Costantino nella storiografia cattolica tedesca
Nel cattolicesimo di lingua tedesca del tardo Settecento e dell’Ottocento1 l’immagine di Costantino e lo studio della cosiddetta ‘svolta costantiniana’ hanno un contesto plurimo: all’interno un orientamento di fondo, in continua trasformazione, che percorre il tardo Illuminismo cattolico, il Romanticismo e la riconfessionalizzazione nel segno dell’incalzante ultramontanismo a partire dagli anni Trenta dell’Ottocento e giunge fino alla crisi dell’ultramontanismo nel segno del Vaticano I e alla crisi modernista; all’esterno, la trasformazione dei rapporti nei confronti del protestantesimo, il panorama politico in profonda trasformazione e infine la storiografia ‘laica’. Qui è possibile mettere in luce solo una parte di questo rapporto complesso e degli effetti che ebbe sulla ricezione di Costantino; ciò permetterà comunque di trattare alcuni temi fondamentali.
Con le Institutiones Historiae Ecclesiasticae Novi Testamenti (Vienna 1788, seconda edizione 1806) di Matthias Dannenmayer si entra nel mondo del cosiddetto giuseppinismo, che nella storiografia ultramontana è stato giudicato, molto negativamente, come un sopruso dello Stato nei confronti della Chiesa, e che solo nel Novecento è stato reinterpretato come un «cattolicesimo riformatore» vicino al giansenismo, al febronianesimo e all’Illuminismo cattolico2. A partire dal 1773 lo svevo Dannenmayer insegna storia della Chiesa presso l’università dell’Austria Anteriore a Friburgo in Brisgovia; nel 1786 viene chiamato a Vienna. Sotto l’imperatore Giuseppe II le sue Institutiones sono premiate come miglior manuale di storia ecclesiastica. L’opera diviene il testo obbligatorio in tutte le istituzioni educative teologiche delle terre ereditarie imperiali nei successivi 30-40 anni. Inoltre, nel 1797, Dannenmayer è nominato censore imperiale dei libri, e nel 1803 viene scelto come primo conservatore della biblioteca universitaria di Vienna; con questo incarico lascia l’attività d’insegnamento.
Rimane il suo merito di aver scritto per primo un manuale della storia della chiesa cattolica utile e adeguato, in uno stile corretto e in una forma scientifico-accademica, della quale va criticata però la classificazione e la separazione molto superficiale della materia d’insegnamento storico-ecclesiastica; il libro risente poi dei limiti della sua epoca per ciò che attiene la percezione dell’oggettività, e perciò va giudicato secondo il valore che aveva nella sua epoca3.
Effettivamente, con le Institutiones di Dannenmayer si ha per le mani il manuale per eccellenza dell’età del giuseppinismo; ciò ha degli effetti immediati sulla descrizione di Costantino. Dannenmayer suddivide la storia della Chiesa in «età», la prima delle quali reca semplicemente il titolo «Da Cristo a Costantino il Grande»4. L’età seguente è anch’essa lapidariamente intitolata «Da Costantino a Carlo Magno»5. Questa suddivisione, che a prima vista pare echeggiare la ‘Chiesa di Stato’ e il giuseppinismo, trova la sua corrispondenza nel modo in cui è trattato Costantino. Prima di tutto Dannenmayer rileva come egli sarebbe stato colui che ha aumentato i poteri e i diritti del clero, per esempio per quanto riguarda l’audentia episcopalis, l’immunità dai doveri pubblici (liturgie), etc. Contemporaneamente, si percepisce una nota illuminista e polemica quando Dannenmayer fa notare come il potere del clero sarebbe aumentato già nei primi tre secoli assomigliando «già allora più a un potere di comando che a un ministero»6. È però subito evidenziato anche l’effetto equilibratore dell’influsso statale:
Anche se il potere dei chierici e soprattutto dei vescovi si accresceva giorno per giorno, tuttavia gli imperatori romani, sull’esempio di Costantino il Grande, di quando in quando si dedicarono alla cura della religione e al governo esterno della chiesa. Convocarono infatti i concili, li presiedettero, ne confermarono i canoni, crearono dei giudici per le cause ecclesiastiche e proposero delle leggi sugli arredi sacri, la fede, le eresie, i vescovi, le chiese, etc7.
Qui Costantino è stilizzato come un precursore della riforma giuseppina e del potere statale della Chiesa, e si definisce positivamente il ruolo dell’imperatore nel governo esterno della Chiesa, fino ad arrivare alla presidenza dei concili e alla conferma dei loro canoni – fatti che in seguito la storiografia ultramontana ha voluto in parte obliare. In modo asciutto Dannenmayer fa riferimento al fatto che il contemporaneo tentativo da parte dei vescovi romani di ampliare i loro diritti patriarcali oltre al territorio suburbicario sarebbe stato «a volte più, a volte meno fortunato»8. Contemporaneamente a questo riconoscimento positivo di Costantino, quasi fosse il padre della Chiesa di Stato giuseppina, si sviluppa una linea d’interpretazione più nascosta e critica. Bisogna innanzitutto notare che Dannenmayer deve la suddivisione in periodi della storia della Chiesa alla Christliche Kirchengeschichte del protestante Johann Matthias Schröckh. La base è quindi lo schema storico della formatio-deformatio-reformatio9, interpretato da Dannenmayer secondo uno schema piuttosto giansenista. Tuttavia, Dannenmayer ha un atteggiamento critico, che era già risuonato nel suo modo di trattare la continua estensione del potere del clero nell’epoca di Costantino, verso il periodo postapostolico e soprattutto per quello dopo il 306 ovvero il 313. In particolare, il comportamento dell’imperatore dopo il concilio di Nicea è sottoposto a un giudizio breve ma negativo10.
Il contrappunto assoluto rispetto alla visione storica giuseppinista di Dannenmayer è la Geschichte der Religion Jesu Christi, che il convertito Friedrich Leopold Conte di Stolberg-Stolberg (1750-1819) pubblicò in quindici volumi tra il 1806 e il 1818. L’opera, acclamata da Joseph de Maistre, descrive la storia della Chiesa come storia della salvezza con un entusiasmo romantico cattolico e un forte soprannaturalismo11. Per quanto riguarda Costantino, a Stolberg è bastato semplicemente parafrasare l’esposizione di Eusebio nella Historia ecclesiastica e nella Vita Constantini12. Con un tono risoluto, Stolberg ha interpretato la conversione di Costantino come una grande rottura nella storia della salvezza:
Ancora fumavano tre continenti per il sangue delle più pesanti di tutte le persecuzioni, commesse contro i cristiani con l’avvedutezza più perfida e l’ira più atroce: gli imperatori imperversavano, i pretacci idolatri esultavano insieme alla plebaglia che essi stessi aizzavano; i sapienti e gli uomini del mondo, da questi istigati, si prendevano gioco di loro, quando all’improvviso, dall’oscurità, si palesò il braccio della Provvidenza, fino ad allora circondato di nubi. L’imperatore più venerato, più forte e più bellicoso della sua epoca si persuase della verità della dottrina santa grazie a un miracolo, di cui il suo esercito fu il testimone. Questo miracolo gli aveva anche preannunciato la vittoria sui suoi rivali; egli vinse e rese omaggio al Crocefisso13.
Pur essendo il dilettantismo lirico del convertito Stolberg tipico del romanticismo cattolico14, esso non ha però trovato diretti imitatori nella storiografia ecclesiastica cattolica, almeno per quanto riguarda la sua tecnica espositiva.
Una prospettiva storico-teologica simile ma più ‘scientifica’ è stata sviluppata da Johann Adam Möhler, il cui approccio ha influenzato in modo diverso l’intero Ottocento. Möhler è una figura centrale della cosiddetta ‘Scuola (cattolica) di Tubinga’; tuttavia, da qualche tempo si discute animatamente su questa categoria storico-teologica15. In questo contesto è sufficiente ricordare che l’idea di Möhler di uno sviluppo ‘organico’ della storia della Chiesa si è formata alla luce del passaggio dall’Illuminismo al Romanticismo. Poiché nell’interpretazione möhleriana della Chiesa come continua incarnazione di Cristo, sempre rinnovantesi per opera dello Spirito, non è concepibile una vera ‘rottura’ nella storia ecclesiastica, egli trova, anche per quella che sarà chiamata la ‘svolta Costantiniana’, una spiegazione all’interno della storia della salvezza, esposta ampiamente nel suo Athanasius del 182716:
˙la prima volta intromettersi a favore della Chiesa cristiana una potenza che fino a quest’ora o apertamente o simulatamente era sempre stata nemica della medesima. Colui che tutto governa aveva così disposto, che la Chiesa cristiana, quella istituzione tutta sua propria, dovesse trascorrere in circa tre secoli in quello impero entro il quale essa germogliò, sempre travagliata da miserie indicibili, da terrori e da necessità che narrar non si possono: pei quali modi ella doveva apprendere a formarsi una vita sua propria ed a confidare sopra di sé; dalla propria sua sustanza dovevano svilupparsi tutte le forme più convenienti a lei, e quali si volevano per potersi ognora movere con una indipendenza libera e generosa; e collo stabilire la sua distinzione dallo Stato, deporre un testimonio eterno della sublime dignità di lei, della immediata sua divina origine, e della diversità che è tra il temporale e l’eterno, affinché giammai quello usurpi e pregiudichi a questo. Un tale contrasto dell’eterno e del temporale si rappresenta nella diversità e nel contrasto fra Chiesa e Stato. Ne’ tempi precedenti il Cristianesimo, Dio e mondo, spirito e corpo, quindi anco Stato e Chiesa si erano levati insieme; ma lo spirituale e l’eterno non furono riconosciuti nella loro libertà e priorità; e per venire a questo riconoscimento era d’uopo sostenere la dura lotta di tre secoli, che non cesserà mai intieramente. Ma come fra eterno e temporale, fra spirituale e corporeo non vi è alcun contrasto assoluto, così non vi è neppure un contrasto assoluto fra Chiesa e Stato. Anzi l’eterno si manifesta nel finito, il soprasensibile nel sensibile e questo viene ad essere il substratum, o vogliam dire la base su cui quello si appoggia. Quindi dopo che la forza del nuovo spirito, mercé una lotta di tre secoli, aveva menato il riconoscimento della sua dignità ed indipendenza, lo scopo era stato raggiunto, e l’impresa doveva proseguire collo introdurre rapporti di amicizia. Come non si contradicono la manifestazione universale di Dio nel mondo (mercé le opere della natura) e la speciale nel Cristianesimo (mercé la rivelazione), ma piuttosto si sussidiano a vicenda e quella serve a far riconoscere questa, così ancora non si contradicono punto la fondazione della Chiesa cristiana stabilita immediate da Dio, e la fondazione dello Stato stabilito da Dio ma per mezzi secondari; che anzi, qui ancora quella serve a far conoscere questa ed a dimostrarne la dignità; solamente doveva cessare la deificazione dello Stato, com’era nel mondo pagano. Quindi l’eminente unità fra Chiesa e Stato consiste appunto in questo, che ambedue sono istituiti da Dio. Ma come l’istituzione della Chiesa cristiana e la speciale manifestazione di Dio in lei non debb’essere giammai confusa colla manifestazione generale di Dio medesimo, affinché il vero concetto di Dio non perisca di nuovo nel mondo; così non deve neppure soccombere in faccia allo Stato l’indipendenza della Chiesa e il sentimento della immediata sua istituzione da Dio, affinché anche lo stato sia costantemente riconosciuto di divina fondazione. La deificazione della natura finì col risolversi con una noncuranza della medesima, la quale fu considerata come opera del caso, ed abusata a soddisfare i piaceri ed i bisogni de’ sensi: lo stesso accadde finalmente allo Stato, anche quando durava ancora la sua deificazione. Quando gl’imperatori romani si facevano divinizzare come rappresentanti dello Stato e sua apoteosi, tutti i rapporti civili furono distrutti, nello Stato ciascuno non vedeva niente altro fuorché sé stesso e se ne serviva come di un mezzo per raggiungere i suoi fini. Proruppero le guerre civili, lo Stato perdette ogni dignità e si mostrò come un’opera del caso. Quindi lo stato debbe sempre avere in istima la dignità speciale ed indipendente della Chiesa, se vuole che sia stimata anco la sua. Ambidue debbono tenersi separati, ed occupare il proprio terreno e mantenersi liberi ed indipendenti entro il proprio circolo. Così la intese eziandio Costantino, il primo imperatore cristiano: il quale ai vescovi concedette spontaneo il diritto di amministrare internamente la Chiesa; e chiesto di intromettersi a decidere negozi ecclesiastici, ricusò di farlo. Egli è fuori di dubbio che Costantino riconobbe in teoria la indipendenza della Chiesa; abbenché non sia difficile di citar vari fatti dedotti dal suo modo di procedere che sono in contradizione co’ suoi principii17.
Agli occhi di Möhler Costantino fu il primo imperatore cristiano, quando giunse il kairos storico, a riconoscere, almeno in teoria correttamente, il rapporto fra Chiesa e Stato nella loro diversità e reciproca relazione. Sulla base della convinzione, secondo la quale lo Stato non si poteva più mostrare indifferente verso la Chiesa, Möhler spiega anche l’intervento da parte di Costantino nella controversia ariana.
Nonostante per Möhler questa complessa definizione di Chiesa e Stato nella storia della salvezza sia importante, nel suo lavoro storico-ecclesiastico procede sobriamente in occasione della trattazione concreta di Costantino. Ciò dipende soprattutto dal fatto che egli, nelle sue lezioni, si basa molto sui classici manuali protestanti di Matthias Schröckh, Johann Ernst Christian Schmidt e Gottlieb Jakob Planck18. Da Schröckh Möhler prende, come prima anche Dannenmayer, la suddivisione in età, nelle quali Costantino si trova al passaggio dal primo al secondo periodo19. Su questo sfondo non deve meravigliare che Möhler, nelle sue lezioni, abbia considerato in modo molto critico il carattere di Costantino, pur nella grande importanza di questa figura: Möhler ne riconosce la conversione finale al cristianesimo solo dopo la vittoria contro Licinio nel 32420. Tra le motivazioni di Costantino a favore del cristianesimo egli dà grande peso ai motivi politici, e sostiene addirittura che essi avrebbero prevalso su quelli religiosi. Anche gli omicidi del suocero Massimiano e poi di Crispo e di Fausta21 parlerebbero a sfavore dell’imperatore, che «non era penetrato nella sostanza del cristianesimo»22.
Quest’immagine asciutta di Costantino tuttavia non è più presente nell’edizione postuma delle lezioni di Möhler – o perché lui stesso aveva assunto tratti più apologetici durante il periodo trascorso a Monaco oppure perché all’editore benedettino Pius Bonifaz Gams essa non sembrava conveniente. Tuttavia, in quest’edizione si trovano solo delle affermazioni molto tortuose sulla conversione di Costantino23, e anche le riflessioni riguardo il rapporto Chiesa-Stato si sono molto irruvidite rispetto all’Athanasius24. Spicca l’esposizione della lunga conversione di Costantino al cristianesimo, molto apologetica e che non getta alcun’ombra sull’imperatore, fatta nel suo manuale di storia ecclesiastica (1836) da Ignaz Döllinger che, insieme a Möhler, frequentava il circolo di Görres a Monaco. Döllinger si basa tra l’altro sulla Vita di Constantino il Grande (1786) dell’ex gesuita antigiansenista Francesco Gusta, ma fa riferimento anche all’esposizione molto più critica del protestante Johann Kaspar Friedrich Manso (Leben Constantins, 1817)25. L’annotazione di Döllinger, secondo la quale la Chiesa dovette comprare la sua nuova posizione privilegiata con il sacrificio parziale della sua precedente indipendenza, è al contrario tipicamente ultramontana. Nelle faccende ecclesiastiche, però, Costantino si sarebbe servito del suo potere con temperanza26.
Con una damnatio memoriae di fatto ininterrotta, gli studi di Döllinger e le altre trattazioni cattoliche dell’epoca confermano invece l’interpretazione costantiniana da parte di Voltaire e di Edward Gibbon27. Un’eccezione è Johann Leonhard Hug, spinto a scrivere la sua Denkschrift zur Ehrenrettung Constantins des Großen (1829)28 esplicitamente da Gibbon, ma anche da Manso. Orientalista e biblista, che utilizzava il metodo storico-critico, che aveva fatto lezioni al Seminario generale giuseppinista di Friburgo e che fu nominato canonico del duomo nel 182729, Hug non si è confrontato direttamente con Gibbon, ma ha offerto una raffigurazione di segno contrario della vita dell’imperatore, ricca di fonti e tuttavia benevola nei suoi confronti. L’apologia di Hug, che è riuscito a descrivere con generosità anche le «catastrofi familiari» di Costantino, è stata accolta nell’influente manuale di Johannes Alzog30 che, nella lenta conversione dell’imperatore al cristianesimo, scoprì anche un significato più profondo, che egli aveva desunto dall’opera del giovane storico della chiesa di Gießen Caspar Riffel31. La sua Geschichtliche Darstellung des Verhältnisses zwischen Kirche und Staat von der Gründung des Christenthums bis auf Justinian I32 è da interpretare sullo sfondo dell’inizio della lotta ultramontana per la «libertà della Chiesa» da parte della Chiesa di Stato in Germania33. Riffel, alunno di Möhler, ha comunque dato un giudizio del tutto positivo di Costantino. In che cosa consiste quel senso più profondo, recepito poi da Alzog, della lenta svolta dell’imperatore verso il cristianesimo?
Quando Costantino e Licinio accordarono alla Chiesa cristiana tutti i diritti che spettavano a una comunità permessa nello Stato non sapevano, e tantomeno ne avevano intenzione, che essi con ciò avevano firmato la completa vittoria della Chiesa stessa e la loro autocrazia. Ma il paganesimo, che non aveva in sé alcuna forza e che sopravviveva solo grazie al potere statale, perché entrambi erano vicendevolmente legati nella maniera più intima, dovette necessariamente crollare e sparire in poco tempo, mancandogli ogni appoggio e protezione. Il periodo di passaggio dalla tolleranza della Chiesa cattolica fino all’autocrazia, che portò alla completa scomparsa del paganesimo, riempie perciò solo pochi anni; tutte le azioni di quel tempo da parte di Costantino devono essere interpretate e giudicate indicative o piuttosto rappresentative di questo periodo. Non fu una politica timorosamente calcolatrice che propiziò la sua conversione a confessore del nome cristiano; tantomeno essa ebbe un’influenza determinante sul suo modo d’agire successivo. Il non aver riconosciuto il rapporto della religione cristiana nei confronti del paganesimo lo trattenne dall’intervenire in modo affrettato nell’abituale corso delle cose; se così fosse stato, l’effetto sarebbe stato certamente più quello di impacciare che non di aiutare il tutto. Il cristianesimo, fino ad allora perseguitato con leggi sanguinarie, ebbe bisogno solo della protezione dell’imperatore giusto, sotto il cui scettro fu impedito ogni turbamento dei suoi atti liturgici; non chiedeva di più; in lui stesso risiedeva, fatto ai più inconsapevole, la forza di aprirsi la via al trono in modo più sicuro e stabile che per l’intervento violento di una mano estranea. Costantino voleva solo quello; questo era il compito del suo tempo, alla cui soluzione egli diede il maggior contributo […] Come in lui stesso rimasero uniti ancora a lungo elementi cristiani e pagani, così egli credé che il cristianesimo e il paganesimo potessero convivere pacificamente nello Stato e che la pace dell’Impero potesse conservarsi in modo duraturo […] Se fin dall’inizio Costantino avesse avuto l’intenzione di elevare il Cristianesimo al rango di religione dominante, o addirittura di abusarne come mezzo per la sua brama di potere, allora dovremmo riconoscere che egli fece dei passi che ben poco lo favorirono34.
L’esposizione di Riffel di una lenta e quasi inconsapevole transizione di Costantino dal paganesimo al cristianesimo può suonare quasi moderna35. Inconfondibile è anche il tentativo apologetico di Riffel, contro Voltaire, Gibbon e Manso, di scagionare Costantino dall’accusa di una politica calcolatrice. Il manuale di Alzog, però, ha continuato a divulgare la prospettiva di Hug e di Riffel attraverso le sue numerose edizioni36.
Se Costantino è stato inserito per la prima volta da Riffel in un’analisi di carattere ultramontano del rapporto Chiesa-Stato (seppur positivamente), allo stesso modo corrisponde a una tendenza ultramontana il fatto che l’allievo di Möhler a Tubinga, Carl Joseph von Hefele, nella sua autorevole Conciliengeschichte del 1855 si occupa nei dettagli della convocazione del concilio di Nicea da parte di Costantino. Per la teologia ultramontana l’opera di Hefele diventa sempre più problematica, perché essa non era compatibile con la dottrina conciliare romana (ovvero bellarminiana) dei concili: ma Hefele cercava perciò di dimostrare, per quanto era in suo potere, che, sebbene il concilio fosse stato convocato non dal papa ma solo dall’imperatore, non fosse da escludere che Costantino si sarebbe assicurato l’approvazione di papa Silvestro37. Hefele si sforza di usare clemenza nei riguardi dell’imperatore; pone in risalto la notizia di Sozomeno, secondo il quale Costantino già prima della sua morte giunse a un giudizio più favorevole nei confronti di Atanasio e ordinò di richiamarlo dall’esilio38.
Il concilio Vaticano I, lo scisma dei vetero-cattolici e il Kulturkampf hanno portato in superficie le polarizzazioni latenti nel cattolicesimo tedesco. Il vecchio orientamento ultramontano si è frantumato in schieramenti diversi. Tra i decisi sostenitori del concilio Vaticano I c’era lo storico della Chiesa e futuro cardinale Joseph Hergenröther di Würzburg39, che si era allontanato dal suo maestro Döllinger già dagli anni Sessanta del Novecento. L’alumnus del Collegium Germanicum Hergenröther volle imporre a Würzburg e alla Germania intera una teologia decisamente ‘romana’. Nel suo Handbuch der allgemeinen Kirchengeschichte del 1876, Hergenröther usò nuovamente, nella sua interpretazione di Costantino, toni più duri, comprensibili solo alla luce del Kulturkampf. Per Hergenröther, la guerra tra Licinio e Costantino «era guerra propriamente di religione: Licinio da una banda perduto dietro alle divinazioni e promettendosi dagli oracoli la vittoria; dall’altra Costantino inalberando il segno di Cristo nelle sue bandiere, e intorniato di vescovi nel suo campo. In lui speravano i cristiani d’Oriente»40. Hergenröther propose una lettura filopapale, fortemente influenzata dalla visione della Chiesa come societas perfecta, anche dello sviluppo di Costantinopoli come sede imperiale: grazie al trasferimento in Oriente il pontificato romano «restava libero di svolgersi più francamente e senza ostacoli», ma contemporaneamente a Roma si contrappose una forte rivale, e gli imperatori si lasciarono troppo coinvolgere nei conflitti religiosi della Chiesa d’Oriente, «del costoro [dei cristiani d’Oriente] spirito animati, alienandosi dagli Occidentali, si ravvicinarono vieppiù al dispotismo asiatico, del quale si valsero a pro delle astiose fazioni», come divenne evidente nel comportamento di Costantino nei confronti degli ariani41. Anche se Hergenröther elogiava la promozione del cristianesimo dalla parte dell’imperatore, ha comunque espresso i lati negativi della sua personalità con una pregnanza fino allora sconosciuta nel contesto del cattolicesimo tedesco. La ‘riabilitazione’ di Hug non ha trovato eco in quest’opera. Probabilmente, anche la distanza di Hergenröther nei confronti dei governanti nel nuovo impero tedesco avrà avuto un effetto liberatorio:
Ma se il regno di Costantino per molti aspetti fu lodevole, ebbe nondimeno vizi gravi e da non tacersi. E primo fu che Costantino restò sino alla fine della sua vita fuori dalla Chiesa, né ricevette il battesimo che nell’ultima infermità da un vescovo ariano, trovandosi in età di 65 anni. Egli non pose freno alle sue passioni; non solo fece morire Liciniano figlio di Licinio, ma anche il suo proprio figliuolo, il valoroso Crispo, avuto dalle prime nozze, e di poi la sua seconda moglie Fausta, la quale per altro avevalo più volte istigato a crudeltà; fu rotto allo sdegno, ambizioso, crudele verso alquanti uomini di merito, e inoltre accessibile all’adulazione ed agli intrighi, massime sugli ultimi anni. Di più, si attraversò in molte guise, aggirato senza dubbio dagli eretici (donatisti e ariani), alla libertà della Chiesa; il che tornava tanto più pericoloso, perché i suoi benefizi, grandi veramente e sopra ogni speranza, gli avevano dovuto guadagnare l’animo dei cristiani. Inoltre, non aveva egli fermezza nella sua politica religiosa, e fu tempo che sognava persino di confondere in una tutte le religioni: e con questo suo balenare cagionò, sebbene senza volerlo, gravi danni alla Chiesa42.
Malgrado tutte le critiche, Hergenröther non nega a Costantino l’epiteto di «Grande», perché complessivamente egli si è assicurato la riconoscenza del mondo cristiano.
All’altro capo dello spettro del cattolicesimo nell’impero tedesco c’è il «cattolico liberale» Franz Xaver Kraus43. Lo storico ecclesiastico di Friburgo ha perseguito l’ideale di un «cattolicesimo religioso», per lui formulato ovvero realizzato prima da Dante44 e poi da John Henry Newman45. Perciò Kraus si è definito avversario dell’ultramontanismo e del ‘cattolicesimo politico’, che egli vide all’opera nel Centro cattolico tedesco, ma anche in una Curia romana consapevole del proprio potere. In questo contesto Kraus pone nuovi accenti nell’interpretazione di Costantino. Non si va troppo lontano dal vero nel ritenere che Kraus abbia avuto ben presente i famosi versi dell’Inferno dantesco (xix, 115-117: «Ahi, Constantin, di quanto mal fu matre, non la tua conversion, ma quella dote che da te prese il primo ricco patre!»).
Kraus ha esposto la sua interpretazione di Costantino nel suo Lehrbuch der Kirchengeschichte, la cui seconda edizione del 1882 rischiò di finire all’Indice, e di cui nel 1887 è stata pubblicata una versione censurata46. I passaggi riguardanti Costantino, però, non sono stati cambiati. Innanzitutto si nota come Kraus, nella sua esposizione, a eccezione di Tillemont, ha fatto riferimento solo ad autori protestanti o ‘liberali’ come Manso, Jakob Burckhardt47, Karl Theodor Keim, Theodor von Zahn e Theodor Brieger. Kraus si è messo in luce come un autore che sapeva guardare oltre «l’ambiente cattolico»48. Su questo sfondo, anche lo schizzo biografico di Costantino ha un carattere poco ‘ecclesiastico’:
In tutta la sua attività Costantino era dominato dall’idea dell’unione dell’Impero su una base nuova. In lui la religione e la politica si unirono in un grande progetto, già delineato dall’editto di Milano del 313. Influenzato per un lungo periodo da papa Milziade, egli avrà forse avuto la speranza di elevare il cristianesimo a unica religione di Stato. Tuttavia, da quando egli, dando seguito all’idea dioclezianea e riconoscendo nell’Oriente il baricentro dell’Impero, vi spostò la sede […], si allontanò dalla visione occidentale e mostrò nel suo comportamento personale e nei suoi atti politici di aver compito un passo indietro verso il paganesimo; infine, credé di riconoscere nell’arianesimo un mezzo adatto […] alla sua idea di fusione delle religioni di tutti i popoli, al quale si dedicò alla fine della sua vita49.
È interessante vedere come in Kraus è presente anche l’aspetto della tolleranza religiosa. Egli osserva come i cristiani, poco dopo Costantino, nel loro comportamento nei confronti dei pagani sarebbero diventati più «aggressivi», e come essi avrebbero chiesto l’applicazione delle norme penali dell’Antico Testamento contro l’idolatria50. Come gli autori protestanti, anche Kraus ha parlato della nuova ‛Chiesa di Stato’, di cui vedeva i lati negativi nelle conversioni di massa soltanto superficiali, nel controllo statale sulla Chiesa ma soprattutto nell’uso della violenza nelle questioni di fede:
Meno i bizantini erano in grado di governare i loro Stati, più alacremente si immischiavano nel governo della Chiesa, all’inizio soltanto circa sacra, ma presto (a partire da Basilisco nel 476) misero la loro mano macchiata di sangue anche nel santuario delle coscienze ed emanarono degli editti in questioni di fede, un traviamento che raggiunse il culmine sotto Giustiniano I […]. L’Impero agì contro gli infedeli come aveva agito per trecento anni contro i fedeli; ma fece anche di peggio, poiché avvelenò la Chiesa con la malvagità inaudita della sua corte e della sua amministrazione e soffocò, almeno per quanto si estendeva il suo potere, e quindi principalmente nell’Impero romano d’Oriente, l’intera vita sana e fresca51.
Se in Kraus echeggia – come già in Hergenröther – un certo Orientalism (nel senso di Edward Said), prevale comunque il suo interesse per la libertà religiosa. Tra tutti gli autori che interessano in questo contesto egli giunge, almeno implicitamente, al giudizio più negativo dell’era costantiniana, vedendo minacciata la propria libertà religiosa e scientifica non tanto dallo Stato quanto dall’ultramontanismo.
Con Franz Xaver Funk e Alois Knöpfler ci si addentra ancora di più nella crisi modernista all’interno del cattolicesimo52. Entrambi sono allievi di Hefele e sono perciò nella tradizione möhleriana di un’interpretazione ‘organica’ della storia ecclesiastica, che essi hanno però relativizzato attraverso una storicizzazione più coerente, il che vale soprattutto per il successore di Hefele a Tubinga, Franz Xaver Funk. Negli anni Ottanta dell’Ottocento, nel corso delle sue indagini sui concili della chiesa antica, Funk è arrivato alla conclusione che, iniziando con il concilio di Nicea del 325, non fu il papa, ma l’imperatore a svolgere il ruolo decisivo nella convocazione, direzione e conferma dei sinodi. Nonostante Funk non ne tragga delle conseguenze per il presente, egli tocca, al contrario del suo maestro Hefele, la dottrina conciliare romana e si trova perciò di fronte allo schieramento compatto dell’opposizione neoscolastica. Matthias Joseph Scheeben giudica i risultati di Funk semplicemente «impensabili a livello teologico e canonistico», anche se non è in grado di confutarli con delle fonti. Anche il canonista e alunno limburgense del collegio germanico Matthias Höhler postula contro Funk addirittura un «criterio dogmatico della storia ecclesiastica», nel quale l’immutabilità dei dogmi e delle istituzioni ecclesiastiche viene fatto derivare dall’essenza della Chiesa; questa immutabilità viene stabilita quale criterio valido a priori53. Su Costantino, però, Funk non ha sviluppato delle prospettive nuove – questo è compito del suo allievo Hugo Koch, la cui interpretazione critica dell’epoca costantiniana si riaggancia piuttosto a Kraus54. Nel suo manuale di storia ecclesiastica, insuperabile nella sua obiettività, ma anche nella sua asciuttezza stilistica55, Funk si riferisce sia a Jacob Burckhardt che alla monografia costantiniana a carattere schiettamente apologetico di Franz Michael Flasch56, che fa brillare l’immagine dell’imperatore «di nuovo splendore», sostanzialmente nel senso di Eusebio57. Flasch, nella conclusione della sua opera, ha svelato apertamente il legame del suo lavoro con l’ambiente cattolico:
Una cosa mi ha fatto male studiando le fonti: l’osservazione che molti studiosi sono ostili nei confronti del cristianesimo, che essi disprezzano interamente la letteratura cattolica e che giungono a condurre una battaglia audace come l’ha condotta Giuliano l’Apostata. Forse si può dire che la nostra lotta cattolica contro la falsa scienza ottenga scarsi successi, perché gli avversari chiudono gli occhi e si fanno spingere da una forza che non è l’impulso sincero per la verità. A quanto pare, la battaglia decisiva va combattuta nel campo sociale; lì si dimostrerà che la scienza ostile a Cristo sarà giudicata dalle conseguenze orribili che essa causerà alla vita popolare. Spero che quest’opera storica sull’antichità cristiana rafforzi la convinzione che Cristo vincerà e che noi vinceremo attraverso la Croce. XP58.
Come Funk, anche Alois Knöpfler, storico della Chiesa a Monaco di Baviera e alunno di Hefele, si rifà sia a Flasch che a Burckhardt, giudicando il Costantino di quest’ultimo «molto unilaterale»59. Sullo sfondo della critica burckhardtiana, Knöpfler, però, soppesa con cura i motivi politici e religiosi dell’azione di Costantino e opta salomonicamente a favore di una loro interdipendenza60. Al contrario di Funk egli si concede anche un breve sguardo sulle conseguenze di lunga durata dell’attività di Costantino, nel quale riconosce il fondatore del diritto della Chiesa di Stato di Bisanzio, senza entrare troppo nelle implicazioni della sua affermazione61. In modo simile a Hergenröther, ma meno drasticamente, egli fa riferimento alle conseguenze per il papato e per i ‘lati oscuri’ di Costantino, presentando così l’immagine di un Costantino accademicamente addomesticato, dalla quale traspare solo una piccola parte dell’esuberanza romantica e cattolica e che non ha quasi nessun tratto salvifico, ma che è funzionale all’integrazione della teologia universitaria tedesca nel contesto dell’Impero tedesco, verso la quale Knöpfler tende in tutta la sua attività62.
1 Per una prima sintesi si veda Kirche im 19. Jahrhundert, hrsg. von M. Weitlauff, Regensburg 1998. Per lo sviluppo della storiografia ecclesiastica si vedano V.A. Holzem, Weltversuchung und Heilsgewißheit. Kirchengeschichte im Katholizismus des 19. Jahrhunderts, Altenberge 1995; H. Wolf, Der Historiker ist kein Prophet. Zur theologischen (Selbst) Marginalisierung der katholischen deutschen Kirchengeschichtsschreibung zwischen 1870 und 1960, in Die katholisch-theologischen Disziplinen in Deutschland 1870-1962. Ihre Geschichte, ihr Zeitbezug, hrsg. von H. Wolf, Paderborn 1999, pp. 70-93.
2 Cfr. C. Arnold, Reformkatholizismus, in Religion in Geschichte und Gegenwart, VII, Tübingen 20044, pp. 189-191.
3 Questo il giudizio del teologo cattolico Karl Werner (1821-1888) nel suo articolo su Dannenmayer, cfr. K. Werner, s.v. Matthias Dannenmayer, in Allgemeine Deutsche Biographie, IV, Leipzig 1876, p. 745.
4 A Christo usque ad Constantinum Magnum. Medesimo titolo nella prima edizione (Freiburg 1783): Institutiones historiae ecclesiasticae Novi Testamenti: Period. I a Christo usque ad Constantinum Magnum.
5 M. Dannenmayer, Institutiones historiae ecclesiasticae N.T. Pars Prima, Editio secunda, Wien 1806, p. 207: «A Constantino ad Carolum M[agnum]».
6 Ivi, p. 227: «imperio quam ministerio iamiam similior».
7 Ivi, p. 229: «Etsi vero Clericorum, Episcoporum inprimis potestas in dies augeretur, tamen Imperatores Romani, praeeunte Constantino M. religionis, et ecclesiae, quoad externam gubernationem, curam nunquam non gesserunt. Convocarunt scilicet concilia, iisque praesederunt, et canones conditos confirmarunt, constituerunt caussarum ecclesiasticarum iudices, tuleruntque leges plurimas circa res sacras, fidem, haereses, episcopos, ecclesias etc.».
8 Ivi, p. 230: «idque modo feliciori, modo minus prospero eventu».
9 V.J. Schaber, Kirchenvater oder Vater der Scholastik? Das Augustinusbild der katholischen Tübinger Schule. Johann Baptist Hirscher, Johann Adam Möhler und Franz Anton Staudenmaier, in Augustinus – ein Lehrer des Abendlandes. Spuren und Spiegelungen seines Denkens von der Frühscholastik bis in die Gegenwart, II, Von der Neuzeit bis in die Gegenwart. Augustinus als ursprünglicher Denker, hrsg. von N. Fischer, Hamburg 2009, pp. 127-146, in partic. 131 segg.
10 M. Dannenmayer, Institutiones, cit., p. 280: «Decretis concilii Nicaeni non omnes episcopos sincere, et ex animo subscripserunt. Ipse Constantinus M. gratia Ario, aliisque exulibus facta, fidei Nicaenae defensoribus, S. Athanasio maxime, variis modis molestus postea exstitit. Patris vestigiis insistebat filius, et in imperio successor Constantius, gravioribus etiam malis Catholicos episcopos afficiens».
11 V.A. Holzem, Weltversuchung, cit.
12 F.L. Graf zu Stolberg, Geschichte der Religion Jesu Christi, X, nuova edizione, Wien 1817, pp. 5-19.
13 Ivi, pp. 5 segg.
14 Cfr. sul tema Otto Weiß, Kulturen – Mentalitäten – Mythen. Zur Theologie- und Kulturgeschichte des 19. und 20. Jahrhunderts, hrsg. von M. Weitlauff, H. Wolf, C. Arnold, Paderborn 2004.
15 Qui è da menzionare soprattutto la critica di Rudolf Reinhardt e di Abraham Peter Kustermann alle costruzioni di tipo sistematico da parte di Josef Rupert Geiselmann e Max Seckler. Per una sintesi della discussione cfr. S. Warthmann, Die Katholische Tübinger Schule. Zur Geschichte ihrer Wahrnehmung, Stuttgart 2011.
16 J.A. Möhler, Athanasius der Grosse und die Kirche seiner Zeit, besonders im Kampfe mit dem Arianismus, I/1-3, Mainz 1827 (trad. it. Atanasio il Grande e la Chiesa del suo tempo, massime nella controversia coll’arianesimo, I/1-3, Milano 1843).
17 Ivi, pp. 221-223 (trad. it. pp. 243-245).
18 Cfr. J.A. Möhler, Vorlesungen über die Kirchengeschichte, I, hrsg. von R. Rieger, München 1992, pp. xxxi-xxxii.
19 Nelle lezioni del 1823-1824 l’articolazione corrisponde ancora interamente a quella di Dannenmayer ovvero di Schröckh. Dal 1826-1827 il secondo periodo finisce nell’anno 610, mentre dal 1827-1828 i primi due periodi sono uniti nella «prima età»; Ivi, p. xxix.
20 Ivi, p. 220. Questa tesi è ancora sostenuta nella ricerca più recente, per esempio da Jochen Bleicken.
21 Sull’importanza del caso di Fausta e Crispo già nell’epoca dell’Illuminismo cfr. H. Schlange-Schöningen, “Der Bösewicht im Räuberstaat”. Grundzüge der neuzeitlichen Wirkungsgeschichte Konstantins des Großen, in Konstantin der Große. Das Bild des Kaisers im Wandel der Zeiten, hrsg. von A. Goltz, H. Schlange-Schöningen, Köln 2008, pp. 211-262.
22 Ivi, pp. 221 segg.
23 Kirchengeschichte von Johann Adam Möhler, hrsg. von P.B. Gams, I/1 Zweiter Zeitraum, Das Mittelalter, Regensburg 1867, pp. 401 segg.
24 Ivi, pp. 579 seg.
25 J.J.I. Döllinger, Lehrbuch der Kirchengeschichte, I, Regensburg 1836, pp. 54-56. Per Manso cfr. T. Heinze, Konstantin der Große und das konstantinische Zeitalter in den Urteilen und Wegen der deutsch-italienischen Forschungsdiskussion, München 2005, pp. 36-54.
26 J.J.I. Döllinger, Lehrbuch, cit., p. 179.
27 Cfr. contributi sul tema in questo volume e anche la sintesi di H. Schlange-Schöningen, Das Bild Konstantins in der Neuzeit, in Konstantin der Große. Geschichte – Archäologie – Rezeption, hrsg. von A. Demandt, J. Engemann, Trier 2007, pp. 285-297.
28 Pubblicato prima in Zeitschrift für die Geistlichkeit des Erzbistums Freiburg, 3 (1829), pp. 1-104, poi anche come estratto (Freiburg im Breisgau 1829). Consultabile online all’indirizzo: http://ora-web. swkk.de/digimo_online/digimo.entry?source=digimo.Digitalisat_anzeigen&a_id=7091 (26 mag. 2012).
29 Su di lui W. Müller, s.v. Hug Johann Leonhard, in Neue Deutsche Biographie, X, Berlin 1974, p. 8.
30 J. Alzog, Universalgeschichte der christlichen Kirche. Lehrbuch für akademische Vorlesungen, Mainz 18432, pp. 221-223.
31 Su di lui U. Scharfenecker, Die Katholisch-Theologische Fakultät Gießen (1830-1859), Paderborn 1998, pp. 534-548.
32 G.C. Riffel, Geschichtliche Darstellung des Verhältnisses zwischen Kirche und Staat von der Gründung des Christenthums bis auf Justinian I, Mainz 1836.
33 Curiosamente Joseph Görres, nel suo scritto polemico Athanasius (Regensburg 1838), nonostante il titolo, non si è di fatto occupato della storia del IV secolo, e perciò non ha avuto influenza in alcun modo sull’immagine contemporanea di Costantino. Pur criticando l’intervento violento da parte dello Stato prussiano nella questione del matrimonio misto (arresto dell’arcivescovo di Colonia), Görres non ha contestato il «diritto maestatico» dello Stato di essere il protettore della Chiesa.
34 Ivi, pp. 76 segg.
35 Cfr. per esempio l’interpretazione di Costantino di J. Martin, Spätantike und Völkerwanderung, München 19902.
36 Cfr. tra gli altri J. Alzog, Handbuch der Universal-Kirchengeschichte, I, Mainz 18729, pp. 257-261.
37 C.J. Hefele, Conciliengeschichte. Nach den Quellen bearbeitet, I, Freiburg im Breisgau 1855, pp. 5 segg., 255 segg. Cfr. sul problema: C. Arnold, “Nur ein Nachschlagebuch”? Zum kirchenhistorischen Profil der “Conciliengeschichte” Hefeles, in Zwischen Wahrheit und Gehorsam. Carl Joseph von Hefele (1809-1893), hrsg. von H. Wolf, Ostfildern 1994, pp. 52-77.
38 C.J. Hefele, Conciliengeschichte, I, cit., p. 463.
39 Su di lui L.K. Walter, Dozenten und Graduierte der Theologischen Fakultät Würzburg 1402-2002, Würzburg 2010, pp. 67 seg.; M. Weitlauff, Joseph Hergenröther (1824-1890), in Katholische Theologen Deutschlands im 19. Jahrhundert, II, hrsg. von H. Fries, G. Schwaiger, München 1975, pp. 471-551.
40 J. Hergenröther, Handbuch der allgemeinen Kirchengeschichte, Erster Band, Freiburg im Breisgau 1876, p. 203 (trad. it. Storia universale della Chiesa, II, Firenze 19054, p. 7).
41 Ivi, p. 204 (trad. it. p. 8).
42 Ivi, pp. 204 seg. (trad. it. p. 9).
43 Su di lui C. Weber, Liberaler Katholizismus. Biographische und kirchenhistorische Essays von Franz Xaver Kraus, Tübingen 1983; C. Arnold, Katholizismus als Kulturmacht. Der Freiburger Theologe Joseph Sauer (1872-1949) und das Erbe des Franz Xaver Kraus, Paderborn 1999.
44 F.X. Kraus, Dante, sein Leben und sein Werk, Berlin 1897.
45 C. Arnold, Religiös versus politisch - Der liberale Katholik Franz Xaver Kraus über die Kardinäle John Henry Newman und Edward Manning, in John Henry Newman. Kirchenlehrer der Moderne, hrsg. von. C. Arnold, B. Trocholepczy, K. Wenzel, Freiburg im Breisgau 2009, pp. 54-72.
46 L’iniziativa venne probabilmente da Hergenröther, per il quale Kraus era troppo vicino al governo: F.X. Kraus, Tagebücher, hrsg. von H. Schiel, Köln 1957, p. 454.
47 Su Burckhardt cfr. H. Leppin, Konstantin der Große und das Christentum bei Jacob Burckhardt, in Konstantin der Große. Das Bild, cit., pp. 263-276.
48 V.A. Holzem, Weltversuchung, cit.
49 F.X. Kraus, Lehrbuch der Kirchengeschichte für Studierende, Trier 18822, pp. 127 seg. (si veda la terza edizione, Trier 1887, pp. 125 seg.)
50 Ibidem.
51 Ivi, p. 132.
52 Si veda il contributo di G. Losito in questa stessa opera.
53 Sul punto H. Wolf, “Ein dogmatisches Kriterium der Kirchengeschichte”? Franz Xaver Funk (1840-1907) und Sebastian Merkle (1862-1945) in den Kontroversen um die Identität des Faches, in “Im Gedächtnis der Kirche neu erwachen”. Studien zur Geschichte des Christentums in Mittel- und Osteuropa. Festgabe für Prof. Dr. Gabriel Adriányi zum 65. Geburtstag, hrsg. von R. Haas, Köln 2000, pp. 713-732.
54 Cfr. il contributo di G. Losito in questa stessa opera. Il contributo di Koch era, originariamente, una relazione pubblica in occasione del giubileo di Costantino nel 1913 che si distanziava criticamente dalle attese di papa Pio X e dei vescovi tedeschi; cfr. H. Schlange-Schöningen, “Der Bösewicht im Räuberstaat”, cit., pp. 211-262, in partic. 243-247.
55 F.X. Funk, Lehrbuch der Kirchengeschichte, Paderborn 19024, pp. 101 segg.
56 Si trattava di una tesi di dottorato in teologia a Würzburg. Flasch è morto giovane da parroco di Eisingen; L.K. Walter, Dozenten und Graduierte, cit., p. 464.
57 F.M. Flasch, Constantin der Große als erster christlicher Kaiser, Würzburg 1891, p. 159.
58 Ibidem.
59 A. Knöpfler, Lehrbuch der Kirchengeschichte. Auf Grund der akademischen Vorlesungen von Dr. Karl Joseph von Hefele, Freiburg 1895, p. 120. Nella quinta edizione (Freiburg im Breisgau 1910, p. 139) è soltanto detto «einseitig» («unilaterale»).
60 Ivi, p. 121.
61 Ivi, p. 122.
62 V.H. Wolf, Prophet, cit.; C. Arnold, Konfessionalismus und katholische kirchenhistorische Forschung in Deutschland (1900-1965), in Religious Studies in the 20th Century. A Survey on Disciplines, Cultures and Questions, Proceedings of the Assisi Conference (Assisi December 11-13 2003), hrsg. von M. Faggioli, A. Melloni, Münster 2006, pp. 251-271.