Costantino e le guerre civili
Storia e storiografia
Il periodo del regno costantiniano oggetto del capitolo va dal 312, data dello scoppio del conflitto contro Massenzio, al 324, anno della conclusione del definitivo conflitto contro Licinio, in cui l’imperatore conquista il potere su tutto l’Impero. È questo uno dei periodi più discussi della storia di Costantino, soprattutto in rapporto alla decisiva questione della conversione dell’imperatore. Non si tratteranno qui, com’è chiaro dal titolo, i rapporti fra Costantino, il cristianesimo e la Chiesa in questo lasso di tempo, che saranno approfonditi in altri contributi, ma primariamente i rapporti politici e militari fra Costantino e i colleghi con i quali entra in conflitto, Massenzio e Licinio, richiamando tematiche religiose solo nella misura in cui esse vengono impiegate per rappresentare e giustificare questi conflitti. Anche così definito, il tema delle guerre civili di Costantino è oggetto di un intenso dibattito storiografico e ideologico fin dal IV secolo, soprattutto fra la lettura cristiana e quella pagana dell’ascesa dell’imperatore al governo di tutto l’Impero. Ci sono, tuttavia, conservate voci critiche a questo proposito in campo cristiano, anche cattolico (per esempio il Chronicon di Girolamo), e voci favorevoli in campo pagano (per esempio il testo anonimo denominato Origo Constantini imperatoris). Costantino è una figura la cui storia, anche in ambito tardoantico, raramente viene trattata in maniera neutrale, anche se in certi casi l’atteggiamento critico viene celato, per ragioni di prudenza, più o meno abilmente. È perciò necessario, per questo tema più ancora che per altri, cercare di ricostruire la storia delle vicende e delle loro dinamiche politiche in stretta congiunzione con gli orientamenti della letteratura che ne dà notizia e delle tradizioni che in essa confluiscono e si sedimentano1.
Secondo il panegirico a Costantino, pronunciato nel 313, subito dopo la vittoria di ponte Milvio, Costantino si muove per primo, nell’incertezza dei suoi colleghi – e soprattutto, evidentemente, di Licinio– quiescentibus cunctantibusque imperii tui sociis («mentre i tuoi colleghi se ne stavano fermi ed esitavano»)2. Il panegirico non accenna a un accordo. D’altronde la narrazione della campagna di Costantino in Italia nel 312 potrebbe far pensare a un’azione che sorprende l’usurpatore. La battaglia più importante nell’Italia settentrionale, seguendo la narrazione del panegirico, è quella di Verona, dove Costantino affronta un esercito consistente guidato dal prefetto del pretorio di Massenzio, Ruricio Pompeiano3, e dove rischia la vita esponendosi personalmente nel combattimento. L’Origo Constantini presenta la battaglia di Verona come l’unico evento militare degno di nota nella campagna italica di Costantino. L’ingresso di Costantino in Italia, attraverso presumibilmente il Monginevro, passando per Susa e Torino, e l’occupazione, secondo questa stessa narrazione, senza colpo ferire, di Milano fanno pensare che il grosso delle truppe massenziane nell’Italia settentrionale sia orientato alla difesa del confine orientale, di fronte, dunque, a un presumibile attacco di Licinio, con l’intenzione di muoversi poi incontro a Costantino lungo la via Gallica, che appunto collega Torino con Aquileia. Lo stesso panegirico sembra enfatizzare la sorpresa delle truppe poste a difesa di Susa di fronte all’arrivo di Costantino: non credentes […] ipsum te adesse («non credendo, o Costantino, che tu in persona fossi lì presente»)4. Zosimo afferma che Massenzio era interessato alla conquista della Dalmazia e dell’Illiria, cioè di territori liciniani. È difficile pensare che Massenzio nutra in questo momento propositi aggressivi, stretto com’è nella morsa di Costantino dalle Gallie e di Licinio dall’Illirico. L’attribuzione a Massenzio di queste intenzioni in Zosimo, come in seguito a Costantino nei confronti di Licinio, deve essere inserita in una tradizione ostile, tesa ad attribuire all’uno e all’altro la responsabilità di una guerra civile. Al contrario, questa presunta attenzione da parte di Massenzio a territori illiriciani va forse inserita nel contesto della sua preoccupazione di fronte a un possibile attacco da parte di Licinio5.
Massenzio era costretto alla difesa, stretto nella tenaglia di Costantino dalla Gallia e di Licinio dall’Illirico; non era certo nelle condizioni di aggredire né l’uno né l’altro, anche se Lattanzio attribuisce a lui, e non a Costantino, la volontà di guerra, per vendicare la morte del padre6. Se anche Massenzio avesse avuto queste intenzioni, non aveva certo la forza per realizzarle. La marcia verso Roma dopo la battaglia di Verona potrebbe non essere stata una passeggiata, come osserva Pedro Barceló7. Un accenno di Lattanzio fa pensare a un combattimento, prima dell’arrivo a Roma, il cui esito sembra favorevole alle truppe di Massenzio8. Ci si può chiedere – e la risposta non è facile – perché a questo punto Massenzio affronti Costantino in campo aperto, invece di arroccarsi entro le mura della città, lasciando a Costantino l’onere di un assedio difficile. Tra le fonti contemporanee, il solo Lattanzio richiama le difficoltà interne di Massenzio in questo momento. Ci fu una sedizione a Roma contro di lui e nel circo, in occasione dei giochi che egli aveva indetto per celebrare il suo dies natalis, il giorno, cinque anni prima, della sua ascesa al trono: dalla folla si grida che Costantino non può essere vinto9. L’usurpazione di Domizio Alessandro in Africa dal 308 al 311 aveva creato gravi difficoltà di approvvigionamento frumentario dell’Urbe e quindi malumori nella plebe contro Massenzio, e aveva prodotto presumibilmente un aggravio della pressione fiscale sulle proprietà senatorie, assieme alla dispendiosa politica edilizia dell’imperatore. Glielo rimprovera Aurelio Vittore, che scrive la sua serie di biografie imperiali, i Caesares, nel 360, ma che rivela, anche nella biografia di Costantino, una conoscenza ravvicinata dell’ambiente romano e delle sue vicende10. Si era verificato un grave conflitto fra i pretoriani che sostenevano Massenzio e la plebe romana, di cui parlano fonti vicine all’ambiente romano, come lo stesso Aurelio Vittore e la Chronica urbis Romae, pubblicata nel cosiddetto Cronografo dell’anno 354, ma anche fonti orientali come il contemporaneo Eusebio di Cesarea nella sua Storia ecclesiastica e il più tardo Zosimo, ai quali si può attribuire un contatto diretto o mediato con fonti romane. Si può sospettare che Costantino abbia soffiato sul fuoco di queste tensioni e organizzato manifestazioni a suo favore, all’interno della folla del circo. Nella prospettiva di un lungo assedio, Massenzio poteva avere giustificate ragioni per non sentirsi sicuro. La consultazione dei libri Sibillini e il responso favorevole che ne emerge, richiamati concordemente da una fonte contemporanea come Lattanzio11, sono un fatto che non si ha ragione di non considerare storicamente avvenuto, anche se è un luogo comune consolidato insistere sull’ambiguità degli oracoli, dai quali provengono responsi che possono essere applicati a situazioni diverse o addirittura opposte. Dai libri Sibillini era emerso che il giorno del suo dies imperii, il 28 ottobre, sarebbe stato nefasto per il nemico dei romani. Ovviamente i fatti avrebbero mostrato che il loro nemico era Massenzio stesso. La scelta per la battaglia del giorno del suo anniversario da parte di Massenzio non è certamente casuale, come ha anche recentemente messo in evidenza Hartmut Leppin12: l’imperatore poteva ben essere convinto, e trarne conferma dal responso dei libri Sibillini, che quel giorno gli sarebbe stato favorevole13. Come spesso gli accade, Lattanzio, pur essendo una fonte certamente non neutrale, legge acutamente la situazione e indica due motivazioni nella scelta di Massenzio di non accettare un assedio e di tentare la fortuna in campo aperto, il dissenso interno a Roma e il responso dei libri Sibillini, ed esse appaiono sostanzialmente fondate.
Subito dopo la vittoria di Costantino, Massenzio è presentato dalla propaganda del vincitore come un tyrannus. Il termine conosce un’evoluzione significativa nella tarda antichità, designando sistematicamente l’usurpatore, al punto da essere considerato un termine tecnico. La denuncia di un’occupazione illegittima del potere si associa però, nella propaganda del vincitore, a una caratterizzazione dello sconfitto del tutto negativa sul piano politico ed etico, usando i luoghi comuni tradizionali della figura del tiranno come cattivo principe. Questi due poli, l’illegittimità del potere del tiranno e il carattere politicamente ed eticamente negativo del suo governo, sembrano sempre compresenti nel lessico e nella rappresentazione dei tyranni tardoantichi, anche se in molti casi il motivo dell’illegittimità prevale al punto da oscurare in qualche caso l’altro. C’è in questo fenomeno una motivazione oggettiva: nel IV e fino alla metà del V secolo, gli imperatori riconosciuti come legittimi risultano sempre vittoriosi nei confronti dei loro numerosi oppositori, che sono consegnati alla storia come figure politicamente e moralmente negative14. Massenzio (di cui non è richiamato, però, il nome) è esplicitamente presentato come un tyrannus nell’iscrizione collocata nell’arco trionfale di Costantino che il Senato e il popolo romano dedicano all’imperatore nel 315: tam de tyranno quam de omni eius factione uno tempore iustis rem publicam ultus est armis («con una guerra giusta ha vendicato nello stesso tempo lo Stato tanto dal tiranno quanto dalla sua fazione»). Prima di questa data, sono probabilmente da collocare al gennaio del 313 due disposizioni di Costantino, con le quali egli dichiara nulli gli atti del tyrannus che possono essere valutati come contrari al diritto15. Non solo nella celebre iscrizione dell’arco, non solo, dunque, dal Senato romano, ma in varie altre iscrizioni romane e africane Costantino è celebrato, in termini pienamente congruenti con la tradizione politica romana, come restitutore della libertas dello Stato, oscurata da una factio. Massenzio è presentato, dunque, come leader di una fazione con la quale ha occupato illegalmente il potere16.
Di fronte soprattutto al Senato e al popolo romano, e con la loro complicità, Costantino mira a distruggere l’immagine che di sé ha voluto dare Massenzio, quella di un imperatore che riprende pienamente la tradizione dei rapporti fra il potere imperiale e l’Urbe, che da tempo si è interrotta, soprattutto nel periodo tetrarchico. Se Massenzio si presenta come conservator urbis suae («salvatore della sua città»), Costantino lo denuncia come eversore della legalità politica romana. Sul piano del rapporto con la tradizione, Costantino esibisce una pienezza e una radicalità sconosciute al suo rivale: Massenzio aveva messo in evidenza il rapporto personale con la sua urbs, mentre Costantino si fa celebrare per il suo impegno unicamente a favore dello Stato, della res publica romana.
Costantino attacca Massenzio anche sul piano della sua legittimità dinastica, insinuando che egli non è figlio legittimo di Massimiano. Il panegirico del 313 oppone Costantino, figlio legittimo di Costanzo, a Massenzio, figlio illegittimo (suppositus) di Massimiano. Addirittura, secondo la testimonianza dell’Origo Constantini, la moglie stessa di Massimiano, Eutropia, dichiara che Massenzio è frutto di una sua relazione adulterina con un siriano17. In questo modo Costantino, sul piano della legittimità dinastica, rovescia il rapporto con Massenzio, che poteva rivendicare una filiazione legittima da un Augusto di fronte alla dubbia legittimità della filiazione da Costanzo.
Si è visto come Costantino abbia voluto cancellare, sul piano dell’ideologia politica, l’immagine del suo rapporto con Roma e la tradizione romana che Massenzio aveva costruito per sé. Ci sono figure importanti di senatori che continuano la loro prestigiosa carriera dopo la vittoria di Costantino a ponte Milvio18. Rufio Volusiano come prefetto del pretorio di Massenzio aveva avuto un ruolo importante nell’eliminazione dell’usurpatore africano Domizio Alessandro. Era stato nominato console per l’anno 311 e forse, come ipotizza Noel Lenski, anche quindecemvir sacris faciundis: come tale, incaricato della sorveglianza dei libri Sibillini, aveva contribuito a fornire a Massenzio l’interpretazione che lo aveva spinto ad affrontare Costantino fuori delle mura di Roma. Nel 311 era stato collega nel consolato di Rufio Volusiano Aradio Rufino, che poco dopo, nello stesso anno, fu nominato prefetto della città di Roma. Poco prima della battaglia di ponte Milvio, Aradio Rufino era stato sostituito come prefetto urbano da Gaio Annio Anullino, che era stato prefetto urbano al momento dell’acclamazione a Roma di Massenzio nel 306. Questi senatori ricevono da Costantino la nomina alle cariche più significative del cursus senatorio romano. Rufius Volusianus è nominato prefetto urbano e poi console da Costantino per il 314 e riceve il titolo di comes Augusti. Aradio Rufino è nominato prefetto urbano in sostituzione di Anullino, il cui figlio omonimo è nominato proconsole d’Africa poco dopo. Il Senato in quanto corpo riconosce, come dimostra la famosa iscrizione dell’arco di Costantino, l’interpretazione costantiniana della guerra contro Massenzio quale bellum iustum e della vittoria di ponte Milvio quale riconquista della libertas offuscata da un tiranno.
La stessa tendenza di Costantino a cancellare la memoria del rapporto di Massenzio con Roma e a prenderne il posto si manifesta con una evidenza particolare nel rivendicare a sé stesso l’ambizioso programma edilizio massenziano a Roma. Lo stimolo principale all’attenzione degli archeologi sulla questione è stato e continua a essere un passo dei Caesares di Aurelio Vittore19: «Tutte le opere che [Massenzio] aveva costruito con splendore, il tempio della città [il tempio di Venere e Roma] e la Basilica, i senatori dedicarono ai meriti di Flavio Costantino»20.
Aurelio Vittore attribuisce poi a Costantino lavori di restauro al Circo Massimo e un edificio termale, senza contare le numerose statue, anche dorate e argentate, fatte erigere nei luoghi più frequentati della città. L’affermazione di Aurelio Vittore ha spinto a cercare anche in altri monumenti le tracce di un’origine massenziana, o quanto meno di una fase massenziana. Perfino del celebre arco di Costantino è stato ipotizzato che si trattasse in origine di un arco eretto in onore di Massenzio, dedicato a Costantino dopo la sua vittoria21. Ha incontrato particolare favore l’attribuzione a Massenzio, anziché a Costantino, delle terme sul Quirinale da parte di Eva Margareta Steinby, sulla base del fatto che sono stati ritrovati in loco mattoni con bolli massenziani. A questa tesi è stata giustamente mossa l’obiezione che anche Costantino poteva far utilizzare materiale laterizio già preparato dal suo rivale22. È interessante confrontare con il passo di Aurelio Vittore la descrizione dell’attività edilizia di Costantino a Roma nel panegirico pronunciato a Roma in occasione dei quinquennali dei figli di Costantino, Crispo e Costantino iunior, nel 32123. Il panegirista Nazario non richiama le opere di Massenzio portate a termine e dedicate da Costantino, ma pone l’accento, con evidenti paralleli verbali, sui restauri e gli abbellimenti del Circo Massimo e presumibilmente anche sulle statue dorate e argentate che Costantino fece erigere nei luoghi più frequentati dell’Urbe. Pone però all’inizio di questo elenco non meglio definite opere nuove, celeberrima quoque urbis novis operibus enitescunt («tutti i luoghi più frequentati della città splendono di nuove opere»). Aurelio Vittore ricorda, nei luoghi più frequentati della città (locis quam celeberrimis), l’erezione di un gran numero di statue da parte di Costantino, molte delle quali dorate e argentate. Il panegirista potrebbe essere consapevole che le opere nuove donate da Costantino a Roma entro il 321 sono appunto le statue. Proprio perché a Costantino non potevano, nel 321, essere attribuite opere nuove, il panegirista descrive con enfasi gli abbellimenti apportati da Costantino al Circo Massimo, l’aggiunta di portici con colonne dorate. Il panegirista potrebbe, però, anche alludere ambiguamente alle opere massenziane portate a termine da Costantino. Nazario richiama opere che erano ritenute di grande splendore, quae antehac magnificentissima putabantur («che in precedenza erano ritenute di grande splendore»), alle quali Costantino aggiunge abbellimenti che fanno apparire modeste le costruzioni degli antichi. Aurelio Vittore, parlando delle opere costruite da Massenzio, la basilica e il tempio di Venere a Roma, usa un’espressione analoga a quella appena richiamata di Nazario, quae magnifice construxerat («che aveva costruito con splendore»). Tra le opere splendide alle quali mette mano Costantino, Nazario allude forse anche agli edifici massenziani da lui portati a termine. Si potrebbe pensare, insomma, che Aurelio Vittore conosca il panegirico di Nazario e vi faccia riferimento, chiarendone e integrandone le affermazioni con informazioni provenienti da ambienti romani, che avevano manifestato una certa delusione per l’attività edilizia di Costantino a Roma, al di fuori degli edifici cristiani. È significativo a questo proposito il giudizio velato di riserve dello storico a riguardo delle terme costantiniane sul Quirinale: Aurelio Vittore non dice, a differenza di quanto aveva detto a riguardo delle opere di Massenzio, che si tratta di un’opera splendida; si limita a dire che non è molto dissimile da altre opere analoghe (ceteris haud multo dispar).
Uno dei temi principali della celebrazione della vittoria costantiniana su Massenzio negli anni immediatamente successivi è l’ispirazione divina che aveva guidato Costantino nella guerra contro il suo rivale. Su questo piano, come è stato da tempo riconosciuto, l’interpretazione della vicenda, che evidentemente in questa forma Costantino approva, accenna genericamente alla guida e all’intervento di una divinità suprema, alla quale non viene dato un nome24. I testi in cui si esprime questa lettura pagana sono fondamentalmente due panegirici costantiniani, quello anonimo del 313 e quello di Nazario del 321, e il testo dell’iscrizione dedicatoria dell’arco di Costantino. Un’interpretazione penetrante e fondata su una rigorosa filologia di quest’ultimo testo, che illumina pienamente la continuità tra esso e i due panegirici, è stata data recentemente da Noel Lenski25. Lo studioso ha mostrato in maniera convincente che l’espressione instinctu divinitatis («per ispirazione della divinità») che leggiamo nell’iscrizione dell’arco di Costantino è generalmente usata da autori pagani in relazione a varie divinità, ma soprattutto ad Apollo. Negli autori cristiani, essa è impiegata in rapporto a demoni e divinità pagane, mentre per indicare l’ispirazione da Dio si adopera, nella maggior parte dei casi, il termine inspiratio, che contiene appunto un riferimento allo spirito di Dio. L’espressione compare nel panegirico del 313, divino monitus instinctu («ammonito da un’ispirazione divina»), come anche in quello del 32126. Almeno a partire dal 330, Costantino stesso usa il termine instinctus, come in generale i cristiani, per indicare un’ispirazione diabolica, quale quella che guida gli eretici e gli scismatici27; egli è dunque consapevole che l’espressione instinctu divinitatis è un’espressione pagana, che dà voce a una lettura pagana della guerra contro Massenzio. In particolare, l’espressione e la teologia su cui si fonda potrebbero plausibilmente fare riferimento al culto solare di Costantino, che si manifesta soprattutto nella monetazione dell’imperatore fra il 310 e il 320, ed è evocato in maniera suggestiva nel famoso episodio dell’apparizione nel tempio della divinità a Grand, in Gallia, di Apollo a Costantino, nel quale l’imperatore si identifica e che gli promette trent’anni di regno28. L’azione della divinità nella vittoria di Costantino che il Senato romano richiama nell’iscrizione dell’arco, si esercita senza manifestazioni prodigiose: opera all’interno della mente dell’imperatore allo stesso modo che nel panegirico del 313. In questo, l’origine divina delle scelte militari di Costantino nella campagna contro il rivale si rivela nell’apparente e ostinata irragionevolezza di quelle scelte, contro l’opinione di tutti e perfino contro i responsi degli aruspici, ma anche nella irragionevolezza inspiegabile per la quale Massenzio esce da Roma e accetta una battaglia in campo aperto29. Diversa è la posizione di Nazario nel panegirico del 321, in cui il sostegno divino a Costantino si manifesta con una straordinaria evidenza nell’impressionante prodigio di un esercito celeste che in Gallia viene a recare aiuto all’imperatore30. Un altro segno dell’intervento divino nella battaglia decisiva contro Massenzio è richiamato in campo pagano da Zosimo: il volo di innumerevoli civette al momento dell’uscita da Roma del rivale di Costantino31.
Si può forse pensare che l’evidenza prodigiosa dell’aiuto che Costantino riceve dalla divinità nella rappresentazione pagana sia da mettere in rapporto con lo sviluppo della rappresentazione cristiana della vicenda. Lattanzio, seppure con molta sobrietà, richiama nella Morte dei persecutori, opera composta non molto tempo dopo la battaglia di ponte Milvio, la rivelazione diretta dell’identità del dio che protegge Costantino. Poco prima della battaglia, Costantino riceve in sogno l’ammonimento a raffigurare sugli scudi dei suoi soldati il segno celeste, caeleste signum, che di seguito egli descrive come il monogramma cristiano. Ci sono, nella narrazione di Lattanzio, oscurità in punti essenziali per la comprensione del testo. L’autore cristiano richiama nel sogno dell’imperatore un segno che gli era apparso nel cielo, di cui non aveva parlato e che non aveva descritto in precedenza. Si può pensare che Lattanzio intenda che Costantino veda in sogno un segno nel cielo, come scrive, all’inizio del V secolo, Rufino di Aquileia nella sua libera traduzione della Storia ecclesiastica di Eusebio di Cesarea (il sogno non è narrato da Eusebio)32. In Rufino, però, questo segno divino che appare nel cielo è la croce, com’è naturale attendersi e di fatto accade per esempio nel fenomeno descritto da una lettera all’imperatore Costanzo II di Cirillo di Gerusalemme. Nella narrazione stessa della Vita Constantini di Eusebio, dopo la vittoria su Massenzio è la croce ciò che l’imperatore presenta ai romani come segno salvifico e protettore dell’Impero33. Lattanzio associa al sogno, poi, la raffigurazione del cristogramma chi-ro sugli scudi, mentre il labarum che compare anche nella monetazione costantiniana con il cristogramma è un’insegna militare costituita da un drappo attaccato a un’asta attraverso un elemento trasversale, al quale Costantino sovrappone il cristogramma34. Nel libro IX della Storia ecclesiastica, che è stato composto, almeno in una prima versione, in un periodo pressoché contemporaneo alla Morte dei persecutori di Lattanzio, Eusebio non narra di alcuna manifestazione prodigiosa del sostegno divino a Costantino, se non lo svolgimento stesso della battaglia di ponte Milvio, in cui l’annegamento nel Tevere del tiranno e del suo esercito riproduce la sorte del faraone e degli egiziani nel Mar Rosso descritta nel libro della Genesi. La narrazione di Lattanzio potrebbe essere, dunque, letta come un faticoso tentativo di costruire un evento prodigioso collocato alla vigilia della battaglia di ponte Milvio, assemblando elementi diversi come l’apparizione in cielo di una croce, il caeleste signum, che Costantino vede in sogno, e la decisione dell’imperatore Costantino di fare apporre il cristogramma sulle armi del suo esercito. Questo episodio assume una struttura più complessa e riveste un’importanza essenziale nella conversione di Costantino al cristianesimo da un iniziale monoteismo presente nella Vita di Costantino che Eusebio di Cesarea scrive poco dopo la morte dell’imperatore, nel 337. Eusebio fa risalire – e non si ha ragione di non credergli – questa narrazione alle confidenze di Costantino stesso, alle sue convinzioni e alla sua elaborazione dell’intervento della provvidenza divina nel momento decisivo della sua storia35. Il segno celeste è visto, come quello descritto da Cirillo di Gerusalemme, in pieno giorno, verso sera, ed è un segno di croce che appare sul sole con l’iscrizione τούτῳ νίκα («con questo segno vinci»). Il significato dell’apparizione è poi spiegato all’imperatore in sogno da Cristo stesso, che gli ordina di muovere contro i nemici riproducendo il segno che aveva visto. Costantino in persona descrive agli artefici come riprodurre il segno, che è presentato da Eusebio appunto come il labaro. Anche nella descrizione della Vita Constantini, come in quella di Lattanzio, il rapporto fra la visione e il cristogramma sul labaro è tutt’altro che lineare. Costantino vede in cielo con i propri occhi una croce e Cristo in sogno gli ordina di imitare il segno che aveva visto. L’imitazione suggerita agli artefici da Costantino stesso è evidente nell’asta dorata con un elemento trasversale, «fatto in forma di croce», come dice Eusebio; è meno evidente nel cristogramma che sormonta l’asta, che Costantino, nella narrazione di Eusebio, non aveva visto nel cielo. Si ha l’impressione, per concludere, che la tradizione cristiana della vittoria di Costantino su Massenzio, e, alla fine, Costantino stesso tentino di porre in relazione due elementi, la visione della croce e il cristogramma sulle armi costantiniane, originariamente distinti, con lo scopo presumibilmente di presentare come direttamente ispirata da Cristo anche la decisione dell’imperatore di combattere nel segno del cristogramma.
Si è richiamata prima la probabilità che Costantino abbia anticipato Licinio nell’attacco a Massenzio. Il panegirico del 313 non presenta la campagna di Costantino contro il figlio di Massimiano quale frutto di un accordo, ma come un’iniziativa dell’imperatore in un contesto di incertezza ed esitazione da parte dei colleghi, quiescentibus cunctantibusque imperii tui sociis («mentre i tuoi colleghi nell’Impero se ne stavano fermi ed esitavano»), soprattutto, è facile pensare, di Licinio. Comunque siano andate le cose, nei mesi successivi l’accordo fra Costantino e Licinio sembra pienamente ristabilito. Costantino e Licinio si incontrano nel febbraio 313 a Milano, dove sono celebrate le nozze con la sorella di Costantino, Costanza. A Milano è anche raggiunto un accordo fra i due colleghi circa la politica nei confronti dei cristiani, che poi è pubblicato a Nicomedia e indirizzato, come riporta Lattanzio, al governatore della provincia di Bitinia da Licinio, quando occupa la città nella guerra contro Massimino36. L’editto, che proclama la libertà di culto per i cristiani e per tutti, è fondato su principi di teologia politica essenzialmente diversi da quelli presenti nell’editto di Galerio del 311 e nei successivi editti di tolleranza di Massimino. Galerio e Massimino, se alla fine rifiutano l’uso della violenza in materia religiosa, sono nondimeno pienamente convinti dell’essenzialità, per il bene dell’Impero, dei culti tradizionali e sono ben lungi dal porli su un piano di parità con il culto cristiano. La libertà di culto concessa da Costantino e Licinio è fondata, invece, sul principio che ogni culto, dunque anche quello cristiano, è reso alla somma divinità, qualunque essa sia e qualunque nome abbia, quicquid est divinitatis in sede caelesti («qualunque sia la divinità che dimora in cielo»), e contribuisce a renderla propizia all’Impero e ai suoi abitanti: da questo punto di vista culto cristiano e culto pagano sono posti sullo stesso piano. La coerenza di Licinio nell’adesione a questo principio si può forse leggere nella preghiera al summus deus che, nella narrazione di Lattanzio, egli fa pronunciare ai soldati prima della battaglia di Campus Ergenus contro Massimino37.
Anche questo accordo sulla politica religiosa, sancito dal matrimonio, rivela un asse politico che evidentemente esclude Massimino, che reagisce militarmente con la massima celerità, muovendo dalla Siria ancora nell’inverno del 313 e, attraversati gli stretti, occupando Bisanzio. La vittoria di Licinio su Massimino è posta sullo stesso piano di quella di Costantino su Massenzio. Anche Massimino è condannato, al pari di Massenzio, come un tiranno nelle iscrizioni dei due colleghi38. Eusebio di Cesarea celebra, nel discorso per l’inaugurazione della basilica di Tiro pronunciato negli anni immediatamente successivi alla vittoria di Licinio, Costantino e Licinio insieme come imperatori cari a Dio ed eversori dei tiranni nemici di Dio39; mentre Lattanzio mette in parallelo la rivelazione del sostegno divino all’uno e all’altro imperatore nella guerra contro i tiranni40. Si può pensare che Eusebio modifichi il finale della prima edizione in otto libri della sua Storia ecclesiastica, costruendo, con una terminologia e un apparato concettuale assenti nella parte precedente dell’opera, due figure parallele di tiranni, Massimino appunto e Massenzio (incontrando però in questa operazione la difficoltà essenziale che Massenzio, come egli stesso riconosce, non può essere definito un persecutore dei cristiani)41, per anticipare la prosecuzione della Storia ecclesiastica nel libro seguente con la loro sconfitta a opera degli imperatori prediletti da Dio.
L’accordo però tra i due imperatori entra presto in crisi. Aurelio Vittore afferma che, anche dopo il matrimonio di Licinio con la sorella di Costantino, Costanza, prima di un aperto conflitto, ci furono tre anni di difficile equilibrio, anxie tamen triennium congruere quivere («tuttavia in mezzo a tensioni riuscirono a mantenere l’accordo per tre anni»)42. La causa immediata del conflitto è narrata solo dall’Origo Constantini, in un passo che solleva notevoli difficoltà testuali e interpretative. Costantino propone al collega di nominare Cesare per l’Italia Bassiano, che aveva sposato sua sorella Anastasia, ut exemplo Diocletiani et Maximiani inter Constantinum et Licinium Bassianos Italiam medius obtineret («in modo che, sull’esempio di Diocleziano e Massimiano, Bassiano tenesse l’Italia in posizione mediana tra Costantino e Licinio»). Al rifiuto di Licinio segue la ribellione di Bassiano contro Costantino, istigato dal fratello Senecione, che era legato a Licinio, qui Licinio fidus erat. L’ulteriore rifiuto di Licinio di consegnare il responsabile del complotto, Senecione, accompagnato da gesti ostili nei confronti di Costantino, come l’abbattimento delle statue dell’imperatore a Emona, rende inevitabile il conflitto. Il richiamo, nel testo dell’Origo, all’esempio di Diocleziano e Massimiano ha fatto pensare a più di uno studioso che la proposta di Costantino si inserisse nel contesto di una ricostituzione dell’edificio tetrarchico e, quindi, sottintendesse la nomina di un altro Cesare oltre a Bassiano, che Barnes propone di identificare con il figlio maggiore di Costantino, Crispo43. Il testo dell’Origo Constantini.non fa, però, accenno esplicitamente a un secondo Cesare e si limita a mettere in evidenza la posizione mediana fra Costantino e Licinio del Cesare proposto da Costantino. Ammettendo, però, che la fonte dell’Orig. facesse effettivamente riferimento a un secondo Cesare, questi avrebbe dovuto esercitare il suo potere su territori liciniani, presumibilmente in Oriente, sui territori cioè che erano stati di Massimino Daia. Potrebbe sembrare strano che Costantino non proponga in questo momento come Cesare in Italia il figlio Crispo, che già nel panegirico del 313 era stato presentato come un futuro imperatore, e possa proporlo invece addirittura come Cesare su territori di Licinio, che non avrebbe mai potuto accettare una proposta del genere, tanto più che, dopo la vittoria su Massimino, si trovava in una posizione forte. Anche dopo la sconfitta nel primo conflitto con Costantino, in una situazione nella quale Licinio era certamente più debole, l’accordo è ristabilito proclamando Cesari i due figli di Costantino, Crispo e Costantino II, in Occidente, e il figlio di Licinio in Oriente. Ingemar König, partendo dall’affermazione, nel testo dell’Origo Constantini, di una posizione mediana del Cesare, la mette in rapporto con la posizione di Galerio, Cesare tra due Augusti, tra Diocleziano e Massimiano44. In questo caso, però, il parallelo evocato dall’Origo Constantini.non potrebbe riguardare l’Italia e l’exemplum non sarebbe a rigore quello di Diocleziano e Massimiano, ma quello di Galerio tra Diocleziano e Massimiano. Una formulazione corretta del parallelo sarebbe dovuta essere dunque exemplo Galerii inter Diocletianum et Maximianum («sull’esempio di Galerio in mezzo a Diocleziano e Massimiano»). Nella sua edizione del testo, Mommsen emenda l’espressione exemplo Diocletiani et Maximiani in exemplo Maximiani. Con questo emendamento, la posizione di Bassiano sarebbe messa in parallelo con quella di Massimiano, in quanto Bassiano eserciterebbe il suo potere sui territori che erano stati di Massimiano, l’Italia e l’Africa. Il parallelo tetrarchico con la medianità di Bassiano dovrebbe, però, essere ricostruito in maniera più faticosa: Massimiano, infatti, si trovava tra Costanzo Cloro, il padre di Costantino, nelle Gallie e Galerio in Illirico, Augusto fra due Cesari, diversamente dalla posizione di Bassiano, Cesare fra due Augusti.
I tentativi di interpretare il testo dell’Origo Constantini.appaiono tutti in qualche misura insoddisfacenti. Costantino, come si è visto, propone a Licinio la nomina a Cesare di Bassiano per l’Italia e l’Africa. Così facendo, però, sembra rinunciare alla nomina di Crispo, che sarebbe stata giustificata dall’affermazione di un principio prettamente dinastico. Bassiano è certo imparentato con Costantino, ma è un personaggio che potrebbe essere gradito anche a Licinio, se accettiamo l’indicazione dell’Orig. secondo cui suo fratello Senecione, che in seguito lo spinge alla ribellione, era legato a Licinio. Dunque Costantino sembra negoziare con il collega piuttosto che imporre una soluzione. Se però le cose stanno così, perché, secondo l’Origo, Licinio rifiuta la proposta di Costantino e Bassiano gli si ribella? Si conosce la questione solo dalla testimonianza dell’Origo, tutt’altro che chiara e convincente. La narrazione del testo in esame sembra costruire una versione dei fatti favorevole a Costantino, senza attribuire esplicitamente, però, a Licinio una volontà di conflitto, e lasciandola semplicemente emergere dalla concatenazione degli avvenimenti presentati. La responsabilità della guerra è fatta ricadere sul duplice, e apparentemente ingiustificato, rifiuto di Licinio: quello di accettare, come Cesare, Bassiano e quello di consegnare il fratello di costui, Senecione, indicato come l’autore del complotto contro Costantino, auctor insidiarum («autore del complotto»). Nel primo caso, nulla è detto delle ragioni che mossero Licinio, mentre la responsabilità del collega di Costantino nella ribellione di Bassiano è suggerita attraverso il richiamo alla sua familiarità con Senecione e al suo rifiuto di consegnarlo. La linea interpretativa che la narrazione sottende è evidente: Bassiano si ribella a Costantino istigato dal fratello Senecione, che era legato a Licinio, il quale, dopo che il complotto viene scoperto, si rifiuta di consegnarlo. L’unica deduzione suggerita è, ovviamente, che dietro gli eventi ci sarebbe stato Licinio stesso. Sia Costantino, con la vittoria su Massenzio, sia Licinio, con quella su Massimino, avevano acquisito con una guerra territori al di fuori di quelli che a loro erano stati riconosciuti. Si può forse pensare che nella ricerca di un difficile equilibrio fra i due colleghi si fosse considerata l’idea di assegnare i territori conquistati a due Cesari, e di ricostituire, dunque, un edificio tetrarchico. La proposta di Costantino della nomina a Cesare di Bassiano, riportata dall’Origo, si colloca presumibilmente all’interno di questo contesto, ma forse come ultima proposta, riguardante solo il Cesare d’Italia e Africa, la cui nomina doveva essere, dunque, controversa, di una trattativa, avviata da tempo, sulla sistemazione dell’articolazione del potere imperiale in tutto l’Impero.
La datazione del primo conflitto fra Costantino e Licinio è stata una questione dibattuta. Per molto tempo è stata considerata decisiva al proposito l’indicazione dei cosiddetti Consularia Constantinopolitana, che costituiscono, come ha affermato Richard Burgess, un testo complesso, composto da mani diverse in tempi diversi, su iniziativa però privata, non un documento pubblico45. Secondo questo testo, la battaglia di Cibali fra Costantino e Licinio ebbe luogo nel 31446. L’analisi di Patrick Bruun47 delle emissioni numismatiche contemporanee ha fatto considerare inaccettabile una datazione così alta e ha indotto a spostare la guerra al 31648. Non sono mancate, però, posizioni critiche di questa opinione comune49 e proposte di compromesso fra le due datazioni50. D’altra parte, Costantino e Licinio avevano ricoperto insieme il consolato del 315: ciò farebbe pensare quanto meno a un accordo prontamente ristabilito fra i due, accettando la datazione del 314. Tra le fonti storiografiche, Aurelio Vittore allude, dopo il matrimonio fra Licinio e la sorella di Costantino, Costanza, nel febbraio 313, a un triennio di rapporti tesi fra i due colleghi prima dello scoppio del primo conflitto armato51. Il conflitto quindi al quale allude lo storico dovrebbe avere avuto luogo nel 316. Zosimo sembra invece collocare l’inizio della guerra immediatamente dopo la vittoria di Licinio su Massimino Daia («trascorso pochissimo tempo»)52. La narrazione del conflitto in Zosimo si conclude con la nomina a Cesare dei figli di Costantino, Crispo e Costantino iunior, e del figlio di Licinio, Licinio iunior, nel 317, e quindi, presa alla lettera, sembrerebbe alludere a un conflitto che dura tre anni e oltre, comprendendo anche il 315, in cui il consolato congiunto di Costantino e Licinio richiama una situazione di accordo. Appare, dunque, pienamente plausibile collocare il primo conflitto fra Costantino e Licinio nel 316, come oggi è pressoché unanimemente accettato.
La battaglia decisiva del conflitto si svolge, come indicano concordemente le due fonti principali, Zosimo e l’Origo Constantini, a Cibali in quella che in quel tempo era la provincia della Pannonia II, e che oggi corrisponde alla città di Vinkovci, nella Croazia orientale, presso il confine con la Serbia. La battaglia si risolve con la vittoria di Costantino, che comanda l’ala destra dello schieramento, decisiva per il successo del suo esercito, e con pesanti perdite da parte di Licinio, che, costretto alla fuga, abbandona anche Sirmio. Secondo l’Origo Constantini, Licinio muove poi verso la Dacia, presumibilmente la provincia della Dacia Mediterranea, passando dunque per Naisso e Serdica, in direzione di Adrianopoli, dove il testo in esame lo indica accampato, e di Bisanzio. Costantino lo insegue e riceve un’ambasceria del rivale a Philippopolis (così è generalmente emendato, fino da Le Nain de Tillemont, il testo dell’Origo, che riporta invece Philippos, la città cioè di Filippi in Macedonia). In Tracia si svolge la battaglia finale a Campus Mardiensis o Ardiensis, nelle vicinanze di Adrianopoli. Zosimo riporta solo il punto di arrivo della fuga di Licinio, la Tracia, in cui si svolge l’ultima battaglia.
Un’indicazione interessante sulla direzione della marcia di Costantino potrebbe indirettamente fornirla Eutropio, che scrive una sintetica storia romana dalle origini fino al regno dell’imperatore Gioviano, immediatamente precedente l’imperatore sotto il quale compone la sua opera, Valente. Eutropio dice che Costantino entra in possesso per conquista delle province di Mesia, Dardania e Macedonia, omnique Dardania, Moesia, Macedonia potitus («impadronitosi di tutta la Mesia, la Dardania e la Macedonia»)53, distinguendo l’acquisizione di questi territori da quella di altri situati evidentemente nella regione illirica, numerosas provincias occupavit («occupò numerose province»), che potrebbero essere entrati in suo possesso in altro modo, presumibilmente per trattato. L’elencazione, così apparentemente precisa, di province come la Mesia (che dovrebbe essere identificata con la Mesia I), la Dardania, che faceva parte della diocesi di Dacia, e la Macedonia (che potrebbe indicare la sola provincia della Macedonia I o entrambe le province macedoniche) potrebbe suggerire una direzione di marcia di Costantino diversa da quella di Licinio, da Naisso, cioè, non in direzione di Serdica e di Adrianopoli, ma attraverso Scupi e Stobi in direzione di Tessalonica. Accettando questa ipotesi, si potrebbe pensare che l’emendamento al testo dell’Origo Constantini, per il quale l’ambasceria di Licinio incontra Costantino presso Filippopoli, apud Philippopolim, e non, come nel testo tradito, a Filippi, apud Philippos, non sia necessario54. Da Tessalonica Costantino potrebbe aver proseguito per la via costiera in direzione di Bisanzio e raggiungere appunto Filippi.
Costantino potrebbe aver rinunciato a inseguire Licinio per ragioni comprensibili. L’imperatore aveva cercato subito dopo la battaglia di Cibali, secondo la narrazione di Zosimo, di intercettare Licinio in fuga inviando cinquemila uomini al suo inseguimento, ma il tentativo non era riuscito, perché gli inseguitori non erano riusciti a individuare la via scelta dal fuggitivo55. Licinio, inoltre, era fuggito, secondo il testo dell’Origo, con un esercito formato in gran parte da cavalieri, cum magna parte equitatus («con gran parte della cavalleria»), e doveva avere quindi una velocità di movimento superiore a quella di Costantino. Inoltre, visto il fallimento del tentativo di una cattura immediata del suo rivale, Costantino potrebbe aver scelto di occupare, senza incontrare resistenza, territori importanti, come la Macedonia con la capitale di Galerio, Tessalonica, per guadagnare significativi vantaggi in eventuali trattative di pace.
In questo momento si colloca la nomina da parte di Licinio a Cesare, secondo Zosimo e l’Origo Constantini, ad Augusto invece, secondo le rare testimonianze numismatiche, di Valente, del quale l’Orig. afferma che era comandante di truppe schierate al confine, presumibilmente della Dacia, dux limitis56. Non si può escludere che le testimonianze delle fonti letterarie e delle monete riguardino fasi diverse della pur breve carriera del personaggio, che potrebbe essere stato nominato prima Cesare, poi Augusto. C’è chi ha pensato che la nomina di Valente ad Augusto sottintendesse la speranza di Licinio di eliminare Costantino57. Il testo dell’Origo Constantini, dopo aver menzionato la nomina di questo personaggio a Cesare e la sua collaborazione con Licinio nella formazione di un grande esercito, richiama una prima ambasceria da parte di Licinio a Costantino. Ne cita poi una seconda, dopo la battaglia decisiva a Campus Mardiensis (o Ardiensis: la denominazione è controversa), in cui Costantino pone come condizione per la pace la rimozione dalla sua posizione di Valente, per una seconda volta (denuo), come aveva fatto dunque anche in occasione della prima ambasceria. Se nella prima ambasceria, alla ricerca di un accordo per iniziativa di Licinio, si era trattato della posizione di Valente, sembra evidente che essa non dovesse essere funzionale addirittura all’eliminazione di Costantino. Si può pensare, invece, che Licinio potesse proporre a Costantino, per evitare lo scontro, certamente sanguinoso e di esito incerto, con il grande esercito che aveva allestito, di accettare Valente come Cesare o come Augusto dell’Illirico o di una sua parte, escludendo, si può pensare, almeno la Pannonia, conquistata da Costantino con la battaglia di Cibali. Costantino rifiuta l’accordo, perché si sente evidentemente in una situazione di superiorità e ritiene la proposta del rivale inadeguata ai vantaggi che aveva conseguito fino a quel momento sul campo.
L’esito della battaglia finale del conflitto è descritto in maniera differente nell’Origo Constantini.e in Zosimo. Per il primo testo, la battaglia è a lungo incerta, ma alla fine, prima che il combattimento sia interrotto dalla notte, l’esercito di Licinio è soccombente (Licinii partibus inclinatis); per il secondo, la battaglia è estremamente sanguinosa, ma alla fine il risultato è incerto e gli eserciti si separano per accordo. Anche gli eventi immediatamente successivi alla battaglia sono descritti nelle due fonti in maniera differente. Per l’Origo, Licinio e Valente fuggono, inseguiti da Costantino, in direzione di Bisanzio, ma compiono una deviazione verso la città tracica di Beroe (Augusta Traiana, attuale Stara Zagora in Bulgaria), giungendo, però, alle spalle di Costantino, che muoveva direttamente verso Bisanzio. Da un frammento di uno storico bizantino del VI secolo, Pietro Patrizio, si apprende che in questa occasione Licinio si era addirittura impadronito delle salmerie dell’esercito costantiniano58. Quella dell’Origo Constantini.è una narrazione abilmente celebrativa, caratterizzata da un sotterraneo richiamo al confronto di Costantino con Alessandro Magno, nell’inarrestabile spinta in avanti che solo la stanchezza dei soldati costringe ad arrestare. A questa veemenza di Costantino non corrisponde, in Licinio, che una pavida volontà di fuga. La deviazione di Licinio e Valente verso Beroe potrebbe, però, essere interpretata, visti i suoi risultati, diversamente dall’Origo, come un’abile manovra diversiva, che consente a Licinio di cogliere alle spalle Costantino. Per l’Origo, è a questo punto ancora Licinio che chiede la pace, arrendendosi senza condizioni, Licinio postulante et pollicente se imperata facturum («chiedendo e promettendo Licinio di fare ciò che gli sarebbe stato ordinato»), mentre dalla sua stessa narrazione può ricavarsi, come si è visto, che in questa occasione è Costantino a trovarsi in difficoltà. Il frammento citato di Pietro Patrizio attribuisce una volontà di pace allo stesso Costantino, preoccupato dell’incertezza della guerra. Zosimo non fa cenno invece a questo episodio: per lui, all’indomani stesso della battaglia di Campus Mardiensis, i due contendenti stabiliscono una tregua e iniziano le trattative di pace. La ricostruzione dei fatti da parte dell’Origo, prescindendo dalla sua lettura, potrebbe essere plausibile. La narrazione di Zosimo è molto più sintetica e si limita a richiamare gli eventi essenziali del conflitto. L’episodio della diversione di Licinio verso Beroe potrebbe cioè avere convinto Costantino dell’inopportunità della continuazione del conflitto.
D’altra parte, entrambi i rivali avevano eserciti debilitati dalle due sanguinose battaglie della guerra: Costantino non poteva più sperare di espellere del tutto Licinio dall’Illirico, né Licinio poteva sperare di ribaltare a suo favore la situazione. La pace è stabilita sostanzialmente sulla base dello status quo. Zosimo afferma che a Licinio resta, nell’Illirico, la Tracia. L’Origo Constantini.sembra alludere a una partizione della diocesi tracica tra Licinio e Costantino. A Licinio sarebbero toccate tre province della diocesi, la Scizia Minore, la Mesia II e la Tracia, ma il testo non cita le province che avevano per metropoli Adrianopoli e Bisanzio, l’Hemimontus e l’Europa, che sembrano essere in possesso di Licinio all’epoca del secondo conflitto contro Costantino. Tutt’al più si potrebbe pensare che a Costantino fosse toccata, nella diocesi, la provincia di Rhodope se effettivamente, come riporta il testo tràdito dell’Origo Constantini, Costantino si era trovato a Filippi e aveva dunque seguito la via costiera che da Tessalonica portava a Bisanzio, entrando nella provincia di Rhodope attraverso Maronea e Traianopoli. Ma è più probabile che abbia ragione Zosimo, ammettendo che tutta la diocesi tracica rimanga in possesso di Licinio.
Dopo la conclusione del conflitto si giunge all’accordo di elevare al rango di Cesari i due figli di Costantino, Crispo e Costantino iunior, e il figlio di Licinio, Licinio iunior, il 1° marzo 317. Naturalmente, questa decisione è una conseguenza dell’esito del conflitto ed è presentata sinteticamente in alcune fonti, senza distinguerla chiaramente dalle trattative di pace alla fine del conflitto stesso59. Ancora una volta, l’unica fonte che descrive dettagliatamente le relazioni tra Costantino e Licinio in questa fase è l’Origo Constantini, con una formulazione però singolare: Costantino, dopo la conclusione della pace con il rivale, si reca a Serdica e qui stabilisce, cum Licinio absente («con Licinio che però non era presente»), la nomina dei Cesari. Se ne ricava che Licinio rifiuta di incontrare il collega e cognato, come aveva fatto anche nella trattativa al termine del conflitto, diversamente da quello che aveva fatto al termine del conflitto fra Costantino e Massenzio nell’incontro di Milano: non c’è quindi una proclamazione comune. Evidentemente però la nomina dei Cesari è frutto di un accordo che ciascuno dei due colleghi proclama e rende pubblico dalla propria residenza, Costantino da Serdica e Licinio da una sede sconosciuta, forse Bisanzio o Nicomedia. Il testo dell’Origo, invece, sembra attribuire la decisione a Costantino, Constantinus […] constituit («Costantino stabilì»), e presentare la partecipazione di Licinio quale adesione da una posizione di inferiorità alla scelta del collega, in coerenza con la sua rappresentazione di Licinio al termine del conflitto come pronto a sottomettersi alla volontà del vincitore. La nomina a Cesari dei figli di Costantino e del figlio di Licinio rende evidente la piena affermazione del principio dinastico ed è un successo sul piano politico di Costantino60. Durante il conflitto del 316, Licinio aveva nominato Cesare, e forse in seguito Augusto, un comandante militare, il dux limitis («comandante di un tratto di confine») Valente, e anche nel conflitto finale contro Costantino nominerà Cesare un altro militare, Martiniano: egli sembra orientato, dunque, nella scelta dei colleghi, dal criterio dell’esperienza militare, in continuità con i criteri tetrarchici, mentre Costantino aveva sempre manifestato un orientamento dinastico, se è vero, come emerge dal panegirico del 313, che già subito dopo la vittoria su Massenzio pensava alla nomina del primogenito Crispo, che all’epoca doveva essere forse appena adolescente61. La proposta, che, secondo la narrazione dell’Origo, Costantino fece a Licinio prima del primo conflitto con il rivale, di nominare Cesare il cognato Bassiano potrebbe sottendere una rinuncia, forse momentanea e strumentale, all’elezione a Cesare appunto di Crispo. Anche il figlio di Licinio e della sorella di Costantino, Costanza, aveva, secondo Zosimo, venti mesi al momento della sua nomina a Cesare, nel 317, ma si può pensare che questa scelta fosse la conseguenza inevitabile del riconoscimento, presumibilmente imposto, dei Cesari figli di Costantino, e quindi dell’adeguamento di Licinio alle scelte del collega.
L’accordo, almeno formalmente, sembra durare qualche tempo. Nel 318 ricoprono insieme il consolato Licinio e Crispo, nel 319 Costantino e il figlio di Licinio, il Cesare Licinio iunior, nel 321 invece ci sono due coppie di consoli diverse in Occidente e in Oriente, i due Cesari figli di Costantino, Crispo e Costantino iunior, in Occidente, e Licinio con il figlio Licinio iunior, in Oriente. Le fonti cristiane, a partire dalla Storia ecclesiastica di Eusebio di Cesarea, presentano una serie di gesti anticristiani di Licinio come gesti anticostantiniani62. Il testo di Eusebio non cita esplicite azioni anticostantiniane di Licinio, mettendo insieme, contro l’imperatore orientale, luoghi comuni della figura del tiranno, come la libidine e l’avidità fiscale, e addirittura provvedimenti, il cui contenuto non è chiaramente esposto, estranei alla tradizione romana. La politica anticristiana di Licinio comprende, nella presentazione di Eusebio, l’espulsione dei cristiani dalla corte, che potrebbe anche non essere stato un provvedimento di carattere generale e della quale comunque non conosciamo le circostanze, e l’obbligo imposto ai soldati insigniti di qualche grado di sacrificare agli dei, pena la loro degradazione. Forse quest’ultimo provvedimento costituisce una reazione all’estendersi della cristianizzazione anche nei quadri militari, con il conseguente rifiuto di celebrare i tradizionali culti militari. È in ogni caso una misura relativamente mite, in quanto sembra riguardare solo i soldati con qualche grado (dai centurioni in su?), e la sanzione irrogata è solo la degradazione e non una pena corporale o addirittura la pena di morte. Gli specifici gesti anticristiani attribuiti a Licinio sono una legge, sulla quale Eusebio si dilunga, che proibisce l’apporto esterno di alimenti ai carcerati, e una generica e retoricamente amplificata descrizione di un atteggiamento persecutorio contro i vescovi e le chiese, in cui l’unico dato preciso sembra essere la repressione esercitata contro il vescovo di Amasea e contro le altre città del Ponto. Nella traduzione geronimiana del Chronicon di Eusebio, il vescovo Basilio di Amasea è messo a morte. Eusebio, però, né nella Storia ecclesiastica né nel Chronicon cita altri martiri sotto Licinio, e sulle circostanze e le cause di questo martirio si è del tutto all’oscuro. Alcune imprecisate azioni anticristiane sotto il regno di Licinio sono attribuite da Eusebio stesso all’iniziativa di funzionari ‘adulatori’, che pensavano di fare cosa gradita al sovrano, e quindi può trattarsi di episodi locali non direttamente riconducibili all’imperatore. Anche a partire dalla stessa descrizione eusebiana della politica anticristiana di Licinio, non si ha l’impressione che le motivazioni religiose abbiano giocato un ruolo veramente importante nello scoppio del definitivo conflitto fra i due colleghi.
Il casus belli di questo conflitto è ancora una volta descritto solo dall’Origo Constantini: l’intervento di Costantino nel territorio del collega in Tracia, per arginare un’invasione gotica. L’Orig. sostiene, giustificando l’intervento di Costantino, che il confine tracico non era adeguatamente difeso, per neglectos limites eruperunt («i goti irruppero attraverso confini mal difesi»). Costantino ottiene una rapida vittoria e conclude una pace con gli invasori. Licinio protesta per l’ingerenza del collega e l’Orig. riporta i termini di questa protesta, che appare, sul piano della forma e del contenuto, del tutto giustificata: Costantino non rispetta gli accordi, intervenendo nei territori che, in virtù della pace conclusa dopo il primo conflitto con Licinio, erano stati assegnati al collega, nelle province cioè di Tracia e Mesia. Questa protesta però è presentata dall’Orig. come una manifestazione di arroganza da parte di Licinio, che solleva giustamente l’ira di Costantino. Immediatamente prima di porre in rapporto questa divergenza con lo scoppio del secondo e definitivo conflitto tra Costantino e Licinio, il testo dell’Origo, così come ci è pervenuto, disegna con tratti topici l’atteggiamento tirannico del rivale di Costantino negli anni precedenti. L’intervento di Costantino nella diocesi tracica appartenente al rivale, senza l’accordo di quest’ultimo, prefigura evidentemente, nonostante i tentativi dell’Orig. di dissimularla, la ricerca di un casus belli, in cui l’imperatore d’Occidente riaffaccia le sue pretese, che non aveva potuto realizzare nel primo conflitto, su tutto l’Illirico, inclusa la Tracia.
L’altra fonte che descrive dettagliatamente una guerra di Costantino contro barbari prima del definitivo conflitto contro Licinio, Zosimo, parla di una guerra contro i sarmati, comandati da Rausimod, che invadono territori costantiniani provenendo da una zona vicina alla palude Meotide, l’odierno mare d’Azov63. Paschoud ha ragione nel distinguere le due invasioni: quella sarmatica riguarda la Pannonia, appartenente a Costantino, mentre quella dei goti di Rausimod riguarda la Tracia appartenente a Licinio64. Questa vittoria sarmatica di Costantino, che è attestata anche dalla documentazione numismatica65, è considerata l’unica vittoria costantiniana contro i barbari in questo periodo da Barnes, che mette, dunque, in dubbio la testimonianza dell’Origo Constantini.di una vittoria gotica66.
Per lo svolgimento del conflitto, la fonte di gran lunga più dettagliata, sui movimenti militari e sulla topografia, è Zosimo. Licinio schiera inizialmente il suo esercito davanti a Adrianopoli, dall’altura che sovrasta la città fino alla confluenza tra i fiumi Ebro e Tonzo. Secondo la narrazione di Zosimo, la mossa decisiva di Costantino è l’attraversamento a sorpresa del fiume Ebro nel suo punto più stretto con la cavalleria, che gli consente l’aggiramento dello schieramento del rivale67. Licinio fugge allora precipitosamente verso Bisanzio, che è cinta d’assedio da Costantino. Lo svolgimento del conflitto per mare è decisivo per l’esito della guerra. L’Orig. descrive succintamente solo la parte finale di questo confronto: Crispo distrugge la flotta liciniana comandata da Amando (per Zosimo il nome del personaggio è Abanto) a Callipoli e realizza con questa vittoria il ricongiungimento con le forze di terra di Costantino a Bisanzio. Questa indicazione differenzia la narrazione dell’Orig. da quella di Zosimo, ma c’è ragione di presumere che la notizia dell’Orig. sia esatta. Callipoli si trova infatti all’estremità orientale dell’Ellesponto, l’attuale stretto dei Dardanelli. Di fronte a Callipoli si trova Lampsaco, dove Licinio, secondo la narrazione di Zosimo68, aveva inviato il Cesare Martiniano per impedire uno sbarco nemico in Asia. Si può ben pensare che le due flotte si siano fronteggiate a Callipolis e Lampsaco, come in precedenza si erano fronteggiate non molto distante, a Eleunte e Aianteion, all’imboccatura meridionale dei Dardanelli, e che qui si sia svolta la battaglia navale decisiva, che consentì il ricongiungimento della flotta comandata da Crispo con l’esercito di Costantino che assediava Bisanzio.
Lo svolgimento di questa ultima parte del conflitto, nella narrazione di Zosimo, è sostanzialmente diverso. È omesso il ruolo di Crispo e della flotta sotto il suo comando. Costantino, però, secondo la sua narrazione, si trova a Bisanzio in possesso di un grande numero di navi, delle quali non è indicata la provenienza69. Licinio abbandona la città con pochi uomini fidati, lasciando scarse truppe a presidiarla, e muove verso Calcedone, attraversando lo stretto e confidando di poter ricostituire in Asia un esercito da opporre a Costantino. Di questa scelta, che appare precipitosa, non è indicata però la ragione, né è citata l’occupazione di Bisanzio da parte di Costantino, necessaria per poter passare a Calcedone sulla costa antistante. A questo punto, secondo Zosimo, Licinio richiama il Cesare Martiniano da Lampsaco e si dispone alla battaglia decisiva contro Costantino, che avviene nei pressi della città, a Crisopoli, secondo l’Origo Constantini. Martiniano, però, può intanto essere richiamato, in quanto il compito che gli era stato affidato, quello di impedire uno sbarco in Asia, non ha più ragione di essere, in quanto il passaggio dell’esercito costantiniano è già avvenuto, si può pensare seguendo in questo punto la narrazione dell’Origo Constantini, perché la flotta costantiniana, con il Cesare Crispo, era giunta a Costantinopoli, forzando il blocco, posto a Lampsaco, con una grande vittoria navale a Callipoli, sulla costa antistante dell’Ellesponto.
L’Origo Constantini.enfatizza il ruolo dei goti impiegati da Licinio nella battaglia decisiva, sotto il comando di Alica, maxime auxiliantibus Gothis quos regalis Alica deduxerat («con l’aiuto decisivo dei goti che aveva portato con sé il principe Alica»)70. Si può pensare in questo caso a un contingente di federati goti sotto il loro comandante. Truppe federate barbariche si trovavano, però, anche nell’esercito di Costantino. Ammiano Marcellino riporta, nel contesto della narrazione dell’usurpazione di Silvano in Gallia, nel 355, che il padre dell’usurpatore, un franco di nome Bonito, aveva combattuto al fianco di Costantino nella guerra contro Licinio71. Della notizia sul padre di Silvano, che Ammiano è l’unica fonte a riportare, lo storico era venuto probabilmente a conoscenza direttamente dallo stesso Silvano, che accampava a suo favore i meriti del padre. Ammiano infatti, in qualità di protector, alle dipendenze del magister militum Ursicino, era stato alla corte di Silvano a Colonia, inviato dall’imperatore Costanzo II con il compito segreto di eliminare l’usurpatore. Silvano sembra richiamare le gesta del padre unicamente nella guerra contro Licinio, senza citare una sua carriera precedente nell’esercito romano. Si può pensare dunque che Bonito sia intervenuto nella guerra al comando di truppe franche. La notizia era riportata da Ammiano al di fuori dei canali storiografici sulla guerra civile contro Licinio. Non si può affermare, dunque, che l’autore dell’Orig. la conoscesse e l’abbia taciuta intenzionalmente. Nel suo testo, comunque, è messo in rilievo il ricorso, solo da parte di Licinio, a truppe barbariche, lasciando intendere che, mentre l’anno precedente egli non era stato in grado di proteggere il territorio romano su cui regnava dall’attacco di goti, che era stato respinto da Costantino, ora si serviva dei goti addirittura contro un esercito romano.
A Licinio e al suo Cesare Martiniano Costantino, dopo la vittoria, promette salva la vita, anzi, nella narrazione dell’Origo, il rivale sconfitto è addirittura invitato alla tavola del vincitore72. In seguito, però, sia l’uno sia l’altro sono messi a morte. L’atteggiamento della storiografia su questo episodio è variegato. La versione pagana più ostile a Costantino mette in evidenza l’infrazione, da parte dell’imperatore, del giuramento che sarebbe stato fatto nei confronti del rivale. Lo afferma senza remore Eutropio, contra religionem sacramenti […] occisus est («venne messo a morte contro il rispetto religioso dovuto a un giuramento»)73, che viene seguito però addirittura da Girolamo nella sua continuazione del Chronicon di Eusebio di Cesarea. Questa è anche la versione di Zosimo, e dunque della sua fonte principale Eunapio di Sardi, che aggiunge, aggravando lo spergiuro di Costantino, che il giuramento era stato fatto dall’imperatore a sua sorella e moglie di Licinio, Costanza. Aurelio Vittore richiama un accordo fra Costantino e Licinio, in cui era concessa salva la vita allo sconfitto (pacta salute), senza menzionare un giuramento, e subito dopo registra, senza commentarlo, l’ordine di metterlo a morte. Dipende in questo caso da Aurelio Vittore anche l’anonimo libello, che era stato considerato un riassunto dell’opera storiografica di questo autore e perciò è ancora comunemente chiamato Epitome de Caesaribus, scritto non molto dopo la morte di Teodosio il Grande, nel 395. L’Origo Constantini, che, pur senza celare i fatti, ne dà una lettura sempre sostanzialmente favorevole a Costantino, in un passo in cui, come avviene in altri casi, è inserita, nel testo che ci è conservato, una interpolazione tratta dalle Storie di Paolo Orosio, attribuisce alla pressione tumultuosa dei soldati, e dunque non direttamente alla volontà dell’imperatore, l’ordine di mettere a morte Licinio74. Per il cristiano Orosio, che non menziona il giuramento di Costantino di concedere salva la vita al cognato, la decisione di mettere a morte il rivale è in rapporto alla preoccupazione che possa riprodursi una vicenda come quella di Massimiano, che, dopo aver lasciato la porpora, la riprende in perniciem rei publicae («per la rovina dello Stato»)75. La morte di Licinio è, comunque, per Orosio una giusta punizione per i suoi provvedimenti persecutori contro i cristiani. Le altre fonti storiografiche cristiane ignorano il giuramento di Costantino e la sua infrazione.
La storiografia pagana
Le fonti storiografiche pagane hanno, a riguardo delle guerre civili costantiniane, un atteggiamento non uniforme. Nessuno dei rivali di Costantino è rappresentato in maniera positiva, soprattutto Massenzio, che è generalmente considerato un tiranno. I conflitti, tuttavia, contro Massenzio e Licinio, e il periodo in cui essi si sono svolti, sono spesso presentati come momenti negativi, o comunque non positivi, del regno di Costantino. Aurelio Vittore, che scrive la sua opera storiografica nel 360, alla fine del regno di Costanzo II, descrive la figura di Massenzio con i tratti topici del tiranno, concordemente odiato dal Senato e dal popolo romano, che accolgono con entusiasmo la vittoria di Costantino. La responsabilità della guerra fra Costantino e Licinio sembra ripartita fra i due contendenti: sono personalità troppo distanti perché tra esse possa essere per lungo tempo mantenuto l’accordo, anche se i due imperatori erano imparentati attraverso Fausta, sorella di Costantino e moglie di Licinio («per la differenza dei loro costumi a stento riuscirono a mantenere l’accordo per tre anni»)76. Aurelio Vittore non mostra simpatia per Licinio, che oppone negativamente a Costantino, sul piano della clemenza nei confronti dei sostenitori dei loro rivali, rispettivamente Massenzio e Massimino Daia, dopo le loro vittorie civili, e al quale rimprovera un’eccessiva parsimonia, che egli definisce con colore negativo agrestis77. A Costantino sembra però rimproverato l’eccesso opposto, la munificentia78. Per Aurelio Vittore, l’involuzione politica di Costantino sembra collocata, allo stesso modo della tradizione pagana anticostantiniana che confluisce nell’opera storica di Eunapio di Sardi, riassunta poi dallo storico bizantino Zosimo, dopo l’uccisione del figlio Crispo e della moglie Fausta79.
Eutropio, invece, nel suo Breviarium, scritto sotto il regno di Valente, presenta atteggiamenti critici più evidenti nella trattazione delle guerre civili costantiniane. Una valutazione positiva senza riserve del regno di Costantino riguarda solo la sua fase gallica, dal 306 dunque al 312, in cui l’imperatore rimane nelle Gallie e il suo comportamento è posto in parallelo con quello del padre Costanzo, che non ambisce mai ad altri territori. La guerra contro Massenzio è esplicitamente designata come guerra civile e l’aggressore è senza dubbio Costantino, Constantinus […] bellum adversum Maxentium civile commovit («Costantino mosse contro Massenzio una guerra civile»)80. È importante osservare che l’espressione bellum civile è usata da Eutropio per designare i conflitti della tarda repubblica romana, ma non, prima di Costantino, per designare i numerosi conflitti civili in età imperiale. Si può segnalare inoltre un parallelo, nella rappresentazione di Eutropio, tra gli effetti delle vittorie nelle guerre civili sul comportamento di Cesare e gli effetti delle vittorie civili su quello di Costantino, nella perdita della moderazione, nell’insolentia81. Sia nel caso della guerra contro Massenzio, sia in quello della guerra contro Licinio, per Eutropio Costantino, come giustamente osserva Bonamente, mette unilateralmente in crisi equilibri di potere consolidati82. Nel primo caso, dopo la morte di Galerio, l’Impero si era in qualche modo assestato su un sistema tetrarchico: ita res publica tum a novis quattuor imperatoribus tenebatur, Constantino et Maxentio filiis Augustorum, Licinio et Maximino novis hominibus («in questo modo lo Stato era governato da quattro nuovi imperatori, Costantino e Massenzio figli di un Augusto, Licinio e Massimino uomini nuovi»)83. Anche nell’assetto del potere, ridotto a una diarchia dopo l’eliminazione di Massenzio e Massimino Daia, è sempre Costantino a prendere l’iniziativa di una guerra civile contro Licinio, spinto da una irrefrenabile ambizione che lo porta a rimuovere ogni ostacolo sulla via dell’Alleinherrschaft: Constantinus […] principatum totius orbis adfectans, Licinio bellum intulit, quamquam necessitudo et adfinitas cum eo esset («Costantino […] aspirando al potere su tutto l’Impero, mosse guerra a Licinio, nonostante vi fosse con lui uno stretto rapporto di parentela»)84. Per Eutropio, nella prima parte del suo regno Costantino può essere accostato ai migliori imperatori, nell’ultima deve, invece, essere considerato un medius princeps, un imperatore, cioè, in cui coesistevano virtù e vizi85. L’articolazione, che può sembrare a prima vista binaria, potrebbe non accennare, tra la prima e l’ultima fase del regno di Costantino, a una fase di mezzo. Data comunque la rappresentazione che Eutropio offre del periodo delle guerre civili, la prima fase dovrebbe terminare presto, prima della guerra contro Massenzio, nel 312.
È particolarmente interessante, per identificare il suo giudizio sulle guerre civili di Costantino, la periodizzazione del suo regno presentata dall’anonimo autore della cosiddetta Epitome de Caesaribus: i primi dieci anni di regno, dal 306 dunque al 31686, sono degni di incondizionata lode (decem annis praestantissimus), nei dodici seguenti Costantino è un predone (duodecim sequentibus latro), «negli ultimi dieci fu nominato pupillus per le sue spese smisurate» (decem novissimis pupillus ob profusiones immodicas nominatus)87. La descrizione del regno di Costantino sembra caratterizzata da un’inusitata durezza per la gran parte della sua durata. Questa ostilità sembra, però, in contrasto con l’atteggiamento dell’autore dell’Epitome in altre parti della narrazione del regno di Costantino e può far pensare all’utilizzazione non ben coordinata di fonti di intonazione diversa nei confronti dell’imperatore88. Il primo periodo positivo di dieci anni include, dunque, la guerra contro Massenzio, che è giudicato del tutto negativamente dal testo. L’accusa a Costantino di essere stato un latro nei successivi dodici anni potrebbe richiamare l’accusa che Zosimo muove all’imperatore con riferimento alle sue mire sui possedimenti di Licinio e, dunque, presumibilmente la tradizione pagana ostile confluita in Eunapio, che vede la causa della guerra di Costantino contro Licinio nella sua volontà di impadronirsi di territori del collega89. Un comportamento di questo genere nel figlio di Costantino, Costantino II, è definito, dalla stessa Epitome, latrocinium90. Se, però, l’accusa a Costantino di latrocinium da parte dell’autore dell’Epitome può essere messa in rapporto con la sua aggressione a Licinio, essa non può limitarsi a questo, innanzitutto perché il periodo cui si riferisce va oltre la conclusione della definitiva guerra contro il collega, nel 324. Si può pensare allora all’appropriazione di ricchezze per via fiscale o di confische, per esempio, dei beni dei templi. In apparente contrasto con questo atteggiamento, l’Epitome sembra esaltare il successo, la felicitas, di Costantino in tutto il periodo delle guerre civili, mira bellorum felicitate («con una straordinaria fortuna nelle guerre»)91.
Si è richiamato in Eutropio il motivo dell’ambizione costantiniana come movente delle guerre civili contro Massenzio e Licinio, che rimuove progressivamente il senso del limite etico e politico, e che culmina nell’infrazione del giuramento fatto a Licinio di lasciargli salva la vita e nella tragedia famigliare dell’uccisione del figlio Crispo e della moglie Fausta. Il tema compare, anche se non nei termini espliciti in cui si rinviene in Eutropio, anche in Aurelio Vittore, che scrive, come si è ricordato, sotto il regno del figlio di Costantino, Costanzo II. Lo storico afferma che, se Costantino avesse posto un limite all’ambizione e alla liberalità, sarebbe stato non molto lontano da un dio92. L’involucro in cui viene inserita la notazione critica appare formalmente encomiastico, ma entrambi i motivi fanno parte della tradizione pagana ostile a Costantino.
Un altro motivo importante nella tradizione storiografica latina pagana a proposito della valutazione delle guerre civili nel IV secolo, a partire da quelle di Costantino, è quello della felicitas. Il termine felicitas, usato in senso proprio, non designa semplicemente il successo, ma il successo che arride alle imprese eticamente e politicamente giustificate. Nel giudizio finale sul regno di Costanzo II, in rapporto alle sue vittorie nelle guerre civili, Ammiano Marcellino, citando Cicerone, afferma che la felicitas è honestarum rerum prosperitas («il successo che arride alle buone imprese»)93, escludendo dunque implicitamente che il termine possa essere applicato anche alle vittorie nelle guerre civili. Il tema è particolarmente rilevante nella cosiddetta Epitome de Caesaribus, scritta presumibilmente non molto dopo il testo ammianeo. La ragione può essere agevolmente individuata nell’importanza che il tema delle guerre civili assume nell’età di Teodosio I, vincitore di due grandi guerre civili. L’Epitome parla, a proposito di Costantino, di una straordinaria felicitas nelle guerre civili che appare in contrasto con la caratterizzazione di Costantino, nel periodo dei conflitti contro Licinio, come un predone, un latro. Non vengono, però, di Costantino ricordate vittorie contro i nemici esterni. Il figlio di Costantino, Costanzo II, è definito felix bellis civilibus («fortunato nelle guerre civili»)94, ma la sua fortuna nelle guerre civili è esplicitamente contrapposta agli insuccessi nelle guerre esterne (externis lacrimabilis). Anche di Valente l’Epitome richiama la sua vittoria sull’usurpatore Procopio, ma, come unica vicenda militare contro i nemici dell’Impero, ricorda la tragica sconfitta di Adrianopoli, usando lo stesso aggettivo impiegato a proposito della fortuna di Costanzo II nelle guerre esterne (lacrimabile bello)95. Anche di Valentiniano I non sono ricordate vittorie esterne, ma solo l’eliminazione dell’usurpatore Firmo. Questa dicotomia tra successo nelle guerre contro gli usurpatori e insuccesso nelle guerre contro i nemici esterni è superata, nella rappresentazione dell’Epitome, solo con Teodosio, del quale sono enumerate le vittorie sia nelle guerre civili sia in quelle esterne, entrambe a vantaggio dello Stato96. Questo atteggiamento encomiastico nei confronti di Teodosio spiega la diversa prospettiva dell’autore dell’Epitome rispetto ad Ammiano Marcellino a riguardo del tema della felicitas nelle guerre civili: il successo contro i nemici interni può essere giudicato positivamente se, come in Teodosio, esso si accompagna all’impegno vittorioso contro i nemici dell’Impero.
Gli esiti dannosi per lo Stato delle guerre civili da lui intraprese sono lamentati da Costantino stesso nell’Oratio ad sanctorum coetum, la cui datazione è controversa, e nella quale potrebbero esservi riferimenti sia alla guerra contro Massenzio sia alla guerra contro Licinio, con un’ambiguità forse dovuta, come sostiene Roberto Cristofoli, a una redazione stratificata dell’opera97. Costantino afferma che l’intervento della provvidenza divina contro gli empi attraverso la sua opera non avvenne senza danni per lo Stato. Ci fu uno spargimento di sangue, che se fosse stato rivolto contro i barbari avrebbe garantito una pace durevole98. Questa consapevolezza dei costi per lo Stato di una guerra civile non esclude la profonda convinzione da parte dell’imperatore della giustificazione politica e religiosa del conflitto. Un atteggiamento diverso rispetto a questa amara e realistica constatazione da parte di Costantino è quello di Eusebio di Cesarea, nel libro IX della Storia ecclesiastica, scritto presumibilmente in età grosso modo contemporanea, in cui affiora un tema destinato a una notevole fortuna in ambito cristiano, quello della vittoria incruenta99: Dio, per evitare che Costantino fosse costretto a combattere per colpa del tiranno Massenzio contro i romani, lo aveva spinto a uscire dalle mura di Roma e a esporsi in campo aperto100. Il motivo della preoccupazione per i gravi danni arrecati allo Stato dalle guerre civili nel IV secolo è attribuito dalla tradizione confluita in Zosimo a Costanzo II in occasione della battaglia di Mursa contro l’usurpatore Magnenzio101, ed è presentata come una sua riflessione, a proposito della stessa battaglia di Mursa, da Eutropio e dall’autore della cosiddetta Epitome de Caesaribus102. Costanzo II, nella rappresentazione di Zosimo, medita sulle conseguenze della battaglia e sulla possibilità di risolvere il conflitto con accordi mentre la battaglia è già in corso, ma tale riflessione non ha conseguenze sul suo svolgimento. Questo richiamo presenta il figlio di Costantino in una luce favorevole, in quanto consapevole e preoccupato del bene dello Stato, a differenza del suo rivale, scaricando su di lui, dunque, le responsabilità politiche e morali del conflitto e delle sue conseguenze. Eutropio giustifica la guerra contro Magnenzio, in quanto motivata dalla vendetta per l’uccisione del fratello Costante, diversamente dalla sua rappresentazione delle guerre civili di Costantino, alla cui radice v’era per lo storico soltanto l’ambitio dell’imperatore. Anche per lui, dunque, la responsabilità del disastro di Mursa ricade soprattutto, se non totalmente, sull’usurpatore, animato da uno spirito di parte, di factio103, così come era stata definita nell’arco di Costantino a Roma la posizione di Massenzio.
La propaganda dei vincitori, a partire proprio da Costantino, presentava i rivali sconfitti come tiranni, contro i quali la guerra era una guerra giusta per liberare lo Stato, le cui conseguenze negative erano attribuite totalmente ai tiranni sconfitti. Soprattutto in età teodosiana, le guerre civili contro i tiranni potevano essere poste sullo stesso piano delle guerre esterne. Nel panegirico pronunciato a Roma nel 389 dal retore gallico Pacato, in onore di Teodosio, la guerra civile vinta dall’imperatore contro l’usurpatore Massimo poteva essere celebrata con un trionfo, soprattutto per la moderazione della quale l’imperatore aveva dato prova dopo la vittoria104. In anni grosso modo prossimi, a Roma, Ammiano Marcellino polemizzava, invece, contro la celebrazione nella città, nel 357, da parte di Costanzo II, di una vittoria sui romani (sull’esercito cioè dell’usurpatore Magnenzio), che poteva essere assimilata a un trionfo, pur senza averne il nome e senza seguirne il cerimoniale, absque nomine ex sanguine Romano triumphaturus («con l’intenzione di celebrare un trionfo, senza chiamarlo così, sui romani»)105: le ragioni legittime di un trionfo erano la vittoria sui nemici esterni e l’accrescimento territoriale dell’Impero. Nell’età del figlio di Teodosio, Onorio, Orosio afferma che le guerre civili teodosiane sono mosse da giuste cause, iustis necessariisque causis ad bellum civile permotus («spinto alla guerra civile da cause giuste e inoppugnabili»)106, e che comunque si risolvono con il minimo spargimento di sangue e limitandosi alla punizione del tiranno e dei suoi più stretti complici107. Per Orosio, anzi, le guerre contro gli usurpatori tyranni, dei quali mette in evidenza la provenienza dalla Gallia e dalla Britannia, sono più vicine alle guerre esterne che alle guerre civili, e potrebbero più pertinentemente essere definite guerre sociali, come quelle contro Sertorio o Perpenna108.
C’è un’altra opera, che non tratta direttamente di Costantino e delle sue guerre civili, ma dalla quale si ricavano riflessi significativi di un giudizio negativo, la Historia Augusta, che è stata scritta, secondo l’opinione pressoché unanime degli studiosi, tra la fine del IV secolo e gli inizi del V. Nella Vita dell’imperatore Elagabalo, pretendendo di rivolgersi a Costantino, al quale la Vita è dedicata, l’autore dell’opera proclama la sua intenzione di trattare con equità i nemici sconfitti, il cui potere è confluito nelle mani dell’imperatore. Cita Licinio, Severo, Domizio Alessandro e Massenzio. Licinio e Massenzio sono stati sconfitti da Costantino, mentre Severo e Domizio Alessandro erano stati sconfitti da Massenzio. Questi rivali sconfitti non sono presentati come odiosi o insignificanti tiranni, ma quali imperatori, che avevano un qualche diritto all’Impero e qualità positive, ius e virtus109, e il cui equo trattamento storiografico giova allo stesso vincitore. Si può richiamare, nella stessa Historia Augusta, un significativo parallelo a questo proposito fra Costantino e Settimio Severo. Quest’ultimo imperatore si oppone alla erasione di un’iscrizione celebrativa del suo rivale sconfitto Pescennio Nigro, affermando che il buon nome degli sconfitti giova ai vincitori, anche quando sia usurpato, tanto più poi quando sia meritato110. Sullo stesso Pescennio Nigro, Settimio Severo si rifiuta di celebrare un trionfo, per non dare l’impressione di celebrare una vittoria civile111. L’intenzione di Settimio Severo di rispettare la memoria dei nemici sconfitti appare confermata dal loro trattamento storiografico112, mentre evidentemente lo stesso non si può dire dei rivali di Costantino. Abbiamo visto come soprattutto Massenzio, ma anche Licinio nel periodo del conflitto con Costantino, incontrino giudizi quasi unanimemente negativi, soprattutto per quanto riguarda la valutazione della loro personalità sul piano etico e politico. Si può pensare che l’autore della Historia Augusta fosse consapevole del divario tra l’affermazione di un equo trattamento degli sconfitti e il trattamento storiografico dei rivali di Costantino. Esso è immediatamente evidente a un conoscitore, anche superficiale, della storiografia tardoantica. Si può dunque con qualche fondamento presumere che il passo che abbiamo richiamato contenga un sottofondo polemico nei confronti del primo imperatore cristiano.
C’è un altro passo significativo nella stessa Vita di Elagabalo che merita di essere preso in considerazione in questo contesto. È attribuito a Costantino il richiamo a una considerazione in forma proverbiale che individua nella fortuna il motore della storia imperiale, imperatorem esse fortunae est («essere imperatore dipende dal caso»)113. L’unico modo di riparare le conseguenze negative che produce questo dominio è sforzarsi di rendere degni del potere coloro che vi sono stati insediati dalla forza del fato (vis fatalis). Fortuna e vis fatalis sono in questo passo sostanzialmente dei sinonimi, che designano il potere irrazionale che guida la storia. Questa affermazione appare del tutto in contrasto con il pensiero di Costantino, quale lo conosciamo anche dalle sue testimonianze dirette, e con la sua profonda convinzione della guida della sua vicenda storica da parte di una volontà provvidenziale. Nel detto che gli attribuisce la Historia Augusta, Costantino sembra invece affermare non la razionalità provvidenziale della storia in generale e della sua storia in particolare, ma una sostanziale sfiducia nell’esistenza di un tale disegno. Questa convinzione, che è ovviamente dell’autore della Historia Augusta e non di Costantino, proietta i suoi riflessi anche sulla storia delle guerre civili costantiniane e rende ragione pure della presentazione del rapporto fra Costantino e i suoi nemici che abbiamo visto nel passo precedente: lo svolgimento irrazionale della storia ha fatto sì che il potere in qualche misura legittimo, lo ius, di Massenzio, di Licinio, come anche dei due imperatori sconfitti da Massenzio, Severo e Domizio Alessandro, che erano personaggi non del tutto negativi, non dei pessimi tiranni giustamente sconfitti, ma uomini dotati di virtù, confluisse nelle mani di Costantino.
Si è messa in evidenza fino a qui la presenza di atteggiamenti negativi nella storiografia pagana tardoantica a riguardo delle guerre civili di Costantino. Si è visto, però, che esistevano anche narrazioni positive delle stesse, come quella della cosiddetta Origo Constantini, sia pure non tanto concentrata nella costruzione di figure di tiranni ideologicamente contrapposte a quella di Costantino, quanto in una lettura degli eventi riportati favorevole all’imperatore.
La storiografia cristiana
Caratteri essenzialmente diversi dalla storiografia pagana ha la trattazione cristiana delle guerre civili costantiniane. Eusebio di Cesarea disegna alla fine del libro VIII della Storia ecclesiastica, si può pensare in vista dell’aggiunta in una seconda edizione dell’opera di un nono libro, la coppia di tiranni Massenzio e Massimino, la cui sconfitta da parte dei due imperatori cari a Dio, Costantino e Licinio, è descritta appunto nel libro IX114. La difficoltà maggiore di questa costruzione è evidentemente l’impossibilità di presentare Massenzio come un persecutore in parallelo con il suo collega orientale. Con riferimento soprattutto al momento del conflitto con Costantino è però facile per Eusebio (vi accenna anche il panegirico a Costantino del 313) mettere in evidenza il ricorso, da parte del figlio di Massimiano, alle arti magiche e alla divinazione, mettendolo in opposizione al ricorso all’aiuto di Dio da parte di Costantino. Si è richiamato il fatto che una deviazione in senso tirannico è attribuita anche a Licinio, quando entra in disaccordo e poi in conflitto con Costantino, e in qualche misura, nella narrazione di Eusebio, questo atteggiamento tirannico include anche i tratti del persecutore, per le misure anticristiane che il collega di Costantino prende nell’ultima parte del suo regno. Lo schema eusebiano, che deriva in ultima analisi dalla stessa propaganda costantiniana, nella interpretazione delle guerre civili costantiniane è semplice e assolutamente univoco: i rivali di Costantino sono tiranni, figure sul piano etico e religioso opposte alla figura ideale di principe cristiano incarnata da Costantino. La loro eliminazione è pienamente giustificata e voluta da Dio.
Rufino di Aquileia, che traduce con molta libertà in latino la Storia ecclesiastica di Eusebio e vi aggiunge due libri, portando la narrazione fino alla morte di Teodosio, arricchisce di particolari di provenienza sconosciuta la figura tirannica di Massenzio e mette in evidenza la preoccupazione di Costantino per una guerra civile contro Roma stessa. Rufino narra del tentativo di stupro da parte di Massenzio di una nobilissima cristiana romana, Sofronia, che si conclude con il suicidio della donna per proteggere la sua pudicizia115. È descritta con molta più ampiezza rispetto a Eusebio la difficoltà in cui Costantino versa nell’attaccare Roma, lui che era imperatore romano e pater patriae contro la capitale dell’Impero, il caput Romani imperii. Il legame del primo imperatore cristiano con Roma è decisamente messo in evidenza in un momento, all’inizio del V secolo, di conflitto fra le due partes imperii. La provvidenza divina viene incontro a questa preoccupazione e la vittoria è incruenta e non macchiata di sangue civile. Licinio, invece, in maniera inconsueta è descritto nella storiografia come persona proba e integra (ed è questa la ragione per la quale Costantino si allea e si imparenta con lui)116. Questa caratterizzazione rende ancora più brusco e difficilmente spiegabile in Eusebio il mutamento in senso tirannico del collega di Costantino, che dovrebbe giustificare la sua eliminazione. Lo schema eusebiano è sostanzialmente mantenuto, con alcune aggiunte e variazioni che da una parte, nel caso di Massenzio, lo rafforzano, mettendo però in evidenza il legame di Costantino con Roma, e dall’altra, nel caso di Licinio, accentuano le sue difficoltà.
Paolo Orosio segue anch’egli, in qualche misura, lo schema interpretativo delle guerre civili costantiniane forgiato da Eusebio, ma in un contesto storiografico e polemico differente. Lo storico cristiano deve misurarsi con l’insinuazione pagana, nel quadro delle polemiche esplose dopo il saccheggio di Roma da parte di Alarico nel 410, che il regno dei tetrarchi, sotto i quali si era verificata la più lunga e sanguinosa persecuzione contro i cristiani, era stato eccezionalmente pacifico e felice117. Orosio ribatte che la vittoria del cristianesimo a partire da Costantino e l’eliminazione degli ultimi persecutori costituiscono la lenta, ma certa e radicale punizione divina (haec est lenta illa paganorum poena sed certa)118. Costantino e Licinio sono gli agenti della divina punizione contro gli autori dell’ultima grande persecuzione, Massimiano Erculio e Massimino Daia, e infine Costantino lo è contro Licinio, che, negli ultimi anni del suo regno, era stato in qualche misura un persecutore. In quest’ottica ha uno spazio secondario il conflitto con Massenzio, a differenza che in Rufino. Il figlio di Massimiano non è un persecutore e non è neppure definito un tiranno. Del bellum civile fra Costantino e Massenzio non viene indicato come promotore quest’ultimo (ma nemmeno Costantino), mentre il persecutore Massimino Daia è esplicitamente indicato come il fautore della guerra civile contro Licinio. Nel breve spazio che Orosio dedica alle guerre civili costantiniane, egli modifica in maniera essenziale e favorevole a Costantino la narrazione di Eutropio, dal quale egli dipende. Costantino non scatena, come in Eutropio, un bellum civile contro Massenzio mosso dalla propria ambizione di potere. Anche nel caso del conflitto con Licinio non è Costantino, ma piuttosto Licinio a volere la guerra. Inoltre, attingendo dal Chronicon geronimiano, Orosio riporta l’espulsione, da parte di Licinio, dei cristiani dalla corte, suggerendo che nell’economia divina (ma non esplicitamente nelle intenzioni di Costantino) la sconfitta dell’imperatore d’Oriente era la manifestazione della punizione divina. Se però la lettura negativa eutropiana del periodo delle guerre civili di Costantino non è accolta da Orosio, essa non viene sostituita da una lettura esplicitamente positiva o addirittura celebrativa: Costantino non è presentato, come Teodosio, come un intrepido combattente per la fede. Le guerre civili di Teodosio, a differenza di quelle di Costantino, e con chiare analogie con gli sviluppi agostiniani sugli imperatori cristiani nel De civitate Dei119, sono presentate come pienamente giustificate sul piano etico e visibilmente guidate dall’intervento divino. Diversamente, però, da Agostino, non v’è opposizione tra Costantino, modello di imperatore cristiano premiato da Dio con l’abbondanza di una felicitas materiale, e Teodosio, che invece tende alla felicitas aeterna e questa ottiene da Dio. Teodosio è invece, nella rappresentazione di Orosio, il modello del duce cristiano: è un Traiano cristiano, che combatte e vince in maniera radicalmente diversa dall’imperatore pagano, pregando e affidandosi a Dio120.
1 M. Humphreys, From Usurper to Emperor: the Politics of Legitimation in the Age of Constantine, in Journal of Late Antiquity, 1 (2008), pp. 82-100; R. Van Dam, The Roman Revolution of Constantine, Cambridge-New York 2007; N. Lenski, The Reign of Constantine, in The Cambridge Companion to the Age of Constantine, ed. by N. Lenski, Cambridge-New York 2006; Zosime. Histoire nouvelle, éd. par F. Paschoud, I, Paris 2000; M. Cullhed, Conservator urbis suae. Studies in the Politics and Propaganda of the Emperor Maxentius, Göteborg 1994; V. Neri, Medius princeps. Storia e immagine di Costantino nella storiografia latina pagana, Bologna 1992; Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus. Herrschaftspropaganda in der zeitgenössischen Überlieferung, Stuttgart 1990; I. König, Origo Constantini. Anonymus Valesianus, I, Text und Kommentar, Trier 1987; T.D. Barnes, Constantine and Eusebius, Cambridge (MA) 1981; Id. The new Empire of Diocletian and Constantine, Cambridge (MA) 1982; S. Mazzarino, Antico, tardo antico ed era costantiniana, I, Bari 1974; R. Andreotti, Licinius, in Dizionario Epigrafico, 4 (1959), pp. 979-1041; RE XIV, E. Groag, s.v. Maxentius, cc. 2417-2484.
2 Paneg. 12,3.
3 Paneg. 12,8-10.
4 Paneg. 12,5,4.
5 Zos. II 14,1.
6 Lact., mort. pers. 43,1.
7 P. Barceló, Trajan, Maxentius und Constantin. Ein Beitrag zur Deutung des Jahres 312, in Boreas. Münstersche Beiträge zur Archäologie, 14/15 (1991/ 1992), p. 154.
8 Lact., mort. pers. 44,3.
9 Lact., mort. pers. 44,6.
10 Aur. Vict., Caes. 41,24.
11 Lact., mort. pers. 44,8.
12 H. Leppin, H. Ziemssen, Maxentius, der letzte Kaiser in Rom, Mainz 2007, pp. 27-28.
13 Cfr. in questo senso Zosime, cit., pp. 219-221 nota 26.
14 Cfr. J. Szidat, Usurpator tanti nominis. Kaiser und Usurpator in der Spätantike (337-476 n. Chr.), Stuttgart 2010; M.V. Escribano, Costantino y la rescissio actorum del tirano-usurpador, in Gerion, 16 (1998), pp. 309-338; V. Neri, L’usurpatore come tiranno nel lessico politico della tarda antichità, in Usurpationen in der Spätantike. Akten des Kolloquiums «Staatsreich und Staatlichkeit», hrsg. von F. Paschoud, J. Szidat, Stuttgart 1997, pp. 71-86; T.D. Barnes, Oppressor, Persecutor, Usurper: the Meaning of Tyrannus in the Fourth Century, in Historiae Augustae Colloquium Barcinonense, a cura di G. Bonamente, M. Meyer, Bari 1996, pp. 55-65; Th. Grünewald, Constantinus, cit., pp. 64-92.
15 Cod. Theod. XIV 14,3.
16 Cfr. Th. Grünewald, Constantinus, cit., pp. 64-77.
17 Anon. Vales.. I 4,12.
18 Cfr. N. Lenski, Evoking the Pagan Past: instinctu divinitatis and Constantine’s Capture of Rome, in Journal of Late Antiquity, 1 (2008), pp. 210-213.
19 Cfr. H. Ziemssen, Maxentius und Rom. Das neue Bild der ewigen Stadt, in H. Leppin, H. Ziemssen, Maxentius, cit., pp. 35-122; E. Marlowe, Liberator urbis suae. Constantine and the ghost of Maxentius, in The emperor and Rome. Space, Representation and Ritual, ed. by B.C. Ewald, C.F. Noreña, Cambridge 2010, pp. 119-220; W. Oenbrink, Maxentius als «conservator urbis suae»: ein antitetrarchisches Herrschaftskonzept tetrarchischer Zeit, in Die Tetrarchie. Ein neues Regierungssystem und seine mediale Präsentation, hrsg. von D. Boschung, W. Eck, Wiesbaden 2006, pp. 169-204.
20 Aur. Vict., Caes. 41,26-28.
21 Per un elenco di queste ipotesi cfr. E. Marlowe, Liberator urbis suae, cit., pp. 203-204.
22 Cfr. E.A. Dumser, The Architecture of Maxentius: a Study in Architectural Design and Urban Planning in Early Fourth-century Rome, Philadelphia 2005, pp. 33-36.
23 Paneg. 4(10)35,4-5.
24 Cfr. B.S. Rodgers, Divine Insinuation in the «Panegyrici latini», in Historia, 35 (1986), pp. 69-104.
25 N. Lenski, Evoking, cit.
26 Paneg. 4(10)17,1.
27 Nella lettera inviata al governatore della Numidia sulla controversia donatista, citata da Ottato di Milevi: cfr. app. 10, CSEL 26, pp. 214-215.
28 Paneg. 6(7)21,3-7. Sulla presenza del Sole nella monetazione costantiniana cfr. da ultimo S. Berrens, Sonnenkult und Kaisertum von den Severern bis zu Constantin I, Stuttgart 2004, pp. 150-162.
29 Paneg. 12(9)14,4; 12(9)16,2.
30 Paneg. 4(10)14,2-7.
31 Zos. II 16,2. Cfr. Zosime, I, cit., p. 220 nota 26.
32 Rufin., hist. IX 8,15.
33 Eus., v.C. I 40.
34 Cfr. M.R. Alföldi, Das Labarum auf römischen Münzen, in Stephanos nomismatikos. Edith Schönert zum 65. Gebursttag, hrsg. von U. Peter, Berlin 1998, pp. 1-21.
35 Eus., v.C. I 28.
36 Lact., mort. pers. 48; Eus., h.e. X 5,2-14. Quello riportato da Lattanzio ed Eusebio è evidentemente un testo inviato a un funzionario (presumibilmente un governatore provinciale), forse una circolare inviata ai governatori provinciali dei territori di Costantino e Licinio. Secondo la testimonianza di Lattanzio, Licinio lo invia al governatore della Bitinia non appena giunto a Nicomedia dopo la vittoria su Massimino a Campus Ergenus il 30 aprile 313. Dopo l’eliminazione di Massimino, presumibilmente la lettera sarà stata inviata agli altri governatori della parte orientale dell’Impero, e una di queste copie sarà stata conosciuta da Eusebio. La lettera fa riferimento ad accordi presi fra Costantino e Licinio a Milano, presumibilmente nel febbraio 313. Il risultato di questi accordi è stato, si può pensare, promulgato in forma di lettera ai governatori da Costantino e Licinio nei loro territori poco dopo l’incontro di Milano, prima comunque del suo invio al governatore della Bitinia dopo l’ingresso di Licinio a Nicomedia. Il testo che noi possediamo dell’editto di Milano riproduce (nel contenuto senza dubbio, ma in qualche misura anche nella forma) questa lettera, e forse in maniera più vicina il testo promulgato da Licinio.
37 Lact., mort. pers. 46,5-6.
38 Eus., h.e. IX 11,2.
39 Eus., h.e. X 4,60. Cfr. sulla datazione del discorso eusebiano le considerazioni di M. Amerise, Note sulla datazione del panegirico per l’inaugurazione della basilica di Tiro, in Adamantius, 14 (2008), pp. 229-234.
40 Cfr. F. Corsaro, Sogni e visioni nella teologia della vittoria di Costantino e Licinio, in Augustinianum, 29 (1989), pp. 333-349.
41 Cfr. V. Neri, Massenzio e Massimino coppia di tiranni (Eus. H.E. VIII, 14), in Adamantius, 14 (2008), pp. 207-217.
42 Aur. Vict., Caes. 41,2.
43 T.D. Barnes, Constantine, cit., p. 66. L’ipotesi di Barnes è accolta da J. Sasel, Senicio auctor insidiarum (Kommentar zu Anon. Vales. I, 13-15), in Lebendige Altertumswissenschaft. Festgabe H. Vetters, hrsg. von E. Ploeckinger, M. Bietak, Wien 1985, pp. 262-264.
44 I. König, Origo Constantini, cit., p. 115.
45 R.W. Burgess, The Chronicle of Hydatius and the Consularia Constantinopolitana, Oxford 1993.
46 Chron. Min. I 231.
47 P. Bruun, The Constantinian Coinage of Arelate, Helsinki 1953, pp. 15 segg.; Id., Studies in Constantinian Chronology, New York 1961.
48 Cfr. T.D. Barnes, Constantine, cit., pp. 66 segg.; Id., New Empire, cit., pp. 72-73; Zosime, cit., I, pp. 223-224 nota 29.
49 Cfr. D. Kienast, Das Bellum Cibalense und die Morde des Licinius, in Roma renascens. Beiträge zur Spätantike und Rezeptionsgeschichte. Ilona Opelt von ihren Freunden und Schülern in Verehrung gewidmet, hrsg. von M. Wissemann, Frankfurt 1988, pp. 149-171.
50 Cfr. R. Andreotti, Recenti contributi alla cronologia costantiniana, in Latomus, 23 (1964), pp. 537-555.
51 Aur. Vict., Caes. 41,2.
52 Zos., II 18,1.
53 Eutr.
54 Cfr. Zosime, cit., p. 223 nota 29. Paschoud richiama la stessa lezione Filippopoli nella Chronographia di Leone Grammatico, p. 85,8 Bonn. Il testo di Leone è però tutt’altro che preciso in questo capitolo e colloca a Filippopoli addirittura la battaglia decisiva del primo conflitto fra Costantino e Licinio.
55 Zos., II 19,1.
56 Zos.. II 19,2; Orig. 5,17; RIC VII, p. 644 nota 7; 706 nota p. 19.
57 Cfr. E. Stein, Histoire du Bas-Empire, I, Paris 1959, p. 95; I. König, Origo Constantini, cit., p.127.
58 Petr. Patr., Fr. 15 = FHG IV, p. 189.
59 Zos., II 20,2; Aur. Vict., Caes. 41,6.
60 Cfr. J.-P. Callu, Naissance de la dynastie constantinienne: le tournant de 314-316, in “Humana sapit”. Études d’antiquité tardive offertes à L. Cracco Ruggini, éd. par J.M. Carrié, R. Lizzi Testa, Turnhout 2002, pp. 111-120.
61 La data di nascita di Crispo è sconosciuta ed è collocata dagli studiosi tra il 300 e il 307.
62 Eus., h.e. X 8,8-19. Cfr. M.R. Cataudella, La persecuzione di Licinio e l’autenticità della Vita Constantini, in Athenaeum, n.s., 48 (1970), pp. 45-83, 229-250.
63 Zos., II 21.
64 Zosime, cit., p. 227 nota 31.
65 RIC VII, pp. 115, 135, 201-202; 262, 475.
66 T.D. Barnes, The victories of Constantine, in Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik, 20 (1976), p. 152; Id., New Empire, cit., p. 75.
67 Zos., II 22,5-7.
68 Zos., II 25,2.
69 Zos., II 26,1.
70 Anon. Vales., I 5,27.
71 Amm., XV 5,33.
72 Anon. Vales., I 5,29.
73 Eutr., X 6,1.
74 Anon. Vales., I 5,29.
75 Oros., hist. VII 28,19.
76 Aur. Vict., Caes. 41,2.
77 Aur. Vict., Caes. 41,3.
78 Aur. Vict., Caes. 40,15.
79 Cfr. V. Neri, Medius princeps, cit., pp. 19-24.
80 Eutr., X 4,3.
81 Cesare, dopo la vittoria nelle guerre civili, cominciò ad agire in maniera particolarmente priva di misura (VI 25: agere insolentius coepit); Costantino viene portato, dallo smarrimento della moderazione prodotto dai suoi successi, a deviare dalla sua amabile dolcezza (insolentia rerum secundarum […] ex illa faborabili animi docilitate mutavit).
82 G. Bonamente, Eutropio e la tradizione pagana su Costantino, in Studi storico-epigrafici in memoria di M. Zambelli, a cura di L. Gasperini, Roma 1978, pp. 25-26.
83 Eutr., X 4,2.
84 Eutr., X 5.
85 Cfr. V. Neri, Medius princeps, cit., pp. 105-107.
86 T.D. Barnes, The Epitome de Caesaribus and its Sources, in Classical Philology, 71 (1976), p. 267, ha giustamente messo in evidenza che la periodizzazione proposta dall’Epitome sembra alludere, con il richiamo al 316, allo scoppio del primo conflitto fra Costantino e Licinio.
87 epit. de Caes. 41,16. L’ultima parte del passo presenta difficoltà di traduzione e di interpretazione. Pupillus significa, infatti, orfano di padre in età minore, e pare incongruo mettere in rapporto questa denominazione con l’eccesso di spese. Al contrario, il pupillus è spesso descritto come esposto agli abusi del tutore, che può scialacquare il suo patrimonio. Si può, dunque, presumibilmente pensare a un’incomprensione del testo al quale attingeva da parte dell’autore dell’Epitome. Più comprensibile sembra, invece, il rapporto tra il termine latro e le spese smodate, le profusiones immodicae: Costantino spende, secondo il testo, nell’ultima parte del suo regno le ricchezze che aveva depredato.
88 Cfr. V. Neri, Le fonti della Vita di Costantino nell’Epitome de Caesaribus, in Rivista Storica dell’Antichità, 17-18 (1987-1988), pp. 249-280.
89 Zos., II 18,1.
90 epit. de Caes. 41,21: latrocinii specie dum […] in aliena inruit (scil. nei territori del fratello Costante).
91 epit. de Caes. 41,11.
92 Aur. Vict., Caes. 40,15.
93 Amm., XXI 16,13.
94 epit. de Caes. 41,11.
95 epit. de Caes. 46,1.
96 epit. de Caes. 48,6-7.
97 R. Cristofoli, Costantino e l’Oratio ad sanctorum coetum, Napoli 2005. Dello stesso autore si veda inoltre il contributo in quest’opera: L’orazione ad sanctorum coetum. Un imperatore cristiano alla ricerca del consenso. Cfr. anche M.J. Edwards, Notes on the date and venue of the «Oration to the Saints» (CPG 3497), in Byzantion, 77 (2007), pp. 149-169; T.D. Barnes, Constantine’s «Speech to the Assembly of the Saints»: Place and Date of Delivery, in Journal of Theological Studies, n.s., 52, pp. 26-36; H.A. Drake, Policy and Belief in Constantine’s Oration on the Saints, in Studia patristica, 19 (1989), pp. 43-51; S. Mazzarino, Antico, tardo antico, cit., pp. 105 segg.
98 Const., or. s.c. 25,4.
99 Cfr. G. Zecchini, S. Ambrogio e le origini del motivo della vittoria incruenta, in Rivista di Storia della Chiesa in Italia, 38 (1984), pp. 391-404.
100 Eus., h.e. IX 9; v.C. I 38.
101 Zos., II 51,1.
102 Eutr., X 12,1; Epit. de Caes. 42,4.
103 Eutr., X 9,3.
104 Paneg. 2(12)46,1.
105 Amm., XVI 10,1. Cfr. D. Vera, La polemica contro l’abuso imperiale del trionfo. Rapporti fra ideologia, economia e propaganda nel Basso Impero, in Rivista storica dell’antichità, 10 (1980), pp. 89-132.
106 Oros., hist. VII 35,2.
107 Oros., hist. VII 35,6.
108 Oros., hist. VII 22,7.
109 h.A. Heliog. 35,6-7. Cfr. V. Neri, Medius princeps, cit., pp. 300-302.
110 h.A. Pesc. Nig. 12,8.
111 h.A. Sev. 9,11.
112 Cfr. A.R. Birley, Septimius Severus, the African emperor, London 1971, pp. 172-188.
113 h.A. Heliog. 34,4-5.
114 Eus., h.e. VIII 14. Cfr. V. Neri, Massenzio e Massimino, cit.
115 Rufin., hist. VIII 14,16.
116 Rufin., hist. X 8,2.
117 Oros., hist. VII 26,1. Cfr. N. Baglivi, Costantino I nelle Historiae adversus paganos di Paolo Orosio, in Orpheus, n.s., 10 (1989), pp. 313-334.
118 Oros., hist. VII 28,3.
119 Aug., civ. V, 25-26. Cfr. J. Szidat, Constantin bei Augustin, in Revue des Études augustiniennes, 36 (1990), pp. 243-256.
120 Cfr. V. Neri, La figura di Costantino negli scrittori latini cristiani dell’età onoriana, in Simblos. Scritti di storia antica, a cura di L. Criscuolo, G. Geraci, C. Salvaterra, Bologna 1995, pp. 248-252.