LORENZI, Costantino
Nacque a San Nicolò di Terragnolo, presso Rovereto, nel 1754. La distruzione dell'archivio parrocchiale ha cancellato ogni traccia della famiglia, che si sa comunque umile e poverissima, tanto che impegnò il L., sin da bambino, in mestieri artigianali alternati fino all'età adulta allo studio, a cui era stato inizialmente avviato da uno zio materno. Passò quindi sotto la protezione dell'abate G. De Biasi, che lo educò allo studio del latino e alle eleganze "toscane", a metà Settecento strenuamente difese dagli Accademici Agiati roveretani. Indirizzato dallo stesso De Biasi alla carriera ecclesiastica e ordinato sacerdote, il L. ottenne, grazie anche a Clementino Vannetti, la cattedra di retorica e umane lettere nel ginnasio di Rovereto, dove insegnò fino all'invasione napoleonica. Verso la metà degli anni Settanta era già bene introdotto nella cerchia letteraria dei Saibante-Vannetti e in legame di amicizia sempre più saldo con Clementino, del quale per vent'anni fu "socius et consors studiorum" (Beltrami, p. II) e che lo menzionò spesso con ampie lodi nei suoi scritti. Tanta generosità fu ripagata dal L. con la pubblicazione dei Clementini Vannettii equitis epistolarum libri quinque (Papiae 1795), riproposti con parecchi aggiustamenti (Roboreti 1805), ai quali allegò un Commentariolum de eodem Vannettio che ha costituito fin quasi a oggi la fonte biografica precipua sul L. (tradotto e pubblicato a Rovereto nello stesso anno come Memorie intorno alla vita e agli scritti di Clementino Vannetti).
Nel 1780 il L. fu aggregato alla locale Accademia, di cui Vannetti era diventato segretario perpetuo, dove pronunciò un'orazione latina su s. Tommaso tanto forbita da meritargli il nome accademico di Aquino.
Le sue concezioni linguistiche e letterarie risentono fortemente della frequentazione dell'amico e dell'adunanza colta roveretana (L. Saibante, G.B. Graser, G.A. Festi, C. Rosmini, G. Pederzani), nella ferma convinzione del primato culturale italiano, nella scrittura in latino, coltivata con straordinaria passione per tutta la vita, e infine nei versi italiani recitati in occasioni di nozze e nascite regali, dei quali restano poche tracce (Per le nozze del nobil sign. Giuseppe Libera con la nobil signora Regina Cadlpergher. Anacreontica, Rovereto 1799; La madre, Trento 1810; Al chiarissimo sign. Tommaso Festi nelle sue nozze. Epistola, Rovereto 1813; Per le nozze del sign. Leopoldo d'Arco con la signora Maria di Thunn. Poemetto, Trento 1813).
La sua fedeltà alla tradizione retorica più consolidata è ben testimoniata dall'Oratio de elegantia sermonis (Roboreti 1792), pronunciata "in solemni praemiorum distributione" nel ginnasio cittadino e ristampata in traduzione italiana (Orazione intorno al numero dell'oratore, Rovereto 1793), che riflette l'intransigente difesa della tradizione classica nella cerchia di Vannetti. Il L. vi affermò la necessità da parte dell'oratore di una più che profonda perizia retorica dovendo egli, "Proteo che ognor cangia forma" (p. 11), misurarsi in ogni stile a seconda dell'uditorio e abbellire ogni soggetto per acquistare "con la grazia del dire [(] fede" (p. 17); donde lo strettissimo vincolo tra vera eloquenza e poesia, senza la quale la prima non sarebbe mai possibile, perché priva del ritmo armonioso che, solo, può accordare vigore e bellezza all'orazione: "Il numero dunque tutto insieme legando, e vivificando è quello, che più vaghi rende i pensieri, più robuste le sentenze, più giocondi i raccontamenti, più energiche le ragioni, più belle le immagini, più animate le figure, più luminosi i traslati, e ad ogni senso, e parola moto, e speditezza, e leggiadria compartendo, e certo calor vitale comunicando forma più graziosa, più forte, più rapida, più evidente l'orazion tutta" (p. 21). Di qui l'invito alla pratica assidua della poesia classica, mai superata e ancora indispensabile per "ringentilire", associandovi tuttavia sostanza, la lingua.
La tempesta rivoluzionaria abbattutasi di lì a poco anche sul "Circolo ai confini d'Italia", sconvolgendo gli ordini tradizionali e gli istituti culturali, non incrinò le sue opinioni linguistico-letterarie né l'ideale della repubblica delle lettere e dei buoni ingegni a cui, pur "humili loco et genere ortus" (Beltrami, p. I), era stato ammesso, riaffermato con forza in una Oratio de litteratorum hominum amicitia colenda (Roboreti 1798). Fu uno sguardo nostalgico al passato l'opera più importante del L., De vita Hieronymi Tartarotti libri III, in forbito stile ciceroniano, che riproponeva in appendice il Commentariolum de Clementino Vannettio (ibid. 1805) e determinò in tal modo le coordinate fondamentali della cultura settecentesca trentina.
Dalle prime pagine l'enfasi agiografica fissa, solitaria e ardimentosa, la figura di un Tartarotti riformatore della cultura locale, da lui affrancata da una secolare minorità nei confronti di quella italiana: "Erat [(] in his quoque extremis Italiae finibus [(] omne poesis genus ita corruptum, [(], ut ad pristinam dignitatem nunquam revocari posse videretur. At Hieronymus [ad] patriam [(] ab illa studiorum peste liberandam omni cogitatione ferebatur" (p. 14). La biografia istituiva uno schema tripartito accolto in ricostruzioni successive, a partire da quella nota di F. Ambrosi. Dopo un'epoca di "declino" e corrotto gusto secentesco, marcata dall'egemonia assoluta in ogni campo del principato vescovile (sopravvivenza politico-giuridica caratteristica più del mondo tedesco che non dell'Italia: evidente qui la germanofobia assorbita dal Vannetti), erano seguiti un'energica "riscossa", cadenzata dalla lenta riconquista dell'identità "latina", e un risoluto "progresso", che si sarebbe dovuto ovviamente concludere nel riabbraccio definitivo con la patria culturale naturale.
Sotto il governo bavarese (1806-10) il L. passò al ginnasio di Trento, dove insegnò per quasi un decennio e fu prefetto dal 1813 al 1817. Sono di quegli anni composizioni poetiche (sonetti, anacreontiche, canzoni, i Versi sciolti dedicati a P. Beltrami, Rovereto 1803), tra cui spiccano cinque poemetti in italiano di forte impronta classicistica e di omaggio ad autorità locali (Per le nozze Tommaso Festi - Angelica Fontana Benedetti, Rovereto 1813; Per le nozze Leopoldo d'Arco - Maria di Thunn, Trento 1813) e al potere politico di turno (Per la nascita del re di Roma, ibid. 1811; Il Tirolo riunito al dominio della casa d'Austria, ibid. 1814). Accenti più sinceri vi erano stati in un precedente poemetto, La madre, composto per le nozze di G. Gazzoletti con S. Negri d'Arco.
Nel 1813-14 il L. fu tra i rifondatori dell'Accademia degli Agiati, che nei rivolgimenti istituzionali di quasi un ventennio si era ridotta a cinque soci. Tra Trento e Rovereto frequentò assiduamente i letterati, storici e archeologi locali (G. Pederzani, P. Beltrami, B. Stoffella, A. Rosmini, G.B. Garzetti, P. Zajotti, A. Mazzetti, V. Barbacovi), trovandone il sostegno alle idee sulla lingua e l'educazione enunciate in due orazioni che condensano le proposizioni del purismo trentino: Intorno alla eleganza della lingua italiana (ibid. 1812), pronunciata il 2 dic. 1811 "nella solenne apertura del Ginnasio"; Della necessità della lingua latina (ibid. 1813), recitata l'8 dic. 1812 "nel riaprimento solenne" del medesimo ginnasio.
Nella prima, contro lo scadimento in cui la lingua italiana "con grave danno delle buone lettere presentemente si trova" (p. 6), corrotta dai forestierismi che come tanti "proci [(] insidiano il verginale suo onore" (p. 10), il L. proponeva l'imitazione dei toscani tre-cinquecenteschi, "i più sicuri giudici e quasi depositari della medesima" (p. 12), evitando "novelli sdolcinati scrittori" (p. 17) per appoggiarsi alla consacrata triade Dante, Petrarca, Boccaccio, i quali "debbono essere considerati come i principali creatori del nostro bellissimo Idioma, e letti come fonte [(] e inesausta miniera di quell'atticismo, che si fe' sentire, come abbiam detto, in quel secolo fortunato, [(] e giunse a quell'altezza, a cui poscia non fu veduto salire giammai, quantunque la Lingua Italiana ne' secoli susseguenti abbia avuto accrescimento, ringentilimento, e dilatazione per opera di altri valenti Scrittori sì in prosa, e sì in verso" (p. 23). A questi modelli aveva guardato con grande merito Vannetti e ora a essi si rivolgevano G. Pederzani e P. Beltrami con quanti, tra i trentini, avevano collaborato alla nuova edizione del Vocabolario della Crusca di A. Cesari. La seconda Orazione ribadiva l'universalità del latino, senza il quale nessuna scienza poteva essere conosciuta e nessuna professione esercitata "convenevolmente, e con decoro" (p. 9); lo stesso "primato" della nostra letteratura era interamente dovuto al legame diretto con la tradizione latina, perché gli Italiani "seppero dai latini il miglior latte succhiare" e con essi la poesia italiana avrebbe ora potuto "dal suo abbattimento risorgere, e innalzarsi a cantar degnamente" (p. 15).
Nel 1817, ormai malfermo di salute, il L. si ritirò dall'insegnamento e si dedicò all'ampliamento della sua scelta libreria, che poi lasciò in legato alla Biblioteca civica di Rovereto.
Il L. morì a Rovereto il 13 nov. 1821, lasciando tutto il suo patrimonio ai poveri della città.
Fonti e Bibl.: Molte lettere del L., per lo più inedite, sono conservate nella Biblioteca civica di Rovereto, nella Biblioteca comunale di Trento e nell'Archivio dell'Accademia Roveretana degli Agiati; particolarmente interessanti quelle indirizzate a C. Vannetti, G. Pederzani e P. Beltrami, relative alla questione del purismo. P. Beltrami, Elogium Constantini Lorenzii, Roboreti 1822; E. De Tipaldo, Biografia degli italiani illustri, V, Venezia 1837, pp. 120-122 (B. Gamba); A. Perini, Statistica del Trentino, Trento 1852, II, p. 285; F. Ambrosi, Scrittori ed artisti trentini, Trento 1883; L'affermazione di una società civile e colta nella Rovereto del Settecento, a cura di M. Allegri, Rovereto 2000 (sull'ambiente culturale e civile roveretano e trentino); Rovereto, il Tirolo, l'Italia: dall'invasione napoleonica alla belle époque. Atti del seminario, ( 1999, a cura di M. Allegri, Rovereto 2001, passim (sull'ambiente roveretano e trentino).