Costantino il Grande a Mosca dai Rjurikidi alla dinastia dei Romanov
La figura dell’imperatore Costantino ha segnato le principali tappe della Moscovia e dell’impero russo. Per la Russia degli zar Costantino il Grande è innanzitutto il sovrano cristiano, il protettore della Chiesa e dei cristiani ortodossi, il vincitore nel nome della croce dei pagani e degli eretici. Nel corso della sua storia, tuttavia, l’uno o l’altro aspetto hanno prevalso a seconda delle circostanze, mentre la stessa concezione del potere imperiale subiva nel corso dell’epoca moderna significative trasformazioni1.
Fin dal XIV secolo Mosca, mentre ancora disputava il titolo di gran principe alla città di Tver’, si sentiva erede della più antica tradizione della Rus’ di Kiev e i suoi sovrani si proclamavano discendenti del varjago Rjurik che aveva unito le tribù slave orientali, per prendere il controllo della ‘via dei greci’, che collegava il mar Baltico al Mar Nero. Essi si erano aperti così la strada verso Costantinopoli, che gli slavi chiamavano la ‘città imperiale’ (carĭgradŭ). Il principe di Kiev, Vladimir (958?-1015), si era convertito alla fede cristiana di tradizione orientale, prendendo in sposa la porfirogenita Anna, sorella dell’imperatore (988). Vladimir sarebbe stato battezzato a Kiev da un prelato bizantino (Teofilatto di Sebaste?), probabilmente nell’Epifania del 988, prendendo il nome cristiano di Basilio, dall’imperatore regnante2. La Pasqua successiva, dopo il previsto periodo di catecumenato di quaranta giorni, anche il popolo sarebbe stato battezzato per suo comando sulle rive del Dnepr, imponendo così il cristianesimo fra la popolazione. Durante il regno del figlio, Jaroslav il Saggio (978?-1054), convinto sostenitore della cristianizzazione, furono intrapresi importanti lavori urbanistici, che prendevano a modello Costantinopoli. In quegli anni il metropolita Ilarion, nella sua famosa omelia pasquale, il Sermone sulla Legge e sulla Grazia (Slovo o zakone i blagodati) offriva con ogni probabilità il più antico e autorevole riconoscimento della santità del primo principe cristiano della Rus’, Vladimir, definendolo così:
O imitatore del grande Costantino, pari a lui per intelligenza, pari per l’amore verso Cristo e per il rispetto verso i suoi ministri; quegli con i santi padri del concilio di Nicea stabiliva la legge per gli uomini, tu riunendoti spesso con i nostri nuovi padri, i vescovi, con molta umiltà chiedevi loro consiglio onde fissare la legge per questi uomini che da poco avevano conosciuto il Signore. Quegli aveva sottomesso a Dio l’impero fra gli elleni e i romani, tu nella Rus’. Ormai, dunque, sia da loro sia da noi Cristo è proclamato re3. Quegli e sua madre Elena consolidarono la fede, dopo aver portato la croce da Gerusalemme e averle reso gloria per tutto il loro mondo. Tu e la tua ava Ol’ga consolidaste la fede dopo aver portato la croce dalla nuova Gerusalemme, la città di Costantino, dopo averla esaltata per tutta la vostra terra4.
Con la conversione al cristianesimo la Rus’ non solo entrava a pieno diritto fra i popoli cristiani, ma assumeva modelli e forme culturali dell’Oriente cristiano. Il sovrano slavo orientale si faceva rappresentare come gli imperatori bizantini, come testimonia la monetazione dell’epoca che presenta il principe Vladimir paludato con abiti di foggia imperiale, con in mano uno scettro sormontato da una croce5. Questo processo di assimilazione della cultura bizantina, soprattutto nell’ambito pertinente alle autorità ecclesiastiche, fu promosso dai metropoliti che occuparono la cattedra kieviana, designati dal patriarca di Costantinopoli e per lo più provenienti dalle file del clero greco6.
Attraverso il culto liturgico, ma soprattutto mediante le cronache bizantine, a cominciare dalla versione slava della Cronaca di Giorgio Amartolo (IX secolo), nella Rus’ si diffuse la conoscenza della storia universale secondo la concezione bizantina. Questa sottolineava la stretta continuità dell’impero della prima e della seconda Roma e il ruolo fondamentale di Costantino nell’introduzione del cristianesimo nell’Impero romano, soprattutto nella difesa della fede contro l’eretico Ario, condannato dal primo concilio ecumenico (Nicea, 325)7. I principi della Rus’ ne traevano esempio per promuovere la diffusione della fede, soprattutto sostenendo la fondazione di chiese e monasteri, fra cui certamente le più famose furono le cattedrali di Kiev e Novgorod, entrambe dedicate a Santa Sofia, come la cattedrale eretta da Giustiniano a Costantinopoli.
In questa concezione della storia, in cui gli anni si calcolavano dalla creazione del mondo, si inserivano le vicende del mondo slavo e più in particolare della Rus’, come testimonia la prima cronaca slava orientale, la Cronaca degli anni passati o Cronaca delle epoche e degli anni, come suggerisce una più recente interpretazione. Le vicende del principato vi sono narrate anno per anno, ma in una cornice universale, illustrata nel prologo che esordisce con il diluvio universale. Facendo riferimento alla prima menzione della Rus’ nelle cronache bizantine (852) l’anonimo cronista offre il calcolo degli anni dalla creazione del mondo, come si usava a Bisanzio, considerando la figura di Costantino uno degli snodi principali della cronologia universale, immediatamente seguente la nascita di Cristo8. Nella narrazione, dedicata al principe Vladimir, il sovrano della Rus’ è definito non solo «nuovo Costantino della grande Roma», come lo erano in genere gli imperatori bizantini regnanti, ma si fa persino menzione di una malattia che avrebbe colpito il principe prima della sua conversione, riecheggiando così uno dei motivi del racconto agiografico della Vita di Costantino ed Elena9. Nella tradizionale cronologia universale, che si impose nella storiografia medievale russa, il regno di Costantino e la celebrazione del primo concilio ecumenico continuarono a rappresentare un momento fondamentale della storia umana, orientato alla seconda venuta del ‘Re dei re’ (in slavo letteralmente ‘Imperatore degli imperatori’).
Le strette relazioni con Costantinopoli si svilupparono non solo sul piano religioso e culturale, ma anche in ambito politico, come dimostrano i legami dinastici dei Rjurikidi con la famiglia imperiale. Un ruolo significativo lo giocò il matrimonio fra Anastasia, parente dell’imperatore Costantino Monomaco (1042-1055), e il gran principe Vsevolod, da cui nacque Vladimir II (1053-1125), che prese dall’illustre antenato il soprannome di Monomach. Secondo una tarda tradizione, sviluppatasi ormai nella Moscovia, l’imperatore bizantino avrebbe donato al ‘nipote’ gran principe di Kiev le proprie insegne imperiali, fra cui la corona, che assunse un ruolo fondamentale nell’incoronazione dello zar.
All’inizio del XIII secolo dovette, dunque, suscitare profonda impressione il saccheggio crociato della capitale bizantina (1204) e la dispersione delle preziose reliquie che si conservavano nelle chiese costantinopolitane e nella cappella palatina, di cui dà testimonianza il pellegrino Dobrynja Jadrejkovič, poi diventato arcivescovo di Novgorod10. Nel suo racconto, che a lungo si sofferma sulla descrizione della cattedrale di Santa Sofia, il pellegrino menziona le profezie escatologiche che preannunciavano il ritorno alle origini dell’Impero romano-orientale e allo stesso tempo la conversione del popolo ebraico:
Già Dio ha visitato noi cristiani con la sua misericordia, e per le preghiere della purissima Madre di Dio, e di santa Sofia, Sapienza di Dio, e per le preghiere dell’imperatore Costantino e della sua madre Elena, Dio vuole darci una vita come ai tempi di Costantino e ora sarà ancora meglio. Dio condurrà i Giudei pagani al battesimo e saranno cristiani e (uniti) in un unico amore, non vi saranno conflitti fra loro, ma combatteranno solo contro coloro che non vorranno ricevere il battesimo. E volenti o nolenti Dio li costringerà a ricevere il battesimo. Ci sarà dunque molta abbondanza di ogni bene sulla terra e la giustizia, e gli uomini inizieranno a vivere una vita santa, non ci saranno offese, la terra produrrà frutto da sé per comando divino, come il miele e il latte, grazie alla buona vita cristiana11.
La profezia sarebbe stata annunciata da un segno premonitore: la miracolosa levitazione delle tre lampade e della croce, sistemate nel presbiterio al tempo dell’imperatore Giustiniano, che sarebbe avvenuta il 21 maggio del 120012, cioè il giorno della memoria liturgica di Costantino ed Elena.
Né l’effimera stagione dell’impero latino d’Oriente (1204-1261) né la lunga dominazione tatara (XIII-XV secolo) riuscirono a indebolire i legami religiosi e culturali fra la Rus’ e gli eredi dell’Impero romano d’Oriente. Le distruzioni, inflitte dai tatari, e la perdita del controllo delle steppe, favorirono lo spostamento della sede della metropolia prima a Vladimir e poi a Mosca, con il metropolita Petr (morto nel 1326), provocando l’isolamento dei principati nord-orientali dal mondo occidentale, a cui invece rimasero maggiormente legati, non solo le città limitrofe all’area baltica, ma anche quei territori dell’Europa orientale, su cui si andava espandendo il granducato di Lituania13.
Verso la fine del Medioevo si manifestò chiaramente che il restaurato impero costantinopolitano conservava solo le apparenze del suo antico splendore, mentre le potenze balcaniche dell’impero bulgaro e dell’impero serbo cedevano le armi alla conquista ottomana. Nelle steppe euroasiatiche continuavano a giocare un ruolo importante i tatari, ma si cominciò a manifestare la potenza moscovita. Il principe di Mosca Dmitrij Donskoj, alla testa di una coalizione di principi russi, impose la prima sconfitta all’esercito dei tatari al di là del Don, nella battaglia di Kulikovo (1380). Gli ecclesiastici a più riprese si mossero per sostenere la lotta contro l’‘avversario pagano’, incoraggiando la coesione dei principi della Rus’. Lo fecero già ai tempi di Dmitrij Donskoj, quando Sergio di Radonež (1314-1391/2), protagonista del rinnovamento monastico russo, incoraggiò il principe moscovita e mandò persino alcuni suoi monaci a combattere sul campo di battaglia. L’intero ciclo letterario dedicato allo scontro di Kulikovo, si trasformò progressivamente nell’immaginario degli scrittori medievali nello scontro fra cristiani e pagani. Nella Narrazione sulla battaglia di Mamaj (Skazanie o Mamaevom poboišče) si manifesta chiaramente l’intenzione di rileggere complessivamente l’evento bellico alla luce del disegno provvidenziale divino. Mamaj si muove contro Mosca per annientare la ‘legge divina’, cioè l’ordine naturale e l’‘alleanza neotestamentaria’, che ha segnato la nascita del popolo eletto. Il gran principe gli va incontro per difendere le ‘sante chiese’, in cui si riuniscono le comunità cristiane intorno ai loro vescovi, a cominciare dal metropolita di tutta la Rus’, che risiede a Mosca. Prima della battaglia il principe Dmitrij così invoca la croce, che lo guiderà nello scontro contro le schiere tatare: «In te infatti speriamo, croce del Signore, portatrice di vita, che con questa immagine sei apparsa all’imperatore greco Costantino, quando combattendo contro gli indegni con la tua meravigliosa immagine li hai vinti»14.
Nella sua concezione del potere e nell’immagine del sovrano la Moscovia, pur influenzata dai prolungati rapporti con i khanati tatari, seguì le orme della tradizione bizantina, e, soprattutto per il tramite degli ecclesiastici, si sforzò di realizzare l’idea di impero cristiano ortodosso inaugurata da Costantino. Lo testimonia il sakkos del metropolita di Mosca Fotij (morto nel 1431) in cui insieme alle scene evangeliche e ai santi sono rappresentati Costantino ed Elena che mostrano una grande croce. Sotto di loro a destra appaiono le figure dell’imperatore Giovanni VIII Paleologo (1392-1448) e della consorte Anna, a sinistra, allo stesso livello quelle del gran principe Vasilij I (1371-1425) e di Sofija, genitori della medesima Anna15.
Non meno drammatica appariva agli occhi di Mosca l’espansione del granducato di Lituania, che si estendeva verso il Mar Nero, annettendo gli antichi principati della Rus’ e si era saldata in un’unione dinastica con la Polonia di tradizione cattolica (1385), aprendo le porte all’espansione della ‘fede latina’. Con sospetto e timore si vedevano, inoltre, i tentativi di unione fra la Chiesa costantinopolitana e Roma che la decadenza della potenza bizantina, minacciata dagli ottomani, sembrava rendere sempre più urgente. La Moscovia iniziava così a percepire un suo nuovo ruolo all’interno del mondo ortodosso, messo in pericolo sia dalle conquiste islamiche sia dall’espansione occidentale.
La caduta di Costantinopoli (1453) costituì indubbiamente un evento di radicale importanza nella storia europea, ma per il gran principato di Mosca acquisì un significato ancora più profondo dal momento che scompariva il modello religioso e politico a cui si era orientata la Rus’ fin dalla sua adesione al cristianesimo. Ne dà conto il Racconto sulla presa dei Turchi della Città imperiale nel 1453 (Povest’ o vzjatii Car’grada turkami v 1453), che dedica tutta la prima parte alla storia della fondazione della città per opera di Costantino e alla profezia sulla conquista ‘musulmana’ di Costantinopoli, simbolicamente rappresentata nella lotta fra l’aquila e il serpente16.
A Mosca la conquista ottomana della città fu interpretata come l’inevitabile conseguenza dell’adesione della Chiesa costantinopolitana all’unione con Roma. Fin dall’inizio il principe di Mosca Vasilij II (1415-1462) l’aveva rigettata imprigionando il legittimo metropolita Isidoro (1380/1390-1463), che aveva osato presentarsi al Cremlino con la croce latina e le insegne cardinalizie. La Chiesa di Mosca si avviava così, sotto la protezione del gran principe, sulla via dell’autocefalia, sancita con l’elevazione al soglio metropolitano del vescovo Iona di Rjazan’ (1390/1399-1461), rafforzando ulteriormente la posizione del gran principe nei confronti delle rivali Tver’ e Novgorod17.
Rimanevano, comunque, difficili i rapporti con la Chiesa costantinopolitana, che, pur avendo rigettato l’unione di Firenze, si trovava ormai sotto l’autorità del sultano, e continuava peraltro a inviare metropoliti per la Rus’ occidentale, all’interno del granducato lituano. Se si esclude l’effimera autonomia della Moldavia di Stefano il Grande (1433-1504), il gran principe moscovita e il suo metropolita rappresentavano, comunque, l’ultima sopravvivenza della diarchia di tradizione bizantina, prefigurata ai tempi dell’imperatore Costantino e di papa Silvestro.
In questo contesto si può comprendere l’importanza attribuita a Mosca alla proposta, proveniente dalla Curia romana per tramite del cardinal Bessarione, di congiungere a nozze il gran principe Ivan III (1440-1505) con l’ultima erede dell’impero bizantino, Zoe, nipote dell’imperatore Costantino XI, morto durante l’assedio turco della capitale. Le nozze, che si svolsero per procura a Roma e poi si rinnovarono nel Cremlino di Mosca, non ebbero l’effetto sperato dalla Curia di coinvolgere il potente sovrano russo nella lotta contro il turco, ma piuttosto consolidarono la coscienza della continuità fra la Moscovia e l’impero bizantino. Non si tratta solo della presenza di simboli, a cominciare dall’aquila imperiale, ma soprattutto di un rinnovato e progressivo avvicinamento al modello romano-orientale.
Quando, qualche anno dopo, Ivan III si preparava ad affrontare l’esercito del khan Akhmet sul fiume Ugra, il metropolita di Rostov, Vassian Rylo, lo esortò con fermezza nella sua lettera (1481) a non temporeggiare nella lotta contro i tatari, in nome della fede cristiana, evocando la benedizione impartitagli dallo stesso metropolita di Mosca, Gerontij (morto nel 1489): «Dio conservi il tuo impero con la forza della sua onorata croce, e ti dia la vittoria sui pagani e sottometta ai tuoi piedi tutti i tuoi nemici, come nell’antichità Davide e Costantino, per le preghiere della sua purissima Madre e di tutti i santi»18.
In quegli anni furono ingaggiati architetti italiani per la costruzione delle chiese e delle mura del Cremlino, a cominciare dalla cattedrale della Dormizione, in cui si sarebbero svolti i riti di incoronazione imperiale, contribuendo peraltro al progresso tecnologico della Russia. Nel 1490 Pietro Antonio Solari edificò una nuova torre della cinta muraria della fortezza di Mosca, le cui porte presero il nome di Costantino ed Elena, dalla chiesa loro dedicata all’interno del Cremlino edificata probabilmente all’epoca del principe Dmitrij Donskoj19.
Nella nuova Tavola Pasquale, elaborata dal metropolita di Mosca Zosima (1492), che doveva stabilire il calendario oltre il temuto settimo millennio dalla creazione del mondo, il prelato, dopo aver illustrato l’opera dell’imperatore Costantino «primo imperatore ortodosso» e del principe Vladimir, «chiamato Nuovo Costantino», dichiarava:
E adesso in questi ultimi tempi, come già nei primi, Dio ha glorificato il suo [riferito a Vladimir] consanguineo, che splende nell’ortodossia, il fedele e amante di Cristo gran principe Ivan Vasilevič, sovrano e autocrate di tutta la Rus’, nuovo imperatore Costantino, sovrano della nuova Città di Costantino, che è Mosca e di tutta la terra russa e di molte altre terre20.
Si instaurava così un legame fra la capitale dell’Impero e la città russa. La grande capitale dell’Impero romano orientale stava dunque rinascendo, anche se in un principato periferico, la cui influenza internazionale era ancora assai limitata.
L’idea della translatio imperii a Mosca fu elaborata nella prima metà del XVI secolo e consentì di reinterpretare il ruolo storico della capitale russa in chiave universale. Alla prima fase di questa elaborazione appartiene il Racconto sui principi di Vladimir (Skazanie o knjazjach Vladimirskich) che mirava a rileggere la storia della dinastia dei principi moscoviti. Se la cronachistica medievale della Russia nord-orientale si era esercitata a dimostrare la continuità fra l’antica capitale della Rus’, Kiev, e il nuovo centro di Vladimir, in questo Racconto ci si preoccupava invece di evidenziare le relazioni fra Vladimir e Mosca, riducendo a un ruolo del tutto secondario il granducato lituano, che aveva esteso i suoi domini su gran parte della Rus’ e non nascondeva l’ambizione di raccoglierne l’eredità. Secondo l’anonimo cronista, mentre i granduchi lituani erano discendenti di un semplice stalliere, i principi di Vladimir discendevano da Prus, che avrebbe dato il nome alla Prussia e che sarebbe stato addirittura consanguineo dell’imperatore Augusto21. In questo contesto l’idea dell’eredità romano-orientale non appare dunque connessa al recente matrimonio di Ivan III, ma alla stessa dinastia dei Rjurikidi, che avrebbe avuto ascendenze augustee. Nel medesimo Racconto si fa riferimento alla leggenda della corona dell’imperatore Costantino IX Monomaco, che sarebbe stata donata al gran principe di Kiev, Vladimir Monomach, e che divenne una delle più importanti insegne imperiali nell’incoronazione dello zar22. La sua storia è narrata nei bassorilievi che abbelliscono il cosiddetto ‘trono del Monomaco’ (carskoe mesto), su cui si sedeva lo zar per assistere alla liturgia nella cattedrale della Dormizione23.
Per gli ecclesiastici più avveduti, tuttavia, la continuità con l’Impero romano-orientale non si fondava su legami di sangue o sull’uso delle insegne imperiali, bensì sulla fedeltà all’ortodossia e alla sua tradizione. Lo sottolineò con forza l’igumeno Filofej nella sua famosa Lettera in cui si espone per la prima volta l’idea di Mosca-Terza Roma. Nel suo breve trattato (1523) l’igumeno Filofej interpreta la storia russa secondo un piano provvidenziale, che ha visto ‘cadere’ sia la prima sia la seconda Roma. La prima, la Roma antica, fra il IX e il X secolo aveva abbandonato la fede ortodossa, decadendo dalle sue prerogative, la seconda, Costantinopoli, era finita nelle mani dei turchi, giusta retribuzione per aver aderito all’unione con Roma. Il loro ruolo storico doveva essere assunto da Mosca. Così si esprime il monaco russo: «Due Rome sono cadute, la terza sta, la quarta non ci sarà» («Dva Rima pali, tretij stoit, četvertomu ne byti»). La Terza Roma, Mosca, diventa l’erede sia della prima sia della seconda Roma, per la sua fedeltà alla tradizione religiosa costantinopolitana che trasforma Mosca nella capitale del nuovo impero ortodosso24. In questa visione il sovrano moscovita è ormai diventato «l’unico imperatore dei cristiani» e il suo ruolo è di «reggere le redini» – un’espressione che ricorda l’umile atteggiamento dell’imperatore Costantino verso papa Silvestro – «dei santi troni divini della santa chiesa universale apostolica, che in luogo di quella romana e costantinopolitana, è nella città di Mosca, salvata da Dio, della santa e gloriosa Dormizione della purissima Madre di Dio, che sola nell’ecumene brilla più del sole»25.
Nel rinnovamento del modello costantinopolitano a Mosca svolse un ruolo fondamentale il metropolita Makarij (1481/1482-1563). Già arcivescovo di Novgorod, profondo conoscitore della tradizione bizantino-slava, il prelato fece di tutto per educare il giovane Ivan IV all’idea di incarnare la figura dell’imperatore cristiano26. Fu lui, infatti, a rielaborare il rito di incoronazione del basileus bizantino, con cui il giovane Ivan fu elevato al rango di imperatore (1547)27.
Da Novgorod Makarij trasferì a Mosca la tradizione degli arcivescovi della città di indossare un copricapo bianco, riservandola comunque ai soli metropoliti. Secondo la leggenda, illustrata nel Racconto sul klobuk bianco di Novgorod (Povest’ o novgorodskom belom klobuke) questo copricapo rappresenterebbe il cappello frigio (camelaucum) che Costantino avrebbe donato a papa Silvestro e che miracolosamente attraverso Costantinopoli sarebbe giunto a Novgorod, ai tempi dell’arcivescovo Vasilij Kalika (morto nel 1352). In questo Racconto si descrive anche la processione delle Palme ‘sull’asino’, divenuta tradizionale a Novgorod, e che Makarij ugualmente introdusse a Mosca. Nella capitale, ogni anno, per un secolo e mezzo, il metropolita (e in seguito il patriarca), impersonando lo stesso Gesù, saliva su un cavallo a cui erano state applicate delle orecchie d’asino e veniva condotto per le briglie dallo zar in una processione che, almeno nella fase più antica, partiva e ritornava alla cattedrale della Dormizione del Cremlino. Il ruolo rituale dello zar nella cerimonia, come del resto l’uso del copricapo bianco, ha la sua fonte nella Donatio Constantini, che servì da base al Racconto sul kobluk bianco in cui l’imperatore Costantino incorona il papa Silvestro con il cappello frigio e in segno di venerazione ne guida la cavalcatura, come un palafreniere28.
Per iniziativa del metropolita, inoltre, si riunì un sinodo, detto dei Cento capitoli (Stoglav), convocato dallo stesso Ivan IV, per esaminare numerose questioni, dalla riforma della vita monastica all’iconografia, sullo sfondo della sinfonia dei poteri. Makarij, inoltre, curò nuovi libri liturgici, fra cui i famosi Grandi Menei di Lettura (Velikie Minei Četii), una sorta di enciclopedia del patrimonio letterario medievale del mondo slavo orientale e fece comporre il Libro dei Gradini (Stepennaja kniga) che illustrava la genealogia dei Rjurikidi29. Nella Vita di Ol’ga, con cui esordisce il Libro dei Gradini, si manifesta chiaramente l’idea che la dinastia regnante rappresentasse la continuità storica dell’impero cristiano, spingendosi a tal punto da esaltare il principe Vladimir, nipote di Ol’ga quasi al di sopra dello stesso Costantino:
Quando Costantino il Grande, il primo imperatore cristiano, per via dell’apparizione dei primi apostoli Pietro e Paolo fu battezzato da san Silvestro, fu sanato da una malattia inguaribile nel santo fonte battesimale. Mentre il grande Vladimir senza l’apparizione di nessuno, per la sua sicura fede e di buona volontà, ordinò di essere battezzato e insieme con l’imposizione su di lui delle mani del vescovo riebbe la vista e fu tutto sanato e si rallegrò con l’anima e con il corpo e diede grande lode a Dio30.
Dopo la morte di Makarij, Ivan si sottrasse all’influenza dell’alto clero, come pure dell’aristocrazia, ma la formazione ricevuta lasciò una traccia profonda nella sua complessa personalità. Nella sua azione si può riconoscere la radicale consapevolezza di rappresentare un potere autocratico, ricevuto da Dio stesso, che non poteva essere messo in discussione, se non opponendosi alla volontà di Dio. La sua concezione del potere è esposta con chiarezza nella prima lettera che Ivan scrisse in risposta al principe Andrej Kurbskij (1528-1583), che aveva abbandonato la Russia per entrare a servizio del re polacco. In questo breve e originale trattato, Ivan cerca di giustificare la persecuzione dell’antica aristocrazia che si opponeva al suo potere assoluto e l’imposizione di limiti all’autorità ecclesiastica. Lo zar esordisce ricordando proprio l’imperatore Costantino:
Dio nostro, la Trinità, che era prima dei tempi e tuttora è, Padre e Figlio e Spirito Santo, senza inizio né fine, grazie al quale viviamo e ci muoviamo, per mezzo del quale gli zar sono magnificati e i potenti scrivono la giustizia; e lo stendardo vittorioso, la croce gloriosa e giammai sconfitta dell’unigenito Verbo di Dio, dato da Gesù Cristo, Dio nostro, a Costantino, il primo imperatore nella pietà, e a tutti gli imperatori ortodossi e ai custodi dell’ortodossia. Giacché le parole della economia divina si sono ovunque compiute, e per il tramite dei servitori divini le parole di Dio, come aquile, hanno girato in volo l’universo intero, così che la scintilla della pietà ha raggiunto l’impero russo. Per la volontà di Dio l’autocrazia dell’impero russo di vera ortodossia ha avuto inizio con il gran principe Vladimir, che illuminò la terra russa mediante il santo battesimo, e con il gran principe Vladimir Monomach, che ottenne dai greci l’onore supremo31.
Pur non ottenendo successi nella guerra con lo Stato polacco-lituano, Ivan ebbe tuttavia la ventura di incarnare il sovrano cristiano vittorioso sui ‘pagani’ e gli ‘infedeli’, quando il suo esercito conquistò il khanato di Kazan’ (1552) e il khanato di Astrachan’ (1554). Lo testimoniano alcune fonti coeve, come la Storia di Kazan’ (Kazanskaja istorija), ma anche l’icona La chiesa militante. Questa immagine, il cui vero nome è Benedetto è l’esercito del re (carja) celeste rappresenta il ritorno dell’esercito vittorioso dello zar Ivan il Terribile dopo la conquista di Kazan’ e in particolare esalta la memoria di quanti hanno sacrificato, come i martiri cristiani, la propria vita nella spedizione contro i tatari. L’icona, che non segue i canoni tradizionali, ma che si ispira alle immagini del Libro di Daniele, dell’Apocalisse e a testi liturgici, mostra in una sfera in alto a destra la città di Kazan’ in fiamme e a sinistra sempre all’interno di una sfera, l’immagine di un tempio che contiene un monte coperto di alberi e un trono-edificio con la Madre di Dio e il bambino che distribuisce attraverso gli angeli le corone del martirio. L’esercito, in cui è riconoscibile lo zar che porta la croce come Costantino, è guidato dall’arcangelo Michele sulla groppa di un destriero alato e procede dall’Oriente mitico di Og e Magog verso Occidente, in cui si trova la città di Mosca32.
Solo dopo la morte di Ivan il Terribile, con l’ultimo debole esponente della dinastia dei Rjurikidi, lo zar Fedor (1557-1598), la Chiesa russa ottenne di trasformarsi in patriarcato. Pur dovendo cedere la precedenza a Costantinopoli e ai patriarcati orientali, Mosca fu elevata al rango di sede patriarcale. Lo stabiliva la Carta costitutiva del Patriarcato di Mosca, in cui si riaffermava l’idea di Mosca-Terza Roma, questa volta per bocca del patriarca di Costantinopoli Geremia II (1530-1595):
Poiché la vecchia Roma cadde per l’eresia apollinarista, e la seconda Roma, cioè Costantinopoli, è in potere dei nipoti di Agar, i turchi senza Dio, il tuo, o pio imperatore, grande impero russo, la Terza Roma, le ha superate tutte in pietà, e tutti i pii imperi sono stati raccolti in uno nel tuo, e tu solo sotto il cielo sei chiamato imperatore cristiano in tutta l’ecumene tra tutti i cristiani33.
Il metropolita Iov (1525-1607) diventò così il primo patriarca di Mosca (1589) portando a compimento il modello costantinopolitano. In questa epoca si consolidò ulteriormente l’idea di Mosca-Terza Roma, assumendo una connotazione particolare nel Racconto sulla fondazione di Mosca (Povest’ o načale Moskvy). Con un chiaro intento apologetico si sviluppa una riflessione sulla storia di Mosca e dei gran principi della Rus’, basandosi sul paradigma romano, per dimostrare che lo «spargimento di sangue» è all’origine delle tre Rome34. Non vi si fa, però, menzione dell’imperatore Costantino, che comunque continua a essere un protagonista fondamentale della cronachistica di respiro universale fra il XVI e il XVII secolo, a cominciare dal Cronografo russo, la cui prima versione fu messa a punto intorno al 151235.
Con il periodo dei Torbidi (1598-1613) l’impero russo sembrò trasformarsi in una monarchia elettiva, ma in realtà il modello di provenienza polacca non attecchì nella Russia e l’autocrazia russa, non senza difficoltà, fu ristabilita con la dinastia dei Romanov, quando fu elevato al soglio imperiale lo zar Michail (1596-1645). Il suo governo fu profondamente influenzato dalla figura del padre Fedor (1553?-1633), che, dopo la forzata reclusione in monastero, era stato elevato patriarca di Mosca col nome di Filaret (1619).
Proprio sotto i Romanov si rafforzava l’opera, già iniziata dagli ultimi Rjurikidi, soprattutto per tramite della Chiesa di Mosca, di sostegno economico e politico ai prelati e alle comunità dell’Oriente cristiano, che speravano in un ‘nuovo Costantino’ che li liberasse dal giogo ottomano. Ai Romanov gli ecclesiastici greci si rivolgevano con le espressioni tradizionali che si usavano per gli imperatori bizantini, invocandoli soprattutto come ‘nuovo Costantino’.
Dall’Oriente, inoltre, pervenivano a Mosca oggetti di culto e reliquie che avevano adornato i santuari orientali e che contribuivano a rendere Mosca una nuova Costantinopoli e una nuova Gerusalemme. Già ai tempi dell’ultimo Rjurikide, il patriarca di Costantinopoli Geremia aveva portato con sé a Mosca un prezioso reliquiario, contenente il braccio destro di Costantino, che il sultano Solimano aveva strappato ai serbi36. Fra le reliquie che giunsero più tardi a Mosca all’epoca dei Romanov assume un particolare significato la croce di Costantino, che, ricevuta in prestito dal monastero di Vatopedi sul Monte Athos e accolta a Mosca con grande onore (1655), non fu mai restituita, per essere gelosamente conservata nei palazzi imperiali. Essa accompagnò l’esercito russo nelle imprese sia contro l’avversario polacco sia contro il turco. Negli stendardi dell’esercito dell’epoca, inoltre, si può trovare raffigurata la visione della croce di Costantino. L’interesse per la figura dell’imperatore crebbe a tal punto che furono commissionate a Costantinopoli nuove insegne sacre che dovevano rendere più somigliante la figura del sovrano russo a quello bizantino37.
Questo avvicinamento al modello bizantino aveva avuto una forte spinta all’epoca del patriarca Nikon (1605-1681), che si definiva alla greca «arcivescovo della città imperante di Mosca e di tutta la Russia». La sua immagine è presente nella famosa icona dell’Adorazione della croce, insieme alle figure dell’imperatore Costantino e dello zar Aleksej, a destra della croce, mentre a sinistra sono rappresentate Elena e la consorte dello zar38.
Fin dai tempi di Ivan il Terribile, comunque, la rinnovata diarchia dell’imperatore e del patriarca era ben lungi dal risolversi nella sinfonia dei poteri. Ne aveva già fatto le spese il metropolita Filipp (1507-1569), che aveva tentato di opporsi all’assolutismo privo di scrupoli di Ivan IV. Peraltro la tradizione della processione delle Palme, introdotta dal metropolita Makarij, esaltava l’immagine del patriarca, il cui ruolo spirituale acquisiva un’evidente preminenza sul potere temporale, incarnato dallo zar, anche se si deve tener conto della difficoltà di definire con esattezza i confini delle rispettive sfere. Pur ammettendo un’esegesi in cui il prelato rappresentava simbolicamente la Chiesa e il popolo di Dio, il patriarca di fatto acquisiva un ruolo di primo piano. In questo contesto si può spiegare la tarda fortuna in Russia, rispetto all’occidente, della donatio Constantini, in cui si sanciva la cessione del potere temporale al papa sull’Impero d’Occidente. A partire da Novgorod, in cui servì da base al Racconto sul kobluk bianco, la sua traduzione slava, con il titolo di Racconto sulla corona di Costantino (Skazanie o vene Konstantinovom), svolse un ruolo importante, proprio al tempo del patriarca Nikon, quando ormai da lungo tempo in Occidente se ne era dimostrata la falsità39. Del resto per il clero russo, come testimonia il monaco Arsenij nelle sue Discussioni sulla fede con i greci (Prenia s grekami o vere), il patriarca di Mosca svolgeva un ruolo oramai superiore allo stesso patriarca di Costantinopoli e poteva essere paragonato allo stesso papa Silvestro40.
Della supremazia del potere spirituale era seriamente convinto il patriarca Nikon, che riuscì a convincere lo zar della necessità di riformare il cristianesimo russo orientandolo più radicalmente alla tradizione greca, suscitando la viva reazione dei fedeli e provocando lo scisma dei ‘vecchi credenti’. Il suo rigido atteggiamento nel difendere le prerogative acquisite, oltre a spingerlo a definirsi ‘grande Sovrano’ (velikij Gosudar’), attirò infine i malumori sia della corte dei Romanov sia degli altri ecclesiastici. Lo zar, come un nuovo Costantino, decise di convocare un concilio (1666-1667), deponendo il prelato che tanto si era adoperato per realizzare in Russia la tradizione bizantina. Si infrangeva così il sogno del patriarca di proseguire i lavori di edificazione di un grande santuario, non lontano da Mosca, la ‘Nuova Gerusalemme’, ricco di reliquie orientali, che doveva confermare l’idea della capitale quale nuova Costantinopoli e nuova Gerusalemme41.
A Mosca, intanto, i primi poeti di corte, monaci ucraini e russi, come Simeon Polockij (1629-1680) e Karion Istomin (1640/1649-1718/1722), continuavano la tradizione panegirica antica, invocando nei Romanov il nuovo Costantino42. Nei loro scritti rivivevano, inoltre, le immagini degli antichi imperatori e si introduceva, pur ancora limitatamente all’ambito della corte, la mitologia classica. In questo ambiente crebbe anche il giovane Pietro (1672-1725), che comunque ebbe la ventura di frequentare anche la comunità degli occidentali di stanza a Mosca, rimanendone profondamente influenzato. Il giovane zar si rese conto ben presto della necessità di riformare radicalmente lo Stato, per consentire alla Russia di assumere un ruolo di protagonista in ambito internazionale.
In genere si mettono in primo piano le sue riforme di carattere politico ed economico e le brillanti imprese militari che consentirono di conquistare definitivamente l’Ucraina e di strappare il mar Baltico all’egemonia svedese. Tuttavia rischia di rimanere in ombra la sua spinta riformatrice nella direzione dell’assolutismo imperiale, che non poteva tollerare i limiti imposti dall’autorità religiosa. Proprio per questa ragione lo zar decise di abolire la figura stessa del patriarca, sostituendola con l’organo del santo sinodo, che continuò a operare per quasi due secoli (1721-1917). Il suo compito era di amministrare la Chiesa sotto la direzione di un alto funzionario designato dall’imperatore, riducendola di fatto a un apparato statale.
Nel 1697 viene definitivamente abolita la processione delle Palme con il patriarca sulla cavalcatura, a cui già in precedenza Pietro si era rifiutato di partecipare. Egli si preoccupò persino della foggia degli abiti ecclesiastici, vietando ai metropoliti l’uso del klobuk bianco che, secondo la tradizione, era stato realizzato secondo le «disposizioni dell’imperatore Costantino» e ne ricordava la speciale autorità43. Il suo atteggiamento critico nei confronti della gerarchia ecclesiastica si manifestò ulteriormente non solo nel divieto di venerare le tombe dei patriarchi nella cattedrale della Dormizione, ma soprattutto nelle cerimonie del cosiddetto ‘Sinodo dei più burloni e ubriaconi’ alle cui manifestazioni, volente o nolente, era costretta a partecipare la corte. Nelle sue ‘assemblee’ mascherate, intorno a un principe-cesare e a un principe-papa, rappresentanti della tradizionale dualità dei poteri, trovavano spazio, spesso in forme blasfeme, motivi anticlericali e antipapisti di origine protestante. Scimmiottando il rito della processione delle Palme, in più di un’occasione lo zar Pietro fece salire il principe-papa su una cavalcatura, conducendola personalmente per le briglie44.
L’imperatore, chiamato non più zar ma imperator, non intendeva certamente incarnare la figura di un sovrano che rinnegava l’ortodossia, come lo dipingevano gli esponenti della setta dei vecchi credenti definendolo l’Anticristo. Al contrario, nei suoi intenti si può riconoscere la preoccupazione di presentarsi come l’imperatore cristiano che aveva combattuto contro pagani ed eretici, secondo quanto dimostravano le sue imprese contro i turchi ad Azov (1696), quando aveva suscitato gli entusiasmi delle comunità ortodosse sotto il dominio ottomano, oppure quando sconfisse il sovrano di Svezia, Carlo XIII a Poltava (1709). Qualche anno prima aveva fondato una nuova capitale (1703) dedicandola a san Pietro, suo patrono, dandole uno stemma che riecheggiava l’araldica dello Stato pontificio.
Al suo ritorno dalle imprese belliche furono innalzati a Mosca degli archi di trionfo, del tutto inconsueti per la tradizione ortodossa. In essi si inneggiava al nuovo imperatore Costantino che nel segno della croce aveva vinto i nemici della fede e si acclamava il sovrano pater patriae (otec’ otečestva). Allo stesso tempo si diffondeva l’uso dell’immagine della croce di Costantino nelle bandiere dell’esercito russo. Accanto alle tradizionali feste religiose si istituirono, inoltre, una serie di feste per celebrare il sovrano, cominciando dalla ricorrenza della sua salita al trono. Per certi aspetti si veniva a compiere quel processo iniziato con l’affermazione dell’autocrazia moscovita. Al suo ingresso a Mosca per l’incoronazione (1721), del tutto coerentemente, l’imperatore fu accolto con iscrizioni che proclamavano: «Ivan ha iniziato, Pietro ha realizzato».
L’antica immagine di nuovo Costantino che designava l’autocrate russo si rinnovava attualizzandosi nell’opera di Ivan Ivanovič Golikov (1735-1801), il primo storico dell’imperatore, che scrisse un saggio intitolato: Il confronto fra le virtù e le opere di Costantino il Grande, primo fra i romani imperatore cristiano, con le virtù e le opere di Pietro il Grande, primo imperatore di tutta la Russia e degli avvenimenti accaduti durante il regno di entrambi questi monarchi (Moskva 1810). Nel suo studio la figura dell’imperatore romano doveva servire proprio a giustificare i profondi mutamenti imposti nelle tradizioni religiose e sociali: l’abbandono del paganesimo antico e l’adesione alla fede cristiana di Costantino trovano corrispondenza nell’abbandono di «scandalosi riti ecclesiastici» o di altre tradizioni, a cominciare dall’istituto del patriarcato che aveva imposto il sovrano russo. Si trattava di creare una società civile e tollerante, almeno verso le altre confessioni cristiane, distinta da quella religiosa. Lo si voleva realizzare imitando le forme della civiltà occidentale, condannate da sempre dalle autorità religiose russe come un esecrabile ritorno al paganesimo. Nel caso della mitologia classica si trattava di introdurre allora una distinzione tra le forme espressive e la loro interpretazione a cui il mondo russo era tradizionalmente estraneo. La mediazione dell’immagine costantiniana, così profondamente legata alla tradizione ortodossa, poteva facilitare questo compito. L’identificazione con l’imperatore romano era importante soprattutto per giustificare la sua pesante intromissione negli affari ecclesiastici: il vescovo Feofan Prokopovič (1681-1736), collaboratore di Pietro il Grande e artefice delle riforme religiose, giunse a definirlo con l’epiteto, già attribuito a Costantino, di episkopos ton ektos45.
L’immagine dell’imperatore protettore dei cristiani ortodossi sotto la Porta ottomana assunse un ruolo sempre più importante nei suoi successori, quando, con la crisi dell’impero ottomano, si aprì la famosa ‘questione d’oriente’, in cui la Russia avrebbe giocato un ruolo fondamentale. La spinta verso il mar Mediterraneo dell’impero russo si spiega, infatti, oltre che per ragioni politiche ed economiche, con l’eredità del modello imperiale costantinopolitano che si doveva realizzare pienamente riconquistando la sua antica capitale, la seconda Roma. In questa atmosfera si sviluppò il ‘progetto greco’, concepito dalla zarina Caterina II di Russia, che, pur essendo una principessa di origine tedesca, si era pienamente identificata con la causa dell’impero russo e ortodosso46. In occasione della guerra russo-turca, scoppiata nel 1768, l’esercito russo occupò i principati danubiani della Moldavia e della Valacchia, dove fu accolto con entusiasmo dalle popolazioni ortodosse. La sovrana russa si propose allora di liberare Costantinopoli dai turchi e di costituire un nuovo Impero romano d’Oriente legato alla Russia, sul cui trono sarebbe salito Costantino (1779-1831), il nipote della stessa Caterina. L’opposizione ferma degli Asburgo e le rivolte contadine interne le impedirono di porre in atto le sue mire. La Russia riuscì comunque a imporsi come alfiere delle comunità ortodosse nei Balcani, fino ad annettersi la Crimea nel 1782.
Nel corso della storia slava-orientale e russa, dunque, l’uno o l’altro aspetto del modello costantiniano hanno prevalso a seconda delle circostanze. Dapprima ha dominato l’idea dell’imperatore ‘apostolo’ della fede all’epoca della diffusione del cristianesimo nella Rus’, in seguito, con la formazione della Moscovia, l’attenzione si è volta soprattutto all’immagine del sovrano cristiano, protettore della Chiesa. Alla fine, con l’emergere della potenza russa, ha dominato la sua peculiarità di protettore delle comunità ortodosse contro avversari ‘pagani’ ed ‘eretici’. Allo stesso tempo è emersa progressivamente una concezione del potere imperiale, orientata all’assolutismo, in grado di annichilire le resistenze sia delle aristocrazie locali sia della stessa Chiesa. Seguendo lo sviluppo storico dell’eredità di Costantino a Mosca si dovrebbe considerare l’affermazione in Europa della Santa alleanza, l’evoluzione della questione d’oriente e la formazione del cosiddetto ‘bizantinismo’ russo, che testimonia il rinnovato interesse degli intellettuali per la tradizione bizantina. Si entrerebbe, però, nell’epoca contemporanea che presenta nuove problematiche ed esige approcci diversi.
Agli inizi del ‘secolo breve’ la scomparsa violenta della dinastia dei Romanov (1918), segnò comunque la fine dell’idea di monarchia sacra in Europa e l’inizio di una nuova stagione che ha avuto profonde conseguenze nella storia europea. Proprio la croce di Costantino, sostenuta dall’angelo, che si erge in cima alla colonna che domina la piazza del palazzo d’Inverno a San Pietroburgo, aveva assistito l’anno precedente all’assalto che condusse al potere i bolscevichi47.
Negli anni che seguirono la costruzione del regime socialista non è scomparso, tuttavia, il profondo legame che unisce la cultura russa alle sue radici bizantine. Lo dimostrano i fiorenti studi di bizantinistica che si sono sviluppati in Unione Sovietica, nonostante le gravi perdite causate dalle repressioni staliniane, e che negli anni della Federazione russa hanno ricevuto nuovo impulso. Nella Russia contemporanea il rinnovato ruolo della Chiesa ortodossa e le profonde trasformazioni politiche spingono inevitabilmente il paese a ripensare ai propri destini e alla propria identità, in cui le radici bizantine e l’immagine di Costantino hanno avuto certamente un ruolo importante.
1 Non ci occuperemo direttamente del culto di Costantino e della madre Elena nella Moscovia e nell’impero russo, come pure della tradizione dei testi agiografici slavo-ecclesiastici, ampiamente diffusi in area slava orientale e spesso inseriti in cronache e annali. Si veda a questo proposito il contributo di A. Bruni in questa stessa opera. Per una breve, ma densa introduzione alla figura di Costantino più in generale nel mondo slavo ortodosso si veda R. Marti, Konstantin der Große in der orthodoxen slavischen Welt, in Kaiser Konstantin der Große. Historische Leistung und Rezeption in Europa, hrsg. von K.M. Girardet, Bonn 2007, pp. 133-148.
2 Cfr. A. Poppe, The Political Background to the Baptism of Rus’. Byzantine-Russian Relations between 986-89, in Dumbarton Oaks Papers, 30 (1976), pp. 195-244.
3 È importante osservare che il termine slavo carĭ (zar) traduce il termine greco basileus, che indica sia l’imperatore terreno (compreso il khan), sia il re veterotestamentario e dunque anche Cristo.
4 Il Sermone di Ilarion “Sulla legge e sulla grazia”, a cura di I.P. Sbriziolo, Napoli 1988, pp. 79-81. Il volume contiene il testo originale con la versione italiana, che, per questo passo, abbiamo rivisto. Si deve ricordare che tuttavia il culto del principe si sviluppò solo qualche secolo dopo. Cfr. V. Vodoff, Pourquoi le prince Volodiměr Svjatoslavič n’a-t-il pas été canonisé?, in Id., Autour du mythe de la Sainte Russie. Christianisme, pouvoir et société chez les Slaves orientaux (Xe-XVIIe siècles), Paris 2003, pp. 121-133.
5 Cfr. Sainte Russie. L’art russe des origines à Pierre le Grand (catal.), éd. par J. Durand, D. Giovannoni, I. Rapti, Paris 2010, p. 69.
6 G. Podskalsky, Christentum und theologische Literatur in der Kiever Rus’ (988-1237), München 1982 (trad. russa Id., Christianstvo i bogoslovskaja literatura v Kievskoj Rusi, Sankt-Peterburg 1996). Nella versione russa si aggiunge un contributo di Andrzej Poppe sui metropoliti e principi nella Rus’ di Kiev (pp. 442-497).
7 Sull’introduzione dell’idea di ‘storia universale’ nella Rus’ di Kiev si veda l’importante saggio di E.G. Vodolazkin, Vsemirnaja istorija v literature Drevnej Rusi na materiale chronografičeskogo i palejnogo povestvovanija XI-XV vekov (La storia universale nella letteratura dell’antica Rus’, sulla base del materiale della narrazione cronografica e delle Palee dell’XI-XV secolo), München 2000. Si veda anche il suo saggio in italiano, più breve, ma che abbraccia un orizzonte più ampio: Id., La storiografia della Slavia ortodossa, in Lo spazio letterario del medioevo. Le culture circostanti, III, Le culture slave, a cura di M. Capaldo, Roma 2006, pp. 289-319.
8 Cronaca 852, in Povest’ vremennych let (Cronaca degli anni passati), ed. by D.S. Lichačev, Sankt-Peterburg 19992, p. 12. Per la Cronaca si ha a disposizione la versione italiana Racconto dei tempi passati. Cronaca russa del secolo XII, a cura di I.P. Sbriziolo, Torino 1971.
9 Ivi, pp. 45, 77.
10 Per una presentazione del Libro Pellegrino di Antonij (Dobrynja Jadrejkovič), arcivescovo di Novgorod (XIII secolo) si veda M. Garzaniti, Il pellegrinaggio medievale nella Slavia ortodossa. L’“Itinerario dell’egumeno Daniil in Terra santa” (XII secolo) e il “Libro Pellegrino” di Antonij (Dobrynja Jadrejkovič), arcivescovo di Novgorod (XIII secolo), in L’Europa dei pellegrini, a cura di L. Vaccaro, Milano 2004, pp. 441-457.
11 Ch.M. Loparev, Kniga Palomnik. Skazanie mest svjatych vo Caregrade Antonija archiepiskopa Novgorodskogo v 1200 g. (Il Libro Pellegrino. Narrazione dei luoghi santi a Costantinopoli di Antonij, arcivescovo di Novgorod, nell’anno 1200), in Pravoslavnyj Palestinskij Sbornik (Miscellanea ortodossa della Palestina), 51/17.3 (1899), p. 77.
12 Ibidem. Sul culto della croce e la memoria di Costantino ed Elena a Novgorod si veda M. Pljuchanova, Cerkovnoe predanie o Konstantine, Elene i o vozdviženie kresta v cerkovnoj žizni v slovesnosti drevnego Novgoroda (La tradizione ecclesiastica su Costantino, Elena e l’esaltazione della croce nella vita ecclesiastica nella letteratura dell'antica Novgorod), in Contributi al XII Congresso internazionale degli slavisti (Cracovia 26 agosto-3 settembre 1998), a cura di F. Esvan, Napoli 1998, pp. 61-86.
13 Per una breve presentazione della storia Rus’ si veda P. Gonneau, A. Lavrov, De Rhôs à la Russie. Histoire de l’Europe orientale (v. 730-1689), Paris 2012. Sui rapporti fra autorità ecclesiastica e potere civile si veda il recente saggio di G. Codevilla, Chiesa e impero in Russia. Dalla Rus’ di Kiev alla Federazione russa, Milano 2011.
14 Per un’interpretazione complessiva dell’opera nella chiave di una ‘sacra rappresentazione’ si veda M. Garzaniti, Moskva i “Russkaja zemlja” v Kulikovskom cikle (Mosca e la “Terra russa” nel ciclo di Kulikovo), in Drevnjaja Rus’ (Antica Rus’), 23,1 (2006), pp. 105-112.
15 F. Kämpfer, Das russische Herrscherbild von den Anfängen bis zu Peter dem Großen. Studien zur Entwicklung politischer Ikonographie im byzantinischen Kulturkreis, Recklinghausen 1978, pp. 149-156.
16 L’opera inizia così: «Nell’anno 5803, mentre reggeva l’Impero a Roma il grande Costantino Flavio, collaboratore di Dio, dopo aver riunito da ogni parte con grande cura i cristiani dispersi, cominciò a rafforzare e diffondere la fede cristiana, ad abbellire le chiese di Dio, a innalzarne altre di meravigliose, a distruggere gli idoli, trasformando i loro templi a gloria di Dio». Povest’ o vzjatii Car’grada turkami v 1453, ed. by O.V. Tvorogov, in Biblioteka Drevnej Rusi (Biblioteca dell’antica Rus’), ed. by D.S. Lichačev, L.A. Dmitriev, A.A. Alekseev et al., VII, Vtoraja polovina XV veka (Seconda metà del XV secolo), Sankt-Peterburg 1999, consultabile anche on line: http://lib.pushkinskijdom.ru/Default.aspx?tabid=5059 (18 aprile 2013).
17 La concorrenza fra i principi della Rus’ si manifesta anche nell’uso dell’immagine di Costantino. È interessante osservare la presenza di abbondanti riferimenti alla sua figura nel Panegirico del monaco Foma, scritto in onore del principe di Tver’, Boris Aleksandrovič (1425-1461): Inoka Fomy “Slovo pochvalnoe”, ed. by N.V. Ponyrko, Ja.S. Lur’e, in Biblioteka Drevnej Rusi, VII, cit., consultabile on line: http://lib.pushkinskijdom.ru/Default.aspx?tabid=5060 (15 mag. 2013).
18 Si veda il Poslanie na Ugru Vassiana Rylo (Lettera all’Ugra di Vassian Rylo), ed. by E.I. Vaneeva, O.P. Lichačeva, Ja.S. Lur’e, in Biblioteka literatury Drevnej Rusi, VII, cit., consultabile on line: http://lib.pushkinskijdom.ru/Default.aspx?tabid=5070 (15 mag. 2012).
19 E. Karpova Fasce, Gli architetti italiani a Mosca nei secoli XV-XVI, in Quaderni di scienza della conservazione, 4 (2004), pp. 157-181.
20 L’idea di Roma a Mosca (XV-XVI sec.). Fonti per la storia del pensiero sociale russo, a cura di P. Catalano, V.P. Pašuto, Roma 1993, pp. 124, 334.
21 Ivi, pp. 23-40, 226-244.
22 Ivi, pp. 26-27, 230. Si veda a questo proposito anche la coeva Lettera di Spiridon Savva (Poslanie Spiridona-Savvy), che espone la leggenda con maggiori dettagli (ivi, pp. 16-17, 220-221).
23 Ivi, tavola fuori testo.
24 Al di là delle interpretazioni politiche o escatologiche, che hanno impegnato gli studiosi negli ultimi decenni, il breve, ma denso trattato teologico dell’igumeno filomoscovita cerca di dimostrare che la tradizione romana-orientale si fonda sulla fedeltà ai canoni della celebrazione eucaristica e sulla continuità apostolica dell’ordinazione presbiterale ed episcopale. Si veda per questa nuova interpretazione della Lettera: M. Garzaniti, Biblija i ekzegeza v Rossii načala XVI veka. Novaja interpretacija “Poslanija” starca pskovskogo Eleazarovskogo monastyrja Filofeja d’jaku Misjurju Grigor’eviču Munechinu (Bibbia ed esegesi nella Russia dell’inizio del XVI secolo. Una nuova interpretazione della “Lettera” dello starec di Pskov, Filofej, del monastero Eleazarovskij al d’jak Misjur Grigor’evič Munechin), in Slavjanovedenie, 2 (2003), pp. 24-35, ristampa in Biblical Quotations in Slavonic Literature, XIII International Congress of Slavists (Ljubljana 15-21 August 2003), Pisa 2003. Più in generale sull’idea di Mosca-Terza Roma si veda l’ormai classico N.V. Sinicyna, Tretij Rim. Istoki i evolucija russkoj srednevekovoj koncepcii. (XV-XVI vv.) (La Terza Roma. Fonti ed evoluzione di una concezione russa medievale, XV-XVI secolo), Moskva 1998.
25 L’idea di Roma, cit., pp. 147, 356.
26 Si veda sulla figura del sovrano russo I. de Madariaga, Ivan il Terribile, Torino 2007.
27 Ivi, pp. 78-95, 286-305. Il primo rito di insediamento a Mosca che ci sia pervenuto, riguarda l’elevazione al gran principato di Dmitrij, nipote di Ivan III, poi caduto in disgrazia, in cui probabilmente fu usata quale insegna imperiale la corona che sarebbe stata donata dall’imperatore Costantino Monomaco (ivi, pp. 67-77, 275-285).
28 Cfr. B.A. Uspenskij, Car’ i patriarch. Charizma vlasti v Rossii. Vizantijskaja model’ i ee russkoe pereosmyšlenie (L’imperatore e il patriarca. Il carisma del potere in Russia. Il modello bizantino e il suo ripensamento russo), Moskva 1998, pp. 429-461; M. Labunka, The Legend of the Novgorodian White Cowl. The Study of Its Prologue and Epilogue, München 1998. Per la versione italiana dell’opera si veda I.P. Sbriziolo, La meravigliosa storia del klobuk bianco di Novgorod, Roma 2003.
29 Si veda in particolare sull’importanza dei Grandi Menei di lettura e del Libro dei Gradini D.B. Miller, The Velikie Minei Chetii and the Stepennaia kniga of Metropolitan Makarii and the Origins of Russian national Consciousness, in Forschungen zur osteuropäischen Geschichte, 26 (1979), pp. 263-382, e soprattutto la nuova edizione del Libro dei Gradini, accompagnata da ampi commenti: Stepennaja kniga carskogo rodoslovija po drevnjšim spiskam (Il libro dei Gradini della genealogia degli imperatori secondo i più antichi codici), ed. by N.N. Pokrovskij, G.D. Lenhoff, 3 voll., Moskva 2007-2012.
30 Ivi, p. 180.
31 Pervoe poslanie Ivana Groznogo Kurbskomu (La prima lettera di Ivan il Terribile a Kurbskij), ed. by E.I. Vaneeva, Ja.S. Lur’e, in Biblioteca literatury Drevnej Rusi, cit., XI, XVI vek (XVI secolo), Sankt-Peterburg 2011, consultabile on line: http://lib.pushkinskijdom.ru/Default.aspx?tabid=9106 (18 aprile 2013); per la traduzione italiana, che abbiamo in certi punti modificato, si veda Un buon governo nel regno. Carteggio con Andrej Kurbskij, a cura di P. Pera, Milano 2000.
32 Cfr. M. Garzaniti, Biblija i ekzegeza, cit. Per un’introduzione allo studio dell’icona e del suo significato si veda D. Rowland, Biblical Military Imagery in the Political Culture of Early Modern Russia. The Blessed Host of the Heavenly Tsar, in Medieval Russian Culture, ed. by M.S. Flier, D. Rowland, II, Berkeley-Los Angeles-London 1994, pp. 182-212.
33 L’idea di Roma, cit., pp. 187, 404.
34 M. Garzaniti, Centralizm i mestnye avtonomii v svete idei rimskogo universalizma v “Povesti o načale Moskvy” (Centralismo e autorità locali alla luce dell’idea dell’universalismo romano nel “Racconto sulla fondazione di Mosca”), in Trudy Otdela drevnerusskoj literatury (Lavori della Sezione di Letteratura russa antica), 57 (2006), pp. 950-956.
35 O.V. Tvorogov, Chronograf russkij (Il Cronografo russo), in Slovar’ knižnikov i knižnosti Drevnej Rusi (Dizionario degli scrittori e della letteratura dell’antica Rus’), II, Vtoraja polovina XIV-XVI v. (Seconda metà XV-XVI secolo), ed. by D.S. Lichačev, Leningrad 1989, pp. 499-505.
36 Christianskie relikvii v moskovskom Kremle (Le reliquie cristiane nel Cremlino di Mosca), ed. by A.M. Lidov, Moskva 2000, pp. 126-128.
37 Sull’eredità di Bisanzio in Russia a metà del XVII secolo, con particolare riguardo all’immagine di Costantino, si vedano i saggi di V.G. Čencova, Pisec Nikolaj Armiriot i Krest carja Konstantina. K istorii svjazej Vatopedskogo monastyrja s Rossiej v XVII veke (Il copista Nikolaj Armiriot e la Croce di Costantino. Per una storia dei rapporti del monastero di Vatopedi con la Russia nel XVII secolo), in Palaeoslavica, 19,2 (2011), pp. 60-109, e di N.P. Česnokova, Christianskij vostok i Rossija. Političeskoe i kul’turnoe vzajmodejstvie v seredine XVII veka (L’oriente cristiano e la Russia. Il reciproco influsso politico e culturale a metà del XVII secolo), Moskva 2011, pp. 128-130, 159-202. Sulla corona, realizzata a immagine di quella dell’imperatore Costantino, si veda V.G. Čencova, Mitra Paisija Ierusalimskogo – ne prislannyj russkomu gosudarju venec “carja Konstantina” (La mitra di Paisios di Gerusalemme è la corona dell’“imperatore Costantino”, non inviata al sovrano russo), in Patriarch Nikon i ego vremja (Il patriarca Nikon e il suo tempo), ed. by E.M. Juchimenko, Moskva 2004, pp. 11-39.
38 La particolare iconografia nasce con la donazione del patriarca Nikon al monastero dell’isola di Kij, sul Mar Bianco, di un reliquiario della croce (1656). Questa immagine si diffuse rapidamente in Russia attraverso i pellegrini che frequentavano il santuario. Cfr. Tysjača let russkogo palomničestva (Mille anni di pellegrinaggio russo), ed. by E.M. Juchimenko, Moskva 2009, pp. 278-279. Sull’importante reliquario si veda S.V. Gnutova, K.A. Ščedrina, Kijskij krest, Krestnyj monastyr’ i preobraženie sakral’nogo prostranstva v epochu patriarcha Nikona (La Croce di Kij, il Monastero della Croce e la trasformazione dello spazio sacro all'epoca del patriarca Nikon), in Ierotopija. Sozdanie sakral’nych prostranstv v Vizantii i Drevnej Rusi (Ierotopia. La creazione di spazi sacri a Bisanzio e nella antica Rus’), a cura di A.M. Lidov, Moskva 2006, pp. 681-705.
39 B.A. Uspenskij, Car’ i patriarch, cit., pp. 450-461.
40 N.V. Sinicyna, Tretij Rim, cit., pp. 307-308.
41 Cfr. G.M. Zelenskaja, Novyj Ierusalim pod Moskvoj. Aspekty zamysla i novye otkrytija (La Nuova Gerusalemme nei pressi di Mosca. Aspetti del progetto e nuove scoperte), in Novye Ierusalimy. Ierotopija i ikonografija sakral’nych prostranstv (Le Nuove Gerusalemmi. Ierotopia e iconografia degli spazi sacri), ed. by A.M. Lidov, Mosca 2009, pp. 745-773.
42 Simeon Polockij, Virši, ed. by B.K. Bylinin, L.U. Zvonareva, Minsk 1990. Più in generale sulla poesia panegirica dell’epoca, con i principali riferimenti emblematici del sole e dell’aquila si veda L.I. Sazonova, Poezija russkogo barokko. Vtoraja polovina XVII – načalo XVIII veka, (La poesia del barocco russo. Seconda metà del XVII-inizio del XVIII secolo), Moskva 1991, pp. 122-160.
43 B.A. Uspenskij, Car’ i patriarch, cit., p. 449.
44 V.M. Živov, Kul’turnye reformy v sisteme preobrazovanij Petra I (Le riforme culturali nel sistema delle trasformazioni di Pietro I), in Iz istorii russkoj kul’tury (Dalla storia della cultura russa), III, XVII – načalo XVIII veka (XVII-inizio XVIII secolo), Moskva 1996, pp. 528-583.
45 Ibidem; V.M. Živov, B.A. Uspenskij, Metamorfozy antičnogo jazyčestva v istorii russkoj kul’tury XVII-XVIII veka (Le metamorfosi del paganesimo antico nella storia della cultura russa del XVII-XVIII secolo), in Iz istorii russkoj kul’tury (Dalla storia della cultura russa), IV, XVIII – načalo XIX veka (XVIII-inizio XIX secolo), Moskva 1996, pp. 483-535.
46 Sul personaggio si veda la monografia di H.C. d’Encausse, Caterina la Grande, Milano 2004.
47 La grande figura dell’angelo, opera dello scultore B.I. Orlovskij (1793-1837), in cima alla colonna eretta in memoria della vittoria dello zar Alessandro I su Napoleone, rimanda chiaramente alla visione della croce di Costantino e al motto «ἐν τούτῳ νίκα».