Costantino nel diritto canonico classico
Elementi costantiniani nella canonistica fra XI e XIV secolo
Con i pontificati di Leone IX e Gregorio VII prende avvio un processo di riforma della Chiesa destinato a creare un nuovo quadro teologico e giuridico nel quale assume una crescente centralità l’autorità dei vescovi di Roma. È questo lo sfondo entro il quale i canonisti, secondo modalità e approcci diversi, iniziano a recuperare e utilizzare una ‘eredità costantiniana’ costituita principalmente dalla cosiddetta donazione di Costantino, con cui l’imperatore avrebbe concesso a papa Silvestro I l’autorità sulla parte occidentale dell’Impero e l’uso delle insegne imperiali1. Accanto alla donazione si colloca una serie di leggi emanate da Costantino, e trasmesse dal Codex Theodosianus e dal Codex Iustinianeus, che viene assorbita in molteplici collectiones di canoni. Più in generale la figura del primo imperatore cristiano diviene un elemento costante nella costruzione dei paradigmi giuridici e delle rappresentazioni ideologiche e politiche che si susseguono in seno alla christianitas latina a partire dall’XI secolo. Il Constitutum Constantini, veicolando l’immagine del pio sovrano che riconosce i diritti della Chiesa e in particolare del successore di Pietro, diviene una componente ricorrente di un quadro ecclesiale e politico fluido e in continuo mutamento nel quale civilisti e canonisti, teologi ed esponenti delle cancellerie imperiali e papali, mettono a punto le loro griglie interpretative attorno a due nodi problematici fra loro connessi: la delicata definizione dei rapporti fra potere secolare e potere temporale da un lato, e la costruzione di un quadro giuridico unitario, quello che si definisce abitualmente come ius commune, dall’altro2.
Nel periodo compreso tra la riforma gregoriana, a metà dell’XI secolo, e il durissimo scontro fra la corte di Francia e Bonifacio VIII, al passaggio fra XIII e XIV secolo, la ricezione della ‘eredità costantiniana’ passa per le raccolte di canoni, come la Panormia di Ivo di Chartres e il Decretum di Graziano, le collezioni di decretali, fra tutte le Extravagantes di Gregorio IX, le Glossae e le Summae di decretasti e decretalisti e i trattati di autori come Giovanni di Parigi, Egidio Romano e Dante Alighieri. All’interno di questo percorso emergono alcune linee dottrinali essenziali, che consentono di mettere in luce gli elementi originari, i caratteri genetici di un processo che appare plurale nelle forme e nei contenuti che assume. In esso, come si cercherà di mostrare, l’eredità giuridica del primo imperatore cristiano si intreccia con la storia di alcuni nodi tematici quali il dualismo gelasiano, la caratterizzazione della figura del pontefice come vicarius Christi e iudex ordinarius omnium dotato di plenitudo potestatis, lo scontro riguardo alle prerogative e ai limiti del potere temporale rispetto a quello secolare.
L’opera dei pontefici riformatori, che a partire dalla metà dell’XI secolo orientano la Chiesa verso un’organizzazione che accresce le prerogative dei pontefici, si sviluppò principalmente come una rivendicazione della libertà della Chiesa rispetto alle pretese del potere imperiale e una definizione progressiva della specifica dignità e autorità che la cattedra petrina aveva sulla christianitas. All’interno di questo contesto le raccolte di canoni realizzate attorno all’VIII-IX secolo, in particolare le Pseudo Isidorine, assumono e accostano due documenti essenziali per i successivi sviluppi sia di ordine teorico-giuridico, sia di carattere politico3. Si tratta del testo della lettera di papa Gelasio I all’imperatore Anastasio (494 d.C.), dove viene formulata la dottrina delle due spade come netta separazione dei due poteri, temporale e spirituale, e del Constitutum Constantini, il presunto atto di donazione del primo imperatore cristiano a favore della sede apostolica la cui esistenza si basava su un racconto entrato negli apocrifi simmachiani (VI secolo) con il titolo di Actus Sancti Silvestri e da lì nel Liber pontificalis e nell’agiografia ufficiale4. Il cuore del testo trasmesso dallo Pseudo Isidoro recita:
Concedimus ipsis sanctis apostolis, dominis meis beatissimis Petro et Paulo, et per eos etiam beato Silvestrio patri nostro summo pontifici et universali urbis Romanae papae et omnibus eius successoribus pontificibus, qui usque in finem mundi in sede beati Petri apostoli erunt sessuri, atque de praesenti contradimus palatium imperii nostri Lateranense, quod omnibus in toto orbe terrarum praefertur atque praecellit palatiis, deinde diadema, videlicet coronam capitis nostri simulque frigium, necnon et superhumeralem, videlicet lorum, qui imperiale circumdare assolet collum, verum etiam et clamidem purpuream atque tunicam coccineam et omnia imperialia indumenta seu et dignitatem imperialium praesidentium equitum conferentes etiam et imperialia sceptra, simulque et conta atque signa banda etiam et diversa ornamenta imperialia et omnem processionem imperialis culminis et gloriam potestatis nostrae5.
Il testo della donazione era stato realizzato verosimilmente nel contesto dell’ascesa dell’Europa carolingia a cui il papato aveva concorso con un ruolo di primo piano concretizzatosi nell’incoronazione imperiale di Carlo Magno il 25 dicembre dell’8006. Recependo i contenuti della leggenda di San Silvestro, la donazione confermava alcuni aspetti della dottrina di papa Gelasio, a cominciare dall’idea che il trasferimento della capitale dell’Impero a Costantinopoli da parte di Costantino fosse stato un atto di riconoscimento del primato spirituale del pontefice, un gesto di deferenza verso la cattedra di Pietro, la cui libertà era garantita dalla concessione del possesso di Roma e di una parte dell’Impero. Più ancora, il Constitutum veicolava l’idea che il primo imperatore cristiano avesse concesso l’uso delle insegne imperiali al papa. Si legge nello Pseudo Isidoro:
Decrevimus itaque et hoc, ut isdem venerabilis pater noster Silvestr, summus pontifex vel omnes eius successores pontifices diadema, videlicet corona, quam ex capite nostro illi concessimus, ex auro purissimo et gemmis pretiosis uti debeant et eorum capite ad laudem dei pro honore beati Petri gestare7.
Su questi due elementi il papato aveva giustificato, di fronte alle rimostranze della corte di Costantinopoli che si riteneva come l’unica legittima erede dei Cesari, la legittimità dell’incoronazione di Carlo Magno da parte di Leone III e la conseguente creazione di un nuovo Impero romano in Occidente. Ancor più emblematico, rispetto all’incoronazione di Carlo Magno, è il caso dell’incoronazione di Luigi I, avvenuta a Reims nell’ottobre 816 a opera di papa Stefano IV. In quella occasione il pontefice portò da Roma la corona di Costantino I per incoronare il nuovo imperatore, quale prova della veridicità del contenuto della donazione e della legittimità del ruolo della sede apostolica quale depositaria delle insegne imperiali8. Successivamente alla composizione delle Pseudo Isidorine, il Constitutum Constantini iniziò a essere incluso in alcune collezioni canoniche del periodo carolingio e del X secolo. Tali raccolte, recependo il testo della donazione, contribuirono alla sua trasmissione fino all’XI secolo9. La donazione è il principale argumentum su cui poggia la presa di posizione di Leone IX nella lettera al patriarca Michele Cerulario del 1054. Il presunto gesto di Costantino di donare una parte dell’Impero e concedere l’uso delle insegne imperiali ai vescovi di Roma viene interpretato dal pontefice lorenese come espressione della volontà dell’imperatore di dare legittimità al proprio potere. Riconoscendo la natura del primato conferito da Cristo a Pietro e della connessa potestas ligandi et solvendi, Costantino non si limitò a concedere al papa e ai suoi successori beni e privilegi, ma piuttosto restituì le insegne imperiali al loro legittimo titolare, per poi riceverle di nuovo fondando in tal modo l’Impero cristiano10. Il testo della donazione offre così una conferma del primato petrino sancito dal passo evangelico di Matteo 16, 18-19 e, nella prospettiva assunta da Leone IX, rappresenta una base su cui edificare sia la netta distinzione fra potere imperiale e potere pontificio, sia la chiara sottomissione del primo al secondo.
Il dualismo dei poteri e la maggior dignità del potere spirituale rispetto a quello temporale sono elementi che, agganciati alla figura di Costantino, entrano a far parte della discussione sulla natura del potere papale e sul suo rapporto con il potere temporale. Tale dibattito inizia a prendere forma a metà dell’XI secolo e trova un ulteriore significativo sviluppo nelle prese di posizioni di Gregorio VII11. Sebbene nell’atto più significativo del pontificato, il Dictatus papae (1075), non si menzioni espressamente Costantino e la donazione, il canone 8, che sancisce il diritto esclusivo del papa di usare le insegne imperiali, così come, il canone 9, che impone l’obbedienza dei sovrani secolari nei confronti del successore di Pietro, e il canone 12, che afferma il potere papale di deporre l’imperatore, riecheggiano i punti su cui si era concentrata la lettura leonina del Constitutum Constantini12.
Ildebrando di Soana richiama esplicitamente la figura di Costantino in un altro documento di grandissima importanza per il suo pontificato, la cosiddetta ‘seconda lettera’ inviata al vescovo Ermanno di Metz il 15 marzo 1081. Nei mesi più duri dello scontro con Enrico IV, Gregorio definisce la potestà universale di Pietro e dei suoi successori muovendo da un’interpretazione del passo evangelico di Matteo sul potere di legare e sciogliere che si colloca in un solco ben preciso che prende le mosse dalla lettera di Gelasio I ad Atanasio13. La tradizione, osserva il pontefice, sancisce in modo univoco il primato della potestas pontificia e i limiti del potere secolare, che non ha alcuna autorità né competenza rispetto alla sfera spirituale. È a questo proposito che Gregorio VII introduce la figura di Costantino, riprendendo un topos già presente nella lettera di Leone IX a Michele Cerulario. Egli osserva che l’imperatore, di fronte al sinodo niceno che raccoglieva tutti i vescovi, si considerò come ultimo e si astenne dall’influenzare in qualsiasi modo le decisioni dell’assemblea, limitandosi a prenderne atto e rispettarle14. Costantino è quindi presentato quale esempio del pio imperatore, che riconosce i limiti della propria potestas di fronte al primato della funzione sacerdotale e alle sue prerogative. Anche in Gregorio VII dunque, il riferimento al primo imperatore cristiano viene utilizzato quale immagine del corretto rapporto fra i due poteri e come modello esemplificativo di una subordinazione del temporale allo spirituale, giustificata principalmente dalla diversa origine delle due potestates. Gregorio spiega, infatti, che mentre il potere papale viene da Dio, dall’autorità che Cristo concesse a Pietro e ai suoi successori, il potere temporale è frutto della malvagità umana, se non addirittura del diavolo che spinge i principi e i sovrani a compiere soprusi e violenze15.
Gli elementi ‘costantiniani’ introdotti dai pontefici riformatori investono principalmente il dualismo dei poteri, i rapporti di subordinazione del temporale allo spirituale e l’unità della cristianità sotto l’autorità del pontefice. La figura di Costantino veicola così, come precedente storico autorevole, la legittimità di una lettura del primato petrino che è condizionata dalla ricezione della dottrina dualista gelasiana. La donazione entra a far parte delle grandi collezioni canoniche composte tra la fine dell’XI secolo e gli inizi del XII. In particolare, alcune collezioni legate all’ambito della riforma gregoriana recepiscono il testo del Constitutum principalmente attraverso la lettera di Leone IX a Michele Cerulario e la seconda lettera di Gregorio VII a Ermanno di Metz16. La mediazione di queste due fonti è all’origine dell’inclusione del testo nella Collectio tripartita, nel Decretum e nella Panormia di Ivo di Chartres, nei quali si ritrova anche il decreto di Gelasio17.
Se la figura di Costantino diviene un topos della letteratura canonistica già a partire dalla seconda metà dell’XI secolo, la sua funzione di snodo dei rapporti fra potere secolare e spirituale diviene cruciale anche per la letteratura civilistica. Il grande imperatore è, infatti, largamente presente in quel Codex di Giustiniano che, a cominciare da Irnerio, diviene il veicolo di una riscoperta e attualizzazione dell’intero complesso legislativo romano18. I civilisti assumono in modo paradigmatico la figura di Costantino, nella quale vedono esemplificato il principio della netta separazione fra la sfera giuridica dello ius civile e quella dello ius divinum. Il Liber divinarum sententiarum, recentemente attribuito a Irnerio, presenta in modo chiaro questa linea interpretativa del dualismo dei poteri che, sulla scorta di un passo del De civitate Dei agostiniano, vede l’origine e il fondamento del potere imperiale nel disegno provvidenziale di Dio19. Stando a questa prospettiva, Costantino viene presentato come il principe che stabilisce una netta distinzione fra le prerogative del proprio potere e quelle dell’autorità ecclesiastica. L’accostamento fra il dualismo dei poteri e Costantino è rafforzato dal richiamo a un passo di Gregorio Magno, secondo cui l’imperatore, riconosciuta l’origine divina del potere dei vescovi, si astenne da intervenire nel governo della Chiesa20. Questa versione del dualismo dei poteri teneva conto delle caratteristiche del potere imperiale che le raccolte giustinianee tracciavano, soprattutto a partire dalla lex regia21. Stando alla formulazione ulpianea, infatti, l’Impero si fonda su una scelta del popolo, che delega al sovrano il potere temporale. Una delega non revocabile, secondo un passo di Giovanni Crisostomo che Irnerio utilizza nel Liber divinarum sententiarum22. Inoltre, stando alla Lettera ai Romani di Paolo, i principati terreni sussistono per volontà divina, così che accanto alla voluntas del popolo la loro legittimità è sancita anche dalla grazia divina23.
La reazione dei canonisti a questo orientamento della scuola irneriana è quella di operare nel solco della ricezione del dualismo dei poteri gelasiano, avvenuta attraverso il filtro delle grandi collezioni canoniche dell’XI secolo e dei primi decenni del XII, così fortemente condizionate dalla prospettiva dei pontificati riformatori. Gli elementi costantiniani già richiamati entrano così nel processo di costruzione del sistema del diritto canonico che ha il suo snodo principale nella compilazione della Concordantia discordantium canonum di Graziano e nell’intensa tradizione di studio e commento che l’opera conosce fin dalla sua diffusione attorno al 114024. Graziano introduce i punti essenziali della dottrina gelasiana nella propria raccolta attraverso quattro testi principali e ad alcuni di essi è agganciata la figura del primo imperatore cristiano. John Watt ha individuato i quattro passi ‘gelasiani’ del Decretum, mettendo in evidenza come essi costituiscano la base per la costruzione di una dottrina canonistica dell’ordo giuridico25. Nello specifico si tratta di Decretum D.10 c. 8; D. 96 c. 6; c.10 e C.15 q.6 c.3.
Nel primo di questi passi Graziano fa proprio il dualismo fra potere spirituale e potere temporale26. Sotto il nome di Cipriano, viene citato un passo della lettera di papa Niccolò I all’imperatore Michele III che veicola un intero paragrafo del De anathematis vinculo di Gelasio mediante il quale viene sancita l’origine divina della distinzione fra i due poteri. È Cristo stesso che ha inteso far sì che gli imperatori cristiani, per la loro salvezza, necessitassero dei pontefici e viceversa che i pontefici si servissero delle leggi imperiali per districarsi fra le questioni temporali.
Più complesso il quadro dei due rinvii successivi, quelli alla Distinctio 96, che si trovano all’interno di una sezione del Decretum dedicata alla natura delle questioni ecclesiali e al loro rapporto con il potere secolare. Un passo della lettera di papa Niccolò I all’imperatore Michele III ripete, nella sostanza il contenuto dottrinale del passo precedente: la distinzione fra i due poteri stabilita da Cristo stesso. Si aggiunge però che il dualismo che così viene stabilito fissa un limite alla possibilità del papato e dell’Impero di entrare nel merito dell’esercizio dei rispettivi poteri: come l’imperatore non può arrogarsi gli iura del papato, così quest’ultimo non può usurpare il nomen, il titolo imperiale27. Graziano aggiunge a questa definizione dei due poteri la formulazione gelasiana tratta dalla lettera all’imperatore Anastasio, fusa assieme ad alcuni elementi che vengono dalla seconda lettera di Gregorio VII a Ermanno di Metz. In tal modo egli chiarisce come fra i due poteri sia da accordare una preminenza a quello sacerdotale, nella misura in cui è ordinato al conseguimento di un bene superiore quale la salvezza eterna28. Tale preminenza fa sì che il pontefice non possa essere sottoposto a giudizio da parte dell’imperatore e che al contrario egli abbia l’autorità di scomunicare il principe, come attestano gli esempi di papa Innocenzo con l’imperatore Arcadio e di Ambrogio con l’imperatore Teodosio29. Il quadro dei rapporti fra papato e Impero che emerge dal mélanges di testi costruito da Graziano si riassume nell’immagine del rapporto fra padre e figlio che viene desunta da una lettera di papa Giovanni VIII, secondo cui: «si imperator catholicus est (quod salva pace ipsius dixerimus) filius est, non presul ecclesie»30. Il compito dell’imperatore è quello di amministrare l’Impero mediante le leggi: questa è la prerogativa che è accordata alla sua autorità. Diversa è invece la prerogativa del potere che Dio accorda alla Chiesa e che è esercitato da chi detiene il ministero sacerdotale. Si tratta in questo caso del potere di insegnare, rispetto al quale l’imperatore, come tutti i fedeli, è chiamato ad apprendere. Per questo motivo non è compito delle leggi umane pronunciarsi in merito alle questioni che riguardano la Chiesa.
Alla metà del XII secolo risale la palea contenente il Constitutum Constantini che entra a far parte della raccolta grazianea completando il dossier di testi della Distinctio 9631. Quest’ultima offre quindi ai lettori medievali un insieme di canoni che definisce in chiave dualista i rapporti fra le due potestates papale e imperiale. La visione presentata nel Decretum è perciò quella di un equilibrio ‘costituzionale’ fra i due poteri, sancito dal riconoscimento delle rispettive specificità, dalla salvaguardia da reciproche ingerenze, dall’affermazione della maggiore dignità del potere spirituale rispetto a quello temporale e dall’incompetenza di quest’ultimo e delle leggi da esso prodotte riguardo alle questioni ecclesiastiche32.
Costantino viene inoltre utilizzato nelle stesse pagine quale immagine del pio imperatore che si astiene dall’esercitare la potestas ligandi ac solvendi nei confronti del pontefice e della Chiesa, in ragione della diversa natura dell’ambito in cui egli esercitava la propria potestas:
Satis evidenter ostenditur, a seculari potestate nec solui prorsus, nec ligari Pontificem, quem constat a pio principe Constantino (quem longe superius memoravimus) Deum appellatum, cum nec posse Deum ab hominibus iudicari manifestum sit33.
I limiti del potere imperiale che vengono così associati alla figura di Costantino, in virtù della restituzione delle insegne imperiali al pontefice, sono la base su cui il testo del Decretum ripropone la dottrina di Gregorio VII relativa al potere di deporre gli imperatori che appartiene al pontefice. Citando la lettera a Ermanno di Metz, Graziano sancisce infatti che in virtù della auctoritas pontificia il papa può deporre un sovrano, sciogliendo i sudditi dai vincoli di fedeltà che ad esso lo legano34. Oltre alla donazione altre tracce di Costantino sono presenti nel Decretum, in una serie di leggi risalenti all’imperatore che Graziano e gli autori di raccolte canoniche suoi predecessori avevano tratto principalmente dal Codex di Teodosio e poi da quello giustinianeo. La Concordantia discordantium canonum ricorre, ad esempio, a un testo costantiniano per sostenere che per la condanna di un uomo occorre la sentenza di un giudice35. Allo stesso modo la legislazione costantiniana viene integrata nelle discussioni sull’affrancamento dei servi della Chiesa, sull’immunità dei chierici e sul fondamento della validità di rescritti36. Nel testo grazianeo viene inoltre recepito un principio, sancito da un rescritto di Costantino, che subordina la consuetudo alla legge scritta. Secondo questo testo: «Consuetudinis ususque longevi non vilis auctoritas est: verum non usque adeo sui valitura momento, ut aut rationem vincat, aut legem scriptam»37. Queste linee saranno oggetto di un’approfondita opera di esegesi da parte dei decretisti nella seconda metà del XII secolo.
Il paradigma costantiniano, attraverso il Decretum di Graziano, veicola una serie di caratteristiche relative al rapporto fra papato e Impero e all’ordine giuridico medievale che alimentano l’elaborazione giuridica nell’età della decretistica. Dalla metà del XII secolo i canonisti affinano concetti e idee in un processo culturale e dottrinale che è parallelo allo sviluppo del papato in senso monarchico che negli stessi decenni si esprime sia nell’aumento della produzione di decretali sia nella dialettica politica assai aspra con Federico I e la curia imperiale38. È con lui che l’Impero rivendica una lettura del dualismo papato/Impero che faccia salve la necessitas e la potestas che il corpus giustinianeo associava all’istituto imperiale. Gli elementi ‘costantiniani’ che Graziano assorbe nel sistema giuridico del diritto canonico diventano in tal modo ben più che riferimenti ideologici o modelli politici. Attraverso di essi vengono assunti una serie di concetti che formano un perimetro preciso entro cui definire i rapporti fra papato e Impero e divengono gli strumenti per la costruzione di un sistema giuridico che tende a una rappresentazione unitaria della christianitas al di sotto della suprema autorità del pontefice.
I commentatori di Graziano seguono, con accenti diversi e sfumature molteplici, queste direttrici di ricerca e di elaborazione dottrinale, nel quadro delle quali il Constitutum Constantini entra a far parte dell’apparato esegetico del Decretum e più in generale della riflessione dei decretisti. La palea che contiene il testo della donazione di Costantino e che è parte integrante della raccolta grazianea è oggetto dell’attenzione dei maggiori decretisti che considerano la figura del primo imperatore cristiano nel momento in cui affrontano la questione dei rapporti fra le due potestates, quella imperiale e quella pontificia, tema di primo piano nei decenni dello scontro fra Federico I Hohenstaufen e la curia pontificia. In questo contesto la lettura che viene data dell’episodio della donazione non è univoca: accanto a tratti comuni si manifesta un pluralismo di visioni e approcci che progressivamente costituisce un deposito di strumenti concettuali e schemi entro i quali ricondurre casi e circostanze molteplici. Il principio gelasiano del dualismo dei poteri è uno, se non il principale, elemento comune alla riflessione dei canonisti che vedono il trasferimento della sede imperiale da Roma a Costantinopoli come un gesto di riconoscenza della dignità e dell’autorità della Chiesa e in particolare della sede apostolica da parte del potere imperiale39. La consapevolezza della diversità delle due potestates avrebbe spinto Costantino a mantenere fra loro una separazione fisica in modo da evitare che il potere secolare esercitasse la propria potestas nello stesso luogo in cui la esercitava il potere spirituale istituito da Dio. Secondo Paucapela e Rufino, questo stato di cose rappresenta la ricezione del principio secondo cui i due poteri devono astenersi da reciproche ingerenze. Costantino avrebbe voluto sancire la piena libertà della sede apostolica nel governo della Chiesa. Paucapela sottolinea con forza che colui che detiene la potestas imperiale, in quanto ‘laico’, non ha mai la facoltà di disporre e ordinare le questioni ecclesiastiche e ogni deliberazione secolare in questo ambito risulta priva di qualsiasi autorità40. Rufino sviluppa l’esame del rapporto fra i due poteri iniziando a distinguere gli ambiti di competenza dei due poteri sulla base della constatazione dell’esistenza di una sorta di zona di intersezione ampia fra le due sfere rappresentata prevalentemente dai beni ecclesiastici41. Egli osserva che, se l’imperatore non ha titolo per giudicare o disporre delle questioni religiose, tuttavia egli ha autorità per quel che riguarda l’acquisizione di beni da parte della Chiesa.
Entrambi gli autori presentano la figura di Costantino e i gesti che gli sono attribuiti come un modello e una fonte dell’ordo giuridico che regola i rapporti fra i due poteri. La concessione al papa dell’autorità sull’Impero, a giudizio di Paucapela, esemplifica il fatto che il sovrano temporale deriva tutta la propria potestas dal pontefice. Come spiega il canonista:
Nec imperator iura pontificis, nec pontifex iura regalia usurpare debet. Verumtamen ubi imperator omnem suam potestatem summo pontifici contulit, iuri ac dignitati suae renuntiasse videtur. Constantinus enim imperator quarto die sui baptismatis coronam et omnem regiam dignitatem in partibus occidentalibus apostolico eiusque successoribus contulit42.
Su queste basi si determina una subordinazione del potere temporale a quello spirituale, nella misura in cui il primo è deputato a operare in difesa del secondo e delle sue prerogative. La presa di posizione di Costantino in favore e in difesa dei cristiani e della Chiesa di fronte alle persecuzioni di Licinio diventa non solo un esempio da richiamare. Essa è l’immagine chiara di quelli che sono i compiti ‘costitutivi’ del potere secolare, le ragioni che stanno alla base della sua legittimità. Rispetto alle posizioni di Paucapela e Rufino i principali canonisti successivi, nelle loro glosse al Decretum, approfondiscono la discussione e attorno al 1180 Stefano di Tournai osserva che il contenuto della donazione ha un’ulteriore implicazione. Poiché il trasferimento della capitale era avvenuto in concomitanza con la donazione, cioè con il conferimento al papa dell’uso delle insegne imperiali, questo avrebbe sancito il diritto esclusivo dei pontefici, rispetto alle altre sedi patriarcali, non solo di ordinare i sacerdoti ma di incoronare gli imperatori43. Il gesto di Costantino assumerebbe quindi i tratti di un atto di deferenza nei confronti di un potere che è ritenuto qualitativamente superiore. L’uso legittimo delle insegne imperiali da parte del pontefice, secondo Stefano, viene confermato dall’osservazione che Costantino concesse ai cardinali di fregiarsi del ‘manipolo’, una stola che era indossata dai senatori alla presenza dell’imperatore e che i cardinali indossavano quando accompagnavano il papa nelle celebrazioni liturgiche44. In tal modo la legittimità all’uso dei segni del potere della Roma antica si estende all’intero complesso della curia romana, che a metà del XII secolo conosce l’affermarsi pieno dell’istituto del cardinalato45. Come il pontefice è il legittimo detentore delle insegne imperiali che furono dei Cesari, così il collegio dei cardinali lo è delle insegne che furono del Senato imperiale. Stefano introduce così l’idea che con Costantino sia stata sancita una piena potestas del pontefice e della curia, che divengono i custodi e titolari legittimi delle insegne imperiali.
Simone di Bisignano, all’incirca negli stessi anni, muove in una diversa direzione, chiarendo in primo luogo come la distinzione della sede petrina dalla sede imperiale, alla luce del decreto di papa Gelasio, dimostri che la potestas ligandi et solvendi sia stata attribuita sia ai laici sia ai chierici, così che entrambi i poteri hanno origine divina. Secondo Simone, la potestas gladii dell’imperatore deriva da Dio tanto quanto quella pontificia46. Questa impostazione ridisegna i rapporti fra i due poteri in modo più equilibrato. Simone ritiene che l’imperatore non abbia la facoltà di deliberare in materia ecclesiastica, ma abbia titolo a farlo solo per le questioni che il canonista chiama ‘miste’. Ciò non significa che l’imperatore non possa fissare delle norme che riguardano la Chiesa. A giudizio di Simone, infatti, l’imperatore può stabilire delle leggi che riguardano gli iura ecclesiae, ma è privo della potestà di dar corso all’applicazione di tali norme. Osserva Simone: «Denique usque per quos divina ministrantur iudicare presumant. Quid est quod hic dicitur cum legibus imperialibus clerici iudicentur? Solutio: imperatores potestatem condendi leges habuerunt in clericos, sed non exercitium vel executionem»47.
Quello posto al potere imperiale è quindi un limite nei fatti più che nei principi. Questo perché Cristo stesso, dopo una fase di confusione e commistione del potere secolare e spirituale, ha inteso distinguerli con chiarezza per preservare entrambi da illegittime ingerenze. Egli, in virtù della propria condizione di unico e vero mediatore fra Dio e gli uomini e quindi anche tra sfera spirituale e sfera temporale, distingue nettamente le due potestates che sono chiamate a reggere e governare il mondo in ragione di due iura diversi fra loro e non concorrenti. In questo quadro di rapporti, il limite posto al potere imperiale in materia ecclesiastica viene compensato dal limite imposto alla potestas pontificia nell’operare la deposizione del sovrano, che è ammessa solo nel caso di illegittima usurpazione di una potestas da parte dell’imperatore e può avvenire solo su ordine di un concilio48.
Gli elementi costantiniani veicolati dal Graziano e da testi come la donazione emergono come i nodi attorno a cui si dipana una discussione e un confronto fra posizioni diverse, tutte però ricondotte nel quadro di una visione unitaria del sistema di norme che regola la vita della christianitas. Il pluralismo di posizioni che i decretisti elaborano, anche grazie alla figura e all’opera di Costantino, emerge nella ricezione del già citato principio che sancisce la superiorità della legge scritta rispetto alla consuetudo contenuta in un testo normativo dell’imperatore, un rescritto indirizzato al prefetto Proclo, trasmesso dal Codex giustinianeo e incluso nel Decretum da Graziano. Il passo costantiniano, al centro del dibattito dei civilisti impegnati nella definizione della natura della consuetudo, è oggetto dell’interesse dei canonisti che lo assumono nel quadro più generale della dottrina delle due potestates e dei loro reciproci rapporti, marcando la distanza fra il loro punto di vista e quello dei civilisti. Per questi ultimi, infatti, la consuetudo manteneva un ruolo e un’autorevolezza tali che in alcuni casi, come precisato già da Irnerio, essa poteva emendare una legge49. Diversamente i lettori e commentatori del Decretum sviluppano la loro riflessione avendo alle spalle la piena ricezione del principio gregoriano per cui la consuetudine è del tutto subordinata alla norma scritta. Un principio sancito dall’uso dell’adagio agostiniano: «non dixit Ego sum consuetudo, sed Ego sum veritas»50 e che si ritrova nel testo grazianeo dove si legge:
Si consuetudinem fortassis opponas, advertendum est, quod Dominus dicit: «Ego sum veritas». Non dixit: «ego sum consuetudo, sed veritas». Et certe (ut beati Cypriani utamur sententia) quelibet consuetudo, quantumvis vetusta, quantumvis vulgata, veritati est omnino postponenda, et usus, qui veritati est contrarius, abolendus est51.
Questo orizzonte di principi traccia il perimetro della ricezione della norma di Costantino da parte dei canonisti, per i quali la consuetudo deve essere ricondotta entro un ordine che, già con Graziano, si divide tra la sfera del diritto di natura, in cui si determina l’ordine del corpo sociale, e quella della consuetudine che invece riguarda le questioni di proprietà privata52. Così Paucapela, riprendendo un’osservazione dello stesso Graziano, precisa che il valore della consuetudine della prassi antica è determinato dal suo essere in accordo con le norme ecclesiastiche e le leggi imperiali vigenti. Scrive il canonista:
Sciendum, quod auctoritas consuetudinis ac longaevi usus non vilis est, sed non usque adeo illa auctoritas est. val mom., i. e. possibilitate sui, ut a. r., i. e. ius naturale vincat aut leg., i. e. ius civile [c. 4]. Vel: aut rat., i. e. aequitatem, vincat a. legem scriptam. Cum ergo nec ecclesiasticis regulis nec imperatorum legibus consuetudo contrarie ostenditur, inviolabiliter servanda est53.
Stefano di Tournai, alla luce del primato che egli assegna al potere spirituale su quello temporale, muove dal rescritto costantiniano per tracciare una vera e propria gerarchia delle fonti, che ha al suo vertice i canoni della Chiesa, seguiti, in ordine di importanza, dalle leggi imperiali e, solo in ultima istanza, dalla consuetudo.
Quod vero leg. Dictum est, leges principum scripturis ecclesiasticis postponendas. Nunc easdem principum leges consuetudini praeponendas esse dicit, ubi recollige illam distinctionem, quam supra posuimus dist. I. cap. Consuetudo54.
Stefano legge la norma costantiniana alla luce del contenuto della prima distinctio del Decretum grazianeo, in cui l’ordine delle norme si apre con la trattazione relativa alla legge di natura. È all’interno di questa ‘gerarchia’ normativa che va ricondotta la consuetudine, come spiega il giurista: c. 5. Consuetudo, i.e. ius consuetudinarium. Nec differt, i.e. non interest, an scripta sit consuetudo, cum tamen ratione nitatur, an non, si tamen non sit iuri scripto contraria. Sed et si iuri scripto contraria sit, et populus, qui habeat potestatem condendi leges, sciens legem contrariam esse, contra eam consuetudine utatur, consuetudo etiam praeponitur legi scriptae. Nihil enim interest, an suffragio populus voluntatem suam declaret, an rebus ipsis. Tanto enim consensu omnium per desuetudinem leges abrogantur. Secus est, si nescierim, legem in contrarium dictare55.
Diversa appare invece la presa di posizione di Simone di Bisignano, per il quale la recta consuetudo è qualcosa da preservare e osservare, anche di fronte alle leggi: «In hiis rebus etc. usque ita contemptores consuetudinem coercendi sunt. Hinc collige non licere alicui contra bonam consuetudinem venire, ut supra d. ea. Ecclesiarum, infra C.i. q.vii. c.ii»56.
La consuetudo ha dunque un valore limitato da una gerarchia di fonti normative che tende a essere assai rigida. In tal modo i canonisti superano quello che poteva tradursi in un conflitto fra lex naturae e consuetudine57. Questo fa sì che il concetto, inteso nei termini della norma di Costantino trasmessa dal Corpus Iuris Civilis, venga inserito come livello più basso di un ordine in cui risulta subordinato sia alla lex divina che alla lex humana.
Le diverse posizioni che emergono dal dibattito che impegna i canonisti attorno al Decretum trovano un tentativo di sintesi nella Summa Decretorum di Uguccio da Pisa, che sul finire del XII secolo tenta di assorbire, in un quadro giuridico unico, le diverse prospettive possibili. Uguccio si colloca nel solco di quell’orientamento giuridico che assume il dualismo gelasiano come orizzonte dottrinale di riferimento, fino al punto di precisare come la reciproca indipendenza del potere papale e di quello imperiale faccia sì che come il primo è superiore nelle questioni spirituali, il secondo lo è in quelle temporali58. Il canonista si interroga sulla superiorità di un potere sull’altro:
Set queret aliquis uter utro sit maior? Et quidem in spiritualibus papa maior est imperatore; imperator maior papa in temporalibus, sicut aperte colligitur ex eo quod sequitur et infra eo. Duo et xi.q.i. Magnum, Sacerdotibus et di.xxii.c.i. Set aliter et aliter: papa sic est maior in spiritualibus quod habet iurisdictionem in spiritualibus super imperatorem, ut in eis possit eum ligare et condemnare, ar. di. lxiii, Valentinianus et infra c. Duo; set imperator non sic est maior papa in temporalibus ut e. Duo; nullam enim iurisdictionem vel prelationem habet imperator super papam; set dicitur esse maior in temporalibus quam ille quia maiorem potestatem et iurisdictionem habet in eis quam ille, non tamen super eum, sicut episcopus alterius loci maior est quam iste privatus, qui tamen non subest ei59.
Seguendo un approccio che richiama quello di Simone di Bisignano, Uguccio stabilisce l’esistenza di due diverse potestates incaricate di reggere il mondo e la cui istituzione è da ricondurre a Cristo stesso che ne definì i rispettivi iura. Tuttavia la distinzione fra le due non può essere intesa come un’equiparazione: il potere spirituale mantiene una posizione di preminenza rispetto a quello temporale, come dimostra il fatto che mentre l’imperatore può essere sottoposto al giudizio dell’autorità ecclesiastica qualora abusi del proprio potere, l’inverso non può accadere dal momento che il pontefice non è giudicabile dall’imperatore. Il sovrano secolare risulta perciò, quodam modo (in un certo senso), sottomesso al sovrano spirituale anche nelle questioni temporali. In virtù di questa prerogativa, Uguccio definisce lo status del papa quale iudex superior che ha la facoltà, con l’assenso dei principi e dei vescovi, di deporre l’imperatore60. Il diverso grado a cui attengono il potere imperiale e quello papale deriva anche dalla diversa origine che i due poteri hanno secondo il decretista. Mentre infatti il potere papale deriva da Dio e da Lui è istituito, quello imperiale deriva dal popolo e dai nobili, che lo hanno istituito associandosi.
Ego autem credo quod imperator potestatem gladii et dignitatem imperialem habet non ab apostolico, set a principibus et populo per eleccionem […] ante (scil. unctionem et confirmationem) quidem imperator est quoad dignitatem set non quoad unctionem, licet ante non dicatur imperator et ante habet potestatem gladii et eam exercet61.
Uguccio assume qui, in ambito canonistico, i contenuti della lex regia che nel Corpus giustinianeo definiva l’origine del potere imperiale come una volontaria e irrevocabile cessione della potestas da parte del popolo al sovrano.
L’assunzione del contenuto della lex regia nel quadro della canonistica, così come la ridefinizione che Uguccio opera dei nodi relativi alla dottrina della duplice potestas, modificano il quadro del dibattito nel quale si recepiscono la figura di Costantino e la donazione. Rispetto ad alcuni decretisti precedenti, Uguccio non fa della donazione uno dei fondamenti del primato papale sull’imperatore62. Egli sposa una prospettiva dualista, fondata su una chiara distinzione dei due poteri che sancisce esplicitamente la superiorità del potere spirituale in ragione della sua origine divina. Coerentemente con tali orientamenti, Uguccio rilegge anche la questione dell’ordine delle fonti e precisa che la legge temporale non può contrastare con quella ecclesiastica e la consuetudo non può contraddire le leggi, sia temporali sia spirituali.
Quod vero: Hic intitulatur xi. distinctio. Sicut in praecedenti distinctione ostendit quod lex saecularis cedit legi ecclesiasticae si ei contradicit, si vero consonat ei honoratur et recipitur, sic in hac distinctione ostendit quod consuetudo cedit legi tam saeculari quam ecclesiasticae si ei contradicit, si vero ei consonat honoranda est et servanda. Set nota quod consuetudo duplex est. Quaedam enim est universalis sive generalis, quaedam specialis sive particularis, ut infra e. Catholica et xii. di. Illa. Generalis sive universalis est illa quae generali consensu omnium est approbata et omnes universaliter astringit. Hec tamquam canon sive lex observanda est, ut infra e. Ecclesiasticarum, Catholica, Quis nesciat et di. xii. Illa et in extra. Pervenit ad nos quod cum, Quidam. Specialis sive particularis est illa quae non generaliter omnes astringit set homines alicuius loci vel ecclesie. Et hec similiter observanda est et legis habet vigorem. Set tantum in eo loco in quo habet vigorem63.
In tal modo il dualismo gelasiano viene a essere assorbito in un quadro giuridico unitario, in cui il livello normativo più elevato, quello della legge ecclesiastica generale, fa da vero elemento unificante della christianitas. Esso assume la funzione di limite ‘costituzionale’ della legge imperiale in un quadro nel quale il ruolo stesso dell’imperatore è quello di essere quasi minister, cioè il brachium seculare il cui primo dovere è la difesa della Chiesa64.
Dall’esame delle glossae e delle summae dei decretisti attivi nella seconda metà del XII secolo emerge, piuttosto che una posizione univoca, un ventaglio di letture possibili del valore e del contenuto del Constitutum Constantini. Accanto a un più marcato dualismo di autori come Simone di Bisignano, si nota una posizione più attenta a definire la superiorità del papato, come è il caso di Stefano di Tournai. Certamente, il dibattito che il testo della donazione alimenta, è essenziale per la formazione di un lessico e di un quadro concettuale destinato a essere utilizzato, nella prima metà del XIII secolo, sia sul terreno accademico della canonistica, sia su quello più politico della legislazione pontificia e degli orientamenti del papato. Del resto, già le prese di posizione dei decretisti del XII secolo non sono svincolate dalle conseguenze prodotte dall’orientamento ideologico che la curia pontificia viene assumendo con i pontificati di Adriano IV e Alessandro III, in particolare durante lo scontro con Federico I65. Già con Adriano IV, infatti, accanto all’introduzione del titolo di vicarius Christi per designare la dignità e la funzione del pontefice, si afferma l’idea che l’imperatore sia equiparabile a un minister, un subordinato, del papa. Costantino e la donazione tornano a essere utilizzati in questo contesto come esempio e modello ideale da parte sia della cancelleria imperiale che di quella pontificia. Nell’ottica del progetto di restaurazione imperiale di Federico I, Costantino e altri grandi imperatori come Giustiniano e Valentiniano III, sono indicati come «praedecessores nostri divini imperatores», in modo da tracciare una continuità nell’esercizio della potestas imperiale che attraversa tutta la storia dell’Impero cristiano e arriva sino all’imperatore svevo66. Negli scritti della cancelleria imperiale le qualità esemplificate da questi grandi imperatori del passato, divengono i tratti con cui si caratterizza l’imperatore come istituzione. Questo mélange di elementi diversi emerge fin dai primi atti del regno di Federico I che, nel 1158, in occasione della sua prima discesa in Italia, utilizza le formulazioni trasmesse da Graziano per definire l’imperatore «minister iustitiae» e fondare il suo potere sulla legittimità della translatio Imperii che i pontefici avevano operato sulla base proprio della donazione di Costantino quando avevano incoronato Carlo Magno. Al tempo stesso il Barbarossa spiega che la natura, le funzioni e l’estensione della potestas imperiale non dipendono dal papato, ma si fondano piuttosto su quegli elementi squisitamente giuridici e dottrinali messi in luce nel Corpus Iuris Civilis67. Per questo motivo, adottando questa volta il lessico giustinianeo, l’imperatore è: «non solum armis ornatus sed legibus armatus»68.
Nel quadro ideologico del Barbarossa, la figura di Costantino è quindi interpretata all’interno di questa ‘teoria’ di grandi imperatori e quasi sempre affiancata a quella di Giustiniano, il legislatore imperiale. Questo fa sì che l’immagine del primo imperatore cristiano divenga parte integrante di quell’ideale di imperatore che è il punto di riferimento costante del progetto di renovatio della dignità imperiale di Federico I.
A questo uso della figura di Costantino, Adriano IV (1154-1159) oppone un programma politico e ideologico che fa del primo imperatore cristiano colui che ha sancito il monarchatus del pontefice sull’intero corpo della cristianità69. La donazione a favore di Silvestro I implicherebbe l’offerta, fatta alla Chiesa dall’imperatore, di difenderla e di assumere il ruolo di strator e adiutor del pontefice70. Questa caratterizzazione del ruolo di Costantino si proietta sul piano più generale dei rapporti fra papato e Impero e dal piano simbolico passa a quello del riconoscimento della dignità imperiale. Il sacro romano imperatore, che si proclama egli stesso erede di Costantino, è chiamato a seguire l’esempio del suo predecessore.
Tale paradigma dei rapporti fra le due potestates, in cui si assommano l’elemento gelasiano delle ‘due spade’ e quello costantiniano del pio sovrano che riconosce i limiti e la subordinazione del proprio potere, assurge a vero e proprio schema ideologico e politico. Uno schema che esce ben presto dai documenti ufficiali e dalle glosse di canonisti e civilisti per venire rielaborato, ad esempio, in opere quali il Policraticus di Giovanni di Salisbury. Stando all’antico membro della curia arcivescovile di Thomas Becket, Costantino è il simbolo del riconoscimento della superiorità del potere spirituale del papa, il solo titolato a conferire in modo legittimo la spada del potere temporale:
Hunc ergo gladium de manu Ecclesiae accipiat princeps, cum ipsa tamen gladium sanguinis omnino non habeat. Habet tamen et istum, sed eo utitur per principis manum, cui cohercendorum corporum contulit potestatem, spiritualium sibi in pontificibus auctoritate servata. Est ergo princeps sacerdotii quidem minister et qui sacrorum officiorum illam partem exercet quae sacerdotii manibus videtur indigna. Sacrarum namque legum omne officium religiosum et pium est, illud tamen inferius, quod in penis criminum exercetur et quandam carnificii repraesentare videtur imaginem. Unde et Constantinus Romanorum fidelissimus imperator, cum sacerdotum concilium Niceam convocasset, nec primum locum tenere ausus est nec se presbiterorum immiscere consessibus, sed sedem novissimam occupavit. Sententias vero, quas ab eis approbatas audivit, ita veneratus est ac si eas de divinae maiestatis sensisset emanasse iudicio71.
Assieme a Teodosio, Giustiniano e Leone, Costantino è l’esempio di imperatore che rispetta i sacri canoni e a essi si sottomette e le sue opere sono di incitamento per tutti i sovrani. Scrive ancora Giovanni:
Et quidem Constantinus Romana ecclesia fundata et dotata, ut cetera eius taceantur egregia, benedictione perpetua insignis est. Iustinianus et Leo qui fuerint ex eo claret, quod totum orbem sacratissimis legibus enucleatis quasi quoddam templum iustitiae sacrare studuerunt. Nam de Theodosio quid dicam, quem isti virtutis habuerunt exemplar, et Ecclesia Deo ob religionis et iustitiae venerabilem notam et sacerdotibus patientissime tamen et humillime indignantem non modo ut imperatorem venerata est sed ut antistitem?72
La donazione, assieme alle leggi emanate da Giustiniano e Leone e ai provvedimenti di Teodosio, diviene l’attestazione di come, sin dalla fondazione dell’Impero cristiano, la funzione dell’imperatore quale minister del pontefice e della Chiesa sia stata riconosciuta quale elemento costitutivo della funzione imperiale. Giovanni di Salisbury inserisce quindi la figura di Costantino nel complesso di una vera e propria teoria dell’equilibrio fra potestas secolare e spirituale. L’immagine del primo imperatore cristiano che egli assume, traendola dagli atti dei pontefici e dalla riflessione dei canonisti della seconda metà del XII secolo, riassume con chiarezza i nodi tematici della discussione sulla dottrina dei due poteri e prepara il terreno allo snodo ulteriore rappresentato dal pontificato di Innocenzo III e dalle posizioni assunte da Innocenzo IV nella prima metà del XIII secolo.
Il pontificato di Innocenzo III segna un momento di ridefinizione completa della questione del dualismo dei poteri e del lessico a essa connesso e fa da premessa agli sviluppi e alla sistematizzazione che opererà poi Innocenzo IV73. Nel far questo Lotario dei conti di Segni si serve del Constitutum Constantini non all’interno della propria produzione giuridica o normativa, quanto piuttosto in un sermone per la festa di San Silvestro. È qui che il pontefice rilegge la vicenda della donazione fatta dall’imperatore a Silvestro I per descrivere il modo in cui egli concepisce il papa e la sua funzione. La figura del pontefice viene definita da Innocenzo mediante il titolo di vicarius Christi, che il pontefice desume da una tradizione precedente, iniziata con Eugenio III e Adriano IV, e che egli assume alla luce della figura biblica di Melchisedec74:
Fuit ergo B. Silvester sacerdos, non solum magnus, sed maximus, pontificali et regali potestate sublimis. Illius quidem vicarius, qui est «Rex regum, et Dominus dominantium (Apoc. xix), Sacerdos in aeternum, secundum ordinem Melchisedech (Psal. cix)», ut spiritualiter possit intelligi dictum ad ipsum et successores illius, quod ait beatus Petrus apostolus, primus et praecipuus praedecessor ipsorum: «Vos estis genus electum, regale sacerdotium (I Petr. ii)»75.
Se nei canonisti del XII secolo si era fatto riferimento a Cristo quale unico mediatore per fondare la separazione fra la potestas saecularis e quella spiritualis, qui l’idea di Cristo come ‘medio’ è associata alla figura di colui che, secondo la Scrittura, riunì sia la funzione e la dignità regale sia quella sacerdotale. Il Rex-Sacerdos Melchisedec, prefigurazione del Cristo, diviene rappresentazione della figura dell’apostolo Pietro e dei suoi successori. La donazione di Costantino in questo contesto muta la sua funzione. Innocenzo sviluppa l’orientamento che era stato proprio del suo antico maestro Uguccio da Pisa per arrivare a presentare il Constitutum non più come la principale base di appoggio per stabilire la natura dei rapporti fra le due potestates, ma piuttosto come un documento che attesta il riconoscimento, da parte dell’imperatore, del Senato e di tutto il popolo romano, della potestà regale e sacerdotale a un tempo del vescovo di Roma, in ossequio alla quale il sovrano avrebbe deciso di cedere al papa la corona imperiale76. In virtù della doppia funzione che riveste, il pontefice esercita quindi la propria autorità sia sul terreno spirituale e sulla Chiesa, sia su quello temporale, così che a lui spetta il diritto di conferire sia i titoli ecclesiastici che quelli secolari77. Pur detenendo le insegne del potere temporale, tuttavia, il papa non lo esercita sempre direttamente, per rispetto alla maggior dignità e ampiezza della potestas pontificia78. Dalla Scrittura Innocenzo ricava le ragioni di questo stato di rapporti fra i due poteri e del fondamento nella volontà divina del primato del potere spirituale79. Un primato che, nel caso di Pietro e dei suoi successori, istituì Cristo stesso allorché chiamò l’Apostolo Cephas, ossia caput, conferendogli la plenitudo potestatis. Precisa Innocenzo:
Ei [scil. Petro] quoque singulariter [Christus] dixit: «Tu vocaberis Cephas» (Ioan. i), quod exponitur caput, in quo sensuum plenitudo potestatis consistit; quia cum caeteri vocati sint in partem sollicitudinis, solus Petrus assumptus est in plenitudinem potestatis80.
I contenuti ideologici e giuridici del sermone di Innocenzo III esemplificano gli assi portanti del progetto giuridico e politico che pervade l’intera opera del papa. Contenuti il cui fondamento è da collocarsi nella lettera delle Scritture, da cui si desume quel ruolo del papa quale vicarius Christi che ha la sua prefigurazione nella figura del rex-sacerdos Melchisedec. L’equilibrio tracciato dal papa ha il suo cardine nell’idea che il successore di Pietro detenga una plenitudo potestatis, in virtù della quale egli è titolare legittimo anche del potere temporale e quindi l’unico deputato a investire di esso un candidato al seggio imperiale. Gli elementi che Innocenzo inserisce nella sua lettura della donazione di Costantino, si ritrovano nei suoi più importanti provvedimenti legislativi, là dove, per prima cosa, egli torna sulla dottrina delle due spade per affermare che il vescovo di Roma è il legittimo detentore di entrambe. Si legge nel testo della decretale Venerabilem:
Et principes recognoscere debent, et utique recognoscunt, sicut iidem in nostra recognovere praesentia, quod ius et auctoritas examinandi personam electam in regem et promovendam ad imperium ad nos spectat, qui eum iniungimus, consecramus et coronamus81.
La plenitudo potestatis papale si traduce dunque nell’esercizio della funzione di giudice e il papa che, quale iudex superior, ha il diritto di vagliare l’idoneità ad assumere la corona imperiale di colui che è stato scelto dai grandi elettori. Come chiarisce un altro testo fondamentale, la decretale Per venerabilem, il pontefice detiene un imperium sacerdotii che lo colloca nella posizione di dare legittimità sia sul piano temporale che su quello spirituale82. Questa funzione di supremo giudice conferisce al papa la facoltà di intervenire nelle questioni temporali, in particolare per dirimere i contrasti fra i sovrani secolari o per supplire all’assenza dell’autorità temporale là dove essa venga meno83. Nello schema tracciato da Innocenzo la funzione dell’imperatore è di natura, per così dire, strumentale: egli è chiamato a obbedire al papa e a svolgere il ruolo di protettore della Chiesa mediante l’uso delle armi, ad esempio nella difesa dall’eresia. Gli elementi introdotti da Innocenzo III mutano il quadro di riferimento nella misura in cui la costruzione giuridica e ideologica, espressa nella sua presentazione del Constitutum Constantini, orienta la riflessione dei canonisti in modo irreversibile84. La dottrina dualista gelasiana viene infatti riletta alla luce della caratterizzazione del Cristo e dei suoi vicari mediante la figura di Melchisedec, il re-sacerdote che assume in sé la titolarità delle due spade, quella temporale e quella spirituale. In tal modo, pur nella distinzione dei due poteri, Innocenzo chiarisce come la plenitudo potestatis del pontefice giustifichi la legittimità del suo intervento nelle questioni secolari85. Tutto questo viene argomentato dal pontefice attraverso un’accurata enumerazione dei casi che attestano l’intervento della sede apostolica nelle questioni secolari, ossia mediante un metodo che verrà poi ripreso e sviluppato nei decenni e secoli successivi. Il risultato è la creazione di esposizioni analitiche e raffinate, relative all’esercizio di una potestas diretta del papa nelle questioni spirituali e di una potestas indiretta nelle questioni secolari.
Le idee di Innocenzo III, come è già stato accennato, trovano una loro sistematizzazione nella costruzione giuridica di Sinibaldo Fieschi e nei suoi atti da pontefice sotto il nome di Innocenzo IV86. Accanto agli apporti giuridici relativi alla potestas pontificia, il Fieschi si ricollega agli aspetti teologici del primato petrino definiti a metà del XII secolo da Bernardo di Clairvaux e Ugo di San Vittore, in modo da creare una vera e propria teoria della subordinazione del potere temporale a quello spirituale e giustificare la pretesa pontificia di deporre il sacro romano imperatore87. Il contesto storico in cui Innocenzo IV torna sulla legislazione di Innocenzo III è infatti quello del momento più acuto dello scontro fra papato e Impero: la deposizione di Federico II al concilio di Lione nel 1245. In quella vicenda il ‘mito’ di Costantino entra ben prima della riunione del concilio, ossia nel momento in cui il predecessore del Fieschi, Gregorio IX, aveva tentato di obbligare Federico all’obbedienza mediante la lettera Si memoriam beneficorum risalente al 123688. Al pontefice, che richiamava la donazione di Costantino quale segno della sottomissione dell’imperatore, del Senato e del popolo romano alla potestà pontificia, la cancelleria imperiale aveva risposto piegando il Constitutum a vantaggio delle rivendicazioni di Federico. Il gesto del primo imperatore cristiano di donare al pontefice l’uso delle insegne imperiali e la parte occidentale dell’Impero doveva implicare la riconoscenza della sede apostolica nei confronti del trono imperiale, piuttosto che essere inteso come la base per rivendicare al papa una superiorità nella sfera temporale89. Per superare le rimostranze imperiali, il Fieschi contesta il contenuto della donazione e l’idea, suggerita da Federico II e dalla sua cancelleria, che essa sancisca una concessione dell’Impero alla Chiesa. Diversamente egli sviluppa tutte le potenzialità dell’approccio già utilizzato da Innocenzo III. Così, se da un lato elabora una precisa dottrina del potere papale di deporre i sovrani, fondandolo sul contenuto della Scrittura, dall’altro presenta un ampio dossier di ‘precedenti’ che attesta l’esistenza di un costante riconoscimento della potestas dei pontefici anche in materia temporale a partire da Ottone I90. Nel commentare il decreto Ad apostolica sedis, Innocenzo IV giustifica la piena legittimità della deposizione di sovrani temporali da parte del papa, ribadendo alcuni punti acquisiti dalla canonistica: il pontefice è il legittimo titolare di entrambe le due spade; il potere di sciogliere e legare, che gli deriva da Cristo in quanto successore di Pietro, fonda il suo imperium sacerdotii; la posizione del papa quale vicarius Christi ha delle profonde implicazioni di carattere politico. Osserva il Fieschi:
Et est hoc iure, nam cum Christus filius Dei, dum fuit in hoc saeculo, et etiam ab aeterno dominus naturalis fuit, et de iure naturali in imperatores et quoscunque alios sententias depositionis ferre potuisset et damnationis, et quascunque alias, utpote in personas, quas creaverat, et donis naturalibus et gratuitis donaverat, et in esse conservaverat, et eadem ratione et vicarius eius potest hoc, nam non videretur discretus dominus fuisse, ut cum reverentia eius loquar, nisi unicum post se talem vicarium reilquisset, qui haec omnia posset, fuit autem iste vicarius eius Petrus, Matth. 16. ultra medium, et idem dicendum est de successoribus Petri, cum eadem absurditas sequeretur, si post mortem Petri humanam naturam a se creatam, sine regimine unius personae reliquisset, et argumentum, ad hoc super qui fil. sint legiti. per venerabilem. ultra me. de hoc nota. super de foro competenti licet91.
Il pontefice, in qualità di vicario di Colui che è signore universale ed eterno, può deporre e condannare i sovrani, ha la facoltà di esercitare la medesima potestas che fu concessa non a Pietro soltanto, ma a tutti i suoi successori a garanzia dell’unità della cristianità. Il pontefice è quindi il vero e unico garante dell’unità della respublica christiana. Il fatto che il titolare del potere di incoronare e deporre sia il successore di Pietro rappresenta il superamento della dottrina dei decretisti, per la quale la deposizione dell’imperatore era possibile solo se, di fronte a gravi accuse, si pronunciava un concilio. Innocenzo invece, forte della qualifica del pontefice quale iudex superior e antonomastice iudex, affida la titolarità di questo potere in via esclusiva al papa. In tal modo, quella che il Fieschi propone è una rappresentazione del pontefice quale garante dell’unità della respublica christiana, funzione questa rafforzata dall’autorità imperiale che gli è propria e in virtù della quale può intervenire nel governo delle questioni secolari. Il potere di deporre i sovrani e l’esercizio della giurisdizione temporale per supplire ai difetti della giustizia secolare erano un’applicazione pratica dei principi definiti dal pontefice canonista.
All’interno di questa sistematizzazione giuridica il Constitutum Constantini acquista un valore diverso rispetto a quanto sostenuto da Gregorio IX un decennio prima. Nella Aeger cui lenia, un testo la cui attribuzione a Innocenzo IV è discussa ma che certamente è da ricondurre al contesto dello scontro fra il pontefice genovese e l’imperatore, si ritorna sull’episodio della donazione precisando che il gesto di Costantino di offrire le insegne imperiali al pontefice rappresenta in realtà la restituzione di uno ius al suo legittimo titolare92. Osserva:
Minus igitur acute perspiciunt nesciens rerum investigare primordia, qui apostolicam sedem autumant a Constantino principe primitus habuisse saecularis imperii principatum, qui prius erat naturaliter et potentialiter apud eum. Dominus enim Iesus Christus, dei filius, sicut verus homo verusque deus sic secundum ordinem Melchisedech verus rex ac verus sacerdos existens, quemadmodum patenter ostendit nunc utendo pre hominibus honorificentia regiae maiestatis nunc exequendo pro illis dignitatem pontificii apud patrem, in apostolica sede non solum pontificalem sed et regalem constituit monarchatum beato Petro eiusque successoribus terreni simul ac coelestis imperii commissis habenis93.
Il testo recupera argomenti già elaborati da Innocenzo III, a partire dal ricorso alla figura di Melchisedec quale esemplificazione dell’unione delle funzioni di rex e sacerdos nel vescovo di Roma. Le implicazioni politiche e giuridiche del titolo di vicarius Christi si spingono qui a una ridefinizione completa del rapporto fra le due potestates e fissano una piena subordinazione dell’istituto monarchico al pontefice, il vero e unico sovrano universale. In quanto legittimo titolare di entrambe le spade il pontefice diventa infatti l’unico garante della legittimità della potestas temporale esercitata direttamente dai sovrani. La figura di Costantino acquista quindi l’ulteriore valore di simbolo della legittimità del potere imperiale cristiano. Prima del battesimo dell’imperatore il potere degli imperatori romani era tirannico, si fondava, infatti, sull’usurpazione di ciò che ‘naturalmente’ era proprio del vicario di Cristo:
Verum idem Constantinus per fidem Christi catholicae incorporatus ecclesiae illam inordinatam tyramniden, qua foris antea illegitime utebatur, humiliter ecclesiae resignavit, in cuius resignationis memoriale signaculum et plenum rationis mystice sacramentum relicta ab eo scematis principalis insigna pro venerabili anteriorum patrum similitudine retinemus, et recepit intus a Christo vicario, successore videlicet Petri, ordinatam divinitus imperii potestatem, qua deinceps ad vindictam malorum, laudem vero bonorum legitime uteretur, ut qui prius abutebatur potestate permissa, deinde fungeretur auctoritate concessa94.
La conversione di Costantino, incorporandolo nella Chiesa, rese legittimo il suo potere, poiché da quel momento egli e i suoi successori esercitarono la potestas imperiale su mandato dei successori di Pietro. In tal modo Innocenzo si serve della figura di Costantino, della sua conversione e della donazione sia per riaffermare la natura della plenitudo potestatis papale che per chiarire come l’istituzione imperiale non sia giustapposta alla Chiesa ma in questa inclusa95. Il Constitutum sancisce l’esistenza di un vincolo che obbliga il sovrano nei confronti del vicarius Christi e che si giustifica sulla base di un ordine dei poteri fondato da Cristo stesso. In questo modo solo la potestas imperiale conferita da Pietro e dai suoi successori, è ordinata, ben inserita all’interno del dispositivo giuridico e ideologico della christianitas, di cui rappresenta il braccio secolare.
All’interno della costruzione giuridica, le cui fondamenta sono poste da Innocenzo III e che viene completata dalla sistematizzazione di Innocenzo IV, viene ridefinito il ruolo del Constitutum. Nella loro produzione legislativa e canonistica i due pontefici introducono, a partire dalla Scrittura, un lessico (vicarius Christi, plenitudo potestatis) che è l’espressione chiara di un disegno ecclesiale e politico e lasciano volutamente la donazione in secondo piano. Rispetto ai decretisti del XII secolo si assiste qui a un mutamento nell’uso degli elementi costantiniani. A partire dalla palea inserita nel Decretum, il Constitutum era diventato uno dei nodi attorno a cui canonisti come Rufino, Paucapela e Uguccio da Pisa avevano speso le loro energie per determinare la natura dei rapporti fra papato e Impero. Con Innocenzo III si avvia una ridefinizione dei concetti fondamentali relativi alla potestas pontificia e ai suoi rapporti con quella secolare e ciò avviene sulla base, del tutto diversa, di una costruzione teologica e giuridica che ruota attorno all’esegesi di alcuni passi e figure della Scrittura, come il personaggio di Melchisedec quale prefigurazione del Cristo e dei suoi vicari.
Il ridimensionamento del ruolo della donazione fra i canonisti avviene soprattutto dopo che, nel conflitto fra la sede apostolica e Federico II, quest’ultimo aveva volto a proprio favore il contenuto del documento. Mentre per i decretisti la donazione è uno dei testi chiave su cui fondare il quadro giuridico in cui si recepisce il dualismo gelasiano, con la prima metà del XIII secolo si afferma un orientamento diverso, in cui il dualismo delle potestates è ricondotto alla plenitudo potestatis pontificia, unica garanzia dell’unità della christianitas.
La costruzione giuridica sistematizzata da Innocenzo IV a metà del XIII secolo fissa un’immagine del papato destinata a dominare i decenni successivi. I successori del Fieschi sul soglio petrino mostrano di aver assunto pienamente la funzione e il ruolo di titolari di una pienezza di poteri che assommava sia la potestas spiritualis che quella saecularis. L’interpretazione della donazione di Costantino che questa concezione del papato induceva è quella di vedere nel documento l’attestazione di una ‘restituzione’, alla luce della qualifica del pontefice quale rex e sacerdos, in un certo senso cristallizzata nella decretale Fundamenta militantis ecclesiae di Niccolò III del 1278, dove il contenuto del Constitutum viene riportato esplicitamente per sottolineare come la potestas imperiale abbia la funzione di offrire un auxilium a quella pontificia:
Non absque miraculo factum esse concipitur, ut occasionaliter Constantini monarchae a Deo provisa, sed curata baptismalibus fomentis infirmitas, quandam quasi adiiceret ipsi ecclesiae firmitatem, qui quarto die sui baptismatis una cum omnibus satrapis et universo senatu, optimatibus etiam et cuncto populo, in persona beati Silvestri, sibi Romanam concedendo urbem relinquens, ab eo et successoribus eius per pragmaticum constitutum disponendam esse, decernens in ipsa Urbe utriusque potestatis monarchiam Romanis Pontificibus, declararet, non iustum arbitrans, ut, ubi sacerdotii principatum et Christianae religionis caput imperator coelestis instituit, illic imperator terrenus habeat potestatem; quin magis ipsa Petri sedes, in Romano iam proprio solio collocata, libertate plena in suis agendis per omnia potiretur, nec ulli subesset homini, quae ore divino cunctis dignoscitur esse praelata96.
Il testo di questa decretale rappresentò il veicolo principale di trasmissione del contenuto della donazione a cui guardarono gli autori successivi.
Il quadro giuridico sancito da Innocenzo IV alimenta però una lettura diversa del Constitutum che ben presto si diffonde fra i canonisti e che è ben rappresentata dalla presa di posizione di Enrico da Susa, il cardinal Ostiense, il maggior decretalista del XIII secolo97. Nella Summa, composta a partire dal 1240, la donazione non figura più come uno dei documenti su cui fondare la potestà pontificia, che invece secondo il giurista deriva dalla posizione di vertice che il papa occupa nell’ordine politico-ecclesiale della christianitas. In quanto caput il vicario di Cristo è signore temporale e spirituale, dominus dominorum, dotato di una pienezza di potere che si estende a tutto il mondo ed è perciò universale98. Il ruolo della donazione entra nel ragionamento dell’Ostiense, nella misura in cui il canonista intende difendere la legittimità della cessione di territori da parte dell’imperatore a favore della sede apostolica. Si legge nella Summa:
De electione significasti, in fine et Petrus utrumque gladium habuit, unde dixit: «ecce duo gladii hic», ideo est dominus dominorum; non sine causa dixit Petro: «et tibi dabo claves» etc. Et nota: non dixit clavem, sed claves, scilicet duas, unam quae claudet et aperiat, liget et solvat, quo ad spiritualia; aliam qua utatur quo ad temporalia, licet hoc verbum multis aliis modis exponatur, ut notat in De poenitentia sub rubrica de remissionibus § 1. Ad hoc in epistola Per venerabilem. § rationibus 40. Distinctio c. 1. 21. Distinctio in novo. 20 distinctio. § 1. Cum enim unum corpus simus in Christo pro monstro esset quod duo capita habemus, non potuit illa concedere, rendebo, ergo nec populus potestatem suam in principem transferre, quod tamen falsum esse constat, super quo vide quod non, sub de constitutionibus99.
Sulla base della lex regia l’Ostiense chiarisce che, come l’imperatore ha ricevuto la propria potestas in seguito al trasferimento volontario di potere dal popolo e tale trasferimento è irrevocabile, allo stesso modo la cessione di una serie di iura che Costantino avrebbe operato a vantaggio di Silvestro I e dei suoi successori è legittima e altrettanto irrevocabile. Il Constitutum non rappresenta il fondamento giuridico del potere temporale del pontefice, quanto piuttosto la legittimazione di diritti feudali che la sede apostolica vantava su una serie di territori nell’Europa occidentale. Che questo sia l’orientamento dell’Ostiense è confermato dal contenuto della Lectura sulle Decretali che il cardinale completò attorno al 1265, dove si legge:
Sardinia. Patet hic quod tota Sardinia est de feudo romane ecclesie. Sic et tota Sicilia prout in archivis romanae ecclesiae continetur, et argumentum X.q.iii. relatum, ubi ecclesiasticum patrimonium appellatur. Et universus senatus urbis et dominium orbis, palatium lateranensi et multae aliae regiones, prout legitur XCVI distinctio. Constantinus. Civitas Romana cum ducatu suo et suburbanis atque vicis omnibus et territoriis montanis atque maritimis litoribus et portubus, seu cunctis castellis, civitatibus, oppidis ac villis in Tusciae partibus. LXIII distinctio. Ego Ludovicus etc. Tibi Domino100.
La donazione consente all’Ostiense di giustificare i diritti feudali della sede apostolica, ma non ha un ruolo nella definizione della natura e delle caratteristiche del potere temporale del papa. Appare tuttavia significativo che, alla luce di questo orizzonte giuridico, il testo del Constitutum trovi una crescente attenzione fra i civilisti e i sostenitori dei diritti dell’Impero. Già Azzone richiama il contenuto della donazione nella discussione di due punti del Corpus Iuris Civilis, mentre Accursio, agli inizi del XIII secolo, presenta una trattazione ampia del documento nella Glossa ordinaria al Corpus giustinianeo101. Nella sua glossa alla Novella 6, in cui Giustiniano aveva cercato di regolare i rapporti fra imperium e sacerdotium, il giurista contesta la possibilità di assumere il testo della donazione all’interno del quadro normativo del diritto romano, in ragione del principio: «nec papa in temporalibus nec imperator in spiritualibus se debent immiscere»102. Il contrasto fra il contenuto del documento e i fondamenti della riflessione civilistica in merito alla vita associata o alla natura del potere politico, costituiva la base per rigettarne la validità, almeno nella sfera del diritto civile103. La contestazione di Accursio era verosimilmente legata al grande rilievo che la Donazione aveva acquisito nell’età dei decretisti. Il glossatore del Corpus Iurisi Civilis assume del resto dai decretisti, in modo pienamente consapevole, il principio della preservazione della sovranità spirituale del papa e di quella temporale dell’imperatore da reciproche ingerenze104.
Allorché i successori di Accursio si trovano di fronte il quadro della canonistica nelle forme assunte in seguito alla sistematizzazione di Innocenzo IV e all’avvio della stagione dei decretalisti, anche la percezione che essi maturano della donazione subisce un mutamento. Il sistema concettuale, giuridico e ideologico edificato e messo a punto dai canonisti a metà del XIII secolo appare infatti come fortemente orientato da una sensibilità di carattere politico, circostanza di cui un civilista come Jacques de Revigny sembra essere ben consapevole allorché rivendica alla civilistica come scienza il compito di arrivare a enunciati di natura politica105. Il giurista francese, glossando il lemma Augustus nel proemio delle Institutiones di Giustiniano, si sofferma sul Constitutum e sul suo significato rispetto ai diritti della sovranità imperiale precisando:
Utilitas bene potuit prescribi, sed subiectio non. Unde quod non solvatur census ratione illius rei, et quod non sit ecclesia ratione illius rei subiecta imperio, et in signum subiectionis non solvat censum: hoc non est prescriptibile. Unde dico quod donatio facta a Constantino valuit ut utilitas esset ecclesiae, vel, si non valuitu per prescriptionem tamen acquiritur utilitas ecclesiae: sed non quin sit subiecta res donata imperio […] Dico ergo quod Constantinus non potuit diminuere dominationem imperii et honorem, sed utilitatem sic106.
La donazione costantiniana ha il valore di un sostegno materiale alla Chiesa ma non è possibile intenderla quale abdicazione della sovranità o rinuncia a essa. Se è infatti legittimo pensare che Costantino abbia prescritto che la Chiesa goda della utilitas derivante dalla potestà imperiale, ciò non equivale affatto alla cessione della dominatio imperiale. Ancor più, Jacques de Revigny, discostandosi dalle dottrine che venivano elaborate dai civilisti vicini alle corti di Francia e Spagna, affermava che la sovranità imperiale rimaneva intatta anche nel suo carattere sovranazionale, così che ciascun regno era de iure soggetto all’Impero. Il giurista ripete lo stesso concetto nella sua opera principale, la Lectura Codicis, affermando: «Prescriptio non currit contra subiectionem imperii, utilitas bene potest prescribi»107. La ‘querelle’ attorno alla donazione impegnò i civilisti ancora per tutto il XIII secolo su due fronti distinti. Nel quadro delle lotte politiche della penisola italiana il testo venne più volte impiegato dalla cancelleria di re Manfredi per denunciare, recuperando argomenti dalla eco accursiana, l’illegittimità di un atto che rischiava di compromettere le prerogative imperiali108. Sul fronte invece delle monarchie nazionali, in particolare di quella francese, la discussione attorno alla legittimità del Constitutum divenne il punto di partenza per elaborare l’idea che il principe, sia imperatore sia re, non potesse essere obbligato alla soggezione in alcun modo. Commentando la Novella 7 di Giustiniano il giurista francese Pierre de Belleperche, fedele sostenitore degli interessi della monarchia francese, asserì che il presunto atto di Costantino non fosse valido de iure. Egli assunse che l’imperatore avesse realmente redatto la donazione e per chiarirne l’illegittimità spiegò che occorreva distinguere quanto è proprietà personale del sovrano da quanto è invece proprietà pubblica che egli in nessun caso ha titolo ad alienare. Costantino non poteva quindi assegnare alla Chiesa le province occidentali dell’Impero che facevano parte del patrimonium rei publicae. Rispetto a beni del genere non è possibile alcuna forma di subiectio del monarca alla Chiesa e tale principio vale sia per l’imperatore che per qualsiasi altro principe, come nota il giurista osservando:
Impossibile est praescribere subiectionem principis. Sed si aliquis sit subiectus communitati, potest illi subiectioni praescribere. Non tamen cum sit subiectus capiti, id est, principi. Et ideo in regno Franciae nullus praescribit quin sit subiectus regni […] Sic intelligo legem allegatam ultimam et legem allegatam comperit, et sic concordantur ad invicem109.
Gli argomenti di Pierre de Belleperche rispecchiano un dato storico e politico destinato a segnare il passaggio fra XIII e XIV secolo e a condizionare il modo di guardare al Constitutum Constantini. Rimarcando l’autorità e la sovranità del re di Francia il giurista si poneva sulla via della piena assunzione, in seno al diritto civile, di un principio che originariamente era stato formulato da Innocenzo III e accolto da Innocenzo IV in funzione anti-imperiale e secondo il quale ciascun re godeva, nel proprio regno, della stessa potestas dell’imperatore e non era soggetto all’autorità di quest’ultimo110. Se la rivendicazione di Jacques de Revigny rappresenta il tentativo di reagire alla messa in discussione dell’universalità dell’Impero operata dal papato lungo tutto il XIII secolo, con le prese di posizione dei giuristi vicini alla corte francese inizia ad affacciarsi un quadro giuridico e politico del tutto nuovo. A emergere sono infatti gli iura delle monarchie nazionali, con i quali la Chiesa e il papato si trovano a doversi confrontare. Tutto questo irrompe sulla scena, in modo drammatico, in occasione dello scontro tra Filippo IV il Bello e Bonifacio VIII. La costruzione della monarchia papale compiuta, sul terreno dell’ordinamento giuridico, a metà del XIII secolo vide un ulteriore tentativo di sviluppo con il pontificato di Benedetto Caetani, deciso a rivendicare dai sovrani europei la stessa subordinazione alla plenitudo potestatis del vicario di Cristo che Innocenzo IV aveva preteso dall’imperatore mezzo secolo prima. La bolla Unam Sanctam di Bonifacio VIII si presenta così come la più chiara espressione di un progetto politico e giuridico di riaffermazione del ruolo e della natura della monarchia pontificia e fa parte di un gruppo di decretali che papa Caetani approntò in polemica con i giuristi vicini a Filippo il Bello e alla corte francese111. Il testo riaffermava il ruolo di vicarius Christi di Pietro e dei suoi successori quale garanzia dell’unità della Chiesa e della cristianità e riproponeva la dottrina della titolarità pontificia delle due spade, così che la ‘spada temporale’ risultava ordinata a quella spirituale112.
La Unam Sanctam riaffermava le linee essenziali del programma che la curia pontificia aveva elaborato a partire dall’inizio del XIII secolo, ma non faceva alcuna esplicita menzione del Constitutum che era stato invece incluso nel Liber Sextus attraverso la già citata Fundamenta militantis ecclesiae di Niccolò III e che divenne un locus classico dell’aspra polemica fra i sostenitori della teocrazia pontificia e i suoi oppositori. Il passaggio al XIV secolo marca del resto una sorta di salto di qualità nel dibattito relativo alla donazione, che si sposta dai documenti delle cancellerie imperiale e pontificia e dalla polemica fra civilisti e canonisti, al piano della trattatistica politica.
Il teologo Giovanni di Parigi, nel 1302/1303, mette in discussione il valore del documento in un momento in cui, con il conflitto fra la corona francese e la sede apostolica, muta radicalmente quell’equilibro di forze che in Europa si era creato con il venir meno del progetto imperiale degli Svevi e con l’ascesa delle monarchie nazionali113. La messa in discussione del diritto del papa a intervenire nelle questioni temporali va inquadrata in quel processo che vede il venir meno del carattere di universalità che era riconosciuto all’Impero e la contestuale rivendicazione di piena sovranità da parte della corona francese. I civilisti che si impegnano a sostenere i diritti del re di Francia operano del resto facendo leva su un riconoscimento della loro sovranità che già era contenuto, in una certa forma, nella Per venerabilem di Innocenzo III e che troverà una sanzione definitiva nella Pastoralis cura di Clemente V nel 1313114.
Accanto a questo orientamento, legato alla rivendicazione degli iura delle monarchie nazionali, rimane ancora forte, in diversi ambienti della cultura europea, l’idea di una potestas universale dell’imperatore nella sfera temporale. Un’idea che porta Dante Alighieri a sostenere l’illegittimità di una donazione che dividerebbe l’Impero e sarebbe come tale contra offitium deputatum Imperatori (contraria all’ufficio attribuito all’imperatore)115. La critica del Constitutum quale fondamento di una teoria degli iura imperiali e della potestas universale dell’imperatore si ritroverà poi in Marsilio da Padova e in Guglielmo di Ockham116.
Il posto occupato dal Constitutum Constantinii e più in generale della figura del primo imperatore cristiano nella produzione canonistica fra XI e XIV secolo, vede susseguirsi fasi diverse. Certamente il testo della donazione ebbe un ruolo cruciale a seguito del suo inserimento nel Decretum di Graziano. È infatti a partire dalla palea alla distinctio 96 che i decretisti affrontarono il dibattito sulla natura delle potestates del papa e dell’imperatore e sul rapporto fra di esse. La loro elaborazione, pur affermando il primato spirituale del papa, fissava un equilibrio fra il potere spirituale e quello temporale, mantenendo salda non solo la distinzione delle due funzioni, ma anche quella delle istituzioni che ne erano titolari. Recependo il dualismo gelasiano, la canonistica della seconda metà del XII secolo precisò che, seppur superiore quanto alla dignità, il pontefice non poteva usurpare le funzioni imperiali. Tale prospettiva venne meno nel momento in cui, con Innocenzo III, la figura del papa fu accostata a quella biblica di Melchisedec e gli fu attribuito pienamente il titolo di vicarius Christi, collegato a un esercizio della plenitudo potestatis rispetto a cui il binomio fra temporale e spirituale si riduce a una semplice distinzione fra esercizio diretto e esercizio indiretto della potestas temporale. La fase della decretistica rappresenta quindi il momento in cui i contenuti della donazione e gli elementi costantiniani del diritto civile romano vengono più pienamente assorbiti nel diritto canonico classico. Per i glossatori del Decretum la donazione diviene un vero e proprio locus classico su cui si concentrano gli sforzi di vari maestri, da Rufino a Simone di Tournai, da Paucapela a Uguccio da Pisa. Si formano qui un lessico e un quadro concettuale che in primo luogo, con Innocenzo III e Innocenzo IV, entrano nei documenti cruciali per la costruzione giuridico-ideologica del papato monarchico. In secondo luogo, quello stesso linguaggio è l’elemento comune di quanti, canonisti, civilisti, teologi, affrontano il problema della natura del potere temporale, degli iura della Chiesa, dell’Impero e dei re, nei decenni in cui nasce l’Europa delle monarchie nazionali.
La figura di Costantino e la legislazione a lui ricondotta o attribuita rappresentano quindi una componente significativa nella costruzione dello ius commune. L’influenza esercitata da questa ‘eredità costantiniana’, mediata essenzialmente dai ‘canali’ del Codex di Giustiniano e delle collezioni canoniche pregrazianee, resta un terreno che ancora necessita di ulteriori approfondimenti. Le ricerche storiche hanno sin qui focalizzato la loro attenzione sulla donazione di Costantino, trascurando il ruolo che le leggi dell’imperatore ebbero nel determinare gli sviluppi dottrinali in molteplici aree del diritto medievale e moderno. L’importanza e il significato della legislazione costantiniana meritano dunque ulteriori studi117.
1 La letteratura relativa al ruolo della donazione di Costantino nella produzione giuridica e canonistica è stata oggetto di alcuni studi di ampio respiro, in particolare D. Maffei, La Donazione di Costantino nei giuristi medievali, Milano 1964. Il ruolo della donazione e più in generale della figura di Costantino nella produzione canonistica medievale è stato uno dei temi discussi nei lavori che si sono occupati della formazione e costruzione del potere papale nel Medioevo. Si vedano in particolare i lavori di W. Ullmann, Medieval Papalism. The Political Theories of the Medieval Canonists, London 1949; Id., The Growth of Papal Government in the Middle Ages. A Study in the Ideological Relation of Clerical to Lay Power, London 1955; Id., The Individual and Society in the Middle Ages, Baltimore 1966; Id., A Short History of the Papacy in the Middle Ages, London 1972. Si vedano anche B. Tierney, The Crisis of Church and State, 1050-1300, Englewood Cliffs (NJ) 1964; Id., The Continuity of Papal Political Theory in the Thirteenth Century. Some Metodological Considerations, in Mediaeval Studies, 27 (1965), pp. 227-245 e ad indicem H.J. Berman, Law and Revolution. The Formation of the Western Legal Tradition, Cambridge (MA) 1983. La centralità dei temi costantiniani, in particolare per la decretistica del XIII secolo, è stata messa in luce in J.A. Watt, The Theory of Papal Monarchy in the Thirteenth Century: The Contribution of the Canonists, in Traditio, 20 (1964), pp. 179-317. Una considerazione più ampia e generale del tema si può trovare nella pubblicazione degli atti del convegno di Macerata del 1990. Si veda Costantino il Grande. Dall’antichità all’umanesimo, Colloquio sul Cristianesimo nel mondo antico (Macerata 18-20 dicembre 1990), a cura di G. Bonamente, F. Fusco, 2 voll., Macerata 1992. Più recentemente alcuni studi specifici sono tornati sul Constitutum e sul suo presunto autore. Si vedano E. Petrucci, Ecclesiologoia e politica. Momenti di storia del papato medievale, Roma 2001; M. Conetti, L’origine del potere legittimo. Spunti polemici contro la Donazione di Costantino da Graziano a Lorenzo Valla, Parma 2004; Costantino il Grande tra medioevo ed età moderna, a cura di G. Bonamente, G. Cracco, K. Rosen, Bologna 2008.
2 Si vedano J.A. Watt, The Theory of Papal Monarchy, cit., pp. 185-186; W. Ullmann, Public Law as an Instrument of Government in Historical Perspective: New Rome and Old Rome in the Light of Historical Jurisprudence, in Diritto e potere nella storia europea, Atti del quarto Congresso internazionale della Società italiana di storia del diritto, in onore di Bruno Paradisi, Firenze 1982, pp. 37-52, ripubblicato in W. Ullmann, Law and Jurisdiction in the Middle Ages, I, London 1988.
3 Si veda W. Ullmann, The Growth of Papal Government, cit., pp. 167-189. Sulla storia delle Pseudo-Isidorine si veda l’ancor utile disamina in P. Fournier, G. Le Bras, Histoire des collections canoniques en Occident depuis les fausses Décrétales jusqu’au Décret de Gratien, Paris 1931-1932, I, pp. 127-233.
4 Il testo del Constitutum Constantini e del Decretum di Gelasio si trova in Decretales Pseudo-Isidorianae et Capitula Angilramni, ed. P. Hinschius, Lipsia 1863, rispettivamente alle pp. 249-254 e 639-641. È disponibile una nuova edizione critica delle Pseudo-Isidorine a opera di K.-G. Schon e K. Zechiel-Eckes consultabile in rete sul sito http://www.pseudoisidor.mgh.de/ (28 gen. 2013).
5 Constitutum Constantini, ed. K.-G. Schon, K. Zechiel-Eckes, cit., http://www.pseudoisidor.mgh. de/html/068.htm (28 gen. 2013). Nell’edizione Hinschius il passo si trova a p. 253.
6 Si veda W. Ullmann, The Growth of Papal Government, cit., pp. 87-118.
7 Constitutum Constantini, ed. K.-G. Schon, K. Zechiel-Eckes, cit. Nell’edizione Hinschius il passo si trova a p. 253.
8 Si veda su questo W. Ullmann, The Growth of Papal Government, cit., pp. 143-166; Id., A Short History of the Papacy, cit., pp. 71-90.
9 Fra le principali collezioni composte fra IX e X secolo che riportano il testo del Constitutum si possono citare, a titolo esemplificativo, la raccolta di Floro di Lione (metà del IX secolo); la Lex Romana canonice compta (IX secolo); la Collectio IX librorum (redatta attorno al 920) e la Collectio Anselmo dedicata (fine del IX secolo). Il testo della donazione viene trasmesso da questo genere di collezioni fino alle soglie dell’età della Riforma. Lo si ritrova infatti nella Collectio XII partium che data fra il 1020 e il 1050. Sulla raccolta di Floro di Lione si veda L. Kéry, Canonical Collections of the Early Middle Ages, ca. 400-1140: A Bibliographical Guide to the Manuscripts and Literature, Washington 1999, pp. 171-172; sulla Lex Romana canonice compta (IX secolo), cfr. ivi, pp. 161-162; sulla Collectio IX librorum si veda ivi, pp. 196-197; Ch. Rolker, Canon Law and the Letters of Ivo of Chartres, Cambridge 2010, pp. 72-73; sulla Collectio Anselmo dedicata si veda J. Petersmann, Die kanonistische Überlieferung des Constitutum Constantini bis zum Dekret Gratians. Untersuchung und Edition, in Deutsches Archiv für Erforschung des Mittelalters, 30 (1974), pp. 356-449, in partic. 364-365; G. Austin, Shaping Church Law Around the Year 1000: The Decretum of Burchard of Worms, Farnham 2009, pp. 41-43. Sulla Collectio XII partium si vedano P. Fournier, G. Le Bras, Histoire des collections canoniques, I, cit., pp. 440, 974-1039; L. Kéry, Canonical Collections, cit., pp. 155-157.
10 Si veda S. Leonis IX epistola ad Michaelem Constantinopolitanum patriarcham, in S. Leonis IX Papae opuscula, 100, PL 143, cc. 744-769, in partic. 750-756. Alla base del ragionamento del pontefice vi è la convinzione che la donazione di Costantino abbia il valore di un riconoscimento del ruolo della sede petrina e delle caratteristiche del suo primato spirituale sull’intera Chiesa cattolica. Spiega infatti: «Quod quamvis omnibus Ecclesiis Christi, quae unam catholicam in toto mundo efficiunt, a principe apostolorum, Petro sit vere dictum, nulli tamen verius aptatur quam illi cui proprie praesidet ipse qui coelestis regni meruit gubernacula obtinere, Domino Jesu Christo sibi dicente: Tibi dabo claves regni coelorum [Mt 16], et, in speciali potestate ligandi et solvendi, summi sacerdotii privilegium. At quoniam, attestante Salomone: Cor regis in manu Domini; quocunque voluerit vertet illud [Pr 21]: tantum apicem coelestis dignitatis in beato Petro et in eius vicariis prudentissimus terrenae monarchiae princeps Constantinus intima consideratione reveritus, cunctos usque in finem saeculi successuros eidem apostolo in Romana sede pontifices, per beatum Silvestrum non solum imperiali potestate et dignitate, verum etiam infulis et ministris adornavit imperialibus, valde indignum fore arbitratus terreno imperio subdi quos divina maiestas praefecit coelesti; cui equidem comparatum istud terrenum nihil est, nisi vanitas vanitatum, qua homines, obliti Domini Creatoris sui, intumescentes, mox detumescunt. Et tamen imperialis celsitudo hoc totum quod potuit effecit, quando tota devotione quidquid a Domino acceperat, eidem in ministris suis reddidit», ivi, c. 752AB.
11 Si veda W. Ullmann, The Growth of Papal Government, cit., pp. 272-276.
12 Gregorius VII, Dictatus papae, in Das Register Gregors VII, hrsg. von E. Caspar, I, Berlin 1955, p. 203, l,1 e l,5: «Quod solus [papa] possit uti imperialibus insigniis […] Quod illi [papae] liceat imperatores deponere».
13 Si veda Gregorius VII, Herimanno Metensi episcopo, in Das Register Gregors VII, cit., II, pp. 544-562. Sulla lettera a Ermanno di Metz si veda H.-X. Arquillière, La IIe lettre de Grégoire VII à Herman de Metz (1081), in Recherches de Science Religieuse, 40 (1951-1952), pp. 231-242.
14 Gregorius VII, Herimanno Metensi episcopo, in Das Register Gregors VII, II, cit., p. 553, ll. 7-14: «Haec, sicut beatus Gregorius in epistola ad Mauricium imperatorem directa commemorat, Constantinus Magnus imperator, omnium regum et principum fere totius orbis dominus, evidenter intelligens in sancta Nycena synodo post omnes episcopos ultimas residens nullam iudicii sententiam supra eos dare presumpsit, sed illos etiam deos vocans non suo debere subesse iudicio, verum se ad illorum pendere arbitrium iudicavit».
15 Con riferimento alla dignitas pontificia e al suo rapporto con quella temporale chiarisce: «Itane dignitas a secularibus etiam Deum ignorantibus inventa non subicietur ei dignitati, quam omnipotentis Dei providentia ad honorem suum invenit mundoque misericorditer tribuit? Cuius filius, sicut deus et homo indubitanter creditur, ita summus sacerdos, caput omnium sacerdotum ad dextram Patris sedens et pro nobis semper interpellans habetur; qui seculare regnum, unde filii seculi tument, despexit et ad sacerdotium crucis spontaneus venit. Quis nesciat reges et duces ab iis habuisse principium, qui Deum ignorantes superbia rapinis perfidia homicidiis postremo universis pene sceleribus mundi principe diabolo videlicet agitante super pares, scilicet homines, dominari caeca cupidine et intollerabili presumptione affectaverunt?», ivi, p. 552, ll. 5-17.
16 Sulla ricezione del Constitutum Constantini, in forme molteplici, nelle collezioni canoniche precedenti il Decretum di Graziano, si veda J. Petersmann, Die kanonistische Überlieferung, cit. Fra le principali collezioni di ambito gregoriano che recepiscono la donazione vi sono quella di Anselmo da Lucca (1083-1086 per la prima redazione, 1109-1118 per la seconda redazione), quella del cardinal Deusdedit (1087), l’Appendix Seguntina (XI secolo) e la Collectio XIII librorum (1095-1100). Su queste si veda J. Petersmann, Die kanonistische Überlieferung, cit, pp. 368-381. Sull’Appendix Seguntina si vedano G. Fransen, Appendix Seguntina, Liber Tarraconensis et Décret de Gratien, in Revista española de derecho canonico, 45 (1988), pp. 31-34; K.G. Cushing, ‘Intermediate’ and Minor Collections: The Case of the ‘Collectio Canonum Barberiniana’, in Readers, Texts and Compilers in the Early Middle Ages. Studies in Medieval Canon Law in Honour of Linda Fowler-Magerl, ed. by M. Brett, K.G. Cushing, Farnham 2009, pp. 73-86, in partic. 78-80. Sulla Collectio XIII librorum si veda L. Kéry, Canonical Collections, cit., pp. 226-227. Il testo della donazione si ritrova anche nella Collectio Gaddiana, risalente al pontificato di Callisto II. Su questa collezione si vedano P. Fournier, G. Le Bras, Histoire des collections canoniques, cit., II, pp. 209-210; L. Kéry, Canonical Collections, cit., pp. 289-290.
17 Si vedano in particolare Ivo Carnotensis, Decretum, V, 44, 45, 378, edizione a cura di B. Brasington, M. Brett, P. Nowak, disponibile in rete sul sito http://project.knowledgeforge.net/ivo/ (28 gen. 2013). Sulla presenza del Constitutum nelle opere di Ivo di Chartres si veda J. Petersmann, Die kanonistische Überlieferung, cit., pp. 383-388; L. Kéry, Canonical Collections, cit., pp. 244-260.
18 Si veda l’ampia sintesi di E. Cortese, La norma giuridica. Spunti teorici nel diritto comune classico, 2 voll., Milano 1962-1964.
19 Si veda Garnerius Iurisperitissimus, Liber divinarum sententiarum, edizione critica a cura di G. Mazzanti, Spoleto 1999, p. 173. Il passo agostiniano citato da Irnerio è Aug., civ. V 1. Sull’attribuzione del Liber al giurista bolognese si vedano G. Mazzanti, Introduzione, in Garnerius Iurisperitissimus, Liber divinarum sententiarum, cit., pp. 1-6; E. Spagnesi, Irnerio teologo, una riscoperta necessaria, in Studi medievali, 42 (2001), pp. 325-378.
20 Si veda Garnerius Iurisperitissimus, Liber divinarum sententiarum, cit., p. 175.
21 Sulla lex regia e la sua ricezione nell’ambito della civilistica e canonistica medievali si veda il contenuto di E. Cortese, La norma giuridica, cit., ad indicem e i saggi di W.E. Brynteson, Roman Law and Legislation in the Middle Ages, in Speculum, 41 (1966), pp. 420-437; B. Tierney, “The Prince is Not Bound by the Laws”. Accursius and the Origins of the Modern State, in Comparative Studies in Society and History, 5 (1963), pp. 378-400, ripubblicato in Id., Church Law and Constitutional Thought in the Middle Ages, London 1979, n. III; C.M. Radding, Vatican Latin 1406, Mommsen’s Ms. S, and the Reception of the Digest in the Middle Ages, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte, 110 (1993), pp. 501-551. Si vedano anche i saggi di W. Ullmann, Medieval Papalism, cit., pp. 165-166; Id., The Individual and Society, cit., p. 60.
22 Il contenuto della lex regia riguarda l’autorità dell’imperatore di legiferare. Stando a Ulpiano: «Et quod principi placuit, legis habet vigorem, cum lege regia, quae de imperio eius lata est, populus ei et in eum omne suum imperium et potestatem concessit. Quodcumque igitur imperator per epistulam constituit vel cognoscens decrevit vel edicto praecepit, legem esse constat», Inst. I 2,6. Riguardo alla lex regia e al suo contenuto si vedano anche Dig. I 4,1,1; Cod. I 17,1,7. Il passo del Liber sententiarum richiamato si trova in Garnerius Iurisperitissimus, Liber divinarum sententiarum, cit., p. 175.
23 Si veda ivi, p. 177.
24 La letteratura scientifica su Graziano è amplissima e per una sua disamina analitica si rinvia a D. Quaglioni, s.v. Graziano, in Dizionario Biografico degli Italiani, LIX, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 2003, pp. 122-130, disponibile in rete al sito http: //www.treccani.it/enciclopedia/graziano_ (Dizionario-Biografico)/ (28 gen. 2013). Si segnalano inoltre i lavori più recenti dedicati al canonista e alla Concordantia discordantium canonum, in particolare A. Winroth, The Making of Gratian’s Decretum, Cambridge, New York 2000; Id., Recent Work on the Making of Gratian’s Decretum, in Bulletin of Medieval Canon Law, 26 (2004-2006), pp. 1-29; si vedano in Bulletin of Medieval Canon Law, 27 (2007), gli articoli: A.A. Larson, Early Stages of Gratian’s Decretum and the Second Lateran Council, pp. 21-56; E. De León, La edición crítica del Decreto Graciano, pp. 71-104; M. Harris Eichbauer, St. Gall Stiftsbibliothek 673 and the Early Redactions of Gratian’s Decretum, pp. 105-139.
25 Si veda J.A. Watt, The Theory of Papal Monarchy, cit., p. 190.
26 «Quoniam idem mediator Dei et hominum est, homo Iesus Christus, sic actibus propriis et dignitatibus distinctis offitia potestatis utriusque discrevit propria volens medicinali humilitate sursum efferri, non humana superbis rursum in inferna demergi: ut enim Christiani imperatores pro eterna vita pontificibus indigerent, et pontifices pro cursu temporalium tantummodo rerum imperialibus legibus uterentur, quatenus spiritualis actio a carnalibus distaret incursibus, et “Deo militans minime se negotiis secularibus implicaret”; ac vicissim non ille rebus divinis presidere videretur, qui esset negotiis secularibus implicatus», D.10 c.8, Corpus Iuris Canonici, ed. E. Friedberg, 2 voll., Leipzig 1881, (d’ora in poi Friedberg), I, c. 21.
27 Ivi, D.10 c.6, ed. Friedberg, I, c. 339: «Cum ad verum ventum est, ultra sibi nec inperator iura Pontificatus arripuit, nec Pontifex nomen inperatorium usurpavit, quoniam idem mediator Dei et hominum, homo Christus Iesus, actibus propriis et dignitatibus distinctis offitia potestatis utriusque discrevit, propria volens medicinali humilitate sursum efferri, non humana superbia rursum in inferno demergi».
28 Ivi, D.10 c.10, ed. Friedberg, I, c. 340: «Duo sunt quippe, inperator auguste, quibus principaliter hic mundus regitur: auctoritas sacra Pontificum, et regalis potestas. In quibus tanto gravius est pondus sacerdotum, quanto etiam pro ipsis regibus hominum in divino sunt reddituri examine rationem».
29 Ibidem.
30 Ivi, D.10 c.11, ed. Friedberg, I, c. 341.
31 Ivi, D.10 c.14, ed. Friedberg, I, cc. 342-345. Sull’aggiunta delle paleae al Decretum si veda A. Winroth, The Making of Gratian’s Decretum, cit., pp. 11-12.
32 Si veda J.H. Burns, The Cambridge History of Medieval Political Thought, c. 350 – c. 1450, Cambridge 1988, pp. 375-378.
33 Si veda D.96 c.7, ed. Friedberg, I, c. 339.
34 Si veda C.15 q.6 c.3, ed. Friedberg, I, c. 756.
35 C.2 q.1 c.2, ed. Friedberg, I, c. 438: «Iudex criminosum discutiens non ante sententiam proferat, quam aut reum ipse se confiteatur, aut per innocentes testes convincatur». Cfr. Cod. Theod. IX 40,1; Capitula Angilramni, in Decretales Pseudo-Isidorianae et Capitula Angilramni, cit., p. 766, l. 30; Benedictus Levita, Capitula, I, c. 308, mss. St. Gallen, Stiftsbibliothek 727, f. 198r; Paris, Bibliothèque Nationale de France, lat. 4635, f. 132r; lat. 4636, f. 49v; Burchardus Wormatiensis, Decretum, XVI c. 6, PL 140, c. 910; Ivo Carnotensis, Panormia, IV, c. 111.
36 Nel punto del Decretum in cui si parla dell’affrancamento dei servi della Chiesa da parte dei vescovi, Graziano cita un passo della norma di Costantino che vietava il matrimonio fra uno schiavo e una donna libera: «In criminali vero, si patronum in ius vocaverit, caput eius et fortunas petiturus, ante litis exordium capite puniendus est. Crimen maiestatis excipitur, vel si patronam illicito servi concubitu uti deprehenderit, quo casu etiam servo cum munere libertatis dominam accusare permittitur, sicut in 9. lib. Cod. tit. de mulieribus, que servis propriis, inperator Constantinus constituisse legitur: “Si qua cum servo suo occulte rem habere detegitur, capitali sententiae subiugetur, tradendo ignibus verberone. Sitque omnibus facultas crimen publicum arguendi, sit offitio copia nunciandi, sit etiam servo licentia deferendi, cui probato crimine libertas dabitur”», C.12 q.2 c.58, ed. Friedberg, I, c. 627 cfr. Cod. 9,11,1. Riguardo all’immunità dei chierici due sono le citazioni costantiniane nel Decretum. La prima recita: «Constantinus presidens in sancta sinodo, que apud Nicenam congregata est, cum querelam quorundam conspiceret coram se deferendam, ait: Vos a nemine diiudicari potestis, quia ad Dei iudicium solius reservamini», C.11 q.1 c.5 ed. Friedberg, I, c. 627. Su questo si veda L. Melve, Inventing the Public Sphere: The Public Debate During the Investiture Contest (c. 1030-1122), Leiden-Boston 2007, pp. 157-164, in partic. 158. Il secondo testo costantiniano è invece la citazione di una legge: «Novarum etiam collationum et sordidorum munerum inmunitatem acceperunt. Unde Constantinus cunctis scribit clericis: “Iuxta sanctionem, quam dudum meruisse perhibemini, fundos et mancipia vestra nullus novis collationibus obligabit, sed vacatione gaudebitis”», C.16 q.1 c.40, ed. Friedberg, I, c. 772 cfr. Cod. I 3,1. Infine sul fondamento della validità dei rescritti Graziano cita una serie di leggi imperiali, molte di esse costantiniane, contenute nel Codex di Giustiniano: «Rescripta, sive sint adnotationes sive pragmaticae sanctiones, expressam debent habere in se condicionem: Si preces veritate nituntur. Mendax enim precator debet carere inpetratis, et quibus scripta diriguntur sunt puniendi, si precum mendacia vetuerint argui. Unde Inpp. Diocletianus, et Maximianus, et Constantius lib. I. Cod. tit. si contra ius vel utilitatem publicam [Cod. I 22,2]: “Prescriptione mendaciorum opposita, sive in iuris narratione mendacium reperiatur, sive in facti, sive in tacendi fraude, pro tenore veritatis, non deprecantis affirmatione, datum iudicem cognoscere debere, et secundum hoc de causa convenit ferre sentenciam”. Item Inp. Constantinus [Cod. I 22,3]: “Puniri iubemus decem librarum auri mulcta iudices, qui vetuerunt precum argui falsitatem”. Inpp. Theodosius et Valentinianus [Cod. I 22,5]: “Et si legibus consentaneum sacrum oraculum mendax precator attulerit, careat penitus inpetratis, et, si nimia mentientis invenitur inprobitas, etiam severitati subiaceat iudicantis”. Item Constantinus [Cod. I 22,4]: “Et si non cognitio, sed executio, mandatur, de veritate precum inquiri oportet, ut si fraus intervenit de omni negocio cognoscatur”. Inp. Anastasius [Cod. I 22,6]: “Omnes cuiuscumque maioris vel minoris amministrationis universae reipublicae iudices monemus, ut nullum rescriptum, nullam pragmaticam sanctionem, nullam sacram annotationem, que generali iuri vel utilitati publicae adversa esse videatur, in disceptatione cuiuslibet litigii patiantur proferri; sed generales sacras constitutiones modis omnibus non dubitent observandas”. Cod. tit. de diversis rescriptis Inpp. Diocletianus et Maximianus [Cod. I 23,3]: “Sancimus, ut autentica ipsa atque originalia rescripta, etiam ex nostra manu subscripta, non exempla eorum insinuentur”. Inp. Constantinus [Cod. I 23,4]: “Si qua beneficia personalia sine die et consule fuerint deprehensa, auctoritate careant”. Inp. Zeno [Cod. I 23,7]: “Universa rescripta, sive in personam precantium sive ad quemlibet iudicem manaverint, que vel annotatio, vel quevis pragmatica sanctio nominetur, sub ea condicione proferri precipimus, si preces veritate nituntur, nec aliquem fructum precator oraculi percipiat inpetrati, licet in iudicio asseveret veritatem, nisi questio fidei precum inperiali beneficio monstretur inserta. Nam et magnificus vir questor, et viri spectabiles magistri scriniorum, qui sine prefata adiectione qualecumque divinum responsum dictaverint, et iudices, qui susceperint, reprehensionem subibunt, et qui illicite dictata ausi fuerint scribere cuiuscumque scrinii memoriales, seu pragmaticarii, vel adiutores primicerii; amissione cinguli ferientur”», C.25 q.2 c.16. ed. Friedberg, I, cc. 1015-1016.
37 Cod. VIII 52,2; D.9 c.4, ed. Friedberg, I, cc. 23-24. Sulla nozione di consuetudo che i giuristi medievali mutuano dalla legislazione costantiniana si vedano G. Miccoli, «Ecclesia primitivae formae», in Id., Chiesa gregoriana. Ricerche sulla Riforma del secolo XI, a cura di A. Tilatti, Roma 1999, pp. 285-389, in partic. 339-340; P. Grossi, L’ordine giuridico medievale, Roma-Bari 2011, pp. 186-190. Si veda inoltre E. Cortese, La norma giuridica, cit., I, pp. 289-291. Riguardo all’influenza esercitata dal diritto romano e dalla civilistica sui canonisti si veda: H.J. Berman, Law and Revolution, cit., pp. 204-205.
38 Su questo si veda F.J. Felten, Impero e papato nel XII secolo, in Il secolo XII: la «renovatio» dell’Europa cristiana, a cura di G. Constable, G. Cracco, H. Keller et al., Bologna 2003, pp. 89-130.
39 Scrive Paucapela: «Nova Roma ideo dicitur, quia noviter illuc a Constantino translatum est romanum imperium. Constantinus enim imperator romanorum quarto die sui baptismatis privilegium romanae ecclesiae pontifici contulit, in quo coronam et omnem regiam dignitatem ipsumque palatium Lateranense omnemque suam gloriam tribuit. Insuper quoque regnum ei dimisit dicens: Congruum esse perspeximus, nostrum imperium et regni potestatem orientalibus transferri regionibus et in Bizantiae provinciae optimo loco nomini nostro civitatem aedificari, et nostrum illic constitui imperium, quoniam, ubi principatus sacerdotum et christianae religionis caput a deo est constitutum, iustum non est, ut ibi imperator terrenus sedeat et potestatem habeat», Paucapela, Summa über das Decertum Gratiani, hrsg. von J.F. von Schulte, Paderborn 1890, D. 22, p. 21-22. Parole simili utilizza Rufino, cfr. Rufinus, Summa Decretorum, ed. H. Singer, Paderborn 1902, D. 22, p. 48.
40 Paucapela, Summa, cit., D.96, p. 48: «Laicis autem, licet religiosis, nulla de rebus ecclesiasticis aliquando legitur attributa disponendi facultas. Unde quaecumque in oridinibus vel ecclesiasticis rebus a principibus decreta inveniuntur, nullius auctoritatis esse monstrantur».
41 Rufinus, Summa Decretorum, cit., D.96, pp. 192-193: «Hic continetur quod imperator iudicare vel disponere de rebus ecclesiasticis non debet. Quidam tamen sentiunt quod de huiusmodi possessionibus, que ecclesie proveniunt ex aliquo contractu, puta venditionis vel huiusmodi, imperator precise iudicare potest; de aliis vero, que intuitu animarum gratis ecclesiae donantur, aiunt quod tunc iudicare poterit, cum episcopus iudicare neglexerit. In spiritualibus autem causis, que vel de decimis vel oblationibus et his similibus vel de ecclesiasticis criminibus habentur, nec iudicare nec discutere potest».
42 Paucapela, Summa, cit., D.97, p. 49.
43 Si veda Stephanus Tornacensis, Summa super Decretum Gratiani, in Stephanus Tornacensis, Die Summa über das Decretum Gratiani, ed. J.F. von Schulte, Paderborn 1891, d. 22, pp. 32-33.
44 «Sunt qui non incongrue dicant, mappulas istas esse linteamina candida, quibus cardinalium equi in processione domini papa cooperti incedunt; quod Constantinus ecclesiae romanae clericis ad similitudinem senatorum concessit, ut infra D.96. Const. imp. coronam etc.», Stephanus Tornacensis, Summa, cit., d. 93, p. 114.
45 Sull’evoluzione del cardinalato fra XII e XIII secolo si veda G. Alberigo, Cardinalato e collegialità. Studi sull’ecclesiologia tra l’XI e il XIV secolo, Firenze 1969.
46 Simon Bisinianensis, Summa in Decretum, D.96 c.11, p. 86, ll. 55-57, ed. P.V. Aimone, Fribourg 2007, disponibile in rete sul sito http://www.unifr.ch/cdc/ summa_simonis_de.php (29 gen. 2013): «Hinc collige imperatorem non ab apostolico sed a Deo potius gladii potestatem accipere et in temporalibus eo esse maiorem».
47 Ivi, D.96 c.5, p. 85, ll. 13-16. Per un confronto con Paucapela si veda supra, nota 40.
48 Ivi, D.96 c.10, p. 86, ll. 42-54: «Duo sunt usque quibus principaliter hic mundus regitur, idest a quibus, nam ab ecclesia mundus regitur iure divino, ab imperatore humano, ne obviet illud, ‘humanum genus’ etc., supra d. i. Vel dicitur quod istis duobus regitur mundus et principaliter, sicut littera sonat, illud vero secundario. Usque beatus etiam Ambrosius. Si queratur an licuit ei imperatorem excommunicare, cum eius parochianus non esset imperator; videtur quod ei licuit quia homo tante religionis indebita non presumeret. Sed si licuit, ergo similiter cuilibet episcopo licet imperatorem excommunicare. Solutio: non ei licuit, non tamen indebita usurpavit. Non enim ipse hoc fecit auctoritate propria, sed iubente concilio. Dicitur tamen ipse fecisse, quia in concilio maior erat vel ipse denuntiavit sententiam et hoc secundum illum tropum loquendi quo dicitur fieri res cum innotescit quod fit».
49 Irnerio espone la sua posizione glossando un passo del Digestum dove si legge: «Inveterata consuetudo pro lege non immerito custoditur, et hoc est ius quod dicitur moribus constitutum. Nam cum ipsae leges nulla alia ex causa nos teneant, quam quod iudicio populi receptae sunt, merito et ea, quae sine ullo scripto populus probavit, tenebunt omnes: nam quid interest suffragio populus voluntatem suam declaret an rebus ipsis et factis? Quare rectissime etiam illud receptum est, ut leges non solum suffragio legis latoris, sed etiam tacito consensu omnium per desuetudinem abrogentur» (Dig. I 3,32,1). L’opinione del maestro, assieme a quella di altri civilisti, è riportata da Accursio nella Glossa ordinaria: «Abrogentur. Nota per duo corrigi legem. Primo aliam legem, et hoc planum est. secundo per consuetudinem, ut Instit. de iure nat. § pen. Sed contra in hoc secundo C. Quae sit longa consuetudo, I. ii. Solutio: distingue, aut est consuetudo generalis, et tunc generaliter vincit legem, ut hic, aut est specialis, et tunc vincit specialiter, ut infra Communia prae. I. Venditor § Si constat et infra Quod cuiusque uni, I. Item, i. respons. in gloss. vel perpetua non generaliter, ut C. e. I. ii, quae est contra. Et haec est vera, si consuetudo sequitur legem, nam si praecedat, vincitur a lege, ut infra De specul. vio. I. iii § Divus, in gl. sepeliri. Et hoc quando contra legem est consuetudo ex certa scientia, secus si per errorem, ut infra eod. tit. I. Quod non ratione et in Auth. ut nulli iudi § inf., coll. ix. Item si est secundum legem, vel saltem non contra, vale, ut in hac lege. Et hoc secudum Ioan. Alii ut P. et Y. Dixerunt hanc ad illam trahi, cum huius legis tempore populus habebat potestatem condendi leges, unde per eius contrariam consuetudinem abrogabantur. Hodie per principem tantum fit utrumque. Item alii distinguunt: an sit talis lex cui possit derogari per pactum, et tunc consuetudo eam vincit, ut hic, aut non, et tunc non vincit ut ibi. Quae autem sint leges quibus possit vel non possit per pactum derogari, dicitur Cod. de pactis I. Si quis in conscribendo in gl. Ioan. Alii etiam distinxerunt: aut est lex consuetudo approvata, et tunc ipsa lex vincit, ut ibi, aut non, et tunc consuetudo vincit, ut hic», Accursius, Glossa ordinaria, rubr. Abrogentur, ad Dig. I 3,32,1.
50 Il passo agostiniano è tratto da Aug., bapt. III 6,9.
51 D.8 c.5, ed. Friedberg, I, c. 14.
52 «Differt etiam ius naturae a consuetudine et constitutione. Nam iure naturae sunt omnia communia omnibus, quod non solum inter eos servatum creditur, de quibus legitur: “Multitudinis autem credentium erat cor unum et anima una, etc.” verum etiam ex precedent tempore a philosophis traditum invenitur. Unde apud Platonem illa civitas iustissime ordinata traditur, in qua quisque proprios mescit affectus. Iure vero consuetudinis vel constitutionis hoc meum est, illud vero alterius», D.8pr., ed. Friedberg, I, c. 12.
53 Paucapela, Summa in Decretum, cit., D.11, p. 16.
54 Stephanus Tornacensis, Summa, cit., D.11, p. 20.
55 Ivi, D.1, p. 9.
56 Simon Bisinianensis, Summa in Decretum, cit., D.11, p.14, ll. 2-4.
57 Si veda R. Weigand, Die Naturrechtslehre der Legisten und Dekretisten von Irnerius bis Accursius und von Gratian bis Johannes Teutonicus, München 1967, pp. 307-336.
58 La letteratura su Uguccio da Pisa sino al 1968 è stata passata in rassegna in G. Cremascoli, Uguccione da Pisa: saggio bibliografico, in Aevum, 47 (1968), pp. 123-168. Si vedano inoltre W. Müller, Huguccio of Pisa: Canonist, Bishop, and Grammarian?, in Viator, 22 (1991), pp. 121-152; Id., Huguccio: The Life, Works, and Thoughts of a Twelfth-Century Jurist, Washington 1994. Riguardo alla ricezione del dualismo gelasiano da parte di Uguccio si veda A. Stickler, Der Schwerterbegriff bei Huguccio, in Ephemerides Iuris Canonici, 3 (1947), pp. 201-242.
59 Huguccio de Pisa, Summa Decretorum, D.96 c.6, citato in J.A. Watt, The Theory of Papal Monarchy, cit., pp. 193-194 nota 14.
60 Huguccio, Summa, D.96 c.6, citato in J.A. Watt, The Theory of Papal Monarchy, cit., p. 194 nota 17: «Quod dictum est papa posse eum deponere, credo verum esse de voluntate et assensu principum si coram eo accusetur et convincatur; quod tunc demum intelligo si convictus et admonitus non vult cessare et satisfacere, tunc debet excommunicari et omnes ab eius fidelitate debent removeri, ar.xv.q.vi. Nos sanctorum, Iuratos. Si nec tunc corrigitur, tunc demum sententia iuste percellitur et armata manu recte expellitur et alius legitime eligitur. Set a quo dabitur sententia? A domino papa coram quo fuit convictus vel a principibus suis, si hoc romanus pontifex approbaverit».
61 Ivi, p. 201.
62 Si veda D. Maffei, La Donazione di Costantino, cit., pp. 40-42.
63 Huguccio, Summa Decretorum, ed. O. Přerovský, Città del Vaticano 2006, D.11, principium, p. 174, ll. 1-16.
64 Sul senso del termine ‘costituzionale’ si veda P. Grossi, L’ordine giuridico medievale, Roma-Bari 2011, pp. 87-93.
65 Sul ruolo di elementi costantiniani negli scritti di Alessandro III si veda il contenuto del saggio di W. Ullmann, Alexander III and the Conquest of Ireland, in Miscellanea Rolando Bandinelli, Papa Alessandro III, a cura di F. Liotta, Siena 1986, pp. 371-387, ristampato in Id., Law and Jurisdiction in the Middle Ages, cit., IV.
66 Federicus I, Constitutio de testamentificatione clericorum, 26 settembre 1165, in MGH.Const CCXXVII, p. 322. Si veda W. Ullmann, The Pontificate of Adrian IV, cit., p. 240.
67 Su questo si veda G. Dilcher, La «renovatio» degli Hohenstaufen fra innovazione e tradizione. Concetti giuridici come orizzonte d’azione della politica italiana di Federico Barbarossa, in Il secolo XII: la «renovatio» dell’Europa cristiana, cit., pp. 253-288, in partic. 257-259.
68 Inst. proemium.
69 Si veda Hadrianus IV, Epistolae, IX, 3 gennaio 1155, in PL 188, cc. 1373-1375.
70 Si veda al riguardo W. Ullmann, The Pontificate of Adrian IV, in Cambridge Historical Journal, 11 (1955), pp. 233-252, in partic. 240.
71 Iohannes Saresberiensis, Policraticus, ed. C.C.J. Webb, IV, Oxford 1909, c. 3, p. 239, l. 20-p. 240, l. 6.
72 Ivi, p. 253, 12-21.
73 Si veda al riguardo J.A. Watt, The Theory of Papal Monarchy, cit. Riguardo alla cultura giuridica di Innocenzo III si vedano K. Pennington, Further Thoughts on Pope Innocent III’s Knowledge of Law, in Zeitschrift der Savigny Stiftung für Rechtsgeschichte, Kanonistische Abteilung, 72 (1986), pp. 417-428, ristampato in Id., Popes, Canonists and Texts, 1150-1550, Aldershot 1993; R. Kay, Innocent III as Canonist and Theologian: The Case of Spiritual Matrimony, in Pope Innocent III and his World, ed. by J.C. Moore, Aldershot 1999, pp. 35-49.
74 Sul titolo di vicarius Christi si veda M. Maccarrone, Vicarius Christi. Storia del titolo papale, Roma 1952, in particolare si vedano le pp. 91-107 per l’origine del titolo papale attorno alla metà del XII secolo e le pp. 109-124 per il modo in cui viene assunto e utilizzato da Innocenzo III. Si vedano anche W. Ullmann, The Pontificate of Adrian IV, cit.; S. Kuttner, Universal Pope or Servant of God’s Servants: The canonists, papal Titles, and Innocent III, in Revue de droit canonique, 31 (1981), pp. 109-150, ristampato in Id., Studies in the History of Medieval Canon Law, Aldershot 1990, n. VIII; J.C. Moore, Pope Innocent III (1160/61-1216). To Root Up and to Plant, Leiden-Boston 2003, pp. 256-257.
75 Innocentius III, Sermo VII in festo D. Silvestri Pontificis maximi, in PL 217, c. 481B.
76 Ivi, c. 481C «Vir Constantinus egregius imperator, ex revelatione divina per beatum Silvestrum fuit a lepra in baptismo mundatus, Urbem pariter et senatum cum hominibus et dignitatibus suis, et omne regnum Occidentis ei tradidit et dimisit, secedens et ipse Byzantium, et regnum sibi retinens Orientis. Coronam vero capitis sui voluit illi conferre: sed ipse pro reverentia clericalis coronae, vel magis humilitatis causa, noluit illam portare; verumtamen pro diademate regio utitur aurifrigio circulari».
77 Ibidem.
78 Ivi, cc. 481D-482A: «Romanus itaque pontifex in signum imperii utitur regno, et in signum pontificii utitur mitra; sed mitra semper utitur et ubique; regno vero, nec ubique, nec semper: quia pontificalis auctoritas et prio est, et dignior et diffusior quam imperialis».
79 I passi biblici su cui Innocenzo poggia la propria argomentazione sono Ger 1,10; Mt 16,17-18; Gv 21,18. Il ruolo centrale che la Bibbia ha quale fondamento del ragionamento giuridico per Innocenzo III rispecchia una tendenza già codificata con le prime grandi collezioni della fine dell’XI e inizio XII secolo. In apertura del Decretum di Ivo di Chartres, si legge una citazione di Agostino che spiega come la Scrittura contenga sia cose che debbono essere sconosciute e credute, sia precetti da rispettare sia, infine, indicazioni su opere da compiere. Si veda al riguardo Ivo Carnotensis, Decretum, I 1. I tre passi della Scrittura qui richiamati, in particolare, ebbero un ruolo di primo piano nella costruzione della dottrina dei canonisti relativa alla potestas papale. A Ger 1,10 ha dedicato un significativo studio Yves Congar, mostrando il modo in cui è mutata l’interpretazione del versetto in questione. Si veda Y. Congar, Ecce costitui te super gente set regna (Jér. 1. 10) “in Geschichte und Gegenwart”, in Theologie in Geschichte und Gegenwart. Michael Schmaus zum sechzigsten Geburtstag dargebracht von seinen Freunden und Schülern, hrsg. von J. Auer, H. Volk, München 1957, pp. 671-696.
80 Innocentius III, Sermo VII, cit., c. 482C.
81 X 1.6.34, ed. Friedberg, II, c. 80.
82 Si veda X 4.17, ed. Friedberg, II, cc. 714-716. Riguardo alla decretale Per venerabilem si vedano B. Tierney, “Tria Quippe Distinguit Iudicia…”. A Note on Innocent III’s Decretal Per Venerabilem, in Speculum, 37 (1962), pp. 48-59, riedito in B. Tierney, Rights, Laws and Infallibility in Medieval Thought, Aldershot 1997; K. Pennington, Pope Innocent III’s Views on Church and State: A Gloss to ‘Per Venerabilem’, in Law, Church and Society: Essays in Honour of Stephen Kuttner, ed. by K. Pennington, R. Somerville, R.A. Aronstam, Philadelphia 1977, pp. 49-67, riedito in K. Pennington, Popes, Canonists, and Texts 1150-1550, Aldershot 1993, e disponibile in rete sul sito: http://faculty.cua.edu/pennington/Medieval% 20Papacy/InnocentPerVen.htm (29 gen. 2013); D. Courtney-Batson, Per venerabilem: From Practical Necessity to Judicial Supremacy, in Pope Innocent III and His World, cit., pp. 287-303.
83 Il pontefice articola questo punto come segue: «Sunt […] sacerdotes Levitici generis fratres nostri, qui nobis iure Levitico in exsecutione sacerdotalis officii coadiutores existunt. Is vero super eos sacerdos sive iudex exsistit, cui Dominus inquit in Petro: “Quodcunque ligaveris super terram, erit ligatum et in coelis, et quodcunque solveris super terram erit solutum et in coelis”. Eius vicarius, qui est sacerdos in aeternum secundum ordinem Melchisedech, constitutus a Deo iudex vivorum et mortuorum. Tria quippe distinguit iudicia: primum inter sanguinem et sanguinem, per quod criminale intelligitur et civile; ultimum inter lepram et lepram, per quod ecclesiasticum et criminale notatur; medium inter causam et causam, quod ad utrumque refertur, tam ecclesiasticum quam civile, in quibus quum aliquid fuerit difficile, vel ambiguum, ad iudicium est sedis apostolicae recurrendum, cuius sententiam qui superbiens contempserit observare mori praecipitur et auferri malum de Israel, id est, per excommunicationis sententiam, velut mortuus, a communione fidelium separari. Paulus etiam, ut plenitudinem potestatis exponeret, ad Corinthos scribens ait: “nescitis, quoniam angelos iudicabitis, quanto magis saecularia?” Porro saecularis officium potestatis interdum et in quibusdam per se, nonnunquam autem et in nonnullis per alios exsequi consuevit», X 4.17, ed. Friedberg, II, c. 716.
84 Si veda J.A. Watt, The Theory of Papal Monarchy, cit., p. 249.
85 Il concetto di plenitudo potestatis resta centrale per tutta la riflessione canonistica nel corso del XIII secolo, come mostrato in W.D. McCready, Papal Plenitudo Potestatis and the Source of Temporal Authority in Late Medieval Papal Hierocratic Theory, in Speculum, 48 (1973), pp. 654-674; K. Pennington, The Canonists and Pluralism in the Thirteenth Century, in Speculum, 51 (1976), pp. 35-48. Un quadro storico che lega l’evoluzione del concetto al modificarsi delle nozioni di ecclesia e christianitas si deve a Gerhart Ladner. Si veda G.B. Ladner, The Concepts of «Ecclesia» and «Christianitas» and Their Relation to the Idea of Papal «Plenitudo Potestatis» from Gregory VII to Boniface VIII, in Sacerdozio e Regno da Gregorio VII a Bonifacio VIII. Studi presentati alla sezione storica del congresso della Pontificia Università Gregoriana (13-17 ottobre 1953), Roma 1954, pp. 49-77; A. Paravicini Bagliani, Il trono di Pietro. L’universalità del papato da Alessandro III a Bonifacio VIII, Roma 1996, pp. 91-118.
86 Si vedano J.A. Watt, The Theory of Papal Monarchy, cit., pp. 249-250; B. Tierney, Papal Political Theory in the Thirteenth Century, cit., pp. 242-243. Su Innocenzo IV si veda A. Melloni, Innocenzo IV. La concezione e l’esperienza della cristianità come regimen unius personae, Genova 1990.
87 Si veda J.A. Watt, The Theory of Papal Monarchy, cit., p. 237.
88 Nella lettera indirizzata all’imperatore Gregorio IX osserva: «Praedictus Constantinus qui singularem super universa mundi climata monarchiam obtinebat, una cum toto senatu et populo non solum Urbis, sed in toto Romano imperio constituto, unanimi omnium accedente consensu, dignum esse decernens ut sicut principis Apostolorum vicarius in toto orbe sacerdotii et animarum regebat imperium, sic in universo mundo rerum obtineret et corporum principatum, et existimans illum terrena debere sun habena iustitiae regere cui Dominum noverat in terris coelestium regimen commisisse, Romano pontifici signa et sceptra imperialia, Urbem cum toto ducatu suo quam apparsis in ea pecuniis nobis turbare moliris, illius sequens exemplum qui absorbens fluvium non miratur et sperans quod Iordanis influat in os eius, suo est voto fraudatus, necnon et imperium cure perpetuo tradidit, et nefarium reputans ut ubi caput totius christianae religionis ab imperatore coelesti disponitur, ibidem terrenus imperator potestate aliqua fungeretur, Italiam Apostolice dispositioni relinquens, sibi novam in Grecia mansionem elegit», testo tratto da J.-L.-A. Huillard-Bréholles, Historia diplomatica Frederici Secundi, IV/2, Parigi 1855, pp. 914-923, in partic. 921-922.
89 Si vedano A. Melloni, Innocenzo IV, cit., pp. 89-90; M. Conetti, L’origine del potere legittimo, cit., p. 42-44.
90 Si veda M. Conetti, L’origine del potere legittimo, cit., pp. 44-46.
91 Innocentius IV, Apparatus in quinque libros Decretalium, II, Frankfurt 1570, titulus 27, c. 27, pp. 317 r-v.
92 Sulla Aeger cui lenia si vedano: W. Ullmann, Frederick II’s Opponent, Innocent IV, as Melchisedek, in Atti del Convegno Internazionale di Studi Federiciani (10-18 dicembre 1950), Palermo 1962, pp. 53-81, riedito in Id., Law and Jurisdiction in the Middle Ages, London 1988, n. V; J.A. Watt, Mediaeval Deposition Theory: a Neglected Canonist ‘Consultatio’ from the First Council of Lyons, in Studies in Church History, II, Papers Read at the Second Winter and Summer Meetings of the Ecclesiastical History Society, ed. by G.J. Cuming, Melbourne 1965, pp. 197-214; P. Herde, Ein Pamphlet der päpstlichen Kurie gegen Kaiser Friederich II. von 1245/46 (‘Eger cui lenia’), in Deutsches Archiv für Erforschung des Mittelalters, 23 (1967), pp. 468-538; C. Dolcini, «Eger cui lenia» (1245/46): Innocenzo IV, Tolomeo da Lucca, Guglielmo d’Ockham, in Rivista di Storia della Chiesa in Italia, 29 (1975), pp. 127-148, riedito in Id., Crisi di poteri e politologia in crisi. Da Sinibaldo Fieshi a Guglielmo d’Ockham, Bologna 1988, pp. 119-144. Sui rapporti fra Federico II e Gregorio IX si veda anche K. Pennington, Gregory IX, Emperor Frederick II, and the Constitutions of Melfi, in Popes, Teachers, and Canon Law in the Middle Ages, ed. by J. Ross Sweeney, S. Chodorow, Ithaca-London 1989, pp. 53-61.
93 Innocentius IV, Aeger cui lenia, in P. Herde, Ein Pamphlet der päpstlichen Kurie, cit., pp. 520-521.
94 Ivi, pp. 521-522.
95 Si veda A. Melloni, Innocenzo IV, cit., pp. 152-153.
96 Potthast n. 21362, e in Liber Sextus VI 1.6,17, ed. Friedberg, II, c. 957.
97 Sul cardinal Ostiense si veda K. Pennington, s.v. Enrico da Susa, detto l’Ostiense, in Dizionario Biografico, cit., XLII (1993), pp. 758-763.
98 Hostiensis, Summa, IV, rubr. Qui filii sint legitimi, n. 10, Venetiis 1570, f. 361r: «Quo ad maioritatem unum caput est tantum, scilicet Papa; nam unus debet tantum esse caput nostrum dominus spiritualium et temporalium qua ipsius est orbis et plenitudo eius». Riguardo alla concezione della plenitudo potestatis elaborata dall’Ostiense si vedano J.A. Watt, The Use of the Terma ‘Plenitudo Potestatis’ by Hostiensis, in Proceedings of the Second International Congress of Medieval Canon Law, (Boston 12-16 August 1963), ed. by S. Kuttner, J.J. Ryan, Città del Vaticano 1965, pp. 161-187 e B. Tierney, Hostiensis and Collegiality, in Proceedings of the Fourth International Congress of Medieval Canon Law (Toronto 21-25 August 1972), ed. by S. Kuttner, Città del Vaticano 1976, pp. 401-409, ripubblicato in B. Tierney, Rights, Laws and Infallibility in Medieval Thought, London 1997, n. X.
99 Ibidem. Considerazioni simili si ritrovano in un altro passo della Summa dove si legge: «96 dist. bene quidem. Argum. 23.q.5. ad finem numquid enim dices, quod populus Romanus qui potestatem suam transtulit in principem, et post ea abstulit, ut nota supra de consti. § quis possit. Verum item popolus hanc revocationem facere potuit, ita, quod princeps nullam habeat hodie potestatem, et nunquid potestatem, et dignitatem quam Constantinus dedit ecclesiae Romanae, ut Papa cunctis sacerdotibus, et totius mundi princeps existat et eius iudicio quae ad Dei cultum, vel fidem Christianorum, vel ad stabilitatem procuranda fuerit, disponat. 96. Dist. Constantinus. Idem Imperator posset hodie revocare, certe nec Imperatori, nec cuilibet laico. De electione summi Pontificis, vel de rebus ecclesiasticis licet discernere auctoritate propria, immo quaecumque ab eis constituta sunt pro infectis habenda sunt: nisi subscriptione Romani Pontificis fuerint roborata. 97.dist.§1. et per totum. Et 96.dist.per totum. Et quando Imperator ecclesiae donat, optima mensura est immensitas, non debet quis causari, quod hoc ei non liceat. Sic loquitur manifeste in authentica de rebus ecclesiasticis, non aliae si nimis col.1.», Ivi, III, rubr. De immuni tate ecclesiae, n. 12, cit., f. 318rB-vA. Si veda D. Maffei, La Donazione di Costantino, cit., pp. 89-90.
100 Hostiensis, Lectura in secundum Decretalium, X 2.26.17 c. Si diligenti, ed. Venetiis 1581, f. 153v. Si veda D. Maffei, La Donazione di Costantino, cit., pp. 91-92.
101 D. Maffei, La Donazione di Costantino, cit., pp. 70-76.
102 Accursius, Glossa ordinaria al Corpus Iuris Civilis, ed. Venetiis, per Baptistam de Tortis, 1492, f. 11v.
103 Si legge nella Glossa accursiana: «Licet solutio facti ad nos non pertineat, solvimus de iure quod non valuit talis collatio sive donatio», Accursius, Glossa ordinaria, cit., f. 11v.
104 Si veda M. Conetti, L’origine del potere legittimo, cit., pp. 34-38. Riguardo al modo in cui Accursio traccia le specificità del potere temporale e la sua indipendenza dalla potestas spirituale si veda B. Tierney, “The Prince is Not Bound by the Laws”, cit.
105 Si veda D. Maffei, La Donazione di Costantino, cit., pp. 105-120; M. Conetti, L’origine del potere legittimo, cit., pp. 55-61.
106 Iacobus de Ravanis, Lectura super prima parte Codicis, rubrica De emendazione Iustiniani Codici set eiusdem editione, s.v. Augustus, ed. Parrhisiis, apud Galleotum Dupré, 1519, f. 1r-v.
107 Iacobus de Ravanis, Lectura Codicis, mss. Leiden, Bibliotheek der Rijksuniversiteit, d’Ablaing 2, f. 1vb; Napoli, Biblioteca Nazionale, III.A.6, f. 1vb, citato in D. Maffei, La Donazione di Costantino, cit., p. 113.
108 In un testo del 1265 Manfredi arriva a parlare di inprovidus Constantinus per qualificare il presunto atto di donazione da parte dell’imperatore. Si veda al riguarda D. Maffei, La Donazione di Costantino, cit., p. 91.
109 Petri de Bellapertica, In libros Institutionum commentaria, Rubricae Institutionum, n. 12, ed. Lugduni, apud haeredes Simonis Vincentii, 1536, p. 12.
110 Sulle posizioni di Pierre de Belleperche, si veda M. Conetti, L’origine del potere legittimo, cit., pp. 70-72.
111 Sulla Unam Sanctam si vedano M.-D. Chenu, Dogme et théologie dans la bulle ‘Unam Sanctam’, in Recherches de Science Religieuse, 40 (1951-1952), pp. 307-316, ristampato in Id., La Parole de Dieu. I, La Foi dans l’intelligence, Paris 1964, pp. 361-369; A. Paravicini Bagliani, Bonifacio VIII, Torino 2003, pp. 285-293; Id., Il trono di Pietro, cit., pp. 172-174.
112 Bonifacius VIII, Unam Sanctam, in Les Registres de Boniface VIII, IX, n. 5382, éd. par G. Digard, Parigi 1906, c. 889: «Uterque ergo in potestate Ecclesiae spiritualis scilicet gladius, et materialis, sed is quidem pro ecclesia, ille vero ab ecclesia exercendus, ille sacerdotis, is manu ragum et militum, sed ad nutum, et patientiam sacerdotibus. Oportet autem gladium esse sub gladio et temporalem auctoritatem spirituali subici potestati».
113 Si veda Iohannes de Parisius, Tractatus de potestate regia et papali, c. 21, in J. Leclercq, Jean de Paris et l’ecclésiologue du XIIIe siècle, Paris 1942, pp. 243-247. Su Giovanni di Parigi e le sue posizioni dottrinali si vedano: P. Saenger, John of Paris, Principal Author of the ‘Quaestio de potestate papae (Rex pacificus)’, in Speculum, 56 (1981), pp. 41-55; M. Conetti, L’origine del potere legittimo, cit., pp. 72-85.
114 La Pastoralis cura intendeva chiudere la controversia fra l’imperatore Enrico VII e il re di Napoli Roberto d’Angiò. Di fronte all’enciclica dell’imperatore emessa contro il re di Napoli, la Ad Reprimendum (1313), Clemente V rispose condannando il gesto del sovrano che violava, secondo la logica imperiale, il principio per cui i contrasti fra i sovrani all’interno della christianitas dovevano essere risolti da un giudizio di una potestas superiore, in questo caso quella pontificia. Il testo della Pastoralis cura, incluso nella collezione delle Clementinae, chiarisce: «Nos quoque, regis ordinarius iudex, quod ad imperatoris iudicium citaremus vel citari aut remitti faceremus eundem, nequaquam fuimus requisiti. Immo, licet ad nos et curiam nostram temporibus illis rumores frequenter de curia imperatoris venirent, et iuxta eum etiam quidam ex fratribus nostris essent: prius tamen dictae sententiae promulgatio, quam aliquid de processibus antecedentibus, ad audientiam nostra pervenit. Denique licet rex ipse terras aliquas ab imperatore tenere dicatur in feudum: non tamen in eis, sed in regno praefato domicilium suum fovebat. Unde imperator in ipsius personam nullam ratione terrarum huiusmodi, nisi ex natura feudorum, debitam superioritatem habebat». Clem. 2.11.2, ed. Friedberg, II, c. 1152. Il pronunciamento del pontefice rappresenta una sorta di fissazione di un nuovo quadro giuridico europeo, nel quale la potestas imperiale ha definitivamente perso il carattere di universalità che la qualificava. L’imperatore è oramai posto sullo stesso piano degli altri sovrani cristiani, sia de facto che de iure; egli non detiene più una posizione di preminenza che lo rende giudice supremo. Questo compito spetta oramai solo al pontefice, che si pone al di sopra di tutti i sovrani temporali. Lo esplicita con chiarezza lo stesso Clemente V concludendo la Pastoralis cura: «Nos tam ex superioritate, quam ad imperium non est dubium nos habere, quam ex potestate, in qua vacante imperio imperatori succedimus, et nihilominus ex illius plenitudine potestatis, quam Christus Rex regum et Dominus dominantium nobis, licet immeritis, in persona beati Petri concessit, sententiam et processus omnes praedictos, et quicquid ex eis secutum est vel occasione ipsorum, de fratrum nostrorum consilio declaramus fuisse ac esse omnino irritos et inanes, nullumque debere aut debuisse sortiri effectum seu nocumentum, vel notam afferre cuiquam, vel quomodolibet attulisse», Clem. 2.11.2, ed. Friedberg, II, c. 1153. Sul testo di Clemente V si veda W. Ullmann, The Development of the Medieval Idea of Sovreignty, in The English Historical Review, 64 (1949), pp. 1-33, ristampato in Id., Law and Jurisdiction in the Middle Ages, cit., n. VII. Sulla Ad Reprimendum di Enrico VII si veda invece V.F. Guillén, El proceso en la Extravagante «Ad Reprimendum» del emperador Enrique VII (1313) y su exégesis por Bartolo de Sassoferrato. Sumariedad penal y civil, in Anuario de Historia del Derecho Español, 63 (2003), pp. 265-286. Un’analisi più generale del conflitto fra Enrico VII e Roberto di Napoli e sul peso del pronunciamento di Clemente V si trova in K. Pennington, The Prince and the Law, 1200-1600. Sovereignty and Rights in the Western Legal Tradition, Berkeley-Los Angeles-Oxford 1993, pp. 165-201. Si veda inoltre S. Menace, Clement V, Cambridge 1998, pp. 170-171.
115 Riguardo alla posizione dell’Alighieri si veda L. Banfi, Costantino in Dante, in Costantino il Grande, cit., I, pp. 91-103 e il contributi di D. Quaglioni in questa stessa opera.
116 Si vedano: E. Lewis, The “Positivism” of Marsiglio of Padua, in Speculum, 38 (1963), pp. 541-582; M. Damiata, Guglielmo d’Ockham: Povertà e potere, II, Il potere come servizio dal ‘Principatus dominativus’ al ‘Principatus ministrativus’, Firenze 1979; Id., Plenitudo potestatis e universitas civium in Marsilio da Padova, Firenze 1983; J. Miethke, De potestate papae. Die päpstliche Amtskompetenz im Widerstreit der politischen Theorie von Thomas von Aquin bis Wilhelm von Ockham, Tübingen 2000 (trad. it. Ai confini del potere: il dibattito sulla ‘potestas’ papale da Tommaso a Guglielmo d’Ockham, Padova 2005); Costantino il Grande tra medioevo ed età moderna, cit.; J. Miethke, La Donazione di Costantino e la controversia pubblicistica tra papa e imperatore nel XIV secolo, pp. 51-79; G. Piaia, Il ruolo dell’imperatore Costantino in Marsilio da Padova, pp. 121-130.
117 Un punto di riferimento per questo genere di ricerche è rappresentato dagli studi di Boudewijn Sirks e John Noël Dillon relativi all’influenza della legislazione costantiniana sulla giurisprudenza pre-giustinianea. Si vadano al riguardo: A.J.B. Sirks, The Theodosian Code. A Study, Friedrichsdorf 2007; J.N. Dillon, The Justice of Constantine. Law, Communication, and Control, Ann Arbor 2012, pp. 12-34 e 251-258.