COSTANTINO I (C. Flavius Valerius Constantinus)
Figlio di Costanzo I Cloro e di Elena, nato a Naisso (Mesia) il 27 febbraio del 280 circa, Augusto dal 306, morto nel 337. Detto anche C. Magno.
Alla morte del padre viene acclamato Augusto dall'esercito gallico (25 luglio 306); Galerio, costretto, lo riconosce come Cesare; Massimiano, che precedentemente era sceso in aiuto del figlio Massenzio, gli offre il titolo di Augusto e gli dà in moglie la figlia Fausta (31 marzo 307). Nel convegno di Carnuntum (308) è nominato Augusto Licinio; questo determina lotte tra Licinio, che si allea a C., e Daia, che si allea a Massenzio. C. scende in Italia, sconfigge Massenzio al Ponte Milvio (28 ottobre 312), entrando in Roma il giorno seguente. Morto Daia (313), sconfitto e ucciso Licinio (324 o 325), C. rimane solo al potere. Dopo i decennali del 315, celebra i vicennali nel 325 in Oriente, nel luglio-settembre 326 a Roma, i tricennali nel 335.
Trasferisce la capitale a Costantinopoli, fondata il 25 novembre 326 e inaugurata l'11 maggio 330. Nel 325 (da maggio a luglio) ospita e presiede nel palazzo imperiale di Nicea il primo concilio dei vescovi di tutto l'Impero per la definizione del dogma unitario e la organizzazione ecclesiastica, che sanzionò il legame tra l'Impero e la Chiesa. Muore presso Nicomedia il 22 maggio 337 e riceve il titolo di Divus. La fonte storica più attendibile (Eusebio di Cesarea) afferma che C. ricevette il battesimo al termine della vita (in albis decessit).
Nella descrizione dei tratti fisionomici di C. la tradizione letteraria è per lo più vaga, restando nell'astratto dei confronti e degli elogi. I panegirici latini parlano della somiglianza di C. con il padre per la fronte grave, per la serenità e l'espressione tranquilla degli occhi e della bocca (vi [anno 310], c. 4, p. 203, 18, ed. Baehrens, Lipsia 1911; vii [anno 307], c. 3, p. 222, 25; c. 14, p. 231, 18); ricordano il fulgore dei suoi occhi, la maestà dell'aspetto che incute venerazione (vi, c. 17, p. 214, 17; xii [anno 313], c. 19, p. 305, 2), la sua bellezza (iv [x], Nazarius [anno 321], c. 34, p. 183, 19; vii, c. 6, p. 224, 17), la somiglianza con Achille (vi, c. 17, p. 214, 17), con Apollo (vi, c. 21, p. 217, 31). Nella medesima maniera elogiandone la bellezza si esprime Eusebio (De vita Constantini, i, c. xix, 2, ed. Heikel, Lipsia 1902, p. 17, 24; iii, c. x, p. 81, 23).
Il solo a darci note reali e particolareggiate è Cedreno (Historiarum compendium, i, p. 472, 23, Bonn): C. era di statura media, largo di spalle e di grossa nuca (donde l'appellativo τραχηλᾶς; esso è già in Aurelius Victor, Epit., 41). Rosso di carnagione (cfr. anche Malalas, xiii, p. 316, 5, Bonn), aveva i capelli né folti né ricciuti, la barba rada, naso un poco aquilino, sguardo leonino, volto serenissimo, maniere piene di grazia.
Nella lunga serie delle monete, che vanno dalla sua proclamazione ad Augusto in Gallia fino alla morte, cioè per 31 anni, pur attraverso gli ovvî mutamenti dell'età, le diversità di stile delle zecche occidentali ed orientali, le trasformazioni determinate da particolari e mutevoli scopi politici e dalla nuova concezione della figura del sovrano, l'effigie di C. è sempre caratterizzata dalla fronte dritta, il naso aquilino, il mento rotondo e leggermente prominente, la bocca ben disegnata e la espressione calma: alcuni di questi tratti ricordano quelli del padre, altri quelli della madre. Tranne che in alcune monete giovanili il volto è sempre raso (moda che ritorna per la prima volta dopo Traiano).
Per il periodo 306-312 (conquista dell'Italia) valgono le monete della Gallia (soprattutto quelle di Treviri). Come Cesare (306-307), C. ha l'aspetto asciutto, slanciato; talvolta porta una leggera barbula; i capelli hanno l'eco della moda tetrarchica, sebbene, nota peculiare di C., più lunghi e più mossi: la concezione del ritratto è quella dell'età dioclezianea. Come Augusto nella Gallia (307-312), C. viene assimilato abbastanza presto al massiccio ritratto del padre; i capelli conservano sulla fronte la medesima libera disposizione.
L'anno 312 segna una data importante anche nella ritrattistica costantiniana. I concetti di maestà, del bello e dell'eroico, espressi in stile classicheggiante, informano il nuovo ritratto, che si diffonde per tutto l'Impero. In questo processo di idealizzazione si cerca la somiglianza con Augusto, apparendo C. come un secondo fondatore dell'Impero. Ciò viene sentito fortemente in ambiente urbano ove C. compare anche con la pettinatura giulio-claudia. In genere i capelli, più lunghi e lisci, scendono compatti sulla fronte, intorno alla quale formano come un arco; alto è il taglio sulla nuca, secondo una moda in cui deve essere osservata una imitazione di quella traianea. Da questo tempo (cfr. anche arco di C. a Roma, v. più avanti) si accentua il rapporto fra C. e la divinità del Sol Invictus, suo protettore, col quale C. in taluni casi sembra identificarsi e la cui immagine torna sulle monete dell'imperatore sino al 321. Tale identificazione inizia con la "visione" avuta in Gallia nel 310, descritta nel panegirico letto nello stesso anno a Treviri. Ritorna, con riferimento alla visione, nell'espressione "tuus Apollo". Nel medaglione della zecca di Ticinum del 315 (in due esemplari, Leningrado e Monaco di B.) sull'elmo piumato di C. appare il monogramma cristiano. Esso ritorna su monete di Siscia del 317-318. Dal 324 scompare dalle monete la corona radiata; l'aureola (v. nimbo) diviene però attributo quasi costante della immagine imperiale (già sull'arco di C. a Roma).
Nei vicennali del 326, C. prende per il primo il diadema (Cedrenus, I, p. 517, 7; Malalas, xiii, p. 321, 17 ed altri). Nelle monete appare ora il tipo con lo sguardo in alto a significare l'intimo rapporto del sovrano con le forze celesti, la sua pietas verso gli dèi (Eusebius, De vita Const., iv, cap. xv ss., ed. Heikel, p. 123, ricorda, nei palazzi imperiali statue di C. con lo sguardo volto in alto, interpretandole, per il gesto, come oranti); tipo, dal quale non è esente il ricordo del ritratto di Alessandro (v. apoteosi). Con le monete emesse per l'inaugurazione di Costantinopoli (330) si giunge ad una effigie massiccia, possente, dal naso un poco più lungo e a punta, un mento duro; i capelli sono lunghi sulla nuca ed arricciati. Accanto a questi profili stanno altri più fini, molto idealizzati. Nelle monete dei tricennali, infine, C. è un maestoso patriarca con elegante, soffice, mossa capigliatura. Confrontando queste monete con quelle tetrarchiche, emerge chiara la profonda trasformazione di concezione e di stile verificatasi nell'età costantiniana.
I monumenti eretti a C. erano ovviamente numerosi. Di essi è un ricordo nella tradizione letteraria e nelle epigrafi. In Italia statue di C. furono abbattute da Massenzio (Paneg. lat., iv (x), Nazarius, cap. 12, ed. Baehrens), ma certamente poi rialzate. A Roma erano statue nel Foro (G. Lugli, Roma Antica: Il centro monumentale, Roma 1946, pp. 126, 16o, 169), tra cui una equestre ed una con labaro e la scritta a ricordo della liberazione della città dalla tirannide (Eusebius, De vita Const., i, cap. xl). Tale statua è il primo esempio di statua imperiale che avesse per attributo una insegna. Discussa è la interpretazione del segno sul labaro come cristiano. Eusebio la dice eretta subito dopo la vittoria al Ponte Milvio, ma se fosse da identificarsi con i resti colossali al Palazzo dei Conservatori, potrebbe essere posteriore (diadema). Sulle monete il labaro appare soltanto nel 326 insieme alla leggenda spes publica. Statue di C. isolate, oppure insieme ad Adriano e Traiano (Cedrenus, i, p. 564, 4) o insieme ad Elena, sostenenti ambedue la croce (v. anche Cedrenus, i, p. 564, 2; p. 564, 20) oppure con i figli, si trovavano a Costantinopoli (Antiquitates Constantinopolitanae dell'Anonymus, p. A. Banduri, i, 1711, v. indici s. v. Constantinus). Nel mezzo del Foro di Costantinopoli su un'alta colonna era un colosso, originariamente Apollo, trasformato, con la sostituzione della testa, in C. con corona di raggi (Anon. Band., p. 14; Cedrenus, i, p. 564, 22; Th. Preger, Konstantinos-Helios, in Hermes, xxxvi, 1901, p. 457). Ad esso venivano resi onori di lampade e di incensi (Filostorgio in Photius, Migne, Patr. Lat., lxv, p. 480; cfr. Maurice, ii, p. xlii ss.). Sembra che l'Apollo fosse stato portato via da Ilio da C. medesimo (Malalas, xiii, 320, 13). Una altra grande statua dorata, che reggeva sulla mano destra la Tyche, era condotta annualmente per il circo (Anon. Band., p. 13; Malalas, xiii, p. 322,6; Chronicon Paschale, p. 529, 12, Bonn). Cedreno (1, p. 563, 20) ricorda inoltre nel pretorio di Costantinopoli una statua equestre di C. che sosteneva la croce. Statue di C. presso Aemona in Pannonia furono distrutte da Licinio nel 314 (Origo Constantini imperatoris sive Anonymi Valesiani pars prior, J. A. Werterhuis, 1906, § 15). Un'altra statua in bronzo era dinanzi al pretorio in Antiochia, innalzata da Plutarco, primo prefetto cristiano della Siria (Malalas, xiii, p. 318, 19. Per il ritratto di C. su pittura, v. J. Burckhardt, Die Zeit Constantins des Grossen, in Gesamtausgabe, ii 1929, p. 225 ss.).
C. può dirsi il solo tra gli imperatori del tardo periodo romano ad avere una iconografia sicura e della quale si possa inoltre tracciare una linea di sviluppo. L'identificazione si fonda sopra i ritratti nell'arco di C. a Roma e sopra le statue del Campidoglio e del Laterano. I ritratti dell'arco sono sei, tre dei quali si trovano nei medaglioni adrianei: 1) lato N, medaglione di sinistra sopra il fornice laterale di sinistra; 2) lato N, medaglione di sinistra sopra il fornice laterale destro; 3) lato S, medaglione destro sopra il fornice laterale destro, due altri nei rilievi traianei sulle pareti del fornice centrale, l'ultimo nel fregio destro del lato S. Le prime cinque teste sono state ottenute dalla rilavorazione dei ritratti di Adriano e di Traiano. Per tale ragione non sono incluse dal Delbrück nella serie dei ritratti (Spätant. Kaiserporträts, p. 112, tav. 27). Tuttavia, poiché la trasformazione è stata così profonda, il volto preesistente per nulla deve avere influito sul nuovo, come si può notare dal confronto di esso con il ritratto, purtroppo solo in parte rimastoci, sul fregio costantiniano, e pertanto le opere possono mantenere tutto il loro valore iconografico e stilistico. Malgrado la corrosione e i danni subiti, si scorgono il volto largo, la fronte distesa con una sola incavatura mediana orizzontale, gli occhi dalla espressione concentrata e penetrante, le pieghe ad angolo sotto gli occhi e ai lati della bocca, il mento forte e rotondo, il naso aquilino. I capelli compatti girano ad arco sulla fronte, in mezzo alla quale le punte si toccano convergenti al centro. In base alla iscrizione si sa che l'arco, innalzato dopo la vittoria su Massenzio al Ponte Milvio (312), fu inaugurato nei decennali (315-316). Le statue loricate poste presentemente l'una sulla balaustra di Piazza del Campidoglio e l'altra nel portico della basilica lateranense hanno sul plinto l'iscrizione costantinus • aug • Esse formano con l'altra di Costantino Il Cesare, pure sulla balaustra di Piazza del Campidoglio, un gruppo contemporaneo, del medesimo stile e officina (L'Orange, Studien, p. 55 ss., fig. 156, Kat. n. 82; Delbrück, p. 135 ss., tavv. 46-47). Avendo come termine post quem il 317, anno in cui Costantino II diviene Cesare, non possono tuttavia scendere oltre il 320 circa per la moda della capigliatura ancora corta (cfr. le monete) e per la mancanza del diadema. Malgrado i danneggiamenti, si riconoscono i tratti, i quali corrispondono fondamentalmente a quelli sopra descritti: fronte ampia, pieghe sotto gli occhi, mento rotondo; gli occhi sono meno disegnati e più plastici, i capelli scendono compatti sulla fronte, il volto è più largo, più pieno.
A questi monumenti sicuri in base ad elementi estrinseci si può aggiungere la testa colossale del cortile del Palazzo dei Conservatori in Roma, sulla cui identificazione l'accordo è pressoché generale (L'Orange, p. 63, figg. 163, 83, Kat. n. 86; Delbrück, p. 121 ss., tavv. 37-44, figg. 30-31). Se il diadema, che originariamente portava, fosse accertato, dovrebbe essere datata a dopo il 326 e più precisamente a circa il 330, da confronti con le monete (Delbrück, tav. 4, 37; tav. 3, 34, 36); diversamente il Kähler, che la pone tra il 312 e il 315. Avrebbe appartenuto ad una enorme statua (acrolito), seduta in trono, collocata probabilmente nell'abside della basilica di Massenzio, composta nello schema della apotheosis. Ma altri (Kähler, Cecchelli, Vogt) ritengono di poterla identificare con quella con il labarum menzionata da Eusebio (v. sopra). I noti elementi fisionomici sono chiaramente riconoscibili, sebbene composti in una costruzione astratta di tradizione classicistica, a piani semplificati, esprimenti il concetto della divina maiestas.
Alla medesima epoca appartiene una testa bronzea a Belgrado (Delbrück, p. 119 s., tavv. 35-36), diademata, con i capelli lunghi. Dovendosi escludere gli imperatori successivi, in base ad elementi estrinseci e per la somiglianza straordinaria di tratti e di impostazione generale con le monete di Siscia, si può ritenere che essa raffiguri sicuramente Costantino.
È inoltre fortemente probabile che rappresentino C. la testa marmorea giovanile nell'Abbazia di Grottaferrata (cfr. monete di Treviri e le teste dell'arco) e l'altra, pure di marmo, nel Metropolitan Museum di New York, datata al 325-330 per la pettinatura.
È da ricordare, infine, il sigillo in terracotta (Londra, British Museum) con il volto di C. e dei suoi tre figli, del 330 circa, comprendendovi pare Costante ancora senza corona (egli divenne Cesare nel 333). Le restanti numerose attribuzioni di ritratti a C. sono prive di attendibilità e talune da respingersi decisamente in base a ricerche più recenti.
Si dubita inoltre fortemente dell'autenticità del cammeo Rollin et Feuardent, mentre l'altro dell'Ermitage di Leningrado è stato profondamente rilavorato nel tipo di Augusto in età recente. H. Fuhrmann vuole riconoscere C. nella figura centrale del frammento di tazza dell'Antiquarium Comunale di Roma.
Dislocati nel tempo, i ritratti in tal modo mostrano l'imperatore nelle diverse età e permettono di seguirne la trasformazione fisionomica, in costante relazione con le effigi sulle monete. Inoltre essi, superando necessariamente nel valore i limiti del campo iconografico, costituiscono, con i rilievi dell'arco di C. e con i pochissimi altri monumenti datati, i punti sui quali, aggruppandosi poi intorno per confronto altre opere, si fonda la conoscenza dello sviluppo dell'arte di questo periodo.
I ritratti di C. nell'arco, posti a confronto con quelli supposti di Licinio (L'Orange, figg. 129-132), ma più probabilmente di Costanzo Cloro (v.), dell'arco medesimo, mostrano le diversità della nuova visione artistica rispetto a quella tetrarchica ancora perdurante. La coesistenza delle due correnti è una caratteristica del primo periodo costantiniano. Mentre nel primo stile tetrarchico la testa era concepita come un blocco, un cubo, su cui erano riportati i tratti del volto con una composizione decorativa, nella fase tarda essa tende alla sfericità, continuando gli elementi estrinseci dei capelli corti e della barba picchiettata. Rispetto a questo ultimo tipo, i ritratti contemporanei di C. mostrano una costruzione piena di vita e di slancio, pur conservando alcuni caratteri generali stereometrici, ed elementi, come il taglio e le incisioni degli occhi, per i quali le forme che ora iniziano appaiono come un'evoluzione della locale tradizione romano-tetrarchica. Ritorna ora un senso di plasticità; la fronte, le guance riacquistano morbidezza di modellato. I capelli sono tirati sulla fronte a ciocche strette l'una con l'altra; cessa la moda di portar la barba.
Intorno al 320 circa (statue al Campidoglio e al Laterano) le tendenze precedenti si realizzano in una composizione classicistica, orientata verso l'arte augustea. Il volto si distende in espressione chiara e calma: gli elementi composti in modo equilibrato rafforzano le linee fondamentali in una visione ideale cristallina. Le modulazioni delle superfici si spengono in piani molto semplici, uniti; la vivacità, che si esprimeva anche nei capelli a ciocche libere, quasi scompare, come chiusa dalla massa compatta di essi. Dopo la fondazione di Costantinopoli, nella uniformità generale stilistica dell'Oriente e dell'Occidente, la corrente classicistica si rafforza maggiormente. Nella testa colossale dei Conservatori si stabilizza il tipo tardo di Costantino. Nella esaltazione del potere terrestre e della divina maiestas imperiale il volto con le superfici distese senza alcuna organica differenzazione e con l'occhio che si dilata, acquista una astrazione superumana. Questo tipo si imprime nel ritratto imperiale tardo e sarà norma a quelli medievali.
Analogamente a quanto Diocleziano e Galerio avevano predisposto nei loro palazzi residenziali di Salona (Spalato) e di Tessalonica (Salonicco) includendovi il proprio mausoleo inteso anche come luogo di culto, C. fece erigere accanto e in connessione alla chiesa degli Apostoli sull'alto di una delle colline di Costantinopoli il proprio sepolcro. Il sarcofago era fiancheggiato da una parte e dall'altra da sei stele ricordanti gli Apostoli, il che contribuì al formarsi della venerazione di C. come ἰσαπόστολος non senza continuità di un concetto pagano: quello del tredicesimo aggiunto ai 12 dèi.
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