MUNARI, Costantino
– Nacque a Calto, un piccolo comune del Polesine in provincia di Ferrara, il 1° gennaio 1772, da Antonio, possidente, e da Elisabetta Muchiati.
Stando alle Memorie di Alessandro Andryane (1861), che riferisce una testimonianza di Piero Maroncelli, nel corso degli studi compiuti presso le Università di Bologna e di Padova aveva sviluppato un’autentica passione per l’età classica che gli rimase anche dopo essersi addottorato in quattro diverse facoltà: filosofia, diritto, diritto canonico e medicina.
Trasportato sul terreno civile questo culto per la classicità, fatto inizialmente di profonda ammirazione per i costumi degli antichi, si tradusse – soprattutto dopo la Rivoluzione francese – in convinta adesione a una forma di repubblicanesimo molto austera, rafforzata e aggiornata attraverso la lettura degli illuministi, di Voltaire e Rousseau in particolare.
Attratto dal clima rivoluzionario, dopo le prime esperienze nei circoli politici massonici che all’indomani del 1789 presero a fiorire clandestinamente anche in Italia, nel 1793 si recò a Parigi dove prese contatto con gli ambienti giacobini. Forse derivò da queste conoscenze la decisione, presa dal corso Antoine Saliceti, uomo di fiducia di Napoleone Bonaparte nonché capo della polizia, di affidargli nel 1798 la guida di una delle sei commissioni criminali di alta polizia istituite per sorvegliare ed eventualmente colpire gli oppositori della Repubblica Cisalpina, e soprattutto gli ecclesiastici: compito che Munari svolse con grande severità non esente da eccessi repressivi. Nel 1799, con il ritorno di Ferrara sotto la dominazione papale, toccò a lui essere arrestato e finire nella fortezza di Peschiera, il 13 marzo 1800. Due mesi dopo, sottoposto a processo, venne assolto.
Di lì a poco la ricostituzione della Cisalpina a opera di Napoleone di nuovo vittorioso sembrò aprire nuove prospettive a chi sperava che la presenza francese potesse rendere l’Italia indipendente. Eletto deputato per la Consulta di Lione convocata all’inizio del 1802, Munari non tardò a restare deluso dalla svolta moderata compiuta dal generale francese, subito ribadita dalla sottrazione alla Consulta di ogni potere costituente e dalla creazione di una Repubblica italiana totalmente soggetta ai suoi voleri. Si ritirò allora a Calto per dedicarsi alla bonifica di alcuni possedimenti e al commercio dei grani. Malgrado lo scioglimento della prima società segreta in cui aveva militato, probabilmente mantenne i contatti col mondo delle sette ma senza poter far nulla per contrastare il nuovo regime.
Con la fine del dominio napoleonico, deluso anche dall’esito infelice del tentativo antiaustriaco di Gioacchino Murat, tornò alla cospirazione inserendosi nelle fitte trame che collegavano tra loro i settari di tutta l’Italia settentrionale. Esponente di punta della Guelfia, una delle organizzazioni carbonare largamente presenti e attive nella zona di confine tra l’Austria e lo Stato pontificio, in una riunione dei capi delle vendite locali tenutasi a Bologna alla fine del 1817 fu incaricato di redigere un progetto di fusione tra la Guelfia rinnovata e la carboneria. Il testo che preparò e che fu adottato prese il nome di Costituzione latina: si trattava in pratica di un piano di riorganizzazione che prevedeva una divisione dell’Italia, una volta liberata, in undici regioni rette da un Senato e da vari Tribunati; caratteristica delle basi culturali di Munari era la proposta di attribuzione di un nome latino agli affiliati di grado più alto.
Vienna non tardò molto a rintracciare le fila di questa nuova trama che apparve in tutta la sua pericolosità sin dai primi arresti e dalle confessioni che ne seguirono. Munari fu arrestato il 20 dicembre 1818 in seguito alle ammissioni di Antonio Villa e fu subito trasferito sull’isola di S. Michele, presso Murano, e poi a Venezia subendo tra il 1819 e il 1821 molti interrogatori per opera del giudice Antonio Salvotti e di altri inquirenti.
Nel vano tentativo di difendersi, affermando per esempio che la Costituzione latina non era mai stata adottata ma contraddicendosi su questo punto più volte, Munari, portato davanti alla Commissione speciale di prima istanza, fece alcuni nomi e altri ne ritrattò, parlò dei collegamenti con società segrete piemontesi e lombarde, ammise di aver preso parte a varie riunioni, negò di aver cospirato nelle zone soggette all’Austria e di conoscere l’identità dei grandi dignitari milanesi o la composizione del presunto Gran consiglio di tutte le sette. Lo compromisero le testimonianze di altri inquisiti (Antonio Solera e Felice E. Foresti); tuttavia, almeno in parte, fu creduto anche per via di un atteggiamento molto dignitoso che spinse il giudice Antonio Mazzetti a descriverlo come un «uomo che per il carattere che spiegò mi parve ancor più mirabile degli altri» (Sandonà, 1911, p. 226).
Fu condannato a morte per alto tradimento dal Senato di Venezia il 18 maggio 1821, malgrado la maggioranza dei giudici lo avesse ritenuto imputabile al massimo come «perturbatore della tranquillità pubblica» (Luzio, 1903, p. 34); e Salvotti, dopo essersi battuto per la pena di morte, aveva dovuto convenire che non c’erano gli estremi per un giudizio così duro. Alla fine, quando già la sentenza di morte gli era stata comunicata, fu l’imperatore a evitargli l’impiccagione con la sovrana risoluzione dell’11 dicembre 1821 che commutò la pena capitale in vent’anni di carcere duro a patto, precisò, che il condannato facesse altre rivelazioni: condizione che Munari non rispettò perché non aveva più nulla da dire, e tuttavia la decisione finale restò quella più mite.
Il convoglio che lo portò allo Spielberg impiegò un mese, dal gennaio al febbraio 1822, per compiere il tragitto da Venezia a Brno. Munari, che già era stato male durante la detenzione in Italia, patì moltissimo sia il viaggio sia il trattamento che, non diversamente dagli altri condannati, gli fu riservato: i compagni di pena Piero Maroncelli e Silvio Pellico, di cui Munari trovò la «società assai piacevole», lo avrebbero poi descritto come un vecchio di 70 anni quando non ne aveva che 52. Le visite mediche cui fu sottoposto non migliorarono la sua condizione e nel 1832 un colpo apoplettico lo lasciò semiparalizzato. Informato di tutto, l’imperatore Francesco I non concesse nessuna attenuante alle restrizioni più dure né volle firmare la grazia di cui lo stesso Munari aveva fatto richiesta con l’approvazione delle autorità di polizia adibite alla sorveglianza. La grazia arrivò, sotto forma di condono della parte di pena che gli restava da scontare, il 4 marzo 1835 ossia due giorni dopo che al da poco defunto Francesco I era succeduto Ferdinando, ma la scarcerazione non fu immediata. Solo il 18 agosto Munari poté rivedere Venezia e di qui trasferirsi a Calto dove, sottoposto sempre a strettissima sorveglianza nonostante la salute ormai compromessa, non visse che altri due anni.
Morì il 2 ottobre 1837.
Fonti e Bibl.: A. Andryane, Memorie d’un prigioniero di stato nello Spielberg, III, Milano 1861, pp. 84 s.; A. Vannucci, I martiri della libertà italiana dal 1794 al 1848, Milano 1880, ad ind.; A. Luzio, Il processo Pellico-Maroncelli secondo gli atti officiali segreti, Milano 1903, pp. 15, 17, 19, 29, 31, 34 s.; I carbonari dello Stato pontificio ricercati dalle inquisizioni austriache nel regno Lombardo-Veneto, 1817-1825: documenti inediti, a cura di A. Pierantoni, Roma 1910, pp. 99, 101, 107, 236-277, 358 s., 363; A. Sandonà, Contributo alla storia dei processi del Ventuno e dello Spielberg:dagli atti officiali segreti degli archivi di Stato di Vienna e dal carteggio dell’imperatore Francesco I. Co’ suoi ministri e col presidente del Senato Lombardo-Veneto del Tribunale supremo di giustizia, 1821-1838, Torino 1911, ad ind.; S. Pellico, Le mie prigioni, con Le Addizioni di P. Maroncelli e un discorso di A. Alfani intorno alla vita e alle opere dell’autore, Milano s.d., pp. 187, 286 ss.; Processi politici del Senato Lombardo-Veneto 1815-1851, a cura di A. Grandi, Roma 1976, ad ind.; A. Danza, C. M.: il carbonaro di Calto, Ferrara 1983; G. Fioravanti, C. M. e la Carboneria, in Ventaglio novanta (gennaio 2007), 34 (rivista on line, consultabile nel sito www.ventaglio90.it); Spielberg: documentazione sui detenuti politici italiani. Inventario, 1822-1859, a cura di L. Contegiacomo, Rovigo 2010, ad indicem.