinam mersionem in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti adhibitam continuo mundatus evasit. Quare gratiis Deo actis postridie eius ediecti, ut gratiam Silvestro referret basilicas Sanctis Petro et Paulo Apostolis, inchoavit easque possessionibus et donariis eximiis exornavit atque ipsum Pontificem donatione magnificentissima numeratum, ornamentis praeterea ad Pontificatus decus amplissimis honestavit. Ostenditur hodie quoque baptisterium ab eo egregio quodam opere conditum, extat etiam Constantini ipsius edictum praecis latinisque litteris scriptum, in quo ipse hanc totam de se prodit historiam iii cal. Aprilis se quartum consule datum, quod inter concilia edictum satis constat auctoritate Romanae Ecclesiae comprobari».
28 Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 6160, cc. 132r-138v.
29 Ivi, c. 137v: «Ob id Constantinus e sancto lavacro lepra liber emersus, ut gratiam tanti beneficii Sylvestro referret, edictum, quod nunc quoque legitur, scripsit, in quo, hac historia enarrata, adiicit se ad referendum gratiam, Sylvestrem omnibus ad amplitudinem ac dignitatem Apostolicae sedis ornandam insignibus decorare atque eumdem et successores eius ipso insuper Occidente donare. Quod edictum Ecclesia Romana in hunc usque diem constantissime tenuit». Su questo manoscritto cfr. W. McCuaig, Carlo Sigonio, cit., pp. 260-261.
30 La lettera di Adriano I, datata 26 ottobre 785, era indirizzata a Costantino VI e Irene durante il secondo concilio di Nicea. Cfr. P. Jaffé, Regesta pontificum Romanorum, Leipzig 1885.
31 Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 3455, cc. 9r-14r. cfr. W. McCuaig, Carlo Sigonio, cit., pp. 261-265.
32 Ivi, c. 9r: «Le dico che la cosa me par che habbi alcuna difficultà, per che quantunque il signor Sigonio ha posto quel che si trova nella Epistola di Papa Adriano primo registrata nel concilio generale Niceno secondo sopra il Battesimo di Costantino, nondimeno le cose dette innanzi nell’istessa historia fanno dubitare come possi essere vero che S. Silvestro papa stesse nascosto nel Monte Soratte per fugire la persecutione dell’Imperadore Costantino, il qual non solo non persequitava secondo la sopra dicta historia, li Christiani ma li favoriva».
33 Ivi, c. 9v: «Poco da poi dice che diede a Milciade Papa il Palatio lateranense. Il che quantunque alcuni scrittori dichino, non dimeno altri più dotti et diligenti hanno provato il contrario tenendo per fermo che quel palatio sia stato dato da l’imperadore constantino a S. Silvestro dopo il battesimo come l’editto della donatione contiene scritto in littere grece et latine allegato da Theodoro Balsamone nel suo Nomocanone, da Manuel Calega, da Simeone Thessalonicense, da Matheo Monacho et dal Cardinale Bessarione […] ultimamente è approvato da Gennadio Patriarcha Costantinopolithano stampato novamente in Roma». Il riferimento alla tradizione greca era una relativa novità del dibattito sulla donazione, introdotta in maniera esplicita da Agostino Steuco nell’opera che pubblicò nel 1547 contro l’opera di Lorenzo Valla. Cfr. E. Petrucci, I rapporti tra le redazioni latine e greche del Constituto di Costantino, in Bullettino dell’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, 74 (1962), pp. 45-160.
34 Sigonius, De occidentali imperio, cit., pp. 68-70, in partic. 70: «Quod Edictum ecclesia Romana atque adeo etiam Orientalis in hunc usque diem constantissime tenuit, Theodoro Balsamone et Emanuele Caleca et Gennadio patriarca, Graecis scriptoribus, testibus, quorum Illustrissimus Cardinalis Sirletus opportune iam inde Roma usque admonuit». Il riferimento esplicito a Sirleto e agli autori greci citati nella lettera dell’anonimo censore dimostrano che il Sigonio ebbe modo di leggere i rilievi contenuti nel testo inviato al cardinale.
35 Cfr. P. Prodi, Il Cardinale Gabriele Paleotti, cit., II, pp. 252-262; Id., Storia sacra e controriforma, cit.
36 Le censure furono pubblicate per la prima volta da Filippo Argelati nel 1737, all’interno del VI volume degli Opera Omnia del Sigonio, ma sono anche conservate in sei manoscritti che tramandano però esclusivamente il testo delle censure e non le risposte dello storico bolognese, tranne quelle ai rilievi fatti al commento della Historia Sacra di Sulpicio Severo. L’edizione a stampa è in Carolus Sigonius, Opera, VI, cit., pars tertia, cc. 1067-1234. I manoscritti si trovano nelle seguenti biblioteche: Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Mss. Vat. Lat. 3455, Vat. Lat. 6160, Boncompagni F9, Barberinianus Latinus 1038, Barberinianus Latinus 2618; Roma, Biblioteca Vallicelliana, Ms. Vallicellianus R 46. Sul commento alle censure cfr. W. McCuaig, Carlo Sigonio, cit., pp. 251-290; P. Prodi, Storia sacra e controriforma, cit.
37 Cfr. Carolus Sigonius, Opera, VI, cit., cc. 1077-1110. Per le censure sulla trattazione del periodo costantiniano cfr. ivi, cc. 1079-1094. Nell’edizione dell’Argelati, rispetto alla tradizione manoscritta, manca una censura.
38 Alle legittime accuse di falsità della lettera di Milziade, Sigonio non risponde in maniera puntuale, ma continua a insistere sulla legittimità della sua fonte citando ancora una volta Burcardo, Ivone e Graziano, che conservavano il testo di Milziade nelle loro raccolte. Alla veridicità delle sue affermazioni, confermate anche da Eusebio, egli affianca i dubbi sull’attendibilità di ciò che era riportato nella vita di Silvestro. Cfr. ivi, c. 1083.
39 Ivi, cc. 1083-1084, in partic. 1083: «Sigonius, qui annorum et mensium maximam diligentiam adhibere usus est in edictis illis enumerandis, et in annorum supputatione, negligens fuit si Haloandro credimus. Nam ea edicta, quae in Codice Theodosiano habentur Nonis Novembris Constantino Augusto III et Licinio Augusto III consulibus, anno Domini 315 constituta sunt, duobus annis post elapsis, quam a Sigonio supputantur. Nam quartum consulatum iniit Constantinus anno 317, quo tempore Sylvester Pontifex Romanus electus fuit. Nam si potitus fuit victoria Constantinus anno 312, ut ait Sigonius, Melchiade Ecclesiam gubernante, asseverandum erit per totum quinquennium episcopalem dignitatem obtinuisse Melchiadem, quod est falsum. Nam ex decreto Damasi constat Volusiano et Rufino consulibus mense Septembre obiisse, cum eodem anno ipse mense Martii epistolam ad Hispaniae episcopos conscripsisset, in cuius locum substitutus est Sylvester anno Domini 317, cum aliter enumeret Sigonius annum 315. Quod fortasse fuit in causa cur Melchiadi donatum Lateranum arbitretur, supputatione temporum delusus. Commissio vero, quam dedit Constantinus Melchiadi, est apud Nicephorum lib. 7, cap. 43». Il riferimento del censore è a Codicis Domini Iustiniani Sacratissimi principis ex repetita praelectione libri XII ex fide antiquitatis exemplarium, quoad fieri potuit a Gregorio Haloandro diligentissime purgati recognitique, Nurbergae apud Ioannem Petreium, 1530, p. [611].
40 Sigonius, Opera, VI, cit., cc. 1084-1085.
41 Ivi, c. 1085: «Nil impedit ex Optati testimonio donatum Melchiadi Lateranense palatium colligi; neque enim coniecturae satis sunt falsi arguendis auctorum assertis, quae aliunde nullo contrario positivo argumento impetuntur».
42 Ivi, c. 1086: «Refert Melchiadem possedisse palatium Lateranense, quod est contra historiam S. Sylvestri, qui etsi referat S. Augustinum asserentem causam Caeciliani contra Donatistas fuisse agitatam Romae coram Melchiade ex decreto imperatoris Constantini, non negatur fuisse hoc antequam Constantinus baptismum accepisset, quod nollet impedire Christianos, immo prohibebat ne quis illis officeret, ne tumultus aliquis aboriretur quo turbaretur imperium, et ideo constituit Papam Melchiadem iudicem differentiarum Donatistarum, et non modo non est persecutus Christianos, sed etiam illis favit». A questo rilievo Sigonio risponde dichiarando esplicitamente la falsità degli Actus Sylvestri. Cfr. ibidem: «De Lateranensis palatii donatione satis iam dictum. Acta vero Sylvestri pro pseudoepigraphis iure meritoque habuit Sigonius».
43 Un esempio di questo livello di scontro è rintracciabile nelle critiche del censore al passo in cui Sigonio afferma che Costantino, abbandonata Roma, lasciò a governarla come prefetto Giuliano, di fatto negando ogni potere temporale del papa sulla città. Il censore contesta questa ricostruzione sostenendo che Costantino lasciò Roma per confermare la donazione che aveva fatto al papa e che aveva posto Giuliano come prefetto, come aiuto al papa nell’amministrare i territori concessi dall’imperatore, mentre l’erede di Pietro era impegnato nella diffusione della fede, e che egli era incaricato, in particolare, di governare i pagani con il permesso dello stesso papa. Cfr. Ivi, c. 1090: «Censura 22: “Cum dicat, quod numquam postea Romam reversurus excesserat, poterat adiungere ideo discedere, ut confirmaret donationem quam pontifici maximo fecerat. Immo contra adiungit Constantinum reliquisse praefectum Iulianum, et aliquid addendum erat, quia forte id fecit ut auxilio esset papae, et quia ille erat occupatus in propaganda fide, et ideo ad gubernandos paganos hoc permittebat papa, ut Iulianus praeesset laicis, praesertim paganis, permissu papae”. In censuram 22 responsio: “Unde probabit censor Constantinum Roma discessisse, ut donationem suam confirmaret, non vero ut Orientis res componeret, quemadmodum Sigonius tradit? Censor sane prae oculis habebat Nicephorum, quo libentissime utitur, quique lib. 7, cap. 37 Historia Ecclesiastica tradit quidem Constantinum Roma excessisse, ut adversus Maximinum, qui tamen iam antea obierat, res novas in Oriente molientem contenderet, non ut donationem confirmaret, Romamque liberam Sylvestro relinqueret. Caussam vero, cur Constantinus per biennium Romae praefecerit Julianum, illam fuisse, quam censor assignat, cum nullo argumento evinci possit, ab ea in medium proferenda non immerito Sigonius abstinuit”».
44 Cfr. la bibliografia alla nota 4.
45 Carolus Sigonius, De occidentali imperio, cit., p. 564: «Posthac, ipso prorsus extincto Imperio, res romana in multa regna est distributa, Francorum et Burgundiorum in Gallia, Gotthorum in Hispania, Anglorum et Scotorum in Britannia, Longobardorum ac Normanorum in Italia. […] Itaque si quis continentem his annis historiam litteris illustrare voluerit, nae ille multo elegantius, atque commodius fecerit, si singula regna singulis voluminibus comprehenderit, quam, si confusam illam omnium molem in unum quasi corpus congesserit. Hoc ego triennio ante experiri institui, regnum Italiae mox a Longobardis invectum litteris, ut dixi, commendare aggressus, initio a Iustiniani excessu, in quo haec Occidentalis Imperii desinit historia ducto».
46 Le censure al De regno Italiae sono in Sigonius, Opera, VI, cit., cc. 1111-1138.
47 Ivi, c. 1127: «Censura 26: “Non aperte concedit Sanctum Sylvestrum latuisse in Monte Soracte, sed id vulgi rumore collectum censet”. In censuram 26 responsio: “Quamquam opinionem illam reiicere Sigonius potuisset, nam acta S. Sylvestri fabulis, ut opinor, scatent, tamen eam minime infirmavit, neque ex vulgi rumore natam asseruit”».
48 Sigonio individua in diversi momenti della storia del regno d’Italia la ‘progressiva’ affermazione della potestas in temporalibus del pontefice. Ma, per quanto riguarda il periodo carolingio e ottoniano, egli sottolinea la sottomissione di tale potere all’imperatore. Il caso più evidente è l’analisi che egli fa del privilegium ludovicianum. Sigonio, infatti, riporta il testo del documento con alcune piccole, ma decisive, varianti che trasformano la restitutio degli imperatori franchi in una sottomissione del pontefice, nella giurisdizione temporale, allo summum ius dell’imperatore. Il testo è in Carolus Sigonius, De regno Italiae libri XV, Bononiae, apud Societatem Typografiae Bononiensis, 1580, p. 193. Per un commento su tale questione cfr. W. McCuaig, Carlo Sigonio, cit., pp. 279-281.
49 Carolus Sigonius, De regno Italiae, cit., p. 324: «Et sane, quanquam Italia a rege, eodemque imperatore et a Romano pontifice tenebatur, non eadem tamen erat in utroque auctoritas. Pontifex Romam Ravennamque et ditiones reliquas tenebat auctoritate magis quam imperio, quod civitates pontificem ut reipublicae principem, regem vero ut summum dominum intuerentur, atque ei tributa obsequiaque quae dixi praeberent. Et pontificis vires in sacris detestationibus versabantur, quas Christiani reges tum maxime exhorruerunt, Imperatoris in armis et expeditionibus, quibus ipsi etiam pontifices cedere saepe compulsi sunt. [...] Utraque vero potestas sacra erat, ad Christianam conservandam rempublicam instituta». Su quest’opera del Sigonio cfr. W. McCuaig, Carlo Sigonio, cit., pp. 72-75, 274-285; M. Doni Garfagnini, La prefazione al De regno Italiae, cit.
50 Sigonius, Opera, VI, cit., cc. 1133-1134.
51 Ibidem: «In hac parte Sigonius haereticis nostri temporis favet, qui iurisdictionem temporalem a Romano pontifice sustulerunt. Quae tamen falsa sunt, cum imperium sit gladii exercendi potestas (l. pr. ff. de iure om.2), tum etiam imperium invocatione, praehensione, castigationeque consistat. Quare qui tollit imperium a Romano pontifice, gladii materialis potestatem tollat necesse est, quam Petro contulit Christus Lucae 22 quod aperte significat Sigonius cum pontificis vires in detestationibus constituat, idest in gladio spirituali, imperatoris vero in armis, cum tamen in utraque re pontificis Romani vigeat auctoritas».
52 Ivi, c. 1135: «Loquitur strictim et de potestate ea quae primario et ex sui natura convenit papae vel imperatori. Pontifici enim primario competit potestas spiritualis ordinata ex se ad spirituale bonum Christianae reipublicae, quae spiritualis potestas in linea coercitiva in sacris detestationibus versatur. At vero imperatori primario convenit temporalis potestas ex se suaque natura ad temporarium reipublicae bonum ordinata, quae in ratione coercendi in armis potissimum versatur et expeditionibus. Porro potestas utraque sacra est, hoc est a Deo instituta ordinataque ad Christianam rempublicam conservandam. Neque Sigonius gladii ius, quod Mediolanensi archiepiscopo concessit, Romano pontifici denegavit, ut sibi ridiculus censor fingit, cum Sigonius tantum supremum illud dominium, quod sibi imperatores reservaverant, pontifici Romano abiudicaverit. At gladii potestas, inquit censor, collata fuit Petro Lucae 22. Si de actuali rerum temporalium dominio et principatu censor loquatur, falsum hoc est; si vero de iure, quo possit Romanus pontifex legitime ac licite in temporalia dominari, hoc damus libenter; verum id ex eo textu Lucae, cum secus a veteribus omnibus interpretetur, rite censor non probabit». La risposta al censore è completata da un riferimento esplicito al privilegium ludovicianum, che, nella versione riportata dal Sigonio, conferma la sottomissione del papa all’imperatore. Cfr. ivi, c. 1134: «Imperii enim nomine summum ius expressit, supremum dominatum ditionemque quam sibi in Italiam imperatores retinuerant, ut diserte constat ex Ludoviciana donatione, per quam supremi iuris, seu imperii reservationem ea omnia ab Italiae populis et civitatibus imperatoribus praestabantur, quae Sigonius larga manu prosequitur». Cfr. supra nota 48.
53 Le lettere, datate rispettivamente 23 novembre e 18 dicembre, si trovano in Caesar Baronius, Epistolae et opuscula pleraque nunc primum ex archetypis in lucem eruta, III, Romae, ex typographia Komarek, prope oratorium Sancti Marcelli, 1759-1770, pp. 137-139. Cfr. S. Zen, Baronio storico, cit., pp. 31 e 60-61.
54 Cfr. A. Biondi, La storiografia apologetica e controversistica, cit.; J.L. de Orella y Unzué, Respuestas católicas a las ‘Centurias de Magdeburgo’ (1559-1588), Madrid 1976; S. Zen, Baronio Storico, cit., pp. 127-134.
55 Sulla vita di Cesare Baronio cfr. A. Pincherle, s.v. Baronio, Cesare, in Dizionario Biografico degli Italiani, VI, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1964; S. Zen, Baronio storico, cit.; Baronio Storico e la Controriforma, cit. Sull’incarico che gli fu assegnato da Sirleto cfr. in particolare S. Zen, Baronio storico, cit., pp. 17-28, 117-134.
56 Per il rapporto di Baronio con la storiografia a lui contemporanea ci si limita a rinviare a S. Zen, Baronio storico, cit. ad indicem.
57 Cfr. S. Zen, Cesare Baronio sulla Donazione di Costantino, cit., p. 196 e note con bibliografia.
58 Baronio ad Antonio Talpa, 1° dicembre 1590, lettera citata da S. Zen, Cesare Baronio sulla Donazione di Costantino, cit., p. 185.
59 Baronius, Annales Ecclesiastici, III, Romae, ex Typographia Vaticana, 1592 , pp. 50-205.
60 Ivi, p. 52: «Cum igitur post obitum Eusebii diebus septem Episcopatus cessasset, tertia die octobris sedere coepit Melchiades. Quod vero in libro de Romanis pontificibus haec tradantur de Melchiade: Fuit natione Afer, sedit annos tres, menses septem, dies octo consulatu Maximini nono usque ad Maxentium secundo consulem, qui fuit mense septembris, Volusiano et Rufino consulis omnia plane inversa esse constat, nam nihil commune habet Maxentii consulatus secundus cum consulatu Volusiani atque Ruffini, qui biennio post occisum Maxentium contigit. Quamobrem nulla prorsus spes restituendi loci omni ex parte corrupti esse potest. Iam vero ad ea, quae huius anni reliqua sunt Maximini imperatoris orationem revocemus».
61 Baronius, Annales, p. 67:«Rursum autem […] quo animo Constantinus fuerit erga primarium Christianae religionis antistitem, munificentia in eum ostensa declarat. Qui enim hactenus persecutione urgente, domibus publicis spoliati, nec privatis uti tuto poterant, in cryptis degentes Romani Pontifices a Constantino Imperatore mox regia publica domo donantur: nam quod nefas esse sciret, gentiliciae superstitionis antistitem summum aliam quamvis domum quam publicam habitare […] nequaquam passus est absque publico aedificio verae religionis Pontifices maximos Romae agere. Haec ut monstremus, non innitimur iis quae Isidorus Collector, seu potius Compilator, sub nomine Melchiadis Papae perperam collocavit in ea epistola, cuius (quoque magis credimus) ipse auctor extitit, cui praeter mentionem habitam de Nicaeno Concilio attexuit tertium canonem Concilii Chalcedonensis et nonnulla ex epistola Gregorii Papae his, inquam, quantum libet veris, quod prodantur falso titulo, non innitimur, sed antiquioribus ac verioribus testimoniis». Il riferimento a Gregorio è un esplicito attacco a Valla.
62 Baronius, Annales, cit., p. 68: «Quaenam autem fuerit regia domus a Constantino hoc anno Melchiadi Romano Pontifici concessa, non ex apocrypho quopiam, cui quicquam obiici possit, testimonium petimus, sed a certo plane, antiquo, dignoque auctore accipimus, cuius fides probata sit omnibus, nempe ab Optato Milevitano».
63 Per le pagine successive siamo debitori dell’interpretazione di A. Lauro, Baronio, De Luca e il potere temporale della Chiesa, cit.
64 A. Lauro, Baronio, De Luca e il potere temporale della Chiesa, cit., p. 366.
65 Ivi, pp. 369-370.
66 Baronius, Annales, cit., p. 196: «Caeterum iusta possessio (quam, si careret humano, divino saltem iure, quo subordinata sunt divinis terrena rerum dominia, Romana Ecclesia sibi vindicat, ac posteriores reges et imperatores amplissimis privilegiis ratam habuere, eamque illibatam stabilemque servatam voluerunt) a Ioanne diacono ex depravato illo a Graecis mutuato donationis edicto, ambigua redditur potius, quam probetur». Cfr. A. Lauro, Baronio, De Luca e il potere temporale della Chiesa, cit., p. 370.
67 Baronius, Annales, XII, Romae, ex Typographia Vaticana, 1607, pp. 844-847. D’altra parte, continua Baronio, gli stessi protestanti, rifiutando la donazione, paradossalmente non fanno altro che legittimare tale potere. Cfr. A. Lauro, Baronio, De Luca e il potere temporale della Chiesa, cit., p. 372.
68 Ivi, p. 845: «Neque ob eam causam, quod nolint suffragari nobis ipsum Constantini decretum, mox iure excidit eadem Ecclesia temporalium rerum dominio, quod certum atque indubitatum in omnibus est, plurium imperatorum diplomatibus possidere, quae suis locis sunt recitata superius. Neque enim tot tantosque Pontifices Romanae Ecclesiae, qui claruerunt a Constatini temporibus, quos contigit saepe adversus Principes de iuribus Romanae Ecclesiae disputare, legimus ea voluisse defendere eiusdem Constantini edicti auctoritate, sed potius evangelica, ut sanctus Leo, Felix, Bonifacius, Gelasius, Hormisda, sanctus Gregorius et reliqui successores omnes innixi Petrae super quam Christus testatus est se fundare Ecclesiam suam». Cfr. A. Lauro, Baronio, De Luca e il potere temporale della Chiesa, cit., p. 373.
69 Sul testo del Foschi cfr. G. Antonazzi, Lorenzo Valla, cit., pp. 269-310. Sulla trattazione della figura di Milziade cfr. ivi, pp. 298-306.