Costantino fra divinizzazione e santificazione
Una sepoltura contestata
Gli imperatori romani erano, per tradizione secolare, assimilati sotto più aspetti alla divinità, sia in vita, in quanto oggetto di culto e portatori di una energia soprannaturale espressa dal titolo stesso di Augusto, sia da morti, in virtù di un istituto consolidato quale la consecratio1. Tale pratica potrebbe apparire radicalmente inconciliabile con la concezione cristiana, improntata al principio della trascendenza divina, se si considera che la divinità – il numen – del princeps vivente costituì occasione di confronto con la concezione cristiana, sia in termini generali2, sia in riferimento all’istituzione dei concilia e dei koinà legati al culto dell’imperatore, attivi anche dopo Costantino3. In termini diversi, invece, si presentò la possibilità di recepire almeno due elementi della consecratio: il riconoscimento e la convalida ufficiali dell’operato del bonus princeps, che nella prassi protocollare corrispondeva alla probatio; l’affermazione di una continuità fra l’opera svolta in vita dal bonus princeps e la sorte riservatagli da morto, che era denominata relatio in numerum divorum4?.
Anche per il primo imperatore cristiano furono attivate, mentre era in vita, varie forme del culto imperiale: esse sono attestate da testimonianze archeologiche ed epigrafiche, come nei casi delle città di Arelate5 e di Hispellum, ma obliterate dalla storiografia antica. Le cose andarono diversamente per quel che concerne la definizione del suo status da morto: per Costantino si ricorse sia alla ritualità della tradizione senatoria, che gli conferì la divinizzazione, sia alla liturgia cristiana, che dovette però creare ex novo un rituale di sepoltura per un imperatore che era deceduto da battezzato. La Vita Constantini registra correttamente la concorrenzialità fra la cerimonia di impronta tradizionale svoltasi a Roma e quella celebrata a Costantinopoli. Quest’ultima fu decisamente innovativa in relazione tanto alla bipartizione tra pompè funebre, guidata da Costanzo II, e celebrazione del sacrificio della messa, quanto alla sepoltura all’interno della basilica dei Dodici Apostoli, al centro delle dodici stele rappresentanti gli apostoli, che poteva essere interpretata sia come cooptazione fra questi ultimi, sia come identificazione con Cristo6.
Volendo parlare, con un’approssimazione che sarà superata solo nelle pagine che seguono, del cerimoniale allestito a Costantinopoli in termini di ‘santificazione’ di Costantino, si può dunque affermare che, considerati nel loro insieme, i rituali delle cerimonie di Roma e Costantinopoli conferirono all’imperatore congiuntamente l’apoteosi e la santificazione, con indiscutibili aspetti di contaminazione7. Col presente contributo ci si propone appunto di procedere oltre la presa d’atto della loro compresenza ‘storica’, nel tentativo di distinguere fra le permanenze di un istituto in esaurimento, quale l’apoteosi, e la sperimentalità di un istituto in fieri, come quello della ‘santificazione’ di un imperatore cristiano quale fu Costantino. Di quest’ultimo si indicheranno, accanto al valore, anche le incongruenze e le aporie emerse nel lasso di tempo compreso tra il IV secolo e i primi decenni del V8. Si intende, infatti, ripercorrere un’evoluzione, a conclusione della quale la possibilità di ‘santificare’ Costantino risultò compromessa a motivo di ‘riletture’ critiche convergenti di Giovanni Crisostomo, Ambrogio e Agostino9. In esse si rinviene la ragione di un fenomeno a prima vista incomprensibile, quello per cui Costantino non ha trovato pressoché alcuno spazio significativo nella liturgia della Chiesa latina.
Sono due le questioni che meritano speciale approfondimento. La prima concerne le estreme vicende di Costantino: esse pure si sono esplicate all’insegna della sperimentazione e dell’originalità, in sintonia con tutto il suo regno trentennale. La seconda interessa il ruolo che l’imperatore assunse nei confronti delle dispute dottrinali e disciplinari interne alla Chiesa: esso si è riflesso in modo significativo sugli onori che furono tributati alla sua persona da morto. Dalla prima questione deriva la necessità di interpretare le informazioni offerte dalle fonti coeve come una risposta in cui prevale la funzionalità rispetto alla assiomaticità. La seconda, invece, pone in evidenza come la sepoltura di Costantino nella nuova capitale, all’interno della basilica dei Dodici Apostoli, sia stato un riflesso del ruolo che all’epoca si riconobbe all’imperatore Costantino: se la sepoltura stessa, nel 337, lo presentò come ‘pari agli Apostoli’ o addirittura ‘simile a Cristo’, la rimozione plateale del sarcofago, nel 358-359, fu un atto che intese esprimere, da parte dei vescovi, una rivendicazione, via via crescente, di autonomia nei confronti del princeps.
Una volta superato, con l’inaugurazione del mausoleo nel 370, il problema di natura simbolica, permaneva in tutta la sua rilevanza quello del rapporto fra imperium e sacerdotium: il modello costantiniano risultava inadeguato ai parametri che si andavano definendo nella Chiesa nicena in ordine alla santificazione degli asceti (Antonio e Ilarione)10, dei vescovi (Acolio di Tessalonica, Eusebio di Vercelli, Martino di Tours e Massimo di Torino)11 e dei buoni imperatori, come appunto Teodosio il Grande, nuovo modello di optimus princeps accolto nei sanctorum consortia12.
Consapevole della propria forza e reduce da contrasti con imperatori filoariani quali Costanzo II, Valente e Valentiniano II, la Chiesa elaborò un canone di virtù etico-religiose non compatibile con alcuni tratti della figura storica di Costantino: eccolo dunque nel De obitu Theodosii di Ambrogio passare in secondo piano rispetto alla madre Elena, ecco Agostino erodere, nel De civitate Dei, i presupposti della felicitas aeterna del primo imperatore cristiano. In modo diverso ma convergente, Orosio preferì collocare al centro della svolta epocale, con cui iniziarono i tempora Christiana, la concomitanza della nascita di Cristo e del regno di Augusto. In meno di un secolo si concretizzarono le premesse di una divaricazione fra mondo latino e mondo greco in ordine alla santità di Costantino il Grande: alla sua forte presenza nelle celebrazioni liturgiche delle comunità orientali (ortodosse, cattoliche di rito greco, armene e copte) corrisponde, infatti, una presenza del tutto sporadica nella tradizione occidentale13.
Che Costantino sia stato divinizzato dal Senato di Roma è attestato concordemente da fonti storiografiche, numismatiche ed epigrafiche. Da queste risulta che tale istituto secolare fu espletato nella sua forma tradizionale, tanto nel compimento dei rituali propri del cerimoniale, quanto nell’esplicitazione di uno dei suoi nessi fondamentali, vale a dire lo stretto collegamento fra la relatio in numerum divorum e la legittimazione della successione. Proprio la Vita Constantini testimonia che l’imperatore ebbe a Roma, la ‘città regale’, un funerale in absentia, connotato dagli elementi tradizionali, quali lo iustitium, l’esposizione di imagines e la raffigurazione dell’assunzione in cielo:
Sia il Senato, sia il popolo romano, non appena vennero a conoscenza della morte dell’imperatore […] dando corso a incontenibili manifestazioni di cordoglio. Furono chiuse le terme e i mercati e vennero sospesi tutti gli spettacoli […] camminavano per la strada tristi e avviliti e tutti a un tempo proclamavano le lodi di quel principe […] degno di rivestire l’autorità imperiale. E non si limitavano a queste grida di compianto, ma traducevano in concreto il loro dolore, onorando il defunto sovrano con la dedica di ritratti, proprio come se fosse stato ancora in vita: tali dipinti raffiguravano la distesa del cielo con l’imperatore che dimorava nello spazio etereo al di sopra della volta celeste14.
Affiorano termini propri del protocollo della divinizzazione degli imperatori, quali la formula ‘Senato e popolo’, l’indizione dello iustitium, nonché la precisa indicazione del luogo celeste in cui l’imperatore si collocava, coerente con la concezione ellenistica del katasterismos15. Né manca il tema della legittimazione dei successori, elemento costitutivo della consecratio e, in questo caso, vero e proprio punctum dolens, presentato abilmente nel testo eusebiano, come si vedrà fra breve.
L’impressione che si ricava dalla lettura è che la cerimonia svoltasi a Roma sia stata precedente rispetto a quella di Costantinopoli; in ogni caso il terminus post quem è indicato dall’avvenuta regolazione della successione, come suggerisce questo inciso: «Anche gli abitanti di Roma proclamarono i figli di Costantino, essi soltanto e non altri, imperatori e Augusti»16.
Eusebio di Cesarea conosce bene l’istituto romano della consecratio ed è uno dei pochi autori che conservi la notizia relativa alla competenza del Senato romano in fatto di relatio in numerum divorum17?. Egli, infatti, tratta in più occasioni il tema e ha ben presente un canone degli imperatori divi18?. Nella premessa del I libro della Vita Constantini, tuttavia, dopo avere dichiarato che l’opera mira prevalentemente a trattare gli aspetti riguardanti la fede e la religione, adotta anche espressioni che riecheggiano quelle di Tacito e di Tertulliano, per i quali non si possono attribuire gli epiteti della divinità a un imperatore prima della morte19:
Le attuali circostanze consentono di celebrare con la massima libertà di espressione l’imperatore come veramente beato, mentre prima non era lecito farlo, in base alla prescrizione che vieta di proclamare beato un uomo prima della sua morte, data l’incertezza dominante nei mutamenti della vita umana20.
Ciò che Eusebio riferisce sulla divinizzazione di Costantino è confermato dal Calendario di Filocalo21 e da Eutropio, nonché da alcune attestazioni epigrafiche e da una consistente emissione di monete di ‘consacrazione’. Se è dunque un fatto che i dati forniti dal biografo del sovrano (la probatio, lo iustitium e l’esposizione delle imagines) sono fededegni, occorre nondimeno domandarsi che senso abbiano le sue omissioni, visto che il suo racconto manca dei riferimenti al rogo funebre con la imago di cera, alla liberazione e al volo dell’aquila, alla dedica di altari e di templi, all’istituzione dei sacerdoti addetti al culto e infine ai sacrifici al nuovo divus, ossia degli aspetti del rituale funebre provvisti di più evidente valore religioso.
Resta difficile ritenere che il Senato possa avere espletato un cerimoniale incompleto; almeno per un punto, quello relativo alle statue dedicate al nuovo divus, i dati archeologici ed epigrafici contraddicono il silenzio di Eusebio: tutto pertanto lascia pensare che egli abbia concluso la sua esposizione sui riti attuati a Roma indirizzando intenzionalmente l’attenzione dei lettori, in realtà per distrarli da altro, sul contrasto sorto tra gli abitanti di Roma e Costanzo II in seguito alla decisione di seppellire l’imperatore a Costantinopoli anziché nell’Urbe22. Messo da parte il problema dell’absentia del corpo dell’imperatore, che di per sé non costituiva un impedimento alla celebrazione solenne del funus23?, la protesta messa in bocca al popolo, ma con ogni verisimiglianza promossa dal Senato, era di natura politica e riguardava la decisione dei tre Augusti di non riportare il corpo (per molti imperatori si era trattato delle ceneri) di Costantino in uno dei mausolei di Roma, tanto più che era pronto in città quello in cui era stata sepolta la madre Elena24. Nemmeno l’ipotesi subordinata, vale a dire che il Senato di Roma possa avere decretato l’apoteosi senza il consenso degli Augusti, trova riscontro, in quanto le cerimonie che si tennero nell’Urbe ebbero il valore di una legittimazione degli eredi al pari di quelle che si celebrarono poi a Costantinopoli: un elemento politico importante, nel contesto drammatico e confuso della successione (337)25.
Tanto le fonti epigrafiche quanto quelle numismatiche offrono spunti efficaci per una soluzione del problema. Iniziando dalle prime, si può rilevare che queste testimonianze scritte danno indicazioni convergenti a conferma dell’avvenuta consecratio di Costantino, oltre a segnalare alcuni significativi elementi di novità. Le attestazioni epigrafiche dell’epiteto divus applicato a Costantino sono solo otto e tutte d’area occidentale, cioè dei territori sottoposti a Costante e a Costantino II26: se vengono poste a confronto con le dediche ancora relativamente numerose composte a suo tempo per Costanzo I, risultano essere un gruppo veramente sparuto; ad attribuire loro un notevole valore è però proprio il fatto di costituire le ultime vere e proprie dediche a un imperatore divus27. Se ne deve evincere anzitutto che la relatio in numerum divorum fu effettivamente decretata, ma poi che essa vada collocata lungo un percorso che demarca un prima e un dopo: per molti aspetti essa fu, infatti, l’ultima relatio in numerum divorum, e tuttavia non mancarono successive proclamazioni, variamente presenti nelle fonti, che attestano dunque il permanere di tale istituto senatorio fino al caso di Teodosio Seniore incluso28.
La prima di queste otto attestazioni si trova sull’Arco di Augusto a Fano, apposta accanto a quella originaria di Augusto e dedicata da Lucio Turcio Secondo Aproniano Asterio, corrector Flaminiae et Piceni tra il 340 e il 35029. Egli è una delle grandi personalità pagane che godono della fiducia imperiale; nel proprio cursus honorum spicca la funzione di quindecemvir sacris faciundis; diviene anche corrector Tusciae et Umbriae nel 342, per poi accedere alla prefettura urbana nel 362, come già avvenuto per suo padre nel 33930. La seconda, che proviene dal Foro Boario, è voluta dal praefectus annonae Lucio Crepereio Madaliano negli anni 337-341. La terza iscrizione, frammentaria, è stata rinvenuta a Ostia31: essa, pur non offrendo da sé sola indicazioni rilevanti, ha presumibilmente a che fare con la statua dedicata nel medesimo periodo dall’«ordo et populus civitatis Flaviae Constantinianae Portuensis» proprio a Lucio Crepereio Madaliano, figura che deve avere avuto un particolare legame di gratitudine verso Costantino. Anche in seguito costui è sulla scena politica, dato che percorre sotto Costanzo II un cursus honorum di grande rilievo: come consularis aedium sacrarum è interlocutore della politica religiosa non lineare di tale imperatore nei confronti dei culti tradizionali; sempre lui, in qualità di vicarius Italiae, riceve la costituzione di Costante che vieta i sacrifici32. A completare il quadro delle dediche in onore del divo Costantino a Roma e a Ostia, va ricordata una quarta dedica, proveniente dall’area di Trastevere, che esprime la venerazione di una corporazione professionale, il corpus salariorum33. La quinta dedica, incisa su un cippo calcareo rinvenuto in Umbria, a Colfiorito di Foligno (l’antica Plestia), ha un carattere marcatamente pubblico, dato che fu promossa dall’ordo Plestinorum34. Come tale attesta la ricezione del titolo divus in un municipio che non solo non può essere considerato come area marginale in sé35, ma che era prossimo alla città di Spello, in cui era stato istituito, per concessione di Costantino, un tempio per il culto della gens Flavia. Quando diedero attuazione al decreto del Senato che proclamava Costantino divo, i decurioni di Plestia erano certo consapevoli della stretta connessione che si stabiliva tra il proprio atto e la solennità delle celebrazioni organizzate ogni anno (sollemnis) a Spello dal coronatus, che costituivano l’evento politico più rilevante per l’intera Umbria tardoantica36.
Vanno infine segnalate altre tre iscrizioni con la menzione del titolo di divus: esse hanno funzione o datante o patronimica. Si tratta di due miliari dalla Numidia con l’intestazione «Divo Constantino Maximo Victori semper Augusto» e una dedica a Costantina, figlia di Costantino, rinvenuta a Roma nell’area della Domus Faustae37. Un’ultima iscrizione, dalla chiesa di S. Giovanni Evangelista in Ravenna, fondata intorno al 430 da Galla Placidia, consente di apprezzare il significato legittimante dell’epiteto divus in un contesto di forte valore politico e ideale38. Al riguardo va notato che tale epiteto faceva parte del formulario aulico e rimase saldamente attestato nei testi legislativi con valore formale di ‘imperatore di cui si ritengono validi gli atti’. Nei testi del Codex Theodosianus si impiega divus per Costantino, Gioviano, Graziano e Teodosio il Grande39. Ancora nelle due prime Novellae di Teodosio II, rispettivamente del 438 e del 447, con riferimento a tutto il Codex, ricorrono le espressioni «ex divi Constantini temporibus» e «divorum retro principum constitutiones»; l’espressione «a divo Constantio patre» di una Novella di Valentiniano III del 452 trova corrispondenza nel coevo Codex canonum ecclesiasticorum di Leone Magno in cui si legge «divus Valentinianus», mentre in una lettera del medesimo papa, inviata a Marciano nel 451, si trova scritto «sub divo Theodosio maiore»40.
In generale, nel corso del V e del VI secolo, negli usi protocollare e letterario, alle formule connesse con il vocabolo divus tendono a subentrare quelle che declinano l’idea di memoria, quali «venerandae memoriae» e «divae memoriae», oppure «gloriosae memoriae», «gloriosae recordationis», «praecelsae recordationis» e infine «beata recordatio». In pieno VI secolo Cassiodoro usa il termine divus.per Valentiniano II, nel richiamarsi ai precedenti legislativi dell’editto generale di Atalarico41. A Teoderico sono attribuite sia le formule legate al termine divus, sia quelle derivanti da memoria / recordatio42. La presenza in testi legislativi, o protocollari, come sono le Variae di Cassiodoro, rende conto della funzione del termine divus e ne spiega la permanenza per almeno altri due secoli, ma al tempo stesso dimostra che poteva essere impiegato in un ambito semantico specifico e delimitato, prescindendo dal suo valore sacrale.
Le emissioni ‘di consacrazione’ dedicate a Costantino confermano il quadro fin qui delineato e lo rendono ancor più articolato. Da un canto attestano l’attribuzione ufficiale dell’epiteto divus in tutto l’Impero, dall’altro anch’esse configurano il caso riguardante Costantino come un discrimine, in quanto dopo le sue non sono state più emesse monete con tale tipologia e con tale legenda per nessun altro imperatore: una cesura significativa e netta, da non confondere con la permanenza del termine divus.
Si impone all’attenzione anche un’altra innovazione, già attestata per le emissioni di Costanzo Cloro a cura di Costantino stesso, quella del ‘depotenziamento della simbologia religiosa delle monete di consacrazione’, consistente nel mantenimento dell’epiteto divus.ma, al contempo, nella scomparsa di alcuni simboli quali l’altare e la legenda consecratio43. Tutto concorre a definire questo quadro d’insieme: la relatio in numerum divorum fu decretata per Costantino dal Senato romano, con l’attribuzione del titolo di divus nella pienezza del suo significato tradizionale; resta il dubbio se si sia proceduto con l’attribuzione dei sacerdoti e con la dedica di are e di statue cultuali, un dubbio alimentato dal silenzio di Eusebio e dall’assenza di documentazione offerta da altre fonti.
L’esame della monetazione di ‘consacrazione’ offre numerosi dettagli, pur sollevando diversi problemi. Nelle varie tipologie emesse emerge un elemento comune, costituito dal recto, in cui compare sempre Costantino con nimbus per indicarne il rapporto con la divinità, mentre le tipologie del verso presentano un’articolazione che può essere compresa in due gruppi, uno costituito dalle tipologie tradizionali, il secondo dal tipo con Costantino che ascende su una quadriga:
A-tipologie tradizionali. Nelle zecche controllate da Costantino II (Treviri, Lione, Arles [Constantina]) compare una tipologia che presenta al recto Costantino con nimbus e la legenda «Divo Constantino p(atri)» e al verso l’imperatore stante, in abito militare, con lancia nella destra e globo nella sinistra, e la legenda «aeterna pietas»44. Nelle zecche situate in aree sottoposte a Costanzo II (Eraclea, Costantinopoli, Nicomedia, Cizico, Antiochia e Alessandria) si mettono in evidenza due tipologie: se entrambe presentano al recto Costantino con nimbus e la legenda «D(i)v(us) Constantinus p(a)t(er) Augg(ustorum)», differiscono tuttavia al verso, in quanto la prima tipologia presenta la figura di Aequitas e la legenda «iust(ae) ven(erandae) mem(oriae)», mentre nella seconda compare l’imperatore stante, velato, con la mano levata e la legenda «v(enerandae) m(emoriae)»45.
B-tipologia con Costantino sulla quadriga. Nelle zecche controllate da Costantino II e Costanzo II (Treviri, Eraclea, Costantinopoli, Nicomedia, Cizico, Antiochia e Alessandria) sono emesse monete che presentano al recto Costantino con nimbus e la legenda «D(i)v(us) Constantinus p(a)t(er) Augg(ustorum)», mentre al verso compare la quadriga con l’imperatore che sale in cielo accolto da una mano46.
La testa di Costantino rivolta a destra, coperta da un velo che ricade sulla spalla, presente al recto di tutte le emissioni, ha come precedenti le emissioni in onore dei tetrarchi47 e di Claudio il Gotico48, ma va messa in rapporto anche con i busti nimbati – da vivi – di Costanzo Cloro, di Costantino stesso, che compare con il nimbus al recto di numerose emissioni auree tra il 315 e il 317, e dei Licinii, che presentano tale attributo in un multiplo aureo del 32049. La tipologia è quella del pontifex maximus sacrificante, che poteva avere un significato più generale dell’istaurarsi di un rapporto diretto tra l’uomo e la divinità50.
Tra le varie tipologie, la più diffusa è proprio quella che Eusebio stesso ha descritto con precisione nella Vita Constantini: «Su una quadriga in guisa di auriga, nell’atto di essere accolto in cielo da una mano che gli si protende dall’alto»51.
Invero non mancano analogie nell’iconografia topica52, tra cui quella della quadriga del Sole dell’Arco di Costantino a Roma53. Anche la mano dall’alto ha un precedente prossimo nel Panegirico del 313 in onore di Costanzo Cloro, in cui la mano di Giove accoglie il nuovo divo: «Iove ipso dexteram porrigente»54.
L’individuazione dei precedenti non deve però distogliere dal problema principale: la monetazione di consacrazione per Costantino, fatta coniare da Costanzo II e Costantino II (ma non da Costante)55, diffondeva un segnale tradizionale di immediata lettura, vale a dire che Costantino era divus. Al verso proponeva il tema dell’ascesa al cielo, altrettanto comprensibile per ogni romano, quale che fosse la sua religio, in quanto elemento costitutivo, dall’inizio, dell’apoteosi imperiale, incluso Giulio Cesare, mentre i cristiani erano avvezzi tanto all’ascesa di Elia, quanto, e soprattutto, a quella di Cristo.
Dal canto suo Eusebio trovava del tutto congruenti con il suo pensiero sia il recto della moneta (con Costantino nimbato), sia il verso, come si è appena letto. Si può assumere che egli registrasse il gradimento dei cristiani per la simbologia di quella monetazione: se così non fosse stato, avrebbe per lo meno taciuto, come ha fatto per tutti i temi che non erano coerenti con la sua esaltazione di Costantino.
Diversamente da Roma, a Costantinopoli si è svolto, in praesentia, un rituale innovativo e complesso, culminante con una vera e propria depositio ad sanctos nella basilica dei Dodici Apostoli, che ripropone con forza il problema della sacralità dell’imperatore e del culto dedicato a Costantino dai suoi contemporanei. Costanzo II, che si era assicurato il controllo delle diocesi orientali dell’Impero, presiedette i funerali del padre. L’avvenimento era destinato a essere ricordato: «tutto l’apparato offriva ai visitatori uno spettacolo straordinario, tale che per nessun altro uomo mai sotto i raggi del sole, da che mondo è mondo, se n’era visto uno simile sulla terra»56.
La fastosa cerimonia doveva conciliare un cerimoniale aulico tradizionale con il fatto nuovo che l’imperatore aveva scelto come propria religione quella cristiana e, proprio alcuni giorni prima, si era battezzato. Ne derivò un rituale in cui erano evidenti sia la componente civile sia quella religiosa: la pompa imperiale, di carattere civile e militare, fu seguita dal sacrificio cristiano57.
Della prima fase furono attori i dignitari di corte e gli alti gradi dell’esercito: sotto la guida di Costanzo II si svolse la pompa funebre dal palazzo imperiale alla basilica dei Dodici Apostoli. All’interno della chiesa iniziò il secondo momento del rituale: «Quando l’imperatore Costanzo II si fu ritirato con tutti i soldati, si fecero avanti i sacerdoti insieme con una enorme folla di fedeli e iniziarono a recitare le preghiere e a compiere la sacra funzione»58.
La sperimentazione di un nuovo rituale è evidente, come pure si manifesta nella sua gravità la discrasia tra aspetto civile-politico e aspetto religioso-rituale, culminante nell’uscita di scena della più alta autorità, quella dell’imperatore. Se il testo della Vita Constantini è autentico e riproduce fedelmente la realtà, Costanzo II ha accettato un protocollo che lo escludeva da un momento importante del funerale imperiale, in nome di una disciplina consolidata, ma interna alla Chiesa, relativa ai catecumeni59.
La collocazione del sarcofago configura una depositio ad apostolos, preannunciata nei capitoli sulla costruzione della basilica dei Dodici Apostoli60, in cui vengono esplicitate le intenzioni dell’imperatore:
L’imperatore consacrò l’intero complesso allo scopo di perpetuare in eterno il ricordo degli apostoli del nostro Salvatore. Ma nell’edificarlo perseguiva dentro di sé anche un altro intento, il quale, se sul principio rimase celato, divenne alla fine ben evidente ad ognuno. Egli, infatti, intese riservare a se stesso quel luogo per quando fosse giunto il momento della sua fine, preoccupandosi con uno straordinario atto di fede di fare in modo che il suo corpo dopo la morte venisse accostato e accomunato al nome degli apostoli: sperava di beneficiare così anche dopo la morte delle preghiere che colà si sarebbero recitate in onore degli apostoli. Per questo motivo dispose che in quel tempio si tenessero anche delle pubbliche funzioni e a tale scopo fece istallare un altare al centro dell’edificio. Sempre lì stesso fece erigere dodici sarcofagi, alla stregua di dodici sacre steli, in onore e memoria della comunione degli apostoli; nel mezzo fece collocare la cassa che era destinata a se stesso, in modo che questa avesse su ciascuno dei due lati sei dei sarcofagi consacrati agli apostoli61.
Eusebio ritorna sul tema successivamente, narrando la cerimonia della sepoltura, annotando la propria autopsia e affrontando il problema del rapporto fra sepoltura imperiale e sacrificio62:
Dio [...] procurò a lui l’onore di essere accomunato al ricordo degli apostoli nel luogo che l’imperatore stesso aveva così ardentemente desiderato per sé. Cosicché ancora oggi è possibile vedere il corpo di quell’anima tre volte benedetta glorificato accanto al nome degli apostoli e attorniato dal popolo di Dio, al centro delle divine cerimonie e del mistico sacrificio, partecipe delle sante preghiere e detentore, anche dopo la morte, dell’autorità imperiale63.
I testi di Eusebio propongono almeno due ordini di problemi: a) se Costantino dovesse essere equiparato agli apostoli o se non si intendesse mettere in evidenza la sua imitazione di Cristo; b) quale fosse il rapporto fra sepoltura imperiale e sacrificio eucaristico64.
L’eccezionalità della sepoltura induce il vescovo di Cesarea a fare una serie di precisazioni di carattere dottrinale, nonché ideologico. Innanzitutto egli lascia intendere che la collocazione del sarcofago di Costantino fra le stele con i nomi degli apostoli è destinata a fare di esso il centro del sacrificio: ne consegue che quella dell’imperatore è una vera e propria assimilazione ai martiri / santi e non una semplice depositio ad sanctos / ad martyres. A Eusebio neppure sfugge che ciò, di per sé stesso, implica anche un confronto con Cristo, non per l’assimilazione alla natura divina, ma per la funzione di guida, come ha più volte sostenuto nei propri scritti a riguardo della natura del potere imperiale e della persona stessa di Costantino. Egli reputa pertanto necessario precisare e insistere sul fatto che il progetto è dell’imperatore stesso e che da tutto ciò scaturisce una sorta di continuità fra l’autorità detenuta in vita e quella conservata da morto. Consapevole delle difficoltà d’ordine dottrinale e liturgico connesse con la possibilità di assimilare un imperatore sia ai vescovi, mentre è in vita65, sia ai martiri e agli apostoli, da morto, Eusebio si mostra comunque molto cauto ogni volta che parla della venerazione rivolta a Costantino. Non ha remore, invece, nel presentarlo come beato: «l’anima tre volte benedetta dell’imperatore è unita a Dio in persona, libera da ogni involucro mortale e terreno e splendente in una veste abbagliante di luce»66. Definisce il premio ricevuto da Costantino, libero dalle cure mortali, come «il diadema eternamente rigoglioso di una esistenza senza fine e l’immortalità di una vita beata»67. Colloca decisamente il sovrano tra le anime beate: «Dio cinse Costantino con il premio dell’immortalità e lo condusse dal regno terreno alla vita immortale, che presso di lui è tenuta per le anime sante»68. Una particolare attenzione meritano le espressioni poste in bocca all’imperatore morente, dopo il battesimo: «Ora so di essere beato nel vero senso della parola, ora di aver meritato la vita eterna, ora di avere in me la luce divina […] e di aver acquistato la vera vita»69. Per definire la natura divina del potere imperiale e la sacralità della persona stessa dell’imperatore, Eusebio adotta modelli neoplatonici e scritturali: già nel Triaconteterico e ora nella Vita Constantini, lo definisce «icona» del Padre e «imitazione» del Figlio, attribuendogli la funzione di «interprete» e di «vicario sulla terra» sia di Dio-Re, sia del Logos-Cristo70. Si tratta di un livello di idealizzazione che conferma la sacralità del potere imperiale senza sollevare particolari problemi di natura dottrinale, in quanto non scalfisce, comunque, i principi della trascendenza del divino rispetto all’umano. Il problema latente verte, invece, sul punto controverso (quello che finisce con l’essere l’anello debole del pensiero di Eusebio) della definizione del rapporto fra imperatore e vescovi all’interno della Chiesa, definizione rimasta appesa a formule ambigue e discusse, quali «vescovo universale» e «vescovo delle cose / di coloro che sono fuori»71.
In effetti il rapporto fra le funzioni episcopale e imperiale (sacerdotium e imperium) è da subito un tema sensibile dell’età costantiniana, diventando materia di una sperimentazione che dà adito a una serie di ambiguità nell’azione di governo di Costantino. Ciò si verifica sia quando intende definire il ruolo civile e politico dei vescovi72, sia (soprattutto) quando si propone di dirimere questioni dottrinali nel corso dei concili e dei sinodi. In questo secondo caso, egli agisce non solo in virtù della propria autorevolezza, ma anche, coerentemente e in modo conforme alla propria carica, in qualità di pontefice massimo, finendo tuttavia non poche volte con l’alimentare insoddisfazioni e contrasti destinati a costituire una difficile eredità per i suoi successori73.
Il Costantino titolare di un ‘patto singolare’ stipulato con Dio, come nell’Antico Testamento, cui sono garantiti la vittoria e lunghi anni di regno, si pone, infatti, in continuità con la tradizione romana, nella quale l’Augusto (in greco sebastós) è mediatore del favore divino sull’Impero, al quale assicura la pax deorum. Anche nella concezione biblica si concepisce come necessario il nesso tra favore divino e successo / vittoria del popolo eletto, per cui la vicenda di Costantino poté essere inquadrata in una vera e propria ‘teologia della vittoria’, che trova fondamento e conferma nella continuità dei suoi successi74.
Per questa via l’imperatore cristiano assume un ruolo nella costruzione del ‘Regno di Dio’ e riveste i termini dell’esemplarità e della conformità alla legge divina, premesse della sua ‘santificazione’ da morto: il suo principale tratto distintivo è la pietas (eusébeia), che lo rende theòphilos; in secondo luogo egli è ‘scelto espressamente da Dio’, in modo diverso da ogni altro capo politico75, ma egli ha esplicato nella vita anche tutte le virtù morali76.
Per essere definito ‘beato’ (o, meglio, ‘tre volte beato’) da morto, a queste solide premesse Costantino aggiunse il battesimo ricevuto in fin di vita, che sancisce la pienezza dell’appartenenza. Nella Vita Constantini Eusebio può quindi proiettare la vicenda esemplare del primo imperatore cristiano in taluni termini di assolutezza che hanno molto in comune con quelli che si rinvengono nell’ambito dell’agiografia.
Le vicende della successione sono invero confuse e tragiche, tali da gettare un’ombra sul suo stesso regno: morto il 22 maggio 337 a Nicomedia, viene traslato in una bara d’oro coperta dalla porpora imperiale a Costantinopoli ed è esposto nel palazzo imperiale77, dove riceve l’adoratio per molti giorni, fino a che, il 9 settembre, non è regolata la successione78. Solo allora hanno finalmente luogo i funerali79. Il modo in cui sono presentate le vicende della successione nella Vita Constantini rivela una profonda e accorta rielaborazione storica e politologica. In primo luogo, è una decisione testamentaria di Costantino stesso in articulo mortis80? a stabilire che ereditino l’Impero soltanto i tre figli nati dal suo matrimonio con Fausta, cioè Costantino II, Costanzo II e Costante. In secondo luogo, non solo è assolutamente taciuta l’eliminazione dei rami collaterali, ma la responsabilità di tutto quanto avviene nei confusi mesi della successione è attribuita all’esercito; se non bastasse, per esimere del tutto i nuovi tre Augusti, si fa ricorso al sovrannaturale, postulando un’ispirazione divina. Infine, per mezzo di una formula politico-teologica ardita ma di sicura efficacia, quella di una pretestuosa ‘basileia post mortem’, trova il proprio culmine la brillante copertura escogitata sia perché non risulti evidente la violenta alterazione dei progetti dinastici di Costantino operata dai figli, sia perché non si comprendano le vere ragioni di un così lungo interregno81. Se si sta all’esposizione eusebiana, esso sarebbe stato un prolungato e ordinato cerimoniale aulico in onore dell’imperatore:
Questo cerimoniale si protrasse per lunghi giorni […] finché non giunsero i figli a prendersi personalmente cura delle onoranze funebri per il loro padre. E così quel principe benedetto fu il solo sovrano che continuò a regnare dopo la morte: tutto procedeva, infatti, secondo il consueto andamento, come se egli fosse tuttora in vita82.
Una volta che si è preso atto dell’estrema cautela con cui Eusebio procede nella narrazione dei funerali, rivelandosi consapevole della problematicità e della rilevanza della materia, ci si deve chiedere quali siano i dati che lo scrittore intende accreditare. Essi sono essenzialmente due: ribadire il favore goduto da Costantino presso il Dio dei cristiani e affermare la piena conformità della sua azione ai piani divini, inclusa la legittimità della successione dei tre figli. Ne discende il diritto dell’imperatore a essere accomunato alla memoria degli apostoli e, addirittura, a condividere con Cristo la capacità di operare post mortem:
Il vincitore Massimo Augusto domina infatti sull’orbe romano in virtù del suo solo nome, governando l’Impero come fosse risorto: non come l’uccello egiziano […] ma allo stesso modo del suo Salvatore […]. Come Cristo, così pure l’imperatore tre volte benedetto, da uno che era, si è come moltiplicato nella successione dei figli83.
Si tratta delle considerazioni conclusive della Vita Constantini. Qui i canoni della retorica consentono l’iperbole, ma Eusebio non la impiega fino al punto da perdere il controllo delle definizioni dottrinali: l’imperatore è accomunato alla ‘memoria’ degli apostoli perché questa è stata la sua espressa volontà. E tuttavia ciò va considerato un esplicito segnale della perplessità dell’autore, che fa capolino anche in un brano precedente dell’opera, e che equivale a dire che egli sembra avere percepito già i prodromi di una reazione che è destinata a manifestarsi a breve, comunque dopo la stesura definitiva della Vita Constantini e la morte del suo autore84.
Nella prima metà del IV secolo non è pensabile, invero, una canonizzazione ufficiale, almeno per due motivi. Il primo è che tale venerazione è di norma rivolta ai martiri, nei confronti dei quali la certezza della confessione è inerente al martirio stesso. Il secondo è che hanno competenza in tale materia i singoli vescovi, per cui ogni Chiesa locale ha un elenco dei propri martiri: solo alla metà del secolo si impone il problema della sanzione ufficiale del titolo di martire, per il diffondersi del culto delle reliquie con gli abusi ad esso connessi e per l’affiancarsi, accanto a quella del martire, della figura dell’asceta – sono ad es. i casi di Antonio, Ilarione e Martino –, anche lui santo e oggetto di venerazione85.
Proprio nell’età di Damaso e di Girolamo la Chiesa avrebbe definito in maniera più precisa e formale i criteri per il riconoscimento dei martiri, con la fondazione di edifici di culto loro dedicati, con la revisione sistematica degli epitafi delle antiche sepolture e con la redazione di elenchi ufficiali, definendo dottrina e prassi relative al loro culto e chiarendo le modalità di relazione tra culto dei martiri e celebrazione del sacrificio. Lo stesso vale per la depositio ad sanctos, che consiste nella sepoltura accanto alle tombe dei martiri ed è ampiamente documentata per il IV secolo86; i suoi eccessi e la sua potenziale carica di confronto sociale all’interno della Chiesa locale indussero il pontefice Damaso in persona a dare l’esempio, con la propria rinuncia a essere sepolto accanto ai martiri, per non disturbare la quiete dei corpi già sepolti: «hic fateor Damasus volui mea condere membra / sed cineres timui sanctos vexare piorum»87.
La notazione attualizzante che compare verso la fine della Vita Constantini – «è ancora oggi possibile vedere il corpo di quell’anima tre volte benedetta glorificato accanto al nome degli apostoli e attorniato dal popolo di Dio»88 – costituisce di fatto il terminus post quem della venerazione prestata a Costantino, subito dopo la sua morte. In realtà, le testimonianze di un culto cristiano prestato all’imperatore sono ancora scarse nel IV secolo e all’inizio del V, ma convergono nell’indicare che a Costantinopoli vi sono due luoghi più strettamente legati alla memoria del sovrano: la sua tomba e la statua in cima alla colonna nel suo Foro; infatti, da una parte Filostorgio, in un passo conservatoci da Fozio, deplora che si offrano sacrifici alla statua di Costantino posta su una colonna porfiretica a Costantinopoli, onorandola con lumi e incensi e facendovi ricorso come a una difesa contro le avversità; dall’altra Teodoreto riferisce che è la tomba di Costantino a essere oggetto di venerazione89.
La basilica dei Dodici Apostoli, che Eusebio descrive dettagliatamente, attribuendole il nome di νεώς, è un edificio che fu fatto costruire effettivamente da Costantino e fa parte dell’impianto della nuova Costantinopoli. Occorre non confondere la basilica col mausoleo a pianta rotonda iniziato da Costanzo II a oriente della basilica e in asse con la medesima90. Pur nella problematicità della ricostruzione degli impianti architettonici della basilica e del mausoleo, resta evidente la distinzione dei significati che le fonti coeve e di poco successive hanno loro attribuito: mentre il biografo contemporaneo Eusebio si è dato un bel daffare per spiegare la funzione della basilica dei Dodici Apostoli, che potrebbe essere chiamata anche martyrion, senza contraddire il suo pensiero, un importante vescovo ariano titolare di Costantinopoli, Macedonio, appena vent’anni dopo la morte di Costantino, con una modifica traumatica, si diede cura di separare il luogo della sepoltura imperiale dalla memoria degli apostoli. A distanza di un altro ventennio, Giovanni Crisostomo ne sancì la distinzione, insistendo sull’inconciliabilità dell’assimilazione di un imperatore tanto agli apostoli, quanto ai vescovi.
In effetti, la morte di Costantino non ha aperto solo un tragico confronto per la successione al potere, ma ha anche posto il problema di chi fosse titolato a definire la sorte ultraterrena dell’imperatore scomparso e a stabilire gli onori che gli erano dovuti. Rispetto al Senato di Roma, che aveva esercitato questo ruolo per tre secoli, la Chiesa cristiana ha avanzato con decisione la sua candidatura, proponendo quanto di più efficace avesse a disposizione. Si è trattato di un esperimento, che presumibilmente è stato oggetto di trattative, come lasciano capire le espressioni di Eusebio, le quali attribuiscono la responsabilità delle scelte più innovative all’imperatore scomparso.
In ogni caso, con la divinizzazione di Costantino, l’istituto della consecratio entra in una fase regressiva che bene si può rilevare nelle vicende di tutti gli imperatori successivi, sino a Graziano incluso. In occasione dell’orazione funebre per Teodosio I, il vescovo Ambrogio riesce, però, a mettere in campo un ulteriore modello (diverso tanto da quello costantiniano quanto dalla relatio in numerum divorum), che consiste nel proclamare l’assunzione dell’imperatore nel paradiso che il Dio dei cristiani ha preparato per i suoi fedeli.
Si è in precedenza osservato che la sepoltura di Costantino comporta un legame con gli apostoli che ha ricadute sul suo ruolo nella liturgia e sulle sue attribuzioni nei confronti dei vescovi, che risultarono incompatibili con la situazione creatasi nel volgere di pochi anni, già durante il regno di Costanzo II91. Macedonio, vescovo di Costantinopoli provvisto di grande autorità, interprete della politica imperiale negli anni in cui Costanzo II si tiene lontano dalla capitale (fino alla fine del 359), assume un’iniziativa di forte significato: adducendo a pretesto i danni riportati dalla basilica dei Dodici Apostoli durante il terremoto del 24 agosto 358, fa traslare il sarcofago imperiale nel martyrium di S. Acacio92.
Il suo operato provoca disordini a Costantinopoli, con scontri nella stessa chiesa di S. Acacio e numerosi morti. Costanzo II si adira allora con il vescovo di Costantinopoli93, che peraltro nello stesso periodo capeggia, al concilio di Seleucia, il gruppo di vescovi che più decisamente rifiuta di sottoscrivere il credo ‘datato’, cedendo solo in extremis, il 31 dicembre del 359. Macedonio è comunque deposto e sostituito da Eudossio di Antiochia94. Il progetto di Macedonio, che consiste nel volere separare il sarcofago di Costantino dalla memoria degli apostoli, prosegue ugualmente il proprio corso: dalla sepoltura del primo imperatore cristiano all’interno della basilica dei Dodici Apostoli si passa alla sepoltura degli imperatori in un mausoleo attiguo ma distinto. E se fu Costanzo II stesso ad iniziarne la costruzione nel 359, esso fu completato il 9 aprile 370, data cui si ascrive anche il completamento dei lavori sulla basilica, con relativa riapertura al culto95.
Il valore simbolico della sepoltura di Costantino e la sua assimilazione agli apostoli hanno pagato lo scotto della discontinuità con cui si sono configurati, da Costantino a Teodosio I, i rapporti fra autorità imperiale e autorità ecclesiale. Basti pensare al confronto fra Costanzo II, da un canto, e Atanasio, Lucifero di Cagliari e Ilario di Poitiers, dall’altro, oppure alla lotta sostenuta da Ambrogio per mantenere il controllo della Chiesa di Milano in contrasto con Aussenzio96.
La politica religiosa dei figli di Costantino ha risentito della loro reciproca rivalità e del clima di incertezza politica alimentato dall’usurpazione di Magnenzio; tuttavia le tensioni si accrebbero proprio dopo la vittoria di Mursa, del 28 settembre 351, quando Costanzo II riunì nuovamente – un quarto di secolo dopo il padre – tutto l’Impero sotto di sé e si accinse a rimettere ordine anche nei rapporti con i vescovi. In analogia con quanto era accaduto per lo scontro finale fra Costantino e Massenzio, anche la vittoria di Costanzo II era stata preannunciata da una croce apparsa a Gerusalemme, come si affrettò a far sapere il vescovo Cirillo97.
Esordì con l’esilio del vescovo Fotino di Sirmio, ripetutamente scomunicato da vescovi occidentali e orientali, ma che si faceva forte del sostegno popolare98. Sentendosi sicuro sul piano politico generale, Costanzo II fece quindi riunire una serie di concili: ad Arles nel 353, in concomitanza con la sua presenza per festeggiare i propri vicennalia; quindi a Milano nel 355; mentre era in corso il sinodo di Milano, provvide, incontrando invero più difficoltà del previsto, a rimuovere Atanasio dalla sede di Alessandria. Con pari determinazione si curò di collocare nelle sedi più importanti, Roma e Milano, vescovi di sua fiducia: rispettivamente Felice e Aussenzio. Fece anche riunire nel 356, a Béziers, sotto il controllo del Cesare Giuliano, un sinodo che riducesse alla ragione Ilario di Poitiers, che, dimostratosi però intransigente, fu esiliato in Frigia. Costanzo II chiese quindi ai vescovi più strettamente legati alla sua politica (Valente di Mursa, Ursacio di Singiduno e Potamio di Lisbona) di elaborare una formula di fede che costituisse un punto di incontro per tutti i cristiani. Messa a punto nell’autunno del 357, questa era imperniata sul dogma secondo cui il Figlio era genitus ante saecula, pur essendo inferiore al Padre; conteneva anche una condanna delle sottigliezze teologiche (omousia, omoiousia) che avevano come unico risultato quello di dividere la cristianità99.
L’imperatore puntò sul consenso di figure simboliche quali il vescovo Ossio di Cordova, portavoce di Costantino a Nicea100, ma mise in campo anche ogni risorsa diplomatica, inducendo i vescovi più legati a lui ad adeguare le formulazioni alle esigenze emergenti. Ursacio, Valente, Basilio di Ancira, Germinio di Sirmio, Giorgio di Alessandria e Pancrazio di Pelusio predisposero quindi una formula di fede per il 22 maggio 359, il ‘Credo datato’101. La situazione divenne però così difficile da rendere necessaria la convocazione di due concili separati, a Rimini, nel luglio del 359, per i vescovi occidentali, e a Seleucia di Isauria, il 27 settembre dello stesso anno, per i vescovi orientali.
A Costantinopoli, il 1° gennaio 360, un concilio orchestrato da Valente e Ursacio sanzionò le decisioni dei due concili e provvide a deporre Aezio, Basilio, Macedonio – quest’ultimo sostituito da Eudossio di Antiochia sulla cattedra di Costantinopoli – e Cirillo di Gerusalemme102. Il risultato ottenuto da Costanzo II, quello di avere una Chiesa cristiana riunita almeno ufficialmente sotto un’unica dottrina, fu tuttavia illusorio ed effimero: era fondato sul prestigio e sulla forza di persuasione del potere imperiale, che, appunto, pochi giorni dopo vacillò, in quanto Giuliano si autoproclamò Augusto e si accinse a sostenere la propria pretesa con la guerra. Ilario, che aveva ottenuto la revoca dell’esilio e stava rientrando nelle Gallie, giunse a Poitiers quando Giuliano si era già ribellato a Costanzo II e poté allora esprimere con maggiore libertà il suo forte attacco all’Augusto nel Contra Constantium, scritto in cui l’imperatore in oggetto era direttamente paragonato a Nerone e l’autore reclamava a gran voce l’esigenza dell’autonomia della Chiesa dall’Impero103.
Fu proprio nel momento in cui Costanzo II era più decisamente impegnato nel suo disegno unitario che Macedonio, vescovo di Costantinopoli, fece traslare il corpo di Costantino dalla basilica dei Dodici Apostoli alla chiesa di S. Acacio, come si è appena visto. Era la plateale sconfessione della sepoltura che può definirsi ‘eusebiana’ e insieme un segno solenne di quella netta distinzione, intercorrente tra valori dell’impero e valori della Chiesa, che si rifletteva sulla definizione del ruolo dell’imperatore nella storia della salvezza. Giuliano l’Apostata, che peraltro fomentò la reazione alla precedente politica religiosa di Costanzo II, colse con lucidità, in un opuscolo del 362, l’orazione Contro il cinico Eraclio, il significato della traslazione dalla basilica al mausoleo, notando con sarcasmo che l’imperatore non aveva fatto altro che preparare una tomba per sé e per i suoi104. Ma anche Giuliano, non appena ebbe consolidato il proprio potere, intraprese con determinazione una politica religiosa che, pur essendo di segno opposto, ripercorreva lo stesso cammino di Costantino e di Costanzo II, a dimostrazione del fatto che per un imperatore romano del IV secolo, fosse egli cristiano o pagano, era compito inderogabile definire la propria funzione e posizione nei confronti della religione e dei culti riconosciuti come ufficiali.
Morto all’improvviso Giuliano l’Apostata, dopo la parentesi brevissima del regno di Gioviano, Valentiniano I assunse il compito di ‘restituire’ una politica religiosa filocristiana, per la quale mancava in realtà un riferimento univoco: si doveva riprendere il cammino a partire dalla politica odiata e fallimentare di Costanzo II, oppure si doveva attingere più a monte, a Costantino, sottolineando il ‘momento’ niceno? Peraltro la politica della dinastia valentiniana si presentò innanzitutto con la contraddizione di fondo di un Valente propenso all’arianesimo e di un Valentiniano che evitò interventi coercitivi in tema di politica religiosa, meritando il famoso giudizio di Ammiano Marcellino, secondo cui inter diversitates religionum medius stetit105. Di fatto la Chiesa fece passi molto rapidi nella direzione dell’autonomia sotto il profilo dottrinale e disciplinare, come fu reclamato da Atanasio, Lucifero di Cagliari e Ilario di Poitiers, soprattutto quando entrarono in campo Damaso e Ambrogio, il primo consacrato a Roma il 1° ottobre 366 a seguito di un contrasto che aveva le sue lontane origini nella deposizione di Liberio voluta da Costanzo II, il secondo passato nel 374 dalla carriera politica alla cattedra di vescovo di Milano per sostituire quell’Aussenzio che parimenti era stato imposto da Costanzo II106.
A farne le spese era il progetto politico-religioso di Costantino e del figlio Costanzo II, i quali avevano inteso fare del cristianesimo una religio publica populi Romani, chiedendo come corrispettivo che le Chiese cristiane e i loro vescovi fossero solidali con la salus dell’imperatore e dell’Impero, come recitava, con una formulazione giuridica ineccepibile, l’editto di Galerio107.
L’età dei Valentiniani non fu un periodo di mediazione, ma di ulteriore divaricazione, anche perché, morto Valentiniano già nel 375, ebbe una sua conclusione disastrosa il 9 agosto 378, sul campo di battaglia di Adrianopoli, con la vittoria irreparabile dei barbari circumlatrantes su una ‘Roma’ che continuava a pretendere di essere aeterna sotto la protezione del Dio dei cristiani, come lo era stata per secoli sotto quella delle divinità capitoline. La ridefinizione dei rapporti fra i vescovi e l’imperatore Teodosio avvenne quindi in un momento di estrema debolezza dell’autorità imperiale, di cui è espressione significativa il ruolo dottrinale e politico svolto da Ambrogio di Milano. Si tratta di un percorso né lineare né improntato a una reciproca integrazione, quanto piuttosto segnato da una distinzione di ruoli e da un confronto di autorevolezza che costituiscono il senso della tradizione della Chiesa latina: questo quadro complessivo determinò la ‘revisione’ della figura di Costantino il Grande lungo un arco cronologico che ha come punto di partenza la sepoltura nel 337, come fase intermedia la rimozione del sarcofago dell’imperatore dalla basilica dei Dodici Apostoli nel 359 e come fase conclusiva i due giudizi convergenti di Girolamo e di Giovanni Crisostomo108.
Un primo punto di riferimento è offerto dal De fide di Ambrogio, indirizzato a Graziano all’indomani di Adrianopoli: scritto degli anni 379-380, con la finalità immediata di definire la vera fede per sollecitare l’imperatore ad allontanarsi dai vescovi ariani, ha un forte impatto apologetico, nel senso che scarica sull’arianesimo di Valente la responsabilità della sconfitta109. Ambrogio sostiene che era stato a causa della sua eresia se Valente non aveva avuto al proprio fianco il Dio di Costantino; anzi la sua morte sul campo di battaglia di Adrianopoli il 9 agosto 378 era la dimostrazione del suo errore e del prezzo da pagare a Dio per la persecuzione dei vescovi niceni110:
Ma oramai, o Dio onnipotente, più che a sufficienza con la nostra morte e con il nostro sangue abbiamo pagato il fio per la morte dei confessori, l’esilio dei vescovi e la nefandezza di una così empia eresia. È stato abbastanza chiaro che coloro che hanno violato la fede in Dio non possono essere sicuri. Volgiti a noi, Signore, e innalza i vessilli della tua fede111.
Il provvidenzialismo giudaico-romano-cristiano di Ambrogio è proposto fin dal Prologo, in termini espliciti:
Mi domandi una professione di fede scritta, o sacro imperatore, mentre ti accingi a partire per la battaglia. Sai bene infatti che la vittoria va cercata più con la fede dell’imperatore che con il valore dei soldati112.
Si tratta di una concezione della funzione imperiale diversa da quella eusebiano-costantiniana, nella quale l’imperatore stesso è il mediatore del corretto rapporto con il divino: Ambrogio, infatti, riesce a presentare questa richiesta sulla base di un parametro completamente nuovo, atto a garantire all’imperatore la protezione divina: l’adesione alla vera fede, purché secondo la valutazione dei vescovi. Ambrogio ha come bersaglio principale, più ancora che Costanzo II, il concilio di Rimini del 359, che ha rappresentato l’apice dell’arianesimo113. Il vescovo è infatti impegnato a recuperare, come ha già fatto a Milano, posizioni di forza in favore degli atanasiani, occupando svariate sedi con vescovi niceno-atanasiani: a Sirmio, morto nel 376 Germinio, è imposto un vescovo niceno, Anemio. È significativo che l’imperatore Graziano ravvisi la necessità, subito dopo la sconfitta di Adrianopoli, di emanare disposizioni che favoriscano la coesistenza fra niceni e ariani, e che si affretti però ad abrogarle («antiquato rescripto, quod apud Sirmium nuper emersit»114) l’anno successivo. La decisa avanzata della confessione nicena, con il sovvertimento della geografia ecclesiastica di Costanzo II, si consuma al concilio di Aquileia del 381, controllato da Ambrogio, in cui sono condannati i residui vescovi ariani Palladio di Raziaria e Secondiano di Singiduno115.
Emerge la teoria ‘ministeriale’ del potere politico, che sul momento offre all’opinione pubblica una risposta che scarica sugli ariani la responsabilità della crisi politica e contribuisce a legare al vescovo di Milano il debole Graziano. In parallelo si consolida l’autorità dei vescovi, in grado di competere con quella dei magistrati cittadini, dei funzionari e dell’imperatore stesso. Nella letteratura de sacerdotio di Ilario di Poitiers, Eusebio di Vercelli e Ambrogio, come anche nelle delibere dei concili guidati da Damaso o manovrati da Ambrogio, emerge la pretesa di considerare equipollenti il potere del vescovo e il potere dell’imperatore. Nei confronti di Teodosio, Ambrogio è in condizione di formulare e imporre – nell’arco di quindici anni – una concezione che vincola l’imperatore al rispetto della legge divina, in forza della sua appartenenza alla Chiesa116.
Il principio classico proprio del diritto romano, della superiorità della legge rispetto al principe («non est princeps super leges, sed leges super principem») si applica ora alla specifica situazione di un principe che si sottomette liberamente alla legge divina e di conseguenza si vincola alla disciplina della Chiesa117. Basti qui riferirsi all’intransigenza dimostrata da Ambrogio negli anni 385-386, quando rifiuta (con successo) di cedere agli ariani la basilica Portiana concessa loro da Valentiniano II e Giustina118; quando, nel 388, fa revocare un atto di giustizia con cui l’imperatore Teodosio ha imposto al vescovo del luogo di fare riparare a proprie spese la sinagoga di Callinico119; infine quando ingiunge a Teodosio di fare pubblica penitenza, nel Natale 390, a seguito della violenta repressione di Tessalonica120.
Che il modello rappresentato da Costantino il Grande avesse perso di attualità è nei fatti: sono i vescovi che impongono all’imperatore una politica religiosa e sono le esigenze dottrinali e apologetiche dei niceni, ormai dilaganti, a essere riconosciute e sancite dall’editto Cunctos populos di Teodosio del 27 febbraio 380121. Nell’editto i fondamenti della disciplina sono costituiti dalla tradizione di Pietro e dalla garanzia offerta dai vescovi Damaso di Roma e Pietro di Alessandria; all’imperatore è riservato il compito di dar loro applicazione, se necessario con la forza («motus nostri ultio»). L’appannarsi del ruolo imperiale ha il suo riflesso sull’immagine di Costantino, e non è casuale che anche un lemma della Cronaca di Girolamo, redatto intorno al 380 d.C., presenti una valutazione tutta di segno negativo, per tre motivi distinti: la fondazione di Costantinopoli, le sue propensioni per l’arianesimo e infine l’avvio di una fase di discordie all’interno della Chiesa122.
Anche Giovanni Crisostomo prende posizione sulla funzione di Costantino in un periodo di poco successivo, fra il 386 e il 396. Nominato presbitero della Chiesa di Antiochia, stava allora elaborando tematiche teologiche e apologetiche sulla divinità di Cristo e sul carisma proprio della Chiesa e degli apostoli, per mettere in discussione la sacralità stessa dell’imperatore, sviluppando una concezione del potere che ribadiva la trascendenza di Dio e del compito proprio degli apostoli / vescovi rispetto al potere imperiale. In effetti i cristiani stavano definendo una nuova concezione di ‘uomini divini’ o di ‘uomini santi’, ampliando il ventaglio dai martiri agli asceti, e finalmente ai vescovi, quali potenziali detentori della santità, sia in vita sia in morte: il vescovo diventa ora patronus della sua città e continua nella sua azione di patronato anche dopo la morte, come Ambrogio ha modo di esplicare nella lettera consolatoria indirizzata nel 382-383 agli abitanti di Tessalonica in occasione della morte del vescovo Acolio, oppure in quella in memoria di Eusebio di Vercelli. Altrettanto rilevanti sono i casi di Massimo di Torino o di Martino di Tours123.
Nell’omelia Adversus iudaeos et gentiles, quod Christus sit Deus, pronunciata in Antiochia fra il 386 e il settembre 387124, Giovanni Crisostomo proietta la sua concezione su riferimenti storici puntuali, che finiscono con il convergere proprio su Costantino. Le sue premesse investono la trascendenza della storia della Chiesa rispetto a quella dell’Impero125, mettendo in evidenza che i poteri della prima sono superiori a quelli del secondo e si manifestano attraverso i miracoli, operati da Cristo stesso e successivamente dagli apostoli e dai martiri. La morte, come passaggio dalla storia alla dimensione di Dio, è il punto di osservazione da cui si coglie la differenza fra uomini potenti e uomini di Dio: Cristo opera dopo la morte (e resurrezione) con efficacia ancora maggiore; gli apostoli e i martiri a loro volta operano miracoli dopo la morte, anche attraverso le loro reliquie; gli imperatori invece sono inerti dopo la morte. Corollario dell’argomentazione è che i sepolcri degli imperatori e quello stesso di Alessandro Magno sono trascurati, mentre quelli degli apostoli e dei martiri hanno una frequentazione crescente.
Tale incomparabilità trova espressione nella distinzione fra la Chiesa degli apostoli e il mausoleo imperiale, ove gli imperatori stessi sono sepolti ‘alla porta’ della sede degli apostoli:
Nella città imperiale di Roma, dimenticati tutti gli altri, gli imperatori, i consoli e i comandanti accorrono alle tombe del pescatore e del fabbricante di tende; anche a Costantinopoli gli imperatori hanno desiderato essere sepolti non accanto agli apostoli, ma fuori vicino all’ingresso, e così per il futuro i re divennero portinai dei pescatori. Così nella morte non lo considerano un disonore, ma un onore, e non solo essi stessi, ma anche i loro nipoti126.
L’impatto dell’orazione è assicurato dalla relativa attualità dell’argomento: la memoria della traslazione di Costantino il Grande dalla basilica dei Dodici Apostoli alla chiesa di S. Acacio e della successiva collocazione in un mausoleo collocato ‘alla porta’ della basilica stessa, completato intorno al 370, è stata ravvivata dalle tumulazioni recenziori: di Costanzo II, Gioviano e Valentiniano I; vi sarebbe stato tumulato anche Teodosio, nonché, ma solo nel secolo successivo, Giuliano127.
In una seconda orazione, l’Homilia XXVI in Epistulam II ad Corinthios, tenuta anch’essa ad Antiochia nell’arco di tempo che va dal 386 al 397128, Giovanni Crisostomo prende spunto dai temi dell’umiltà e della debolezza umana, svolti da Paolo, per mettere a confronto imperatori e apostoli, contestando il culto che il paganesimo tributava agli imperatori e in genere alle grandi figure di sovrani, tra cui Alessandro Magno129. La ratio dell’omelia è che «a nessun uomo vanno riconosciuti onori oltre al dovuto» e, al riguardo, Crisostomo prende in considerazione tutta la tradizione antica, ellenistica e romana, mettendo in rilevo due elementi: a) il potere politico e militare va ricondotto alla dimensione umana e alla precarietà propria delle vicende storiche, tanto è vero che nessun capo politico, quale lo stesso Alessandro Magno, ha un potere dopo la morte; b) il carisma proprio degli apostoli è radicalmente diverso rispetto a quello dell’imperatore: i primi sono capaci di superare la barriera della morte e di dominare gli spiriti, il secondo perde ogni potere alla conclusione del proprio regno130.
Crisostomo si concentra su un elemento significativo della tradizione romana, la proclamazione degli imperatori quali divi, riproponendo uno dei topoi polemici della tradizione patristica, quello che accusa il Senato romano di essersi arrogato il potere di riconoscere ufficialmente la divinità131, evidenziando tre punti: il mancato riconoscimento della divinità di Cristo da parte di Tiberio132; la proclamazione di Alessandro Magno quale ‘tredicesimo dio’ sempre da parte del Senato romano133; il conferimento dell’apoteosi a personaggi contrassegnati dalla negatività quali il pugile Cleomede e Antinoo, l’amasio di Adriano134.
Con un uso disinvolto dei riferimenti storici, Crisostomo mira a negare sia il fondamento giuridico (l’efficacia del decreto del Senato), sia la sostanza della divinizzazione (i divi non sono capaci di operare miracoli), mettendo sullo stesso piano la relatio in numerum divorum propria della tradizione imperiale romana e la tradizione sull’apoteosi di Alessandro Magno. Facendo abilmente perno su quest’ultimo, pone di fronte agli occhi degli uditori il fatto che nessuno conosce la data della morte e l’ubicazione della tomba di Alessandro Magno135, per dire poi che anche i mausolei degli imperatori sono trascurati e in abbandono, contrariamente a quello che si verifica per gli apostoli e i martiri, i cui luoghi di sepoltura sono invece meta di visite e di pellegrinaggi. Al pari dell’Adversus iudaeos et gentiles, già esaminato, anche in questa omelia sulla Seconda lettera ai Corinzi gli strali polemici finiscono con il cadere sulla traslazione del corpo di Costantino dalla basilica dei Dodici Apostoli al mausoleo, pervenendo alla conclusione che Costanzo II ha conferito al padre l’onore più alto possibile collocandone il corpo nel vestibolo della basilica dei Dodici Apostoli. Con l’occasione, il grande predicatore conia l’espressione secondo cui, al di là della morte, gli imperatori diventano ‘portinai del pescatore’136:
Anche coloro che portano la porpora si recano ai loro sepolcri [dei martiri] per baciarli e, deposte le loro insegne, si dispongono a supplicare e invocare i santi, perché intercedano presso Dio, e colui che cinge il diadema vuole avere come patroni il fabbricante di tende e il pescatore, già morti […] e ciò si può vedere non solo a Roma, ma anche a Costantinopoli. Infatti anche lì il figlio [Costanzo II] ha ritenuto di rivolgere un grande onore al padre seppellendolo nel vestibolo del pescatore: ciò che sono nella reggia i portinai per gli imperatori, così nel sepolcro sono gli imperatori per i pescatori137.
Invertendo l’ordine gerarchico in cui vanno collocati gli apostoli e gli imperatori in prospettiva escatologica, l’oratore fonda un’asserzione teologica ben argomentata: l’imperatore non è imitazione di Dio, secondo la concezione di Eusebio, e nemmeno è pari agli apostoli; non è più l’imperatore a essere il tramite del favore divino sull’Impero, il fautore e tutore della diffusione della fede cristiana, ma è la fede cristiana – nicena – a costituire una garanzia per i successi dell’imperatore.
Il riferimento ad Alessandro Magno nel declassamento della figura imperiale ha un’ulteriore ragion d’essere: il sovrano macedone non solo è il simbolo più alto del potere politico, ma è anche un esempio significativo del potere taumaturgico dei sovrani quali theioi andres, secondo una concezione che nel mondo romano è ancorata anche alla figura di Marco Aurelio138.
Una volta accertato che nell’ultimo ventennio del IV secolo Costantino fu oggetto di un profondo ripensamento, che la sua figura venne rielaborata e impiegata sul versante dei rapporti fra autorità politica e religiosa e che, specificamente, era stato rimosso, in senso fisico e ideale, il suo accostamento agli apostoli post mortem, ci si deve chiedere se anche la sua sorte ultraterrena sia stata oggetto di una rielaborazione e, se sì, in quale senso139.
Intanto va tenuto presente che Costantino è considerato santo nelle Chiese orientali (ortodosse140, cattoliche di rito greco, armene e copte141), mentre ciò accade assai di rado nella tradizione occidentale e in quella cattolica in generale142. In Italia il culto è presente solo in alcuni luoghi della Sardegna, della Calabria e della Sicilia143.
Una testimonianza che ha insinuato qualche dubbio sulla presenza del culto di Costantino è costituita dalla Peregrinatio Egeriae, datata intorno al 380, in cui è menzionata solo la celebrazione della croce, che coincideva con l’anniversario della dedica della Chiesa del Santo Sepolcro144. La prima presenza di Costantino nelle celebrazioni liturgiche risale al periodo compreso fra il 417 e il 439 nel rito di Gerusalemme145; le attestazioni in quello bizantino sono invece note a partire dal IX secolo, con fasi di maggiore o minore fortuna146.
Si conosce comunque poco sulle prime forme del culto di Costantino; se si prescinde dalla Vita Constantini, una breve notizia di Filostorgio indica, come centro del culto, a Costantinopoli, la colonna porfirea del Foro di Costantino, mentre Teodoreto, nei primi decenni del V secolo, offre la prima attestazione del culto espletato, sempre a Costantinopoli, presso la sua tomba147. Né sussiste una contraddizione con quanto già si è letto di Giovanni Crisostomo, il quale non nega che la tomba di Costantino, pur nella nuova collocazione nel mausoleo, fosse meta di forme di venerazione non meglio definite, in continuità con quelle avviate nel periodo in cui il suo sarcofago si trovava in ben più prestigiosa posizione, in mezzo alle memorie degli apostoli148.
La notizia di Teodoreto e quella concorrente di Filostorgio trovano corrispondenza nel Lezionario Armeno del V secolo (confluito nel Lezionario di Gerusalemme ora perduto), nel quale il dies festus è il 22 maggio, data della morte dell’imperatore149. La datazione di detto lezionario agli anni 417-439 attesta la permanenza del culto di Costantino e informa che il rito avveniva al Santo Sepolcro, fornendo ulteriori interessanti dettagli, quali le letture prescritte per la celebrazione150. Un altro calendario siriaco (dal convento di Quennešrīn sull’Eufrate), datato al VII secolo, commemora Costantino sempre il 22 maggio151.
Gli intensi rapporti tra la Chiesa di Antiochia e quella di Costantinopoli (quest’ultima ebbe una serie di vescovi provenienti proprio dalla Siria, come Eudossio, Giovanni Crisostomo e Nestorio) fanno pensare che anche gli usi liturgici della Siria siano stati accolti a Costantinopoli, fino a che, a partire dalla metà del V secolo, nella capitale si è formata una tradizione propria, destinata a essere in seguito predominante in tutta la Chiesa greca, come è attestato per il IX secolo. Per quanto concerne Costantino, la più antica testimonianza rimasta della presenza del suo dies festus nel rito di Costantinopoli risale all’VIII secolo ed è legata al giorno della morte, ma c’è motivo di ritenere che la liturgia su Costantino avesse una sua forma specifica già molto prima152. In ogni caso, in tale calendario liturgico di Costantinopoli il giorno della celebrazione è spostato al 21 maggio, e accanto a Costantino è celebrata la madre Elena. La ricorrenza, con la connessa associazione a Elena, non sembra peraltro avere avuto più cambiamenti a partire dall’età di Costantino Porfirogenito, nel rito della Chiesa bizantina153.
Un altro rapporto importante è quello di Costantino con la croce. Iniziato con la lettera inviata da Cirillo di Gerusalemme a Costanzo II154, ha avuto una vera e propria ‘consacrazione’ col De obitu Theodosii di Ambrogio, anche se soltanto con l’imperatore Eraclio, che poté riconquistare le reliquie della croce sconfiggendo i persiani nel 628, tale legame ideale assunse un ruolo fondamentale nell’agiografia e nel culto, con una celebrazione annuale fissata per il giorno 21 marzo155.
L’evidente diversità di trattamento in Oriente e in Occidente ha le sue origini nelle vicende che si stanno esaminando, polarizzate sul contrasto fra niceni e ariani, ma fortemente segnate dal problema del rapporto fra vescovi e imperatore. Nel mondo latino Costantino è rimasto come un punto di riferimento irrinunciabile, in quanto primo imperatore cristiano e in stretta connessione con il concilio di Nicea, ma se ne sono prese le distanze per quanto concerneva, sotto vari aspetti, il rapporto fra imperatore e vescovi, richiamato da formule ambigue o polemiche, da episcopos ton ektos a koinos episcopos oppure episcopus episcoporum, come si è ripetutamente visto, finendo per considerarlo, al pari del figlio Costanzo II, un esempio da non seguire.
Non riconoscendogli il diritto di essere venerato, la tradizione latina ha mantenuto fermi i dubbi e le riserve sulla sua esemplarità e ha evitato di riconoscergli gli onori degli altari. Nel mondo bizantino – e, successivamente, ortodosso – appare invece continua l’accettazione di Costantino come modello di imperatore che si fa garante e talora guida della Chiesa, con un sostanziale recupero della teologia eusebiana nel quadro di una politica ‘cesaropapista’156.
Si sono già esaminati alcuni episodi della contestazione relativa alla sua sepoltura; in realtà, è possibile rintracciare almeno altri tre momenti, in cui Costantino è drasticamente ridimensionato: i primi due sono costituiti dalle orazioni funebri che Ambrogio dedicò rispettivamente a Valentiniano II nel 392 e a Teodosio il Grande nel 395; il terzo dalla testimonianza di Agostino, riflessa dalle Storie di Orosio. In tutti i casi, come si vedrà, si distingue il merito dell’imperatore Costantino nell’avere favorito apertamente la diffusione del cristianesimo ‘niceno’ nell’Impero, rispetto all’assenza di quelle virtù etiche e religiose che sono costitutive dell’assimilazione ai martiri e, in termini escatologici, dell’assunzione nei sanctorum consortia.
L’orazione funebre di Ambrogio del 395 mise a punto una ‘teodicea’, in cui Teodosio era configurato come il campione di Dio che aveva annientato l’avversario pagano Eugenio al Fiume Freddo nei giorni 5 e 6 settembre 394, in una battaglia decisa e risolta dall’intervento divino, al pari delle battaglie bibliche vinte dal popolo di Dio. Già all’indomani della battaglia, Ambrogio aveva trasfigurato la vittoria su Eugenio in un giudizio divino dominato dal modo ‘miracoloso’ in cui vi era intervenuto il ‘Dio di Teodosio’157. Nel volgere di pochi mesi l’avrebbe consacrata all’agiografia come ‘battaglia incruenta’, al di fuori di qualsiasi parametro storico158. Per tale via Ambrogio riesce a mostrare che l’intervento provvidenziale e miracoloso, decisivo per le sorti di Teodosio, era corrispettivo all’adesione del principe alla vera fede159; allo stesso tempo la sua clemenza verso i vinti (l’aristocrazia senatoria in primo luogo, capeggiata da Virio Nicomaco Flaviano) sarebbe stata pegno della sua purificazione dal sangue versato160.
Ambrogio aveva posto invero solide premesse tre anni prima e aveva definito nel De obitu Valentiniani la topica dell’assunzione in cielo del buon principe cristiano, delineando i criteri del ‘giudizio divino’: la fede, la devozione, la pietà e l’esercizio delle virtù, mettendo insieme virtù di natura politica, come la clemenza oppure l’amor provincialium, ad altre strettamente personali, come la castità e il profondo affetto per le sorelle Giusta, Grata e Galla161. Per dare risalto all’ascensione al cielo dell’Augusto scomparso, aveva proposto un immaginario adeguato, attingendo a piene mani all’Antico e al Nuovo Testamento, proponendo Valentiniano II come un principe santificato, salito al cielo ed entrato in una dimensione eterna di beatitudine.
Ma il giovane imperatore, morto in circostanze oscure, rimaneva una figura soccombente e per di più non era stato battezzato; mancavano quindi dei presupposti essenziali per farne una figura ideale162. Con Teodosio I, invece, le condizioni erano eccezionalmente favorevoli: era battezzato e aveva professato la propria appartenenza alla Chiesa nicena; era reduce da una vittoria clamorosa su un usurpatore che si era compromesso con il paganesimo; la vittoria era stata già accreditata pubblicamente come effetto della protezione divina. Teodosio aveva quindi tutti gli elementi per poter costituire il nuovo modello di imperatore cristiano in concorrenza con Costantino163.
L’omelia tenuta in Milano il 25 febbraio 395, quaranta giorni dopo la morte di Teodosio I, di fronte all’imperatore Onorio, consentì di delineare un imperatore Christianissimus, proiettato nel ‘paradiso’164. Sotto questo profilo il paragrafo 32 ha una funzione centrale, in quanto nel suo taglio sentenzioso e nell’uso ripetuto della titolatura ufficiale di Teodosio si presenta espressamente come una formula riassuntiva:
Absolutus igitur dubio certaminum fruitur nunc Augustae memoriae Theodosius luce perpetua, tranquillitate diuturna, et pro his, quae in hoc gessit corpore, remunerationis divinae fructibus gratulatur. Ergo quia dilexit Augustae memoriae Theodosius Dominum Deum suum, meruit sanctorum consortia165.
La messa a punto dell’immaginario è ancora più articolata e va dall’immagine del salire al cielo (18), all’impiego dei più noti topoi biblici, dal ‘riposo’ (28-30) alla eredità ‘del regno di Dio’ (28), dal ‘grande sabato’ (29) alla ‘Gerusalemme celeste’ (2; 31), dalla ‘terra dei viventi’ al ‘monte santo di Dio’ (37), per culminare con un’endiadi che designa proprio il luogo in cui Ambrogio vede Teodosio e Graziano: ‘luce’ e ‘assemblee dei santi’166.
La sua visione è coerente con la dottrina, in quanto propone in serrata connessione il novissimum della morte (che pone l’imperatore in una condizione assoluta, al di là dei certamina della vita) con il tema della relazione tra le opere e il premio divino: la santificazione di Teodosio si fondava sia sull’esercizio delle virtù proprie dell’etica cristiana («Dilexi virum misericordem, humilem in imperio, corde puro et pectore mansueto praeditum, qualem Dominus amare consuevit»)167, sia sulla già evidenziata ‘teologia della vittoria’, di attualità per la recentissima vittoria al Fiume Freddo, e tale da poter sciorinare il tema della fides, quale fondamento della vittoria («recognoscitis nempe quos vobis Theodosii fides triumphos adquisiverit»)168.
L’esaltazione di Teodosio è anche garanzia per una successione imperiale precaria, per le giovani età di Arcadio e Onorio. Ambrogio seppe mettere, infatti, a carico del Dio dei cristiani anche la garanzia di un buon esito della successione, inserendo nella nuova prospettiva quella legittimazione che in passato era stata costituita dall’essere divi filius e proponendo il tema della mutatio regni, per cui Teodosio conservava un qualche potere anche dopo la morte («regnumque non deposuit, sed mutavit […] nunc sibi rex est»)169.
Vista nel suo insieme, l’orazione di Ambrogio costituisce un’operazione ideale disinibita sotto il profilo storico, per tutto quel che attiene all’inventio della croce e dei chiodi, che attirò su di sé la reazione ironica di Girolamo170; ma aveva un’efficacia travolgente, a supporto dei suoi convincimenti e della sua concezione della funzione imperiale. È il caso, tuttavia, di dare la dovuta considerazione a una conseguenza altrettanto innovativa e dirompente: a Costantino si sostituisce la madre Elena come protagonista. L’attenzione è infatti rivolta a Elena, alla croce, ai chiodi, quindi ai simboli del potere imperiale: alla corona imperiale, al frenum del cavallo da parata; in questo quadro Costantino appare inerte171.
Al primo imperatore cristiano non si addicono i parametri di natura etica e religiosa che fanno di Teodosio un imperatore che ascende nell’assemblea dei santi, e si sarebbe trovato da ridire anche sulla coerenza della sua fides, come Ambrogio ben sapeva, non tanto perché aveva potuto leggere il Chronicon di Girolamo, ma perché alla politica di Costantino si rifacevano gli avversari ariani che avevano a lungo contrastato il suo episcopato.
Anche Agostino, nel valutare figura e opera di Costantino nel De civitate Dei, ripropone un tratto ‘ambrosiano’: il diverso trattamento riservatogli rispetto a Teodosio. Del primo ha elogiato in termini ‘tradizionali’, consoni a uno dei principes divi, il successo politico e militare, la buona amministrazione, la vittoria sugli usurpatori e la conclusione felice del regno, coronata dalla successione dei figli172; solo in Teodosio ha evidenziato i valori di natura etico-religiosa, condensati negli epiteti di pius e di misericors, che hanno esito nell’aeterna felicitas, la condizione assoluta e trascendente prospettata nel De civitate Dei173.
Una riflessione fatta dopo il sacco di Alarico del 410 doveva rispondere a interrogativi più pressanti di quelli suscitati dalla rotta di Adrianopoli, né c’era più il maestro Ambrogio a dare una risposta in termini provvidenzialistici come aveva fatto nel De fide, anche perché Onorio era niceno e non offriva il destro di spiegare l’umiliazione epocale patita da Roma quale punizione divina, come era stato possibile fare per l’ariano Valente174. Agostino ha imboccato la strada della distinzione, neotestamentaria (paolina), fra i progetti divini sulla storia – storia della salvezza – e le sorti dell’Impero romano; pur confermando la natura divina del potere («Non est potestas nisi a Deo»), non prende in considerazione l’idea di uno ‘Stato cristiano’ e, soprattutto, riporta in primo piano l’incommensurabilità fra il successo politico di un imperatore (ivi compreso l’esercizio delle virtù corrispettive) e la sua dimensione etico-religiosa, la sola che può giustificarne una collocazione in una realtà eterna, la cui definizione non compete però alla storia («Christianos imperatores dicimus esse felices interim spe, postea re ipsa futuros, cum id quod expectamus advenerit»)175. Agostino dà per scontata la differenza tra i riconoscimenti che potevano essere attribuiti a Costantino e la santificazione, che si addiceva a Teodosio176.
Ma la convergenza di Agostino sulla concezione ambrosiana e sulle tematiche di Crisostomo si esprime anche a proposito dell’adventus di Onorio a Roma nel 404: l’interpretazione ideale dell’omaggio prestato dall’imperatore alla memoria di Pietro gli dà lo spunto per riproporre il confronto sulla ‘forza divina’ dei martiri e degli apostoli, rispetto all’inerzia dei divi177. Nei sermoni D 22 e 25 mette infatti in evidenza l’imponente inerzia del mausoleo di Adriano rispetto alla basilica di Pietro, che l’imperatore aveva fatto meta del proprio corteo, trascurando le sepolture dei principes divi178. Che l’imperatore la visitasse solennemente, ha avuto senza dubbio un grande significato, anche in confronto con gli adventus imperiali precedenti, di Costanzo II nel 357 (aveva raggiunto la Curia, quindi il Foro, per entrare poi nel Palatium; nei giorni successivi presenziò ai ludi equestri nel Circo) e di Teodosio I (aveva raggiunto la Curia e aveva parlato al popolo dai rostra). La funzione protocollare politica della visita alla basilica di Pietro avrebbe avuto un apice nell’anno 500, quando Teoderico vi si recò ancor prima di entrare nell’Urbe179.
Rispetto alle raffinate messe a punto dell’istituto tradizionale attuate dalla storiografia e, più in generale, dalla cultura tradizionalista, la dottrina del principe cristiano delineata da Ambrogio nel De obitu Theodosii aveva il vantaggio di essere stata messa in onda ‘a reti unificate’ e ‘in diretta mondiale’, considerando l’occasione in cui fu divulgata180. L’immediata eco a Costantinopoli si riscontra nell’Orazione funebre per Teodosio tenuta dal vescovo Giovanni Crisostomo nell’anniversario della morte, il 17 gennaio 399: nei frustoli rimasti ricorrono espressioni chiave di Ambrogio, come il topos della vittoria su Eugenio come battaglia incruenta, e, soprattutto, considerazioni sulla sopravvivenza di Teodosio e sulla capacità di operare dopo la morte181.
Nemmeno Paolo Orosio, circa 25 anni dopo, nei suoi sette libri di Storie contro i pagani avrebbe attribuito a Costantino un ruolo centrale nella sua teologia della storia; piuttosto egli avrebbe scelto come perno della sua interpretazione della storia universale il binomio Cristo-Augusto, vero inizio dei tempora Christiana intesi come età perfetta (‘settimo giorno’), in quanto l’impero romano era stato assunto già allora nella storia della salvezza182.
1 Cfr. E. Bickermann, Die römische Kaiserapotheose, in Archiv für Religionswissenschaft, 27 (1929), pp. 1-31 (ripubblicato in Römischer Kaiserkult, hrsg. von A. Wlosok, Darmstadt 1978, pp. 82-121); L. Cracco Ruggini, Apoteosi e politica senatoria nel IV secolo d.C.: il dittico dei Symmachi al British Museum, in Rivista Storica Italiana, 89 (1977), pp. 425-489; M. Clauss, Kaiser und Gott. Herrscherkult im römischen Reich, Stuttgart-Leipzig, 1999.
2 Se la negazione della divinità dell’imperatore è mantenuta dai cristiani in linea di principio, il culto imperiale non risulta però essere un elemento di contestazione di grande rilevanza: cfr. J. Beaujeu, Les apologètes et le culte des souverains, in Le culte des souverains dans l’Empire romain, éd. par W. den Boer, Vandoeuvres-Genève 1973, pp. 104-136; M. Clauss, Kaiser und Gott, cit., pp. 427-431.
3 Cfr. J. Deininger, Die Provinziallandtage der römischen Kaiserzeit von Augustus bis zur Ende des dritten Jahrhunderts n. Chr., München 1965; D. Fishwick, The Imperial Cult in the Latin West, 2 voll., Leiden 1987-; S.R.F. Price, Rituals and Power. The Roman Imperial Cult in Asia Minor, Cambridge 1984. Le strutture del culto imperiale furono disattivate, e private dei beni e dei finanziamenti, solo nel 415 (anno dell’uccisione di Ipazia), come attesta Cod. Theod. XVI 10,20 = Cod. Iust. I 11,5: populo Carthaginiensi. Cfr. R. Klein, Distruzione di templi nella tarda antichità. Un problema politico, culturale e sociale, in Il tardo impero. Aspetti e significati nei suoi riflessi giuridici, X Convegno internazionale in onore di Arnaldo Biscardi (Spello, Perugia, Gubbio 7-10 ottobre 1991), Napoli 1995, pp. 127-152, in partic. 150 nota 83; L. De Giovanni, Chiesa e Stato nel Codice Teodosiano: alle origini della codificazione in tema di rapporti Chiesa - Stato, Napoli 1996, pp. 149 seg.; Ch.J. Goddard, The Evolution of Pagan Sanctuaries in Late Antique Italy (Fourth-Sixth Centuries A.D.): A New Administrative and Legal Framework, in Les cités de l’Italie tardo-antique ( IVe-VIe siècle ). Institutions, économie, société, culture et religion, a cura di M. Ghilardi, Ch.J. Goddard, P. Porena, Roma 2006, pp. 281-308, in partic. 283-284; R. Lizzi Testa, Legislazione imperiale e reazione pagana. I limiti del conflitto, in Cristianesimo nella Storia, 30 (2009), pp. 385-409; G. Bonamente, Politica antipagana e sorte dei templi da Costantino a Teodosio II, in Trent’anni di studio sulla Tarda Antichità: bilanci e prospettive, Atti del Convegno internazionale (Napoli 21-23 novembre 2007), a cura di U. Criscuolo, L. De Giovanni, Napoli 2009, pp. 25-59.
4 Su questa tematica cfr. S.R.F. Price, From Noble Funerals to Divine Cult: The Consecration of Roman Emperors, in Rituals of Royalty: Power and Ceremonial in Traditional Societies, ed. by D. Cannadine, S.R.F. Price, Cambridge 1987, pp. 56-105; L. Schumacher, Zur ‘Apotheose’ des Herrschers in der Spätantike, in Il tardo impero. Aspetti e significati, cit., pp. 105-125.
5 Arelate era un centro del culto imperiale risalente ad Augusto, anche se la sede del conventus era Narbona. Costantino le concesse il nome di Constantina, provvedendo al suo potenziamento negli anni 325/326. Nel tempio che sorgeva nel foro comparivano i nomi di Costantino, Crispo, Costantino II, Costanzo II e Fausta (CIL XII 668 = AE 1952, 107). Nella riedizione di M. Heijmans, Arles durant l’antiquité tardive. De la duplex Arelas à l’Urbs Genesii, Roma 2004, pp. 203-215, recepita in F. Chausson, Stemmata aurea: Constantin, Justine, Théodose. Revendications généalogiques et idéologie impériale au IVe siècle ap. J.-C., Roma 2007, pp. 34-35, si dà la seguente ricostruzione: [Dddd(ominis) nnnn(ostris) Fl(avio) Val(erio) Constantino max(imo) vict(ori), semper Aug(usto), d]ivi Constanti filio, divi Claudi nepoti, / [bono rei publicae nato et Fl(avio) Iulio Crispo et Fl(avio) Claud]io Constantino et Fl(avio) Constantio / [nobbb(ilissimis) Caesss(aribus) et piissimae ac venerabili August(ae) Flaviae Ma]ximae Faustae Augusti Caesarumque / [uxori matrique - - - e]xo[r]natamque / Arelatensium civitatem / [- - - dedic]avit cur(ante) Iul(io) Atheneo v(iro) p(erfectissimo). Cfr. D. Fishwick, The Imperial Cult, cit., pp. 104 segg.; A. Amici, Divus Constantinus: le testimonianze epigrafiche, in Rivista Storica dell’Antichità, 30 (2000), pp. 187-216, in partic. 201-204.
6 Cfr. Eus., v.C. IV 71,1; P. Franchi De’ Cavalieri, I funerali e il sepolcro di Costantino Magno, in Mélanges d’Archéologie et d’Histoire de l’École française de Rome, 36 (1916-1917), pp. 205-261; R. Leeb, Konstantin und Christus. Die Verchristlichung der imperialen Repräsentation unter Konstantin dem Groβen im Spiegel seiner Kirchenpolitik und seines Selbstverständnisses als christlicher Kaiser, Berlin-New York 1992, pp. 93-120; K. Gross-Albenhausen, Zur christlichen Selbstdarstellung Konstantins, in Klio, 78 (1996), pp. 171-185.
7 Cfr. E. Bréhier, P. Batiffol, Les survivances du culte imperial romain, Paris 1920. Sulla cautela da adottare quando la ricerca storica sconfina nella teologia, si vedano le espressioni esemplari di J. Straub, Divus Alexander – divus Christus, in Kyriakon. Festschrift Johannes Quasten, ed. by P. Granfield, A. Jungmann, Münster 1970, pp. 461-473 (ripubblicato in J. Straub, Regeneratio imperii. Aufsätze über Roms Kaisertum und Reich im Spiegel der heidnischen und christlichen Publizistik, Darmstadt 1972, pp. 178-194, in partic. 178).
8 Cfr. L. Cracco Ruggini, Apoteosi e politica senatoria, cit., pp. 425 segg.; S. Calderone, Teologia politica, successione dinastica e ‘consecratio’ in età costantiniana, in Le culte des souverains dans l’Empire romain, cit., pp. 215-269.
9 Cfr. G. Bonamente, Apoteosi e imperatori cristiani, in I Cristiani e l’Impero nel IV secolo, Atti del Convegno (Macerata 17-18 dicembre 1987), a cura di G. Bonamente, A. Nestori, Macerata 1988, pp. 107-142.
10 Ath., v. Anton. 91,6-92,2; Hier., vita Hilar. 21,10; Soz., h.e. III 14,27.
11 I loro nomi compaiono nella redazione più antica del Martirologio Geronimiano; cfr. L. Duchesne, Les sources du Martirologe Hieronymien, in Mélanges d’Archéologie et d’Histoire, 5 (1885), pp. 120-160, in partic. 153-154.
12 Cfr. K. Groß-Albenhausen, Imperator christianissimus. Der christliche Kaiser bei Ambrosius und Johannes Chrysostomus, Frankfurt a.M. 1999, p. 204; G. Bonamente, Optimi principes-divi nell’Historia Augusta, in Historiae Augustae Colloquium Genevense in honorem F. Paschoud septuagenarii, Atti dei Convegni sulla Historia Augusta, (Genève 1-3 mai 2008), éd. par L. Galli Milić, N. Hecquet-Noti, Bari 2010, pp. 63-82; G. Bonamente, Dall’imperatore divinizzato all’imperatore santo, in Pagans and Christians in the Roman Empire: The Breaking of a Dialogue (IVth-VIth Century A.D.), Proceedings of the International Conference (Bose 20-22 october 2008), ed. by P. Brown, R. Lizzi Testa, Münster 2011, pp. 339-370.
13 Questo è il senso dell’ultimo paragrafo, che intende approfondire i motivi per cui Costantino è rimasto, in un certo senso, sulla soglia della santificazione, senza poterla varcare del tutto.
14 Eus., v.C. IV 69,1-2. Cfr. G. Bonamente, Apoteosi e imperatori cristiani, cit., p. 110; cfr. Eusebius, Life of Constantine, ed. by Av. Cameron, S.G. Hall, Oxford 1999, pp. 345 seg.
15 I divi sono differenti per natura dagli dei (Serv., Aen. 5,45: «quamquam sit discretio, ut deos perpetuos dicamus, divos ex hominibus factos, quasi qui diem obierint: unde divos etiam imperatores vocamus»; cfr. Aug., civ. II 15) e hanno anche una sede diversa, nel cielo della Luna (Lucan., 4,6: «Quodque patet terras inter lunaeque meatus»; cfr. Iul., Caes. 307b-c: «Lì – nell’Olimpo – era stato preparato il banchetto per gli dei, mentre al di sotto della luna la regione superiore dell’aria era riservata al banchetto dei Cesari-divi»). Cfr. Ph. Bruggisser, Romulus Servianus. La Légende de Romulus dans les Commentaires à Virgile de Servius: mythographie et idéologie à l’époque de la dynastie théodosienne, Bonn 1987, pp. 227-241; G. Bonamente, Il ruolo del senato nella divinizzazione degli imperatori, in Humana sapit. Études d’antiquité tardive offertes à Lellia Cracco Ruggini, éd. par J.-M. Carrié, R. Lizzi Testa, Turnhout 2002, pp. 359-381, in partic. 360 nota 4; M. Clauss, Kaiser und Gott, cit., p. 30.
16 I successori di Costantino furono proclamati Augusti il 9 settembre 337.
17 Cfr. Tert., apol. 5,1; D.C. LII 35,5; Eus., h.e. II 2,2.5; Ath., apol. sec. 9; Chrys., hom. XXVI in 2 Cor. (PG 61, c. 581), Oros., hist. VII 4,6.
18 Eus., l.C. 13,3. In Eus., l.C. 13,4-5 ricorre un canone degli imperatori divinizzati; cfr. G. Bonamente, Il canone dei ‘divi’ e la ‘Historia Augusta’, in Historiae Augustae Colloquium Parisinum, Atti dei Convegni internazionali sulla Historia Augusta (Chantilly 2-4 Juin 1990), éd. par G. Bonamente, N. Duval, Macerata 1991, pp. 59-82; G. Bonamente, La scomparsa del nome di Cesare dagli elenchi dei ‘divi’, in La cultura in Cesare, Atti del Convegno internazionale di studi (Macerata, Matelica 30 aprile-4 maggio 1990), a cura di D. Poli, Roma 1993, pp. 707-731.
19 Tac., ann. XV 74,3: «deum honor principi non ante habetur, quam agere inter homines desierit»; Tert., apol. 34: «maledictum est ante apotheosin deum Caesarem nuncupare». Cfr. G. Bonamente, Il ruolo del senato nella divinizzazione, cit., p. 360.
20 Eus., v.C. I 11,2.
21 La celebrazione del natalis divi [Constantini] cade il giorno 27 febbraio. Per il testo cfr. MGH AA IX, pp. 12 segg. L’elenco dei Natales Caesarum è in CIL I2, pp. 254-279. Cfr. Eutr., X 8,3: «denuntiata mors eius etiam per crinitam stellam, quae inusitatae magnitudinis aliquamdiu fulsit; eam Graeci cometen vocant. Atque inter divos meruit referri».
22 Eus., v.C. IV 69,2.
23 Da due secoli era consolidata la prassi della distinzione fra il funerale vero e proprio e la cerimonia solenne del ‘rogo di consacrazione’, su cui si poneva usualmente una imago di cera dell’imperatore defunto. Tale rituale aveva un’elevata spettacolarità, di cui riferisce nel modo più dettagliato Erodiano, a proposito delle cerimonie organizzate per Settimio Severo (3,15,7; cfr. D.C. 76,15,3). Cfr. S.R.F. Price, From Noble Funerals to Divine Cult, cit.; J. Arce, Funus imperatorum. Los funerales de los imperadores romanos, Madrid 1988; G. Wesch-Klein, Funus publicum. Eine Studie zur öffentlichen Beisetzung und Gewährung von Ehrengräbern in Rom und in den Westprovinzen, Stuttgart 1993.
24 La maggior parte degli imperatori erano stati sepolti nel mausoleo di Augusto o in quello di Adriano. Tito presumibilmente nell’Arco a lui dedicato, e Traiano nella base della colonna che porta il suo nome. Il mausoleo lungo la via Labicana (area di Torre Pignattara) è definito come ‘sepolcro regale’ in Eus., v.C. III 47,1; cfr. R. Krautheimer, The Ecclesiastical Building Policy of Constantine, in Costantino il Grande: dall’antichità all’umanesimo, Colloquio sul cristianesimo nel mondo antico (Macerata 18-20 dicembre 1990), 2 voll., a cura di G. Bonamente, F. Fusco, Macerata 1992-1993, pp. 509-552, in partic. 528-530. Su Elena cfr. J.W. Drijvers, Helena Augusta. The Mother of Constantine the Great and the Legend of Her Finding of the True Cross, Leiden 1992, pp. 74-76; H. Brandt, Konstantin der Grosse. Der erste christliche Kaiser. Eine Biographie, München 2006, pp. 147-149.
25 Cfr. S. Calderone, Teologia politica, cit., p. 241.
26 Per l’esame delle testimonianze epigrafiche con la menzione divo Constantino cfr. Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus, Stuttgart 1999; A. Amici, Divus Constantinus, cit., pp. 187-216; F. Chausson, Stemmata aurea, cit., pp. 34-36 (la sua lettura di CIL XII 668 = AE 1952, 107 esclude la presenza di un divus Constantinus).
27 Almeno 100: cfr. G. Bonamente, Apoteosi e imperatori cristiani, cit., pp. 135-136 nota 122.
28 Cfr. L. Cracco Ruggini, Apoteosi e politica senatoria, cit., pp. 444 seg. e 485; D. Vera, Le statue del senato di Roma in onore di Flavio Teodosio e l’equilibrio dei poteri imperiali in età teodosiana, in Athenaeum, 57 (1979), pp. 381-403, in partic. 383 seg.
29 CIL XI 6218 = ILS 706: «Divo Augusto Pio Constantino patri dominorum / curante L(ucio) Turcio Secundo Aproniani praef(ecti) urb(i) fil(io) Asterio v(iro) c(larissino) corr(ectore) Flam(iniae ) et Piceni».
30 CIL VI 1768 = ILS 1229; CIL VI 1769; S. Panciera, Un protettore da Spoleto, in Spoletium, 34-35 (1990), pp. 11-20 (ora ripubblicato in Id., Epigrafi, epigrafia, epigrafisti. Scritti vari editi e inediti (1956-2005) con note complementari e indici, I, Roma 2006, pp. 889-901).
31 CIL VI 1151 = ILS 707: «Divo ac venerabili / principi Constantino / patri principum / maximorum / Fl(avius) Creper[e]ius Madalianus v(ir) cl(arissimus) / praef(ectus) ann(onae) cum iure glad(ii»); AE 1977, 246: [«D]ivo Cons[tanti]no [patri principum] max[imorum» …]; cfr. Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus, cit., nn. 237, 251; A. Amici, Divus Constantinus, cit., pp. 191-196.
32 CIL XIV 4449; cfr. Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus, cit., p. 221; A. Amici, Divus Constantinus, cit., pp. 193-196. Per la sua funzione nella politica religiosa di Costanzo II cfr. Cod. Theod XVI 10,2. Si rinvia a P.O. Cuneo, La legislazione di Costantino II, Costanzo II e Costante (337-361). Materiali per una palingenesi delle costituzioni tardo-imperiali, a cura di M. Sargenti, Milano 1997, pp. 88 seg. e 100 seg.; T.D. Barnes, Constantine’s Prohibition of Pagan Sacrifice, in American Journal Philology, 105 (1984), pp. 69-72; R. Lizzi, Legislazione imperiale e reazione pagana, cit., p. 468 nota 5.
33 CIL VI 1152 = Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus, cit., n. 252.
34 AE 1977, 246 = Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus, cit., n. 237: Di[vo] / Flavio / Valerio / Constan/tino Aug(usto) / ordo Ples(tinorum).
35 L. Bonomi Ponzi, La necropoli plestina di Colfiorito di Foligno, Perugia 1997, pp. 19 e 145 seg.
36 CIL XI 5265= ILS 705; cfr. G. Forni, Flavia Constans Hispellum. Il tempio e il pontefice della gente Flavia Costantiniana, in I problemi dell’appartenenza dei beni nella società e nel diritto del tardo impero, IX Convegno internazionale (Spello, Perugia, Città di Castello 2-5 ottobre 1989), Napoli 1993, pp. 401-406; F. Coarelli, Il rescritto di Spello e il santuario federale degli Umbri, in Umbria cristiana. Dalla diffusione del culto al culto dei santi (secc. IV-X), Atti del XV Congresso internazionale di studi sull’alto medioevo (Spoleto 23-28 ottobre 2000), Spoleto 2001, pp. 39-51; P. Amann, Das konstantinische ‘Reskript von Hispellum’ (CIL XI 5265) und seine Aussagerkraft für die etrusko-umbrischen Beziehungen, in Tyche, 17 (2002), pp. 1-27; K.M. Girardet, Der Kaiser und sein Gott. Das Christentum im Denken und in der Religionspolitik Konstantins des Grossen, Berlin-New York 2010, pp. 100-102; T.D. Barnes, Constantine. Dynasty, Religion and Power in the Later Roman Empire, Malden (MA) 2011, pp. 20-23; si veda ora G.A. Cecconi, Il rescritto di Spello: prospettive recenti, in Constantine Before and After Constantine. Costantino prima e dopo Costantino, Atti del Convegno internazionale (Perugia, Spello 27-30 aprile 2011), ed. by. G. Bonamente, N. Lenski, R. Lizzi Testa, Bari 2012, pp. 273-290.
37 Rispettivamente CIL VIII 21934 = Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus, cit., n. 225; CIL VIII 21935 = ivi, n. 226; AE 1995, 195.
38 I materiali iconografici ed epigrafici furono prodotti a supporto delle pretese dinastiche di Valentiniano III; cfr. CIL XI 276c = ILS 818, 3 = ILCV 20c. Cfr. A. Amici, Imperatori divi nella decorazione musiva della chiesa di S. Giovanni Evangelista, in Ravenna. Studi e Ricerche, 7 (2000), pp. 13-55, in partic. 19.
39 Per Costantino cfr. Cod. Theod. I 6,8; VI 4,17,18; Cod. Iust. V 27,1,5 et alibi; per Gioviano cfr. Cod. Theod. I 6,2,3; XVI 9; XXVIII 2 (subscriptiones : /Divo Ioviano ... conss ... ); quindi Cod. Iust. I 4,1; XL 5; per Graziano cfr. Novell. Val. 2, etc.; per Teodosio cfr. Novell. Marc. 5 (del 455).
40 Rispettivamente Novell. Theod. 1; 2 (= PL 54, c. 972); Novell. Val. 25 (= PL 56, c. 554). Cfr. G. Bonamente, L’apoteosi degli imperatori nell’ultima storiografia pagana latina, in Studien zur Geschichte der römischen Spätantike. Festgabe für Professor Johannes Straub, hrsg. von E. Chrysos, Athen 1989, pp. 19-73, in partic. 34.
41 Var. IX 18,1: sanctio divi Valentiniani (con rinvio a Cod. Theod. IV 22,3); con lo stesso significato usa l’aggettivo divalis: l’editto di Teoderico è detto divalis commonitio (Var. IX 18,8-9); sono constituta / statuta divalia oppure sanctiones divales i precedenti legislativi invocati in varie occasioni (Var. II 27,1; II 28,4 e IV 12,3; IV 32,3; V 13,6).
42 La compresenza in Var. IX 10 rende intercambiabili le espressioni «divae memoriae domnus avus noster» (ll. 8-9) e «gloriosae recordationis domnus avus noster» (ll. 24-25). Al suo riguardo Cassiodoro mette in bocca ad Atalarico in ben sette casi la perifrasi «divae memoriae avus noster» (VIII 1,26; XVI 23; XVII 3; XXI 11; XXV 6; IX 10,8; X 32,11); ma gli attribuisce anche gli epiteti «gloriosae memoriae domni avi nostri» (VIII 6,2; 7,3; 8,8; 11,12; 14,12; IX 12,2), «gloriosae memoriae Theodericus princeps» (VIII 11,3) e «gloriosa recordatio» (IX 10,5). Della regina dei vandali Amalafrida è detto «divae recordationis» (IX 1,1), mentre per Atalarico sono adottate due formule: «divae recordationis (X 3,1) e «gloriosae recordationis» (X 1,1: «filii nostri gloriosae recordationis»). Per Amalasunta ricorre l’espressione «divae memoriae» (X 32,2); al padre dei senatori Albino e Avieno è attribuita la «praecelsa recordatio» (I 20,16), al pari di quanto avviene per Alarico II (IV 17,2, l. 6).
43 La terminologia della divinizzazione è stata definita in tutta la sua articolazione da Wilhelm Kierdorf: per consecratio si intende l’ultima fase del procedimento, quella in cui si dà avvio al culto del nuovo divo con la dedica di altari e di statue di culto e con l’istituzione di sacerdoti addetti al culto; per metonimia veniva usato anche per indicare l’intero procedimento, che iniziava, di fatto e di diritto, con la probatio del Senato; cfr. W. Kierdorf, Funus und consecratio. Zu Terminologie und Ablauf der römischen Kaiserapotheose, in Chiron, 16 (1986), pp. 43-69; G. Bonamente, Il ruolo del senato, cit., p. 362.
44 J.P.C. Kent, The Roman Imperial Coinage, VIII, The Family of Constantine I. A.D. 337-364, London 1981, pp. 33; 143, n. 37; 178, nn. 1-3; 205, n. 17; P. Bastien, Le monnayage de l’atelier de Lyon: de la mort de Constantin à la mort de Julien (337-363), Wetteren 1985, pp. 38 seg.; G. Bonamente, Apoteosi e imperatori cristiani, cit., pp. 121-125.
45 Per la prima tipologia, cfr. RIC VIII, pp. 433, 452, 474, 491, 516, 540. Per la seconda, datata al 347-348 d.C., cfr. RIC VIII, pp. 433, 453, 474 seg., 493, 521, 541.
46 Per la tipologia più diffusa cfr. RIC VIII, pp. 143, 431, 449 seg., 472, 490 seg., 515, 539. Una variante del tipo precedente è stata battuta a Lione (RIC VIII, p. 178) e ad Arles (ivi, p. 206).
47 Cfr. A. Amici, La divinizzazione imperiale in età tetrarchica, in Cristianesimo nella Storia, 26 (2005), pp. 355-380.
48 Sono le coniazioni legate alla proclamazione, nell’anno 310, della ‘discendenza’ ideologica da Claudio il Gotico: cfr. P.N. Schulten, Die Typologie der römischen Konsekrationsprägungen, Frankfurt 1979, nn. 404-406d; F. Chausson, Stemmata aurea, cit., pp. 25-94.
49 Per Costanzo Cloro cfr. RIC VI, p. 168. La figura di Costantino con nimbus compare al recto su alcuni solidi della zecca di Ticino (RIC VII, p. 365) e su un multiplo di Siscia (ivi, p. 427 n. 25, con legenda al verso Soli Invicto Comiti); cfr. RIC VII, p. 43 nota 3; M. Radnoti-Alföldi, Die constantinische Goldprägung, Mainz 1963, p. 66. Per i Licinii cfr. RIC VII, p. 605.
50 Cfr. P. Bruun, The Consecration Coins of Constantine the Great, in Commentationes in honorem E. Linkomies = Arctos, 1 (1954), pp. 19-31, in partic. 27; L. Koep, Die Konsekrationsmünzen Kaiser Konstantins und ihre religionspolitische Bedeutung, in Jahrbuch für Antike und Christentum, 1 (1958), pp. 94-104 (ripubblicato in Römischer Kaiserkult, cit., pp. 516 segg.; S. Calderone, Teologia politica, cit., pp. 259 segg.).
51 Eus., v.C. IV 73.
52 Usato per Adriano, questo motivo iconografico era stato adottato l’ultima volta per Valeriano: cfr. E. Bickerman, Die römische Kaiserapotheose, cit., p. 10; L. Koep, Die Konsekrationsmünzen, cit., p. 517 nota 42; P.N. Schulten, Die Typologie, cit., nn. 138, 139, 408, e p. 28. Nelle emissioni successive a Costantino, non di consacrazione, il motivo compare su un multiplo aureo di Gallo, con imperatore nimbato sulla quadriga; cfr. RIC VIII, p. 416 n. 145.
53 Cfr. A. Giuliano, L’arco di Costantino, Milano 1955, nota 54; P. Liverani, L’arco di Costantino, in Costantino il Grande. La civiltà antica al bivio tra Occidente e Oriente, a cura di A. Donati, G. Gentili, Cinisello Balsamo 2005, pp. 64-69; N. Lenski, Il Senato e il Sole: l’ispirazione dell’Arco di Costantino, in Costantino il Grande. Alle radici dell’Europa, Convegno internazionale (Città del Vaticano, Roma 18-21 aprile 2012), in corso di stampa.
54 Paneg. XII 165; cfr. S. MacCormack, Art and Ceremony in Late Antiquity, Berkeley 1981, pp. 110 segg. Al culto del dio Sabazio sono legati alcuni tipi monetali con il motivo della mano dall’alto; cfr. L. Koep, Die Konsekrationsmünzen, cit., p. 519.
55 Le uniche a non avere coniato le monete di consacrazione sono state le zecche di Roma, Aquileia e Siscia, che si trovarono dopo il 9 settembre 337 sotto il controllo di Costante.
56 Eus., v.C. IV 66,1. L’intero rituale funebre celebrato in praesentia a Costantinopoli è descritto in Eus., v.C. IV 66-68; 70-72.
57 Cfr. A. Kaniuth, Die Beisetzung Konstantins des Grossen. Untersuchungen zur religiösen Haltung des Kaisers, Breslau 1941 (Aalen 19742), p. 7; J. Arce, Funus imperatorum, cit., pp. 159-161; S. MacCormack, Art and Ceremony, cit., pp. 115 segg.
58 Eus., v.C. IV 71,1.
59 Il ruolo riconosciuto dalla tradizione a Eusebio di Nicomedia nell’anno 337 è notevole: a lui sarebbero stati affidati il testamento di Costantino e i giovani Gallo e Giuliano, sopravvissuti alle stragi per la successione; nel corso del medesimo anno egli ottenne di trasferirsi sulla cattedra episcopale di Costantinopoli; cfr. G. Bonamente, Sull’ortodossia di Costantino. Gli Actus Sylvestri dall’invenzione all’autenticazione, in Bizantinistica. Rivista di Studi Bizantini e Slavi, 2 (2004), pp. 1-46, in partic. 18; M. Amerise, Il battesimo di Costantino il Grande. Storia di una scomoda eredità, Stuttgart 2005, pp. 55-62.
60 Eus., v.C. IV 60,2; cfr. J. Vogt, Constantinus der Große, in RAC, III, cc. 306 segg.
61 Eus., v.C. IV 60,1-3.
62 Sulla nota attualizzante «anche ora» in Eus., v.C. IV 71,2, cfr. F. Winkelmann, Zur Geschichte des Authentizitätsproblems der ‘Vita Constantini’, in Klio, 40 (1962), pp. 187-243, in partic. 238 seg.; C. Mango, Constantine’s Mausoleum and the Translation of Relics, in Byzantinische Zeitschrift, 83 (1990), pp. 51-61.
63 Eus., v.C. IV 71,2.
64 Eus., v.C. IV 60,1-3. La distinzione fra il sarcofago porfireo imperiale (làrnax) e i monumenti che ricordano gli apostoli, definiti con la perifrasi thèchai osnèi stèlai ierài, appare netta; a prescindere dalla possibilità di leggere il termine thèchai da solo come ‘sepolcri’, nella perifrasi appare prevalente il termine esplicativo stèlai ierài; cfr. A. Kaniuth, Die Beisetzung, cit., p. 28; G. Dagron, Naissance d’une capitale. Constantinople et ses institutions de 330 à 451, Paris 1974, p. 406 (le corps de Constantin y prend valeur de reliquie); cfr. R. Krautheimer, Zu Konstantins Apostelkirche in Konstantinopel, in Mullus. Festschrift Theodor Klauser, hrsg. von A. Stuiber, A. Hermann, Münster in Westfalen 1964, pp. 224-229, in partic. 224; S. Rebenich, Vom dreizehnten Gott zum dreizehnten Apostel? Der tote Kaiser in der Spätantike, in Zeitschrift für Antike und Christentum, 4 (2000), pp. 300-324, in partic. 318; Eusebio di Cesarea, Elogio di Costantino. Discorso per il trentennale. Discorso regale, a cura di M. Amerise, Milano 2005, pp. 233-236.
65 L’equiparazione con i re biblici o con Mosè era meno impegnativa: il paragone con Mosè ricorre con evidenza nei capitoli riguardanti la vittoria al ponte Milvio, sia nella Historia ecclesiastica (IX 9,5-8) sia nella Vita Constantini (I 38,2-6). Cfr. G. Bonamente, Eusebio, Storia Ecclesiastica IX 9 e la versione cristiana del trionfo di Costantino nel 312, in Scritti sul mondo antico in memoria di Fulvio Grosso, a cura di L. Gasperini, Roma 1981, pp. 55-76, in partic. 68 segg.; M.J. Hollerich, The Comparison of Moses and Constantine in Eusebius of Caesarea’s Life of Constantine, in Studia Patristica, 19 (1989), pp. 80-85; L. Cracco Ruggini, La tarsia rinascimentale di Mercurio Trismegisto. Mosè e l’uso della tradizione classica, in Studi interdisciplinari sul Pavimento del Duomo di Siena. Iconografia, stile, indagini scientifiche, Atti del Convegno internazionale (Siena 27-28 settembre 2002), a cura di M. Caciorgna, R. Guerrini, M. Lorenzoni, Siena 2005, pp. 41-56, in partic. 42; M. Amerise, Costantino il ‘nuovo Mosè’, in Salesianum, 67 (2005), pp. 671-700, in partic. 674 segg.
66 Eus., v.C. I 2,2.
67 Eus., v.C. I 2,3.
68 Eus., v.C. I 9,1.
69 Eus., v.C. IV 63,1-2.
70 Cfr. R. Farina, L’impero e l’imperatore cristiano in Eusebio di Cesarea. La prima teologia politica del cristianesimo, Zurigo 1966; S. Calderone, Eusebio di Cesarea e l’ideologia imperiale, in Le trasformazioni della cultura nella tarda antichità, a cura di M. Mazza, C. Giuffrida, Roma 1985, pp. 1-25; Eusèbe de Césarée. La théologie politique de l’Empire chrétien. Louanges de Constantin, éd. par P. Maraval, Paris 2001; E. Prinzivalli, Storia ed escatologia in Eusebio di Cesarea, in Costantino il Grande nell’età bizantina, Atti del Convegno internazionale di studio (Ravenna 5-8 aprile 2001) a cura di G. Bonamente, A. Carile, I, Spoleto 2003 (ora in Bizantinistica, 5 [2003], pp. 97-112, con bibliografia aggiornata).
71 Eus., v.C. I 44 (‘vescovo universale’); IV 24 (‘vescovo di quelli di fuori’). Cfr. J. Straub, Kaiser Konstantin als ἐπίσκοπος τῶν ἐκτός, in Studia Patristica, 1 (1955), pp. 678-695 (ora in Id., Regeneratio imperii, I, cit., pp. 119-133); S. Calderone, Costantino e il cattolicesimo, Firenze 1962, p. XI nota 4; R. Farina, L’impero e l’imperatore cristiano, cit., p. 319 nota 45; S. Mazzarino, La data dell’Oratio ad sanctorum coetum. Il ius Italicum e la fondazione di Costantinopoli: note sui “discorsi” di Costantino, in Id., Antico, tardoantico ed era costantiniana, I, Bari 1974, pp. 99-150; G. De Decker, G. Depuis-Masay, L’épiscopat de l’empereur Constantin, in Byzantion, 50 (1980), pp. 118-157; K.M. Girardet, Das christliche Priestertum Konstantins des Großen. Ein Aspekt der Herrscheridee des Eusebius von Caesarea, in Chiron, 10 (1980), pp. 569-592 (ora in Id., Kaisertum, Religionspolitik und das Recht von Staat und Kirche in der Spätantike, Bonn 2009, pp. 107-134); G. Dagron, Empereur et prêtre. Étude sur le ‘césaropapisme’ byzantin, Paris 1996, p. 370 nota 24; H.A. Drake, Constantine and the Bishops. The Politics of Intolerance, Baltimore 2000, pp. 377, 389; M.R. Cataudella, Costantino “episkopos” e l’Oratio ad Sanctorum Coetum, in Politica, retorica e simbolismo del primato: Roma e Costantinopoli (secoli IV-VII), Atti del convegno internazionale (Catania 4-7 ottobre 2001), a cura F. Elia, Catania 2002, pp. 263-280. Si veda ora G. Zecchini, Costantino. Episcopus paganorum, in Constantine Before and After Constantine, cit., pp. 145-152.
72 R. Lizzi Testa, Privilegi economici e definizione di status: il caso del vescovo tardoantico, in Atti dell’Accademia Nazionale dei Lincei, 397 (2000), Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. Rendiconti, s. 9, vol. XI,1, pp. 55-103, in partic. 71-75; Id., The Bishop, Vir Venerabilis: Fiscal Privileges and ‘Status’ Definition in Late Antiquity, in Studia Patristica, 34 (2001), pp. 125-144, in partic. 126; T.D. Barnes, Constantine. Dynasty, Religion, and Power, cit., pp. 132-140.
73 Per quanto concerne il pontificato massimo cfr. J. Szidat, Imperatores Romani, in Augustinus-Lexikon, III/3-4, hrsg. von C. Mayer, Basel 2006, cc. 536-543, in partic. 541-542 (sulla reticenza con cui gli autori cristiani, fino ad Agostino, hanno menzionato la funzione del pontifex maximus); Al. Cameron, The imperial Pontifex, in Harvard Studies in Classical Philology, 103 (2007), pp. 341-384.
74 Eus., l.C. 3,1; cfr. S. Calderone, Il pensiero politico di Eusebio di Cesarea, in I cristiani e l’impero nel IV secolo, cit., p. 52; F. Heim, La théologie de la victoire de Constantin à Théodose, Paris 1992; G. Bonamente, La svolta costantiniana, in Cristianesimo e istituzioni politiche. Da Augusto a Costantino, a cura di E. dal Covolo, R. Uglione, Roma 1995, pp. 91-116; Die konstantinische Wende, hrsg. von E. Mülemberg, Gütersloh 1998: K.M. Girardet, Die ‘konstantinische Wende’ und ihre Bedeutung für das Reich, pp. 9-122; F. Winkelmann, Die konstantinische Wende und ihre Bedeutung für die Kirche, pp. 123-143.
75 Eus., v.C. I 24: «Così dunque Dio stesso […] ha scelto Costantino […] come capo e guida di tutti, cosicché nessun uomo possa vantarsi d’averlo innalzato a questa dignità; e ciò fu per lui un’eccezione: tutti gli altri infatti raggiungono la carica con l’elezione da parte di altri uomini».
76 Eus., l.C. 7,12: «Il Grande Re operò ciò dal cielo, ponendo innanzi un oplita invincibile, suo servitore […] egli […] imitando il suo Salvatore […] salvò anche coloro che non conoscono Dio, insegnando loro la pietà»; v.C. I 3,4: «Fu amato da Dio […] e fu per gli uomini un luminoso esempio di vita religiosa e pia»; I 4: «Dio propose al genere umano Costantino quale maestro esemplare di pietà religiosa»; I 5,2: «Dio fece di Costantino un maestro di fede»; cfr. R. Farina, La pietas del servo di Dio Costantino imperatore. Santità e culto di Costantino imperatore nella “Vita di Costantino” di Eusebio di Cesarea, in Poteri religiosi e istituzioni: il culto di San Costantino imperatore tra Oriente e Occidente, a cura di F. Sini, P.P. Onida, Torino 2003, pp. 297-304, in partic. 302 seg. (con indicazione di tutti i passi significativi).
77 Eus., v.C. IV 66.
78 Eus., v.C. IV 67-68.
79 Le vicende della successione furono invece tragiche e complesse, e comportarono l’eliminazione dei rami collaterali, alterando la politica dinastica di Costantino; cfr. H. Chantraine, Die Nachfolgeordnung Constantins des Grossen. Abhandlungen der Akademie der Wissenschaften zu Mainz, Stuttgart 1992; Zosime, Histoire nouvelle, I-II, éd par F. Paschoud, Paris 20002, pp. 262-266; V. Aiello, I silenzi su Costantino, in Costantino il Grande in età bizantina, Atti del Convegno (Ravenna 5-8 aprile 2001) a cura di G. Bonamente, A. Carile (ora in Bizantinistica, 5 [2003], pp. 277-307); M. Di Maio, W.H. Arnold, Per vim, per caedem, per bellum: Study of Murder and Ecclesiastical Politics in the Year 337, in Byzantion, 62 (1992), pp. 158-211; A. Marcone, Pagano e cristiano. Vita e mito di Costantino, Roma-Bari 2002, pp. 166-169; W.R. Burgess, The Summer of Blood. The ‘Great Massacre’ of 337 and the Promotion of the Sons of Constantine, in Dumbarton Oaks Papers, 65 (2008), pp. 5-51, in partic. 8-9; T.D. Barnes, Constantine. Dynasty, Religion, and Power, cit., p. 168.
80 Eus., v.C. IV 63,3; IV 64-68. Che Eusebio stia usando in accezione retorico-politica piuttosto che rigorosamente dottrinale la terminologia della resurrezione è dimostrato dalla rispondenza fra questo brano e quello relativo alla morte – e alla successione – del padre Costanzo in Eus., v.C. I 22,1: «Costantino, cinto della porpora paterna […], mostrò a tutti che il genitore continuava a regnare attraverso la sua persona, come fosse risorto». La trasmissione del potere è presentata nel capitolo precedente in cui ricorrono sia il testamento fatto in fine di vita sia la dichiarazione: «Lasciando per legge di natura l’eredità dell’Impero nelle mani del figlio maggiore»; cfr. I. Tantillo, “Come un bene ereditario”. Costantino e la retorica dell’impero-patrimonio, in Antiquité Tardive, 6 (1998), pp. 251-264.
81 Eus., v.C. IV 67,3: «A memoria d’uomo Costantino fu l’unico cui Dio concesse un simile onore»; cfr. S. Calderone, Teologia politica, cit., p. 225; P. Piccinini, Ideologia e storia in termini del lessico politico eusebiano: il tempo eterno della basileia di Costantino, in Costantino il Grande: dall’antichità all’umanesimo, cit., pp. 769-790.
82 Eus., v.C. IV 67,2-3.
83 Eus., v.C. IV 71,2-72.
84 Cfr. Eus., v.C. IV 60,1-2.
85 Va anche ricordato che l’epiteto àgios / sanctus non ha un rapporto diretto e univoco con il concetto di ‘santità’; basti osservare che Eusebio stesso non lo attribuisce ai martiri, e che d’altra parte sanctus è titolo proprio dell’imperatore, dei vescovi e in genere dei presbiteri nel IV secolo: cfr. H. Delehaye, Sanctus. Essai sur le culte des saints dans l’antiquité, Bruxelles 1927, pp. 37-57, 127 segg., 162 segg.; DACL VI, H. Leclercq, s.v. Saint, cc. 406 seg., 413, 415; P. Brown, Il culto dei santi. L’origine e la diffusione di una nuova religiosità, Torino 1983, pp. 47, 101 segg.
86 P. Brown, Il culto dei santi, cit., p. 49.
87 Cfr. ICUR IV 9513; Epigrammata Damasiana, rec. A. Ferrua, Città del Vaticano 1942, pp. 119 segg. nota 16; DACL VI, H. Leclercq, s.v. Saint, c. 421.
88 Eus., v.C. IV 71,2.
89 Philost. II 17; Thdt. I 34,3. Cfr. G. Fowden, Constantine’s Porphyry Column: The Earliest Literary Allusion, in Journal of Roman Studies, 81 (1991), pp. 119-131; E. La Rocca, La fondazione di Costantinopoli, in Costantino il Grande: dall’antichità all’umanesimo, cit., pp. 553-583, in partic. 557-561; A. Luzzi, Il dies festus di Costantino il Grande e di sua madre Elena nei libri liturgici della Chiesa greca, in Costantino il Grande: dall’antichità all’umanesimo, cit., pp. 585-643, in partic. 586; M. Wallraff, Christus verus Sol. Sonnenverherung und Christentum in der Spätantike, Münster 2001; Id., Constantine’s Devotion to the Sun after 324, in Studia Patristica, 24 (2001), pp. 256-269, in partic. 261-265; S. Basset, The Urban Image of Late Antique Constantinople, Cambridge 2004, p. 204.
90 Eusebio non menziona due edifici distinti, anzi tutte le sue considerazioni sul significato della sepoltura di Costantino hanno un senso se l’edificio che era davanti ai suoi occhi era unico: cfr. G. Downey, The Tombs of the Byzantine Emperors at the Church of the Holy Apostles in Constantinople, in Journal of Hellenic Studies, 79 (1959), pp. 27-51; G. Dagron, Naissance d’une capitale, cit., pp. 401-403 (con un quadro d’insieme e bibliografia); W. Müller Wiener, Bildlexikon zur Topographie Istanbuls, Tübingen 1977, pp. 405 segg.; R. Krautheimer, Architettura paleocristiana e bizantina, Torino 1986, pp. 77 seg.
91 Si ritiene che possa avere avuto rilevanza anche la progressiva dotazione di reliquie di apostoli (Timoteo, Andrea e Luca) della basilica, databile agli anni 356-357; cfr. Hier., chron. a. Abr. 356: «Reliquiae apostoli Timothei Constantinopolim invectae»; a. Abr. 357: «Constantio Romam ingresso ossa Andreae apostoli et Lucae evangelistae a Constantinopolitanis miro favore suscepta»; Paul. Nol., carm. 19,317; Hier., c. Vigil. 5,343: «Sacrilegus fuit Constantius imperator, qui sanctas reliquias Andreae, Lucae et Timothei transtulit Constantinopolim, apud quas demones rugiunt?»; cfr. Zonar., XIII 11,28; Procop., Aed. I 4,9 seg.; C. Mango, Constantine’s Mausoleum, cit., p. 56.
92 Cfr. Hier., chron. a. Abr. 358; Socr., h.e. II 38; Soz., h.e. IV 21,3,6; Zonar., XIII 11,24. Tra i due martyria, rispettivamente di S. Acacio di Caria oppure di S. Acacio all’Eptaskalon, si propende per il primo, più prossimo alla basilica. Si veda P. Franchi De’ Cavalieri, I funerali e il sepolcro di Costantino Magno, cit., pp. 251-253.
93 Socrate e Sozomeno riferiscono dell’ira di Costanzo II, dovuta sia a torbidi causati da Macedonio a Costantinopoli, sia al fatto che quest’ultimo aveva proceduto senza il consenso dell’imperatore: Socr., h.e. II 38; Soz., h.e. IV 21,6.
94 Il giorno successivo, il 1° gennaio 360, Macedonio era stato deposto, insieme con altri vescovi, e sostituito da Eudossio di Antiochia; cfr. Socr., h.e. II 38; Soz., h.e. IV 21,6; Chron. Pasch. ad a. 360, pp. 224-225, ed. Bidez-Winkelmann; T.D. Barnes, Athanasius and Constantius. Theology and Politics in the Constantinian Empire, Cambridge (MA)-London 1993, p. 149; R. Lizzi, Discordia in urbe. Pagani e cristiani in rivolta, in Pagani e cristiani da Giuliano l’Apostata al sacco di Roma, Atti del Convegno internazionale di studi (Rende 12-13 novembre 1993), cit., Soveria Mannelli 1995, pp. 115-140, in partic. 122 e nota 30; G. Bonamente, La figura dell’imperatore in Giovanni Crisostomo, in Omaggio a Rosario Soraci. Politica retorica e simbolismo del primato: Roma e Costantinopoli (secoli IV-VII), Atti del Convegno Internazionale (Catania 4-7 ottobre 2001), a cura di F. Elia, II, Catania 2004, pp. 183-217, in partic. 195; F. Fatti, Giuliano a Cesarea. La politica ecclesiastica del principe apostata, Roma 2009, p. 25.
95 Hier., chron. a. Abr. 370; Chron. Pasch. ad a. 370, MGH AA IX, p. 242; cfr. G. Dagron, Naissance d’une capitale, cit., p. 411.
96 Lucif., moriend. 13 lo definì polemicamente episcopus episcoporum; cfr. K.M. Girardet, Kaiser Konstantius II. als episcopus episcoporum und das Herrscherbild des kirchlichen Widerstandes (Ossius von Corduba und Lucifer von Caralis), in Historia, 26 (1977), pp. 95-128, in partic 106 segg.; Id., Das christliche Priestertum Konstantins des Grosse. Ein Aspekt der Herrscheridee des Eusebius von Kaesarea, in Chiron, 10 (1980), pp. 569-592. I due saggi ora in Id., Kaisertum, Religionspolitik, cit., rispettivamente pp. 295-333 e pp. 107-134.
97 Philost., h.e., ed. Bidez-Winkelmann, pp. 200 seg.; E. Bihain, L’épître de Cyrille de Jérusalem à Constance sur la vision de la croix, in Byzantion, 43 (1973), pp. 264-296, in partic. 287-288; G. Shurgaia, Santo imperatore. Costantino il Grande nella tradizione liturgica di Gerusalemme, in Costantino il Grande nell’età bizantina, cit., pp. 217-260, in partic. 238. J.W. Drijvers, A Bishop and His City: Cyril of Jerusalem, in Studia Patristica, 42 (2006), pp. 113-125, in partic. 122.
98 Preso atto che un concilio di vescovi riuniti nella stessa Sirmio ne aveva ordinato la deposizione, l’imperatore eseguì tempestivamente tale decisione; cfr. T.D. Barnes, Athanasius and Constantius: Theology and Politics in the Constantinian Empire, Cambridge (MA)-London 1993, p. 109.
99 Hil., syn. 11,86; Ath., syn. 28.
100 A. Lippold, Bischof Ossius von Cordova und Konstantin der Große, in Zeitschrift für Kirchengeschichte, 92 (1981), pp. 1-15, in partic. 5 segg.
101 Ath., syn. 8; Socr., h.e. II 34: «La fede cattolica è stata esposta al nostro principe piissimo e trionfatore imperatore Costanzo Augusto eterno, venerabile, durante il consolato dei chiarissimi Flavio Eusebio e Flavio Ipazio, l’undicesimo giorno delle Calende di giugno». Cfr. J. Gaudemet, Institutions de l’Antiquité, Paris 19822, p. 691.
102 Socr., h.e. II 42 seg.; Soz., h.e. II 24 seg.
103 Cfr. Ath., apol. sec. 44,7; Lucif., moriend. 13; Socr., h.e. II 42 seg.; Soz., h.e. II 24 seg.; K.M. Girardet, Kaiser Konstantin II. als episcopus episcoporum, cit., pp. 95-128, in partic. 106 segg. (ora in Id., Kaisertum, Religionspolitik, cit., pp. 295-333, in partic. 316 seg.); K. Rosen, Ilario di Poitiers e la relazione tra la Chiesa e lo Stato, in I cristiani e l’impero nel IV secolo, cit., pp. 63-74, in partic. 69; J. Stevenson, Creeds, Councils, and Controversies: Documents Illustrative of the History of the Church A.D. 337-461, London 19892.
104 Iul., Or. VII 228B-C.
105 Cfr. R. Soraci, L’imperatore Valentiniano I, Catania 1971, pp. 167 segg.; R. Lizzi Testa, Senatori, popolo, papi. Il governo di Roma al tempo dei Valentiniani, Bari 2004, pp. 229-235; Id., Costantino come modello, nelle fonti legislative, in Constantine Before and After Constantine, cit., pp. 481-500.
106 R. Lizzi Testa, La certatio fra Ambrogio e Mercurino Aussenzio, ovvero a proposito di una deposizione mancata, in Studia Ambrosiana, 3 (2009), pp. 39-68.
107 Ch. Pietri, La politique de Constance II. Un premier ‘césaropapisme’ ou l’imitatio Constantini?, in L’Église et l’empire au IVe siècle, Vandoeuvres-Genève 1989, pp. 113-178, ora in Id., Christiana Respublica. Éléments d’une enquête sur le christianisme antique, I, Roma 1997, pp. 281-346. La formulazione dell’editto di Galerio ripete principi consolidati del diritto sacrale; cfr. Lact., mort. pers. 34,5: «Debebunt deum suum orare pro salute nostra et reipublicae ac sua, ut undique versus res publica perstet incolumis et securi vivere in sedibus suis possint». Si veda ora A. Marcone, Editto di Galerio e fine delle persecuzioni, in Constantine Before and After Constantine, cit., pp. 47-57.
108 R. Lizzi Testa, Alle origini della tradizione pagana su Costantino e il senato romano (Amm. 21, 10, 8 e Zos. 2, 32, 1), in Transformations of Late Antiquity. Essays for Peter Brown, ed. by Ph. Rousseau, M. Papoutsakis, Farnham-Burlington 2009, pp. 85-128, in partic. 108-120.
109 Girolamo ha registrato Valente come persecutore dei cristiani ortodossi (chron. a. Abr. 367: «Valens ab Eudoxio Arrianorum episcopo baptizatus nostros persequitur»). Nell’epistola 60, del 396, compare una significativa serie di imperatori romani qualificati come persecutori (Costanzo II, Giuliano e Valente) o come ostili alla dottrina nicena (Valentiniano I e Valentiniano II), dei quali si evidenzia la cattiva sorte.
110 Sullo stesso piano, ma in direzione opposta, si poneva Libanio, riprendendo allora alcuni temi dell’Epitafio e rivolgendo all’imperatore Teodosio l’orazione Ad Theodosium de Iuliani ultione, di poco successiva al 379, la cui ratio è che i mali dell’Impero sono dovuti alla punizione degli dei, ancora non placati per la morte di Giuliano: cfr. Lib., Or. II 34; M. Pavan, La battaglia di Adrianopoli (378) e il problema gotico nell’impero romano, in Studi Romani, 27 (1979), pp. 153-165, ora in Id., Tra Classicità e Cristianesimo. Scritti raccolti in memoria, a cura di G. Bonamente, Roma 1995, II, pp. 427-436.
111 Ambr., fid. II 16,141.
112 Ambr., fid. prol. 3. Cfr. N. McLynn, Ambrose of Milan. Church and Court in a Christian Capital, Princeton 1994, pp. 88-106, secondo cui la professione di fede era stata richiesta per verificare la fede di Ambrogio, non per avere un documento di vera ortodossia contro gli eretici.
113 Al concilio di Rimini si sarebbe richiamato ancora Valentiniano II, il 23 gennaio 386, con una disposizione che legittimava le posizioni allora espresse: cfr. Cod. Theod. XVI 1,4.
114 Cod. Theod. XVI 5,5 (3 agosto 379).
115 Cf. R. Lizzi Testa, Ambrose’s Contemporaries and the Christianization of Northern Italy, in Journal of Roman Studies, 80 (1990), pp. 156-173.
116 Ambr., in Lucam IV 29: «Dei minister sit qui bene potestate utitur»; ma anche epist. 17,13; 20,19; 21,10, sul rapporto vescovo-imperatore. Cfr. J. Gaudemet, L’Église dans l’Empire romain (IVe-Ve siècles), Paris 1958, p. 489; M. Sordi, La concezione politica di Ambrogio, in I Cristiani e l’Impero nel IV secolo, cit., pp. 143-154; N. McLynn, Ambrose of Milan, cit., pp. 291-377; R. Lizzi Testa, L’ascesa al trono di Teodosio I, in La Hispania de Teodosio, Congreso Internacional (Segovia, Coca 3-6 octubre 1995), ed. por R. Teja, C. Pérez, Madrid 1997, pp. 135-148; M. Sordi, L’impero romano-cristiano al tempo di Ambrogio, Milano 2000, pp. 36 segg. (con bibliografia).
117 Cfr. Plin., paneg. 65,1; Ambr., epist. 21: «Quis est qui non abnuat, in causa fidei, in causa, inquam, fidei, episcopos solere de imperatoribus Christianis, non imperatores de episcopis iudicare?».
118 Cfr. Ambr., epist. 20 e 21; R. Klein, Theodosius der Große und die christliche Kirche, in Eos, 82 (1994), pp. 85-121.
119 Cfr. Ambr., epist. 40 e 41.
120 Cfr. Ambr., epist. 51; obit. Theod. 40; K. Groß-Albenhausen, Imperator christianissimus, cit., p. 25.
121 Cod. Theod. XVI 1,2: «Cunctos populos [...] in tali volumus religione versari [...] quamque pontificem Damasum sequi claret et Petrum Alexandriae episcopum». L’editto è fondato su un criterio del tutto nuovo rispetto alla concezione costantiniana: la fonte di autorità della dottrina e del culto ufficiale dell’Impero non è individuata più nella sanzione dell’imperatore, ma è ricondotta all’interno della Chiesa e specificamente nella traditio dell’apostolo Pietro (con conseguente ancoramento a Roma) e quindi nel ruolo di depositari svolto dal pontefice Damaso di Roma e dal vescovo di Alessandria Pietro. Cfr. R. Lizzi Testa, La politica religiosa di Teodosio I. Miti storiografici e realtà storica, in Atti dell’Accademia Nazionale dei Lincei, 393 (1996), Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. Rendiconti s. 9, vol. VII,2, Roma 1996, pp. 323-361; M.R. Errington, Christian Accounts of the Religious Legislation of Theodosius I, in Klio, 79 (1997), pp. 398-443.
122 Chron. a. Abr. 330: «Dedicatur Constantinopolis omnium paene urbium nuditate»; a. Abr. 337: «Constantinus extremo vitae suae tempore ab Eusebio Nicomedensi episcopo baptizatus in Arrianum dogma declinat. A quo usque in praesens tempus ecclesiarum rapinae et totius orbis est secuta discordia». Per il contesto storico e culturale del Chronicon cfr. V. Aiello, Costantino ‘eretico’. Difesa della ‘ortodossia’ e anticostantinianesimo in età teodosiana, in Il tardo impero. Aspetti e significati nei suoi riflessi giuridici, X Convegno internazionale in onore di Arnaldo Biscardi (Spello, Perugia, Gubbio 7-10 ottobre 1991), Napoli 1995, pp. 55-83, in partic. 62 segg. e nota 16; 74 segg.; Id., La fortuna della notizia geronimiana su Costantino ‘eretico’, in Messana, 13 (1992), pp. 221-237.
123 Cfr. Ambr., epist. 51,7-8,12 (CSEL 82,2); 14 extra coll. = 63 PL. Cfr. V. Zangara, Eusebio di Vercelli e Massimo di Torino, in Eusebio di Vercelli e il suo tempo, a cura di E. dal Covolo, R. Uglione, G.M. Vian, Roma 1997, pp. 257-322; R. Lizzi, Tra i classici e la Bibbia: l’otium come forma di santità episcopale, in Modelli di santità e modelli di comportamento: contrasti, intersezioni, complementarietà, a cura di G. Barone, M. Caffiero, F. Scorza Barcellona, Torino 1994, pp. 43-64; R. Lizzi Testa, Martino vescovo santo: un nuovo modello di santità nell’Occidente tardoantico, in Cristianesimo nella Storia, 29 (2008), pp. 317-344.
124 In PG 48, cc. 811-838.
125 La Chiesa ha il suo fondamento in Cristo e la sua diffusione non è dovuta al favore dell’Impero, che anzi l’ha sempre contrastata: Augusto, Tiberio, Caligola, Nerone, Vespasiano e Tito sono stati più o meno energicamente nemici della Chiesa (cfr. § 15 = PG 48, c. 833). L’efficacia degli apostoli e dei martiri è maggiore e più duratura di qualsiasi impresa degli imperatori e dello stesso Alessandro Magno, il cui impero si è disgregato subito dopo la sua morte (cfr. § 16 = PG 48, c. 833).
126 Adversus iudaeos et gentiles, quod Christus sit Deus 9 (= PG 48, c. 825).
127 Costanzo II: Gr. Naz., in Iulianum or. II, p. 93. Giuliano: Amm. XXV 10,5; cfr. Gr. Naz., Or. 5,14.18, Gioviano: Amm. XXVI 1,3. Valentiniano I: Amm. XXX 10,1. Teodosio: Zos., IV; J. Arce, Funus imperatorum, cit., ad loca.
128 C. Tirone, Giovanni Crisostomo. Commento alle lettere di S. Paolo ai Corinti, II, Siena 1962, pp. 5 seg. La redazione in Antiochia delle omelie sulla prima Lettera di Paolo ai Corinzi è indicata espressamente: cfr. Chrys., hom. XXI in 2 Cor. 5 (PG 61, c. 168).
129 L’inclusione di Alessandro Magno nel canone degli ottimi imperatori era propria anche dei Cesari di Giuliano.
130 Chrys., hom. XXVI in 2 Cor. 5 (PG 61, cc. 581-582): si applica ad Alessandro Magno un argomento già presente in termini generali in Adversus iudaeos et gentiles, quod Christus sit Deus 9 (PG 48, cc. 825-826): «che uno che era re e aveva a sua disposizione numerosi eserciti, abbia potuto in vita riuscire illustre per gloria di guerre e di vittorie, non è cosa da far stupire, né è qualcosa di meraviglioso».
131 Chrys., hom. XXVI in 2 Cor. 5 (PG 61, cc. 581-582): il Senato aveva anche il potere di proclamare gli dei, tributando agli uomini un onore più grande del dovuto.
132 Al riguardo cfr. M. Sordi, La prima comunità cristiana di Roma e la corte di Claudio, in Cristianesimo e istituzioni politiche. Da Augusto a Costantino, a cura di E. dal Covolo, R. Uglione, Roma 1995, pp. 15-23, in partic. 19 seg.
133 G. Bonamente, Il canone dei ‘divi’, cit., pp. 59-82, in partic. 74.
134 L’apoteosi di Antinoo era considerata exemplum in senso negativo sia dai cristiani sia dai pagani; cfr. Chrys., hom. XXVI in 2 Cor. 4 = PG 61, c. 581 («hanno considerato dèi i pugili e quel cinedo di Antinoo, che era amasio di Adriano, dal quale trae il nome la città di Antinoopoli»); G. Bonamente, L’apoteosi degli imperatori romani nell’Historia Augusta, in XV Miscellanea greca e romana, Roma 1990, pp. 257-308, in partic. 304 seg.; J. Hammerstaedt, Die Vergöttlichung unwürdiger Menschen bei den Heiden als apologetisches Argument in Schriften des Sokrates, Theodoret, Cyrill von Alexandrien und Johannes Chrysostomos, in Jahrbuch für Antike und Christentum, 39 (1996), pp. 76-101.
135 Chrys., hom. XXVI in 2 Cor. 5 (PG 61, c. 582): «Dov’è, ti prego, la sepoltura di Alessandro Magno? Indicamelo e dimmi in quale giorno è morto».
136 Soz., h.e. II 34,6; nelle ultime righe del II libro, Sozomeno osserva che Costantino aveva voluto essere sepolto nella chiesa degli Apostoli: «Da allora, come se fosse stato inaugurato così un costume, vi riposano anche gli imperatori cristiani morti successivamente in Costantinopoli, alla stessa stregua dei vescovi, come se il sacerdozio avesse – io ritengo – lo stesso rango della regalità, o piuttosto abbia il primo rango nei luoghi sacri».
137 Chrys., hom. XXVI in 2 Cor. 5 (PG 61, c. 582).
138 Marco Aurelio era il simbolo dell’imperatore dotato di poteri taumaturgici: aveva ottenuto dagli dei, tramite la preghiera, la pioggia per i suoi soldati e la protezione per una città della Tracia; cfr. L. Cracco Ruggini, Modello politico classico per un imperatore cristiano (IV-VI secolo), in Identità e valori. Fattori di aggregazione e fattori di crisi nell’esperienza politica antica, Atti del Convegno internazionale (Bergamo 18-21 settembre 1995), a cura di A. Barzanò, Roma 2000, pp. 241-255, in partic. 249 seg. Quanto ad Alessandro Magno, era tornato in auge proprio nel IV secolo: la sua figura è preponderante nei contorniati, e Giovanni Crisostomo stesso aveva dovuto contrastare l’abitudine degli antiocheni di portare monete di bronzo con la sua immagine, attribuendo loro poteri magici (Ad Illuminandos Catechesis I, 2,5 = PG 49, c. 240): cfr. L. Cracco Ruggini, Sulla cristianizzazione della cultura pagana: il mito greco e latino di Alessandro Magno dall’età antonina al Medioevo, in Athenaeum, 43 (1965), pp. 3-80, in partic. 15 segg., 55; C. Frugoni, La fortuna di Alessandro Magno dall’antichità al Medioevo, Firenze 1978, pp. 9 segg.
139 Cfr. G. Bonamente, Optimi principes-divi nell’Historia Augusta, cit., pp. 63-82; Id., Dall’imperatore divinizzato all’imperatore santo, cit., pp. 351 segg.
140 Per le Chiese slave e per il culto nella Russia antica, nella Georgia e per l’iconografia, si veda M. Pliuchanova, Il culto di Costantino il Grande nella Russia antica, in Bizantinistica, 6 (2004), pp. 191-215.
141 La celebrazione cade il 21 maggio; cfr. Acta Sanctorum, maii V 12-27; Synaxarium Constantinopolitanum cc. 697-700; A. Amore, s.v. Costantino, in Bibliotheca Sanctorum 4, pp. 237 seg.; A. Luzzi, Il dies festus di Costantino il Grande, cit.; U. Zanetti, Costantino nei calendari e nei sinassari orientali, in Costantino il Grande: dall’antichità all’umanesimo, cit., pp. 893-914; M. Pliuchanova, Il culto di Costantino il Grande, cit. (con ulteriore bibliografia).
142 Cfr. Martyrologium Romanum ad 18 Aug.; N. Nilles, Calendarium manuale utriusque ecclesiae orientalis et occidentalis, 1896, p. 163: «quamvis ecclesia latina religiosum tou megalou kai isapostolou basileus cultum non recepit, eum tamen et in fastis suis ut piissimum imperatorem celebrat». Nella liturgia occidentale la memoria di Costantino è veicolata soprattuto da altri santi, quali Elena (il 18 agosto: Acta Sanctorum, Aug. XVIII 580-599) e Silvestro, oppure risale a un influsso bizantino. In Inghilterra e in Boemia il culto è legato a reliquie di Costantino (Acta Sanctorum, maii V 12-14). Nel Calendario di S. Giovanni Maggiore di Napoli è indicato il dies festus di Costantino; cfr. H. Delehaye, Agiographie napolitaine, in Analecta Bollandiana, 57 (1939), pp. 5-46. Non numerose le tracce nella toponomastica: San Costantino di Sapri; San Costantino Albanese e San Costantino di Rivello (PZ); San Costantino di Briatico e San Costantino Calabro (CZ); San Costantino di Fiè (BZ).
143 In Sardegna il culto è celebrato con solennità ogni anno, nei giorni dal 5 al 7 luglio, presso il santuario di San Costantino a Sedilo (OR); analogo culto è prestato a Pozzomaggiore. Cfr. A.F. Spada, Santu Antine. Il culto di Costantino il Grande da Bisanzio alla Sardegna, Nuoro 1989; L. Pani Ermini, Una testimonianza del culto di S. Costantino in Sardegna, in Memoriam Sanctorum Venerantes. Miscellanea in onore di mons. Victor Saxer, Città del Vaticano 1992, pp. 613-625; V. Poggi, Perché in Sardegna Costantino è santo, in Poteri religiosi e istituzioni, cit., pp. 325-342.
144 peregr. Egeriae 37,1; cfr. Égérie, Journal de voyage (Itinéraire), éd. par P. Maraval, Paris 1982, p. 316. A loro volta le due ricorrenze coincidono con la dedica del tempio di Giove Capitolino risalente a Adriano.
145 Nel rito di Gerusalemme Costantino è celebrato il 22 maggio da solo, senza Elena. Tale lezionario prebizantino è stato ricostruito su uno armeno del V secolo (Lezionario Armeno 56), su uno georgiano del VII secolo e sul calendario palestinese-georgiano del X secolo; cfr. G. Garitte, Le calendrier palestino-georgien du Sinaiticus 34 (X siècle), Bruxelles 1958; M. Tarchnischvili, Le grand lectionnaire géorgien de l’église de Jerusalem, Lovain 1959; A. Renoux, Un manuscrit du lectionnaire armenien de Jerusalem (cod. Jeros. Arm. 121), in Le Muséon, 74 (1972), pp. 361-385; A.P. Kazhdan, Constantin imaginaire. Byzantine Legends of the Ninth Century About Constantine the Great, in Byzantion, 57 (1987), pp. 196-250; V. Aiello, Costantino, la lebbra e il battesimo di Silvestro, in Costantino il Grande: dall’antichità all’umanesimo, cit., pp. 17-58; Th. Grünewald, Constantinus novus. Zum Constantin-Bild des Mittelalters, in Costantino il Grande: dall’antichità all’umanesimo, cit., pp. 461-485; U. Zanetti, Costantino nei calendari e sinassari orientali, cit., in partic. pp. 894-895; C.G. Pitsakis, L’idéologie impériale et le culte de Saint Constantin dans l’Église d’Orient, in Poteri religiosi e istituzioni, cit., pp. 253-287, in partic. 258-262; G. Shurgaia, Santo imperatore, cit., in partic. pp. 219 seg. e 256.
146 L’associazione alla madre Elena è relativamente tarda, ma è rimasta poi stabile. Nella liturgia della Grande Chiesa di Costantinopoli, nota attraverso il Tipico del X secolo, il dies festus congiunto con quello di Elena cade il 21 maggio. Cfr. Const. Porphyr., Liber de cerimoniis aulae Byzantinae II 6 (la liturgia dedicata al 21 maggio appare nel suo splendore nel X secolo); A. Luzzi, Note sulla recensione del Sinassario di Costantinopoli patrocinata da Costantino VII Porfirogenito, in Rivista di Studi bizantini e neoellenici, 26 (1990), pp. 139-186; C.G. Pitsakis, L’idéologie impériale et le culte de Saint Constantin, cit., in partic. 274 segg. Un catalogo delle vite agiografiche in F. Halkin, Bibliotheca Hagiographica Graeca, Bruxelles 1957. Una delle vite che ha avuto importanza nella tradizione è la Vita Guidi, la cui redazione più antica è del IX secolo; cfr. S.N.C. Lieu, D. Montserrat, The Anonymous Life of Constantine (BHG 364), in From Constantine to Julian: Pagan and Byzantine Views. A Source History, London-New York 1996, pp. 97-142.
147 Philost., II 17. Sui luoghi del culto dedicato a Costantino a Costantinopoli e nei dintorni si vedano: R. Janin, La géographie ecclésiastique de l’Empire byzantin. Le siège de Constantinople et le patriarcat œcuménique, III, Les églises et les monastères, Paris 1969, pp. 295-298; Id., Les églises et les monastères des grands centres byzantins, Paris 1975, pp. 139, 153-157, 205, 255, 280; A. Luzzi, Il dies festus di Costantino il Grande, cit., in partic. 586; C.G. Pitsakis, L’idéologie impériale et le culte de Saint Constantin, cit., in partic. pp. 258-262.
148 La menzione di tombe imperiali trascurate riguarda Roma, non Costantinopoli, ove il mausoleo rivestiva invece oggetto di interesse, come si è visto supra.
149 Cfr. Eus., v.C. IV 65; cfr. Lezionario Armeno 56.
150 Sal 131, 1 Tm 2,1-7, Sal 20, Lc 7,1-10 (la fede del centurione): si tratta delle medesime letture usate anche per la commemorazione di Teodosio, che cadeva il 19 gennaio; cf. G. Shurgaia, Santo imperatore, cit., in partic. p. 221.
151 Calendario II Nau ( Brit. Libr. Add. 17134 ); cfr. U. Zanetti, Costantino nei calendari e sinassari orientali, cit., in partic. 897.
152 Una testimonianza rilevante è costituita da un inno di Severo di Antiochia, dedicato all’imperatore Costantino, composto tra gli anni 512 e 518 e tramandato nella traduzione siriaca di Paolo di Edessa; cfr. A. Luzzi, Il dies festus di Costantino il Grande, cit., in partic. 606, 619-629.
153 Epoca del manoscritto più antico con la commemorazione di Costantino ed Elena il 21 maggio (un palinsesto della Biblioteca dell’Università di Cambridge, Add. 4489); nel Sinaxarium Constantinopolitanum fa infatti il suo ingresso anche la leggenda del battesimo di Silvestro. Cfr. F. Winkelmann, Die älteste erhaltene griechische hagiographische Vita Konstantins und Helenas, Berlin 1987, pp. 623-638, in partic. 633; A. Luzzi, Il dies festus di Costantino il Grande, cit., in partic. pp. 581-589 (con bibliografia precedente).
154 Cyr. H., catech. 4,10; 10,19; 13,4; ep. Const. 3. In una prima fase, attestata inizialmente da Ambrogio, Rufino e Paolino di Nola, anche la commemorazione liturgica di Elena rimase legata alla festa per il rinvenimento della croce, il 3 o il 7 maggio; cfr. A. Linder, The Myth of Constantine the Great in the West. Sources and Hagiographic Commemoration, in Studi Medievali, 16 (1975), pp. 43-95, in partic. 86 nota 243.
155 J.W. Drijvers, Heraclius and the restitutio crucis. Notes on Symbolism and Ideology, in The Reign of Heraclius (610-641). Crisis and Confrontation, ed. by J. Gerrit, R.-B.H. Stolte, Leuven-Paris-Dudley (MA) 2002, pp. 175-190, in partic. 182-183.
156 Cfr. A. Pertusi, Il pensiero politico bizantino, a cura di A. Carile, Bologna 1990; C. Capizzi, Giustiniano I tra politica e religione, Soveria Mannelli 1994; G. Crifò, La Chiesa e l’Impero nella storia del diritto da Costantino a Giustiniano, in Cristianesimo e istituzioni politiche, II, Da Costantino a Giustiniano, a cura di E. dal Covolo, R. Uglione, Roma 1997, pp. 171-196, in partic. 180-184; K. Rosen, Il pensiero politico dell’antichità, Bologna 1999; A. Marcone, Pagano e cristiano, cit., p. 184.
157 Ambr., obit. Theod. 7: «ante aciem solus progrediens ait [scil. princeps]: Ubi est Theodosii deus?». Cfr. R. Perelli, La vittoria ‘cristiana’ del Frigido, in Pagani e cristiani da Giuliano l’Apostata, cit., pp. 257-265; F. Paschoud, Pour un mille six centième anniversaire: le Frigidus en ébullition, in Antiquité Tardive, 5 (1997), pp. 275-280, ora in Id., Eunape, Olympiodore, Zosime. Scripta minora, Bari 2006, pp. 353-366; G. Bonamente, La figura dell’imperatore in Giovanni Crisostomo, cit., in partic. pp. 213 seg.; H. Inglebert, L’historiographie au IVe siècle entre païens et chrétiens: faux dialogue et vrai débat, in Cristianesimo nella storia, 30 (2009), pp. 287-303.
158 G. Zecchini, S. Ambrogio e le origini del motivo della vittoria incruenta, in Rivista di Storia della Chiesa in Italia, 38 (1984), pp. 391-404, ora in Ricerche di storiografia latina tardoantica, II, Dall’ Historia Augusta a Paolo Diacono, Roma 2011, pp. 109-134, in partic. 117 seg. (sui modelli e sui tempi di formazione del topos).
159 Cfr. Ambr., obit. Theod. 7; epist. 61,3: «ut videremus nostro tempore, quod in Scripturarum lectione miramur, tantam in proeliis divini auxilii fuisse praesentiam».
160 Cfr. Ambr., obit. Theod. 4; 34; cfr. Rufin., hist. II 33; G. Bonamente, Potere politico e autorità religiosa nel De obitu Theodosii di Ambrogio, in Chiesa e società dal secolo IV ai nostri giorni. Studi storici in onore del Padre Ilarino da Milano, I, Roma 1979, pp. 83-133, in partic. 96.
161 Cfr. Ambr., obit. Valent. 6; 9; 14; 17-19; 21-22; 46-51.
162 Ambrogio allude all’uccisione, ma evita una polemica esplicita al paragrafo 33: «De celeritate mortis, non de genere loquor, non enim accusationis voce utor, sed doloris». Il suo ‘battesimo di desiderio e di opere’ (51-52) lo avrebbe giustificato al pari dei martiri morti catecumeni (53).
163 L’epiteto era stato rivolto a Graziano in Ambr., epist. 72,3; 73,34; cfr. H. Bellen, Christianissimus imperator. Zur Christianisierung der römischen Kaiserideologie von Constantin bis Theodosius, in E fontibus haurire. Beiträge zur römischen Geschichte und zu ihren Hilfswissenschaften, hrsg. von R. Günter, S. Rebenich, Paderborn 1994, pp. 3-19; K. Groß-Albenhausen, Imperator christianissimus, cit., pp. 75-79.
164 N. Duval, Formes profanes et formes bibliques dans les orations funèbres de saint Ambroise, in Christianisme et formes littéraires dans l’Antiquité tardive en Occident, éd. par Al. Cameron, H. Junod-Ammerbauer, F. Paschoud et al., Vandoeuvres-Genève 1977, pp. 235-301; F.E. Consolino, L’Optimus princeps secondo S. Ambrogio: virtù imperatorie e virtù cristiane nelle orazioni funebri per Valentiniano e Teodosio, in Rivista Storica Italiana, 96 (1984), pp. 1025-1045; S. MacCormack, Art and Ceremony, cit., pp. 198 segg.; M. Biermann, Die Leichenreden des Ambrosius von Mailand, Stuttgart 1995, pp. 93 segg.
165 Ai senatori presenti non poteva sfuggire che l’epiteto Augustae memoriae stava sostituendo la formula divae memoriae, e che la frase meruit sanctorum consortia metteva da parte il meruit in numerum divorum referri che era di uso corrente per l’apoteosi; cfr. G. Bonamente, L’apoteosi degli imperatori nell’ultima storiografia pagana latina, cit., in partic. pp. 47-59.
166 Ambr., obit. Theod. 39: «Manet ergo in lumine Theodosius et sanctorum coetibus gloriatur».
167 Ambr., obit. Theod. 1: «Clementissimus imperator Theodosius»; 12: «Imperatoris pii, imperatoris misericordis, imperatoris fidelis»; 27: «Bona igitur humilitas»; 28: «Humilem se praebuit Theodosius imperator».
168 Ambr., obit. Theod. 7.
169 Il precedente, certamente noto ad Ambrogio, è il ‘regno dopo la morte di Costantino’. Il tema è riproposto nel paragrafo 16, ove il timor dei e la misericordia di Teodosio assicurano ai figli che «dominus propitius sit rebus humanis». Sulla centralità del tema della successione nell’orazione di Ambrogio cfr. F.E. Consolino, Il significato dell’inventio crucis nel de obitu Theodosii, in Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Siena, 5 (1984), pp. 161-180, in partic. 176; G. Bonamente, Fideicommissum e trasmissione del potere nel De obitu Theodosii di Ambrogio, in Vetera Christianorum, 14 (1977), pp. 273-280; M. Biermann, Die Leichenreden des Ambrosius, cit., p. 183; F.E. Consolino, Teodosio e il ruolo del principe cristiano dal De obitu Theodosii alle storie ecclesiastiche, in Cristianesimo nella Storia, 15 (1994), pp. 257-277; V. Aiello, Il tempo del potere negli auspici di Ambrogio vescovo di Milano, in Tempo sacro e tempo profano. Visione laica e visione cristiana del tempo e della storia, a cura di L. De Salvo, A. Sindoni, Soveria Mannelli 2002, pp. 117-130; R. Lizzi Testa, Il vescovo santo come mediatore divino per la città degli uomini, in Homo religiosus. Mediadores con lo divino en el mundo mediterráneo antiguo, Congreso internacional sobre historia de las religiones (Palma de Mallorca 13-15 Octubre 2005), Palma de Mallorca 2011, in corso di stampa.
170 Facendo riferimento a Hier., in Zach. 3,20, Rita Lizzi indica la differenza dei due piani: lo storico-esegetico di Girolamo, che per l’appunto rimane perplesso, e l’ideologico di Ambrogio, in cui le argomentazioni e le immagini rivelano coerenza ed efficacia: cfr. R. Lizzi Testa, The Late Antique Bishop: Image and Reality, in A Companion to Late Antiquity, ed. by Ph. Rousseau, Oxford 2009, pp. 525-538, in partic. 525.
171 Cfr. Ambr., obit. Theod. 50,1-4.
172 Aug., civ. V 25: «[Constantinus] diu imperavit, universum orbem Romanum unus Augustus tenuit et defendit; in administrandis et gerendis bellis victoriosissimus fuit, in tyrannis opprimendis per omnia prosperatus est, grandaevus aegritudine et senectute defunctus est, filios imperantes reliquit». Cfr. F. Paschoud, Roma aeterna. Étude sur le patriotisme romain dans l’Occident latin à l’époque des grandes invasions, Neuchâtel 1967, pp. 234 segg.; S. D’Elia, Storia e teologia della storia nel De civitate Dei, in La storiografia ecclesiastica nella tarda antichità, Atti del Convegno (Erice 3-8 dicembre 1978), Messina 1980, pp. 391-481, in partic 451 segg.; J. Szidat, Constantin bei Augustin, in Revue des Études Augustiniennes, 36 (1990), pp. 243-256, in partic. 248; Id., Constantinus imperator, in Augustinus-Lexikon, I/7-8, Basel 1994, cc. 1247-1250, in partic. 1248; G. Bonamente, Optimi principes-divi nell’Historia Augusta, cit., in partic. pp. 72-73.
173 Cfr. Aug., civ. V 25; nel paragrafo precedente era stato presentato un catalogo delle virtù che rendono gli imperatori graditi alla divinità: 1) iuste imperaverunt; 2) non extolluntur, per la consapevolezza della loro natura umana; 3) esercitano il potere ad Dei cultum maxime dilatandum; 4) temono, amano e onorano Dio; 5) sono ponderati nel comminare le pene; 6) sono inclini a perdonare; 7) compensano la severità con la misericordia e la munificenza; 8) preferiscono dominare più le pravae cupiditates che i popoli; 9) operano non propter ardorem inanis gloriae, sed propter caritatem felicitatis aeternae; 10) offrono al vero Dio il sacrificio dell’umiltà e della preghiera; cfr. V 26,1 (su Teodosio); Aug., c.Petil. II 208; V. Neri, La figura di Costantino negli scrittori cristiani dell’età di Onorio, in Simblos. Scritti di storia antica, Bologna 1995, pp. 229-264, in partic. 248 segg.
174 Cfr. R. Lizzi Testa, Il sacco di Roma e l’aristocrazia romana, tra crisi politica e turbamento religioso, in Roma e il sacco del 410: realtà, interpretazione e mito, Giornata di studio (Roma 6 dicembre 2010), a cura di A. di Berardino, G. Pilara, L. Spera, in corso di stampa.
175 Cfr. Aug., civ. V 24. In un contributo recitato nel 2011 Jean-Marie Salamito ha offerto una sintesi esaustiva, in cui non solo si mettono in evidenza i limiti della considerazione prestata a Costantino nel De civitate Dei, ma si coglie la radicale differenza rispetto all’interpretazione offerta da Eusebio di Cesarea: cfr. J.-M. Salamito, Constantin vu par Augustin. Pour une relecture de Civ. 5, 12, in Constantine Before and After Constantine, cit., pp. 549-562.
176 Si è già ricordato che nelle celebrazioni liturgiche coeve di Gerusalemme (anni 417-439) erano proposte le stesse letture per il dies festus di Teodosio, che cadeva il 19 gennaio, e per quello di Costantino, che ricorreva il 22 maggio; ciò non è contraddittorio rispetto a quanto si è rilevato nei testi di Agostino, ma semmai ne è una conferma, in quanto nei lezionari si rinviene una convergenza su temi che potremmo definire ‘eusebiani’; cfr. G. Shurgaia, Santo imperatore, cit., in partic. 225: «La figura di Costantino tracciata nei lezionari armeni […] diventa esemplare del potente ma misericordioso basileus, fedele al giuramento e grato a Dio, eletto e protetto a sua volta da Dio, basileus che provvede alla dedizione del suo popolo a Dio, glorificato dai re dell’universo».
177 Cfr. Aug., serm. 25 Dolbeau, p. 557; D 22,4, p. 557; F. Dolbeau, Augustin d’Ippon, vingt-six sermons au peuple d’Afrique, Paris 1996, p. 266; A. Isola, Agostino, un pastore di fronte al potere. Il contributo dei sermones Dolbeau, in Intellettuali e potere nel mondo antico, a cura di R. Uglione, Alessandria 2003, pp. 303-323, in partic. 312 seg.; G. Bonamente, Teodosio il Grande e la fine dell’apoteosi imperiale, in corso di stampa.
178 Cfr. P. Liverani, Interventi urbani a Roma tra il IV e il VI secolo, in Cristianesimo nella Storia, 29 (2009), pp. 1-31, in partic. 12 seg. In realtà, non lontano dal mausoleo di Adriano, in cui fu sepolta la maggior parte dei divi e delle divae, si ergeva anche il mausoleo di Augusto, in cui erano stati sepolti gli imperatori della casa dei Severi, ma a esso Agostino non fa riferimento, preferendo la contrapposizione diretta tra il templum Hadriani e il sepulcrum / memoria Petri.
179 Su Costanzo II, cfr. Amm., XVI 10,1-17; per il 389, si veda Paneg. 7(2),47, e Cons. Const., MGH AA IX, p. 245; per quello successivo, forse del 394, cfr. Prud., c.Symm. I 418-421; per Teoderico: Excerpta Valesiana 65-67. Cfr. A. Fraschetti, La conversione. Da Roma pagana a Roma cristiana, Roma-Bari 1999, pp. 253-257; R. Lizzi Testa, nel suo commento a Cassiodoro, Var. IX 16,14-15, in corso di stampa.
180 Di circa tremila persone era la capienza della basilica di Milano e va immaginata, in primo luogo, la presenza di alti membri della corte e di uno stuolo di funzionari; cfr. R. Krautheimer, Three Christian Capitals. Topography and Politics, Berkeley-Los Angeles 1983, p. 76; cfr. M. Biermann, Die Leichenreden des Ambrosius, cit., p. 180.
181 PG 63, c. 491; cfr. M. Aubineau, Publication des Undecim novae homiliae de saint Jean Chrysostome (PG 63, 461-530): édition critique, comblement des lacunes, addition de deux inédits, in Studia Patristica, 22 (1989), pp. 83-88; F.E. Consolino, Teodosio e il ruolo del principe cristiano, cit., pp. 257-277.
182 F. Paschoud, Roma Aeterna, cit., p. 281; E. Corsini, Introduzione alle ‘Storie’ di Orosio, Torino 1968; F. Fabbrini, Paolo Orosio, uno storico, Roma 1979, pp. 48 segg.; M. Pavan, Cristiani, ebrei e imperatori nella storia provvidenzialistica di Orosio, in Chiesa e società dal secolo IV ai nostri giorni, cit., pp. 23-82; F.P. Rizzo, Dalla christianitas eusebiana alla antipaganitas orosiana, in Costantino il Grande: dall’antichità all’umanesimo, cit., pp. 835-852.