Costantino e le crociate
L’eredità costantiniana nella costruzione dell’ideologia delle crociate
Molti sono gli intrecci esistenti dopo il Mille tra la figura e il mito di Costantino e quell’articolato fenomeno che sono state le crociate. Si devono dapprima chiarire i termini del rapporto, per poi evidenziare – a partire dai dati storici più stabili in quei giganteschi cantieri di ricerca che sono lo studio del fenomeno Costantino e di quello crociato – alcune strutture ideologiche e teologiche che permettono di comprendere come l’eredità costantiniana sia stata, direttamente o indirettamente, significativa per la ‘crociata’. In altri termini per prima cosa, si cercherà di capire chi è e soprattutto che cosa rappresenta Costantino per i primi secoli del secondo millennio occidentale, per poi riflettere su che cosa hanno significato le crociate in quegli anni e in quella regione del mondo1. In maniera particolare ci si interrogherà sul contesto ideologico – e teologico – entro il quale hanno potuto essere concepite e attuate le spedizioni crociate, pur tenendo conto delle loro molteplici differenziazioni interne. Lo studio di queste due questioni può fornire alcuni elementi di risposta a una terza domanda, che riguarda le istanze e i riferimenti teologici presenti nel modo in cui le crociate elaborano, in maniera diretta e più spesso indiretta, le eredità costantiniane. La tradizione costantiniana ha permesso una sorta di rilettura profonda di alcuni elementi centrali del patrimonio cristiano, che ha consentito di supportare ideologicamente e teologicamente le crociate, intese come pellegrinaggi armati che divenivano vere e proprie guerre combattute dal ‘popolo cristiano’ in quanto le si riteneva volute, benedette e condotte da Dio stesso: Deo auctore.
La figura di Costantino si colloca all’inizio di quel complesso processo che ha portato a un profondo ripensamento del rapporto tra il cristianesimo e il mondo circostante2 e del rapporto tra lo stesso cristianesimo e il potere politico3, nella fattispecie il potere nella sua forma imperiale4. La strutturazione dell’idea e della realtà di un impero cristiano inizia con l’editto di Milano del 313 e la successiva legislazione di Teodosio. I cristiani passano progressivamente dall’essere un’entità religiosa e civile tra le altre fino a divenire coloro che, a vari livelli, esercitano il potere. Prima del IV secolo i cristiani hanno goduto di periodi di relativa tranquillità, potendo consolidare la propria presenza all’interno della civiltà antica fino a costituire, all’inizio del IV secolo, una percentuale non del tutto indifferente della popolazione, con un buon radicamento in diverse città e un’ottima rete di rapporti e scambi ecclesiali. Avevano inoltre assunto una strutturazione gerarchica suddivisa in diocesi, ognuna delle quali era organizzata intorno alla figura del vescovo e al tripartito ministero dell’ordine sacro (vescovi, presbiteri, diaconi). Tale quadro muta profondamente con i processi avviati da Costantino e Teodosio5. Per capire il cambiamento di orizzonti legato alla «progressiva integrazione della struttura della Chiesa in quella dell’Impero»6 basta ricordare, come esempi, il percorso dell’episcopato, con l’ampliamento delle sue funzioni e la campagna di edificazione delle città e degli edifici di culto. Il grado più alto del ministero dell’ordine, con la nuova situazione creatasi nel IV secolo, inizia ad assumere un ruolo civile che avrà conseguenze durature, e tale rapporto con il potere politico muta, almeno in parte, il ruolo della funzione episcopale7. Basti ricordare l’episodio emblematico in cui Costantino, nel 325, ricevette i vescovi chiamandoli, con un termine politico non anodino, ‘amici’ e descrivendo sé stesso come episcopos ton ektos («vescovo degli affari esterni»). In tale quadro, in cui l’imperatore acquisisce un ruolo ecclesiale specifico, si può osservare come a loro volta i vescovi della Chiesa vengano, progressivamente e a vario titolo, inglobati nell’amministrazione civile con l’assegnazione di funzioni pubbliche, politiche e giudiziarie. Osservando l’itinerario dell’episcopato si assiste all’inizio di un complesso processo di osmosi in cui la Chiesa, protetta dall’Impero, va assumendo ruoli civili e nel contempo viene influenzata dalle stesse strutture imperiali8.
Il ripensamento degli assetti dell’Impero e della Chiesa è riscontrabile anche al livello delle politiche edilizie. Si avvia, infatti, la costruzione di una serie di edifici sacri e di imponenti chiese, di cui la basilica del Laterano è la prima in ordine cronologico9. In tale quadro di risimbolizzazione complessiva delle istituzioni e dei luoghi, Costantinopoli diviene la capitale dell’Impero cristiano10 e si avvia la cristianizzazione di Gerusalemme e della Terrasanta. Quella che negli ultimi secoli era stata Aelia Capitolina torna a essere Gerusalemme, la città in cui ha avuto luogo la vicenda salvifica decisiva per il cristianesimo. La Gerusalemme terrestre torna a essere significativa nella riflessione dei credenti e diviene città cristiana importantissima per la nuova entità imperiale, che vive di un’osmosi inedita per il mondo cristiano tra strutture civili, politiche e religiose. Il lungo processo, che porterà i crociati a desiderare con tutte le forze di giungere alla città del Salvatore e al suo santo sepolcro in rappresentanza dell’intero popolo cristiano, inizia con l’operato di Costantino, di sua madre Elena e con la correlativa mitologia narrativa e simbolica.
Con Costantino è possibile iniziare a concepire l’idea di un impero qualificato come cristiano e di una Chiesa inserita sempre più organicamente nell’Impero11 che presenta, così, elementi del tutto nuovi rispetto all’esperienza e alla riflessione del Nuovo Testamento e delle prime comunità cristiane12. Per avvedersene basta osservare le profonde differenze di interpretazione del rapporto tra il cristianesimo e gli assetti politici e civili che emergono quando si leggono in parallelo la storia della Chiesa nascente narrata negli Atti degli apostoli nel Nuovo Testamento13 e la monumentale opera di Eusebio, vescovo di Cesarea, che, poco più di due secoli dopo, scrive la Storia ecclesiastica.
Tale processo, che si sviluppa nei secoli successivi e che si differenzia tra Oriente e Occidente, ha uno sviluppo del tutto particolare nei primi secoli del secondo millennio dell’Occidente europeo, in corrispondenza della riforma gregoriana14. In tale quadro prende corpo, infatti, una lotta tra il potere sacerdotale – il sacerdotium – e il potere politico – il regnum – che è resa evidente e plastica dalla tensione esistente tra il papato e i vari imperatori di turno. Tale campo di tensione può essere segnalato nel suo inizio con la lotta per le investiture e inquadrato in relazione al movimento della riforma gregoriana. Il processo è così profondo che per alcuni autori il tentativo del papa di sganciare la propria autorità e potestas dal potere politico – producendo quindi l’avvio di una permanente tensione all’interno del mondo cristiano occidentale – è una sorta di rivoluzione, la cosiddetta rivoluzione papale15. Essa è tale che diverrebbe per diversi autori la prima della storia europea16, costituendo una sorta di imprinting per lo sviluppo, del tutto singolare, del rapporto tra il potere legato al mondo del sacro e del religioso e quello legato alla sfera politica17. Non si entra qui nel vasto problema costituito da tale questione18, dalla riforma gregoriana e dalla lotta per le investiture, ma, tra l’XI e il XII secolo, il dualismo introdotto dal cristianesimo nella storia già al suo apparire si coagula, per la prima volta, in un chiaro dualismo istituzionale con la formazione di due poli ognuno dei quali appare dotato di strutture di potere e di un sistema giuridico in divenire. Non si tratta tanto della formazione di un modello di gestione del potere che dall’ambito ecclesiastico si proietta, secolarizzandosi, sul politico, quanto della nascita di una tensione concorrenziale tra due poli ognuno dei quali tende all’egemonia nella gestione di una cristianità che è, però, ancora concepita e sentita come unitaria.
È pertanto comprensibile il riferimento che gli autori medievali fanno a Costantino proprio nel momento – i secoli dall’XI al XIII – in cui i due poteri entrando in contatto instaurano un processo di profonda osmosi19. In proposito è stato attentamente dimostrato come il mito di Costantino abbia conosciuto in Occidente i suoi momenti di più importante creatività proprio in relazione alle tappe di sviluppo del pensiero politico, delle mutazioni dell’Impero e, in generale, degli assetti del potere20. Durante il Medioevo si alimenta, così, una rappresentazione di Costantino in cui giocano un ruolo decisivo diversi elementi, simbolici e non21, che aiutano a cogliere l’importanza della tradizione costantiniana nei primi tre secoli del secondo millennio e, quindi, il tipo di influsso sul fenomeno crociato22. Se ne ricordano alcuni.
In primo luogo la rappresentazione dell’imperatore cristiano con tutto quanto attiene alla dichiarazione della liceità del cristianesimo e all’uso dell’immaginario della croce in relazione al racconto di quanto avvenuto nella sua vittoria presso Roma. Nella traduzione latina che Rufino fa della Storia Ecclesiastica di Eusebio gli uomini medievali leggono che, durante la battaglia di ponte Milvio contro Massenzio, in sogno il giovane generale Costantino ha una visione di un angelo che mostrandogli la croce afferma: «In hoc signo vinces». Tale apparizione inaugura un nuovo potente vessillo, la croce, e una nuova divinità protettrice e vittoriosa, il Cristo. A questa narrazione, che mostra Costantino come il modello dell’uomo d’armi cristiano – miles christianus –, si connette l’importanza del ritrovamento, in una grotta del complesso del Santo Sepolcro, della reliquia della santa croce da parte della madre di Costantino, la regina Elena23. È in proposito difficile esagerare l’importanza, simbolica, ideologica e strategica, dell’uso e della raffigurazione di tale reliquia della santa croce nel Medioevo e nelle vicende delle prime crociate24. In proposito John Cowdrey ha mostrato bene l’influenza del rapporto che il papato intrattiene con Costantino, le reliquie della croce e la genesi della predicazione della prima crociata. Tale rapporto acquisisce un significato del tutto particolare nel momento in cui l’imperatore d’Oriente chiede durante il concilio di Piacenza aiuto al papa e ai cristiani d’Occidente per la città di Costantinopoli minacciata dai pagani25.
In secondo luogo va ricordato che, accanto alla non troppo nota narrazione ufficiale della Vita Constantini di Eusebio di Cesarea, nel Medioevo si diffonde prevalentemente la biografia contenuta nei Gesta sancti Silvestri papae, che confluirà nella Leggenda aurea di Iacopo da Varazze. In tale versione – che è contenuta nella prima parte del Constitutum Constantini26 – il battesimo di Costantino avviene nella vasca del battistero della basilica Lateranense per mano di papa Silvestro dopo una visione da parte di Costantino degli apostoli Pietro e Paolo che invitano l’imperatore a rivolgersi al papa per la guarigione. In tale racconto il battesimo segnala la conversione di Costantino che guarisce dalla lebbra e dalla condizione di persecutore dei cristiani – questo aspetto della attività di persecuzione, prima della conversione, non è però presente in tutte le versioni –, e, da uomo dedito ai culti idolatri diviene colui che governa in nome della religione cristiana. Questa versione, che si differenzia dalla versione di Eusebio, per il quale Costantino viene battezzato prima di morire da un vescovo ariano, permette al racconto di sottolineare, pur all’interno della tensione tra i due poteri testimoniata dalle diverse e molteplici rappresentazioni del racconto, l’importanza del ruolo della sede apostolica romana e l’autorità del papato, simboleggiati dal complesso del Laterano a Roma27 e dalle reliquie ivi contenute28. Gli Actus Silvestri vengono significativamente definiti da Cowdrey la «Costantinian foundation legend of Christian Rome»29.
Un terzo elemento riguarda l’uso della figura di Costantino in chiave legittimante nella disputa ideologica tra il papato e l’Impero, uso che ha trovato sin dall’epoca carolingia alcuni presupposti simbolici e ideologici. È infatti in questo periodo che viene realizzata, in ambiente pontificio, la Donatio Constantini30, che costituisce la seconda parte del Constitutum Constantini. Si tratta di un falso documento, che si faceva risalire all’età costantiniana e che, sviluppando il racconto di san Silvestro, fa seguire al battesimo di Costantino, come manifestazione della sua gratitudine per la guarigione ottenuta e quindi la cessione al vescovo di Roma di ogni diritto a regnare sui territori dell’Occidente cristiano. L’imperatore dona il palazzo del Laterano e, ritirandosi a Costantinopoli, cede a papa Silvestro e ai suoi successori l’Italia e le province occidentali dell’Impero insieme con la possibilità di usare le insegne della sovranità imperiale31. In tale testo Costantino viene presentato come colui che esalta le prerogative, spirituali e temporali, della Chiesa di Roma attraverso una donazione che rimane valida «sino alla fine del mondo». A questo documento vanno connesse le Decretales Pseudo-Isidorianae – anch’esse composte all’incirca nel IX secolo e attribuite ai papi dell’età antica –, in cui si vuole mostrare il comportamento esemplare di Costantino al concilio di Nicea, dove l’imperatore rende il clero non giudicabile dai tribunali civili lasciando intravedere la prospettiva della libertà e dell’indipendenza della Chiesa32, così importante in età gregoriana. L’uso ideologico di tali documenti in un contesto in cui vari imperatori, tra cui Carlo Magno, Ottone I e Federico Barbarossa, si sono definiti, in maniera differente, in relazione all’Impero cristiano di Costantino è tutt’altro che secondario33. In particolare la donazione di Costantino incide non poco sui tentativi di indipendenza del potere religioso da quello politico. Tale atto, infatti, può servire come sostegno non solo all’indipendenza, ma anche alle tentazioni teocratiche del papato, che si manifestano nella seconda metà del XIII secolo con il tentativo di una progressiva invasione del campo del potere temporale da parte del papa34. Ad esempio, nel ciclo narrativo della donazione vengono aggiunte, a livello delle rappresentazioni figurative, le scene in cui Costantino, oltre al documento, dona al papa la tiara, simbolo del potere imperiale e temporale, oppure lo stesso imperatore viene rappresentato come colui che tiene le briglie del cavallo del papa, compiendo così l’officium stratoris, un chiaro segnale di vassallaggio del potere temporale verso il potere papale35.
Un quarto elemento che si connette in modo diretto al dato precedente riguarda la relazione tra Costantino, il primo imperatore cristiano, e gli altri imperatori che nel corso dei tempi a lui si riferiscono idealmente. Tra i compiti imperiali vi è quello di essere difensori della Chiesa e dell’intera cristianità. In proposito sono rilevanti le rappresentazioni della leggendaria crociata di Carlo Magno a Costantinopoli e a Gerusalemme. L’idea che l’Impero cristiano nasca con Costantino e che la figura dell’imperatore, custode della cristianità e nemico dei suoi nemici, sia impersonata da diversi imperatori che, a vario titolo e in virtù del modello della translatio36, sono rappresentati come ‘novelli Costantini’ è significativa per comprendere l’importanza del riferimento costantiniano nei secoli che hanno visto dapprima porre le basi, e poi lo sviluppo effettivo delle crociate37. A questo va aggiunto che la svolta di Costantino rende possibile per i cristiani, e per gli eserciti che si definiscono tali, lo sviluppo di un nuovo atteggiamento nei confronti della guerra, dell’uso della violenza e della pace38: nuova concezione che in concomitanza con il fenomeno delle crociate giunge a una maturazione del tutto specifica39.
La questione di che cosa sia stata veramente una crociata40 e a quali realtà possa essere applicato legittimamente il termine ‘crociata’41 è stata negli ultimi centoventi anni al centro di un acuto dibattito storiografico che è tutt’ora in corso42 e che si sofferma, ad esempio, sui tempi, i momenti, le motivazioni, le fonti storiche del fenomeno ‘crociata’43. Lo stesso Medioevo, d’altronde, non sviluppa un concetto chiaro e univoco di crociata: essa è una e molteplice. Il termine, correlato a un quadro lessicale decisamente ampio44, si sviluppa tardivamente45, di conseguenza le sue interpretazioni storiografiche sono differenziate. Anche recentemente c’è chi ha sostenuto in maniera quasi provocatoria, ma non senza fondamento, che l’idea e il mito della crociata siano nati da un nucleo cronachistico di autori che hanno scritto solo dopo la presa di Gerusalemme del 1099, e che a loro volta tali contenuti siano stati, diverse volte, ripresi e ripensati46. Quando si parla di crociata bisogna stare, dunque, attenti alla complessità del fenomeno nel periodo medievale e al mito storiografico che ormai avviluppa il concetto. Il termine può, infatti, essere applicato a eventi e imprese che differiscono per quadro cronologico, destinazione geografica, modalità attuative e motivazioni – storiche, istituzionali, religiose – originanti47.
In questa sede è importante rilevare alcuni elementi che hanno costituito il quadro evenemenziale e ideologico di fondo del fenomeno crociata, nella consapevolezza che esso ha luogo nell’Occidente europeo cristiano nei primi secoli dopo l’avvio del secondo millennio. La crociata, malgrado alcuni tratti importanti la accomunino ad altri modelli di guerre in nome di Dio avvenute nel passato e persino nel presente, va essenzialmente compresa in una relazione del tutto specifica con lo sviluppo delle strutture centrali – istituzionali e antropologiche – della società cristiana medievale europea48. Il termine crociata in questo studio indica pertanto quel movimento che alla fine dell’XI secolo, radicandosi nella riflessione e prassi dei secoli precedenti, inizia nel cristianesimo occidentale. Essa è intesa come un pellegrinaggio verso le terre originarie del cristianesimo che comprende al suo interno anche la liberazione della Terrasanta e, almeno nelle fasi iniziali, l’aiuto alle Chiese d’Oriente minacciate dalle forze islamiche. Si prendano come punti di riferimento cronologici orientativi – e del tutto tradizionali – la predicazione, nel 1095, di Urbano II al concilio di Clermont e la presa di San Giovanni d’Acri – l’odierna Acco – da parte dell’esercito dei mamelucchi nel 1291, che segna la fine di una stabile presenza crociata in Palestina. Il quadro è, quindi, quello delle crociate dei primi tre secoli del secondo millennio, anche se lo sviluppo del fenomeno e del mito crociata può essere rintracciato ancora molti secoli dopo49. In questa analisi si assume una prospettiva complessiva, sapendo non solo che il termine crociata è tardivo, ma anche che le stesse fonti hanno subito spesso una sorta di «theological refinement»50 e, soprattutto, che le prospettive delle singole imprese crociate non sempre sono facilmente radunabili sotto un minimo comun denominatore. Consapevoli di tale problema metodologico, sosteniamo che la crociata può essere generalmente intesa in relazione alla chiamata autorevole del papa e al voto che chi intraprende questo tipo di impresa assume: voto che non è disgiunto dalle dimensioni penitenziali e indulgenziali connesse all’invito del papa. Le crociate sono state una forma del tutto particolare di pellegrinaggio: un pellegrinaggio con le armi. Si tratta, cioè, primariamente di un itinerario di peregrinazione che intende raggiungere un luogo santo per motivi ascetici e penitenziali. A tale intento si connette, in maniera non estrinseca, la disponibilità per i più a combattere in una impresa militare che assume i tratti di una particolarissima guerra santa in nome di Dio51. È significativo che nelle fonti contemporanee, almeno per le prime tre crociate, coloro che partono per l’Oriente possano essere chiamati in maniera equivalente peregrini, bellatores Domini oppure milites Christi. In molti testi i confini tra il pellegrinaggio e la crociata si fanno labili, la crociata è un tipo di pellegrinaggio armato52. Per quanto riguarda l’aspetto bellico va aggiunto che la crociata è servita anche come estroversione delle forze belliche, in quanto dirigere i cavalieri e i combattenti fuori dall’Europa ha anche il significato di allentare la tensione bellica interna. In ciò la crociata non può essere disgiunta dal desiderio di pacificazione interna dell’Europa occidentale e, pur nel rispetto delle articolazioni storiche, va collegata al precedente movimento delle paci e tregue di Dio. Malgrado la forma del pellegrinaggio e la dimensione penitenziale, nella loro organica connessione all’aspetto bellico, siano state all’inizio dirette essenzialmente verso la Terrasanta, tale dimensione ha potuto essere applicata anche ad altri luoghi e circostanze53. Anche se la crociata nel Vicino Oriente è stata, per così dire, la forma base e nelle sue varie modalità ha dato corpo alla crociata come sforzo di liberazione del santo sepolcro, essa può essere combattuta non solo in Oriente e non solo contro i musulmani, ma anche contro i non cristiani o addirittura i cristiani stessi, quando essi siano riconosciuti come eretici, scismatici o politicamente avversi al papato.
Assodato che le crociate non possono più essere intese come una forma iniziale di espansione politica o economica europea, si ritiene che, tenuto conto delle differenze interne delle varie imprese con la correlativa difficoltà di una loro classificazione, sia persuasiva l’ipotesi che esse facciano parte di un articolato processo di cristianizzazione e complessiva ristrutturazione interna dell’Europa occidentale54 a cui si connettono, ad esempio, il processo di rilettura cristiana della cavalleria55 o la tensione tra il papato riformatore e l’Impero. Vi sono numerosi segnali56 che permettono di comprendere le crociate – pur all’interno di forti diversità regionali – come un fattore importante della creazione di quell’entità unitaria, politica, culturale e religiosa, descrivibile con il nome di christianitas. Dove per christianitas si intende quel modo di concepire la connessione tra spazio ecclesiale, religioso, sociale e civile al fine di costituire un tutto intenzionalmente omogeneo, descritto come societas christiana57:
È un cristianesimo che si pone al tempo stesso come religione non solo lecita, ma altresì dominante, se non unica, nella società in cui è professato e che, assolvendo a tutte le funzioni che competono a una istituzione religiosa che voglia fornire identità a un gruppo sociale, dà vita ad un tessuto connettivo, la cristianità appunto, che non è semplicemente identico alla Chiesa, concepita come istituzione di salvezza, né allo Stato58.
Per comprendere l’idea di christianitas bisogna quindi essere consapevoli che non si tratta di una situazione consolidata e immobile, ma si tratta piuttosto di un campo di forze tra loro in permanente tensione. Nondimeno il sintagma ‘popolo cristiano’ traduce in questo periodo dall’XI al XIII secolo una comprensione della Chiesa in termini non solo di comunità credente o di communio sanctorum, ma appunto di cristianità, laddove il popolo nella sua identità propria e nella sua configurazione sia sociale che culturale è pensato come un’unità a matrice cristiana59. Il tema è complesso. Qui basta ricordare come la christianitas si articoli intorno al concetto di ordo. Vi è alla sua base il desiderio di instaurazione di un ordine cristiano della società in tutti i suoi aspetti. Il complesso della vita umana, con le relative strutture e istituzioni, viene pensato come un insieme strutturato, un sistema in cui per ogni realtà si ha una collocazione propria. La connessione tra la maturazione di tale prospettiva e l’emergere del fenomeno delle crociate non è affatto casuale: «le crociate appartengono alla nascita del mondo occidentale, alla cristianità o società medievale»60. La novità delle crociate non è infatti tanto la collocazione della guerra all’interno di un contesto religioso o in relazione a motivi ideali, quanto il fatto che l’Occidente cristiano – pur nelle forti tensioni interne tra papato e Impero, tra autorità centrali e locali, tra istanze unitarie e potenze regionali, a cui va aggiunto il complicato rapporto tra latinitas61 e Chiese orientali62 – si muove insieme per una serie di azioni di guerra percepite come corrispondenti a una trama unitaria che coinvolge tutti i cristiani occidentali63. Il processo è bidirezionale: non solo la rappresentazione della cristianità è all’origine di questa mobilitazione, ma tale impresa contribuisce a fornire una identità unitaria al popolo cristiano nell’Occidente. Un esempio di ciò potrebbe essere rintracciato nelle riflessioni successive alle molte sconfitte dell’impresa dei crociati. In tali esempi la causa della sconfitta spesso è ricondotta non solo ai peccati dei capi o dei soldati che hanno partecipato all’impresa, ma anche ai peccati e all’infedeltà dell’intera cristianità, che viene così rappresentata come una realtà unitaria impegnata64. In termini elementari si potrebbe dire che le crociate testimoniano insieme ad altri fenomeni – politici, spirituali, antropologici – l’emersione di un ‘noi’ cristiano nell’Europa occidentale65, e perciò è in tale complesso contesto che esse possono essere adeguatamente interpretate66. Se pertanto la crociata va compresa in questo quadro, è utile individuare alcune delle strutture teologiche e ideologiche che ne hanno sostenuto la vicenda e le rappresentazioni67. È proprio a questo livello che il mito e la correlativa tradizione risalente a Costantino sono maggiormente significativi e determinanti68.
Al concilio di Clermont nell’inverno del 1095 Urbano II chiama i cavalieri a soccorrere le Chiese orientali e a recuperare la Terrasanta e, in particolare, Gerusalemme. L’appello, nelle sue varie versioni, configura nel contempo una sorta di fusione tra una missione armata e un pellegrinaggio a cui viene connessa una dimensione penitenziale e, quindi, un’indulgenza. Essa si presenta come una occasione di possibile ricucitura dopo la separazione formale del 1054 dalle Chiese orientali, senza nel contempo perdere le prerogative e le istanze portate avanti dalla riforma gregoriana. Tale nuova impresa – novità di cui sono consapevoli i contemporanei – implica una rilettura dell’insegnamento tradizionale di Agostino sulla guerra giusta, uno sviluppo del dovere, da parte del potere temporale, di difendere la Chiesa e la cristianità dai suoi nemici, e, inoltre, si sviluppa ulteriormente l’idea che la Chiesa possa, in determinati casi, indire, organizzare e partecipare a una attività di guerra69.
Nei testi di Urbano II, in relazione allo sviluppo positivo della Reconquista in Spagna, emerge una convinzione di natura spirituale e messianica: la persuasione, cioè, di trovarsi in tempi specifici in cui Dio – secondo una determinata interpretazione del profeta Daniele al capitolo secondo – ha stabilito un momento favorevole per il proprio popolo: «Egli alterna i tempi e le stagioni, depone i re e li innalza»70. Questo è il tempo in cui Dio si è di nuovo volto verso i cristiani. Tale convinzione è presente anche in diverse cronache delle prime crociate71. Le battaglie contro gli avversari musulmani non sono semplici episodi di scontro tra popoli e civiltà differenti, quanto piuttosto eventi collocabili in una lettura teologica della storia in corso. Appena lanciata la prima crociata Urbano II scrive, nel 1098, al vescovo spagnolo di Huesca: «Nostris siquidem diebus in Asia Turcos, in Europa Mauros Christianorum viribus debellavit», dove il soggetto di «debellavit» è il Dio cristiano. Il noto grido di battaglia «Dio lo vuole» mostra che i crociati sono convinti di muoversi secondo i piani di Dio. Essi lavorano per ridare al loro Signore la sua eredità – la Terrasanta e Gerusalemme –, che è stata abusivamente occupata dagli infedeli. La stessa crisi che sopravviene con le prime cogenti sconfitte mostra che queste non si sono verificate a causa della non corrispondenza della crociata alle intenzioni di Dio, quanto per il modo peccaminoso con cui si porta avanti il suo piano. La sconfitta non mette, cioè, in discussione la correttezza teologica della crociata con il correlativo e necessario sostegno divino, ma l’infedeltà dei suoi attori umani – exigentibus peccatis. In tale quadro la crociata fallisce, dunque, per l’infedeltà al voto assunto o per l’assenza di purezza, con la conseguente perdita del favore e del sostegno di Dio72. Sono innumerevoli i testi – tra cui si ricorda l’opera storica di Guiberto di Nogent Gesta Dei per Francos – nei quali emerge la consapevolezza di agire mossi dal volere di Dio. Il fatto che Dio combatta per un ‘noi’ cristiano è frutto di una svolta temporale e teologica che ha come conseguenza un profondo ripensamento a livello del diritto. La discussione canonistica dell’XI e del XII secolo interpreta, infatti, il fenomeno della crociata attraverso una complessa rilettura dell’insegnamento agostiniano intorno alla guerra fatta su comando di Dio, o almeno da lui autorizzata73. In tale prospettiva divengono fondamentali la lettura e l’attualizzazione di molte pagine dell’Antico Testamento in cui Dio è, direttamente o indirettamente, autore delle guerre del suo popolo, il cui esercito diviene così, secondo l’espressione di diverse cronache delle crociate, exercitus Dei o militia Dei.
La crociata è pensata come un appello mediato dal papato, ma proveniente direttamente da Dio. È Dio che, nella sua bontà, avrebbe, in un determinato tempo della storia, predisposto questo nuovo mezzo di salvezza. Uno dei testi più eloquenti in proposito è la lettera 363 di Bernardo di Chiaravalle, in cui dapprima egli mostra la consapevolezza di essere in un tempo storico salvifico specifico, e poi indica la propria comprensione della crociata come mezzo di salvezza voluto da Dio:
Ecco ora un tempo adatto, ecco ora giorni che promettono larghe speranze di salvezza. «S’è smossa e ha tremato la terra», perché il Dio del cielo ha cominciato a perdere la terra sua. La sua, dico […]. Che abbiamo dunque da pensare, fratelli? Forse s’è accorciata la mano del Signore, o è divenuta impotente a salvarci, poiché a proteggere e restituire a Sé la sua eredità invoca vermiciattoli come noi? Che non può mandare più di dodici legioni di angeli, o servirsi certamente d’una sola parola, sì che la terra sarà liberata? Gliene è completamente a disposizione il potere, se vuole; ma vi dico, il vostro Signore vuol metterci alla prova. Si volge a guardare i figli degli uomini, se vi sia per caso chi capisca e s’impegni e s’affligga della vicenda che lo riguarda. Ha misericordia Dio del suo popolo e a chi è gravemente caduto offe un salutare rimedio [providet remedium salutare]. Considerate di quale grande espediente egli si serve per salvarvi [ad salvandos vos artificio utitur]74.
Se Dio mette a disposizione tale rimedio di salvezza e remissione dei peccati, al crociato si chiede di rispondere a questo appello con cui Dio si mette di nuovo dalla parte della cristianità, di porsi al servizio di Dio come discepolo di Cristo e di essere disposto a dare la propria vita per Dio e per i propri fratelli. La crociata, attraverso alcune riletture (decurtanti e depauperanti) del Vangelo, del Nuovo Testamento e dell’intera tradizione cristiana, può essere descritta come un atto d’amore, una delle forme più alte di esercizio della carità cristiana75. In tal senso si comprende come l’intraprendere l’iter verso Gerusalemme, o successivamente verso altre destinazioni, sia dall’inizio associato a un voto solenne – votum o votum eundi –, con cui si manifesta l’intenzione di prendere la croce e di partecipare all’impresa crociata76. Dal voto si può essere liberati, con una commutazione, attraverso l’assunzione di un impegno equivalente. Tale permesso viene fornito dalla curia pontificia, che nel Duecento viene ad assumere un potere sempre più marcato proprio attraverso la gestione dei voti dei crociati e delle commutazioni: strumento con cui si manifesta da parte del papato, nel quadro dello sviluppo della riforma gregoriana, una crescente volontà di protagonismo e di gestione – religiosa, politica ed economica – delle imprese crociate77. Senza entrare nella questione delle crociate intese come strumento della monarchia papale, è qui importante sottolineare come il voto indichi, almeno agli inizi, l’importanza dell’intenzione religiosa di chi intraprende il pellegrinaggio armato. Tale intenzione del crociato risulta infatti determinante. L’indulgenza e l’effettivo valore penitenziale della crociata sono garantite solo se chi si pone nell’iter verso la Terrasanta è nel suo animo disposto secondo tali sentimenti e intendimenti78. Già a Clermont l’indulgenza viene descritta come corrispondente alla penitenza per i propri peccati. La crociata lentamente assume, così, un posto significativo nell’impianto sacramentale penitenziale e può valere come adempimento della penitenza imposta dall’autorità della Chiesa per i propri peccati. Si assiste a una rivoluzione che, va ricordato, sviluppa un processo già iniziato da tempo, dai secoli della svolta costantiniana79: il portare armi, il partecipare alla guerra divengono non solo attività compatibili con la penitenza e il movimento di profondo ritorno a Dio, ma, a determinate condizioni, esse sono atto meritorio80. Lo sviluppo del tema teologico e morale dell’intenzione – in cui ciò che è veramente determinante è l’intentio del soggetto – permette progressivamente di intendere l’impresa di guerra come un atto buono, con cui il crociato rinnega se stesso, si converte, si pone sulla via di Cristo come suo discepolo e intraprende un percorso in vista della redenzione dei propri peccati. Urbano II afferma a Clermont: «A ogni persona che abbia preso la via di Gerusalemme con l’intenzione di liberare la Chiesa di Dio, per spirito religioso e non per averne onore e denaro, sarà riconosciuto come atto di penitenza – pro omni penitentia – il viaggio che fa»81. Nelle parole del papa ciò che fa la differenza è l’intenzione penitenziale e religiosa di colui che prende la via di Gerusalemme. Il problema è, quindi, il motivo per il quale si compie questo pellegrinaggio armato. Per quanto riguarda l’uccidere in guerra, con la prima crociata si va compiendo «fra i cristiani un profondissimo cambiamento di mentalità»82. L’evoluzione del tema dell’uccisione – e dell’essere uccisi83 – è rivelativa. Si assiste qui a un grande cambiamento teorico: ancora nell’XI secolo chi, partecipando a una guerra giusta e legittima, uccide un nemico deve venire comunque sottoposto a penitenza perché sparge sangue e uccide un’immagine di Dio nel mondo84, mentre con le crociate la partecipazione alla guerra e l’uccisione del nemico non solo sono derubricate dai peccati bisognosi, in qualche maniera, di penitenza, ma divengono esse stesse atti penitenziali e meritori85. Vi sono diversi testi in cui proprio l’aspetto bellico, le fatiche e il rischio della vita rappresentano lo specifico apporto penitenziale della crociata86. Per alcuni autori tale dimensione delle crociate come un atto, personale e collettivo, di penitenza in vista della remissione dei peccati è uno dei tratti che le caratterizzano in maniera specifica rispetto alle altre forme di guerre benedette da Dio87. Qui basta osservare che il legame tra crociata e dimensione teologica – che implica l’aspetto ascetico e penitenziale, la capacità di essere fonte di indulgenza e di perdono dei peccati, la relazione con il volere e i piani di Dio, l’emissione di un voto solenne e vincolante davanti a Dio e alla Chiesa – si sviluppa in maniera singolare fino a poter giustificare e sostenere non solo le guerre contro i nemici esterni della cristianità come in Medio Oriente, Egitto, Spagna, ma anche tutte le altre guerre ritenute rilevanti per la Chiesa88 e la cristianità: contro coloro non – ancora – cristiani, contro gli eterodossi, gli scismatici o coloro – cristiani – ritenuti nemici politici del papato di Roma. Si può in proposito ricordare come Innocenzo III alla fine del XII secolo utilizzi lo strumento della crociata e dell’indulgenza89 per combattere contro Markward, un avversario politico stabilitosi nel Sud dell’Italia90, oppure come, nel quadro più ampio delle crociate nei paesi del Nordeuropa91, papa Eugenio III con il conferimento dell’indulgenza in remissione dei peccati nella guerra contro i pagani vendi92 mostri di ritenere anche queste guerre espressione di un determinato volere di Dio per la storia degli uomini, volere riconosciuto e proclamato dall’autorità della Chiesa.
La struttura teologica che sostiene il fenomeno ‘crociata’ implica, dunque, un corpus istituzionale, politico, spirituale e canonistico che si va progressivamente definendo nei secoli XI e XII. L’intreccio che ne emerge permette inoltre di comprendere uno dei motivi per cui la crociata e il suo ideale siano durati così a lungo93. Malgrado le numerose e profonde sconfitte – a eccezione della prima spedizione del 1099 –, la crociata mette, in maniera progressiva, le sue radici in un certo modo di intendere il rapporto tra la storia della salvezza e il ruolo della Chiesa e dei cristiani. La teologia della crociata è il risultato di una comprensione della teologia della storia e dell’ecclesiologia concreta. La guerra in nome di Dio contro i nemici – interni o esterni – della cristianità è un indicatore eloquente di una visione complessiva su che cosa sia il cristianesimo e quale debba essere il suo assetto, religioso e politico94, nella società europea. La crociata nasce come un modo di declinare la comprensione della guerra nella storia e nella cristianità95, ossia da un modo di percepire la pace, la violenza e la guerra nel quadro di un determinato ordine cristiano del mondo96 e quindi di un correlativo discorso su Dio, la Chiesa e l’uomo97. Ed è probabilmente a questo livello che si può rinvenire una delle eredità costantiniane più significative e determinanti.
Quando i crociati vengono sconfitti, alla fine del XII secolo, ai corni di Hattin in Galilea, uno dei motivi che più scuotono la cristianità è che accanto alla sconfitta si deve registrare la perdita di un vessillo-reliquia fondamentale: i resti della vera croce – quella trovata da Elena, la madre di Costantino, nel IV secolo – che i crociati avevano, a loro volta, ritrovata nel 1099 con la presa di Gerusalemme98. La croce è simbolo centrale nel periodo medievale99 e riveste un ruolo decisivo nell’ideologia crociata. Tale centralità, che la croce ha come reliquia e vessillo, si radica in una specifica riflessione teologica e spirituale. In alcuni sermoni di Gilberto di Tournai100, probabilmente composti intorno al 1260, ad crucesignatos et crucesignandos, egli per invitare a prendere la croce ossia a intraprendere la crociata «fa un discorso rigorosamente staurologico e la sua lunga esegesi del simbolo della croce rinvia puntualmente alla teologia della croce di san Bonaventura, a quella teologia della quale le chiese francescane avrebbero spesso coperto i loro absidi con le storie riprese dalla legenda crucis»101. Egli propone una sorta di equivalenza tra l’imitazione di Cristo che muore in croce e il prendere la croce per la crux transmarina – e anche per quella cismarina – in vista della lotta contro gli inimici crucis. Egli interpreta la croce come un simbolo che ha molteplici funzioni: è un segno che indica la direzione e la via da intraprendere per raggiungere la salvezza, ossia quella di assumere la croce per amore di Cristo e del suo sepolcro102, ma anche un emblema distintivo nella battaglia. Partendo da un testo del secondo libro dei Maccabei la croce viene intesa come un segno regale che sostiene i crociati nella battaglia e dona il coraggio di combattere contro i nemici della fede103. È in tale contesto che Gilberto cita l’episodio di Costantino:
Stat rex noster in prelio vulneratus, ut viriliter dimicet christianus; et si usque ad sanguinem sustineat, in vulnera sui regis aspiciat et confidat; unde et tempore Constantini, cum deberet congredi contra hostes suos iuxta Danubium, dicitur apparisse signum crucis in celo et vox audita est: «Constantine in hoc vince».
In tale interpretazione la croce diviene il segno del Cristo re e dei «veri cristiani» – veri christiani – che la assumono su di sé partendo per la crociata, per combattere i canes infernales104. La croce si imprime, così, nel cuore e nelle braccia del crociato, che parte per amore di Cristo e che per lui è disposto a donare la vita morendo in battaglia105. La crociata è pertanto un’azione degli amici di Dio contro «i nemici della croce» – inimici crucis Christi – e la liberazione di Gerusalemme si configura come un atto profondamente cristiano voluto da Dio stesso106. In un altro sermone la croce è identificata da Gilberto come un segno di vittoria storica, morale e metafisica e, ad esempio di questo, egli ricorda la prassi di Costantino di inciderla sulle armi dei propri soldati107.
I sermoni appena ricordati sono solo un esempio di un’ampia letteratura predicatoria in cui il nesso tra simbolica della croce e impresa crociata è del tutto centrale. Senza entrare nel tema rilevante della relazione tra immaginario feudale e spiritualità108, si può rilevare comunque che in questi sermoni il Cristo è veramente percepito come un signore o meglio un sommo imperatore109. Egli conduce sotto il vexillum crucis il proprio esercito che combatte una battaglia nello stesso tempo spirituale e storica110. È la stessa voce del crocifisso che invita ad assumere la croce per amore suo, della sua eredità111, nella battaglia contro quei nemici della croce che hanno messo le loro mani empie su Gerusalemme112. La croce serve, quindi, anche a simbolizzare il fatto che la causa di Cristo si identifica nella causa dei cristiani, e i nemici della croce diventano quindi «i nemici del popolo cristiano» – inimicis populi christiani113. Attraverso una duplice operazione ermeneutica con la quale, da un lato, i nemici spirituali vengono identificati nei nemici storici saraceni e, dall’altro, la battaglia tipica della vita spirituale diviene battaglia storica e concreta – e viceversa114 –, è possibile rileggere tutta la Bibbia, Antico e Nuovo Testamento, e costruire una teologia della croce adatta a supportare l’impresa bellica. Il popolo cristiano diviene in questi testi il vero erede di quello ebraico e in tale sostituzione assume i tratti del popolo eletto di cui Dio sostiene le battaglie115 che sono combattute in suo nome116. Gli esempi e le analisi sulla teologia della croce nei sermoni ad crucesignatos si possono moltiplicare117, ma tale teologia non riguarda solo la letteratura predicatoria, influisce bensì in diversi campi tra cui si possono ricordare il diritto, la propaganda politica e la liturgia. L’aspetto liturgico è in particolare significativo per la possibilità di utilizzare in maniera sintetica ed efficace il linguaggio rituale e sacrale118. Il voto con cui il crociato si impegna a partire è simboleggiato da una croce, che egli porterà sino alla conclusione dell’impresa. Attraverso una progressiva formalizzazione di questo rito, con cui si assume l’impegno per la crociata, si costruiscono progressivamente le liturgie del ‘prendere la croce’119, in cui traspare la potente e pervasiva reinterpretazione simbolica della croce che riesce a motivare spiritualmente l’impresa crociata e a dare, nel contempo, un profondo contributo anche alla sua giustificazione politica ed ecclesiale120.
Si ritiene sia a questo livello che forse si può ritrovare una delle eredità costantiniane più profonde. Con l’imperatore Costantino la raffigurazione della croce esce progressivamente da una sorta di invisibilità. La rappresentazione di Cristo crocifisso fu a lungo tutt’altro che un fatto scontato, per motivi iconografici, per motivi culturali e per motivi religiosi. La croce e il crocifisso non sono facilmente raffigurabili sia per i cristiani che provengono dall’ebraismo sia per i cristiani di origine gentile. Secondo il linguaggio del Nuovo Testamento il crocifisso, con il quale si identifica il messia di Dio, è uno scandalo, prima di tutto religioso. Credere che l’uomo venuto dalla Galilea, che ha predicato il Regno di Dio ed è finito appeso al legno come un maledetto dagli uomini e da Dio sia il Figlio di Dio implica una ricomprensione profonda di molte rappresentazioni religiose di Dio121, del suo rapporto con l’uomo e del mondo nel suo complesso. La croce si pone come rifiuto della violenza del potere da parte del Dio rappresentato dal crocifisso122: si tratta di un potere crocifisso. Tale esposizione del Dio cristiano alla contraddizione rimane uno scandalo permanente. In tal senso «senza scandalo la fede in Cristo non sarebbe fede autentica nel senso del Nuovo Testamento»123. In un testo – il Dialogo con Trifone Giudeo – del II secolo un ebreo si rivolge così al cristiano Giustino: «sappiamo che Cristo avrebbe dovuto soffrire ed essere condotto al macello; quel che devi mostrare è perché doveva essere anche crocifisso e morire con una morte tanto disonorevole e maledetta dalla stessa legge»124. Tale quadro, che indica tutta la difficoltà teologica dell’annuncio cristiano in uno dei suoi punti cruciali125, è la ragione della difficoltà della rappresentazione del crocifisso nel mondo antico dei primi secoli del cristianesimo. La prospettiva cambia sia per alcuni motivi di carattere culturale sia, soprattutto, per la svolta costantiniana: «La celebre visione che Costantino avrebbe avuto prima della battaglia di ponte Milvio e il ritrovamento della vera croce da parte della madre Elena inaugurano un’epoca nuova nella storia del crocifisso»126. E in tal senso si avvia quel processo per cui «le reinterpretazioni simboliche della croce e del crocifisso accompagnano, quando non precedono, le grandi svolte nella storia del cristianesimo occidentale»127. In un’opera pioneristica del 1935 sullo sviluppo dell’idea di crociata – Die Entstehung des Kreuzzugsgedankens –, Carl Erdmann indaga in profondità il tema dei vessilli sacri e mostra come gli ecclesiastici e soprattutto i papi dell’età della riforma gregoriana abbiano fatto propri alcuni segni del potere temporale combinandoli con i segni religiosi più antichi, e dimostra l’importanza di tale riconfigurazione dei signa per il fenomeno crociato. Egli afferma: se di Costantino non sapessimo null’altro se non che egli nelle insegne militari del suo esercito ha inserito un simbolo che venne interpretato come monogramma di Cristo, saremmo in grado di ricostruire l’essenza dell’opera della sua vita: l’alleanza dello Stato e del potere militare romano con la Chiesa cristiana. Anche se su di un piano già mutato, nel medioevo si è compiuta un’evoluzione simile: l’unificazione della Chiesa con la società feudale cavalleresca128.
Malgrado alcune delle conclusioni di Erdmann siano state in parte ripensate dalla ricerca storica a lui successiva, questa prospettiva di fondo pare ancora valida: per comprendere le crociate è necessario rileggere la storia del vessillo della croce, la sua relazione con la simbologia del potere129, lo sviluppo teologico inerente la guerra e la collocazione dei cristiani nel mondo, tutte realtà che conoscono uno sviluppo che ha un punto di svolta iniziale e determinante nella vicenda costantiniana130. Non si può ripercorrere tappa per tappa tale sviluppo, che pare iniziare in maniera significativa con Ambrogio di Milano, ma dobbiamo svolgere alcune considerazioni proprio sull’importanza della rielaborazione del segno della croce che prende avvio con l’era costantiniana. Si tratta di una rielaborazione iconografica rilevante, che segnala un ulteriore sviluppo ad almeno due livelli tra loro intrecciati: teologico e teologico-politico.
Uno degli esempi più significativi in tal senso rimane la riflessione di Bernardo al di là della complessa esegesi dei suoi testi che, comunque, non possono essere letti in chiave – esclusivamente – di legittimazione bellica131. Infatti per diversi autori tali testi vanno piuttosto compresi come il tentativo di fornire un’alternativa alla violenza della militia saecularis e, quindi, di limitare l’uso della stessa violenza132, collocando la guerra dei templari – o altre imprese come quella contro i vendi – in un quadro di guerra difensiva e strategica con un utilizzo moderato della forza, consentito solo in virtù di un’intenzione di carità133. In ogni caso essi devono essere intesi in relazione a una contingenza storica, specifica e puntuale134. In Bernardo non pare esserci in recto una teoria della guerra contro gli infedeli, quanto piuttosto l’inserimento della guerra dei cavalieri crociati nel quadro della più importante guerra interiore e del vero passaggium che è la conversio. Nondimeno si può osservare come in lui la riflessione teologica sulla guerra nella forma specifica della crociata sia significativa135. Questo anche in ragione della sua attenzione originale nei confronti della Scrittura e dell’esperienza spirituale che in molti suoi testi emerge con chiarezza. Nel suo testo De laude novae militiae egli propone in più passaggi una sorta di parallelismo tra chi lotta contro coloro che sono senza fede e il Cristo. Si tratta di una battaglia spirituale e concreta contro i nemici della croce di Cristo. La caratteristica specifica di tale lotta è l’intenzione buona, ossia il fatto che il Cristo è la causa militandi136; tale causa è anche la ragione che differenzia la nuova cavalleria dalla milizia secolare, che invece molto spesso combatte per motivi futili. La differenza è spiegata bene da Bernardo:
Invero i soldati di Cristo combattono tranquillamente le battaglie del loro Signore non temendo affatto di peccare quando uccidono i nemici, né di perdere la vita, in quanto la morte inferta o subita per Cristo non ha nulla di delittuoso, anzi rende ancora più meritevoli di gloria. […] Dicevo che il soldato di Cristo uccide tranquillamente e muore con maggiore tranquillità. Giova a se stesso se muore, a Cristo se uccide.
Bernardo continua: «Per altro, quando uccide un malfattore, non deve essere reputato un omicida, ma come dire, un malicida e cioè vindice di Cristo [Christi vindex] nei confronti di coloro che compiono il male e difensore dei cristiani»137. Se ci fosse un altro modo senza che si debbano uccidere i pagani sarebbe forse meglio, ma non essendocene in quel dato momento storico un altro «per ora è meglio ucciderli»138. I motivi che giustificano tale visione delle cose sono numerosi e tratti dal Vangelo, il percuotere con la spada è quindi inteso come un atto ‘cristiano’. In particolare è interessante l’applicazione di questo principio ai temi della difesa di Sion e della difesa del popolo cristiano: tale esercizio è lecito soltanto a coloro che portano le armi secondo un piano stabilito da Dio […] a coloro il cui braccio difende, per il bene di tutti, la nostra città forte di Sion, sì che scacciati da essa i trasgressori della legge divina, possa senza pericolo entrarvi il popolo dei giusti, custode della verità? Vengano quindi senza indugio disperse le nazioni che vogliono la guerra e siano scacciati coloro che ci minacciano e siano sbaragliati dalla città del Signore tutti gli operatori di iniquità che tentano di rapinare le inestimabili ricchezze del popolo cristiano riposte in Gerusalemme139.
In Bernardo si trova la coesistenza di una desiderata aderenza al Vangelo da parte dei cavalieri della nuova milizia e di una loro effettiva efficienza militare contro i nemici di Dio:
Come autentici Israeliti affrontano tranquilli il combattimento. Ma quando si giunge allo scontro, e solo allora, viene abbandonata ogni tranquillità, come se dicessero: «Non debbo forse odiare colui che ti odia, o Signore, e detestare i tuoi nemici?». A quel punto si scagliano contro gli avversari, considerando i nemici come pecore. È pertanto cosa degna di ammirazione e oltremodo singolare vedere come essi siano più miti degli agnelli, e nel contempo, più feroci dei leoni, sì che quasi dubito se sarà meglio chiamarli monaci oppure soldati, a meno che non sia forse opportuno chiamarli in entrambi i modi, in quanto in essi non è carente né la mitezza del monaco né il coraggio del guerriero140.
Il testo è molto complesso ma permette di osservare un aspetto del tutto specifico. In Bernardo, malgrado ci sia un certa reinterpretazione di alcuni passi del Vangelo come quelli della purificazione del tempio, non manca la custodia della croce del Cristo come criterio per la verità del suo cristianesimo. Nel trattato sono presenti pagine molto dense ed estese sul luogo del calvario e del sepolcro di Cristo, in cui si manifesta la visione fortemente cristocentrica dell’abate di Clairvaux141. Al testo di Bernardo non si ritiene possa essere applicato un giudizio di Cardini (per altro pertinente per molti autori e istituzioni crociate): «la crociata, che ancor non portava quel nome, si era mossa nel segno di Cristo ma ignorava praticamente il Vangelo»142. Nella predicazione di Bernardo si manifesta infatti una differenza, una sorta di torsione teologica, più raffinata del semplice utilizzo della croce come vessillo di vittoria invece che come segno di quella idea fondamentale che può essere descritta dal Nuovo Testamento come «follia» o «scandalo». In Bernardo – e in altri autori dei primi tre secoli del secondo millennio – il riferimento al Vangelo non viene meno, ma la croce viene reinterpretata attraverso un quadro ermeneutico in cui la profondità dell’analisi teologica e spirituale è collocata all’interno di una determinata visione politica e istituzionale143. Paradossalmente non sembra mancare un’istanza di evangelismo, di sequela radicale del Cristo, ma è collocata in un quadro teologico-politico specifico. Il popolo cristiano è, infatti, inteso da Bernardo come il popolo dei veri israeliti. Sono i cristiani gli autentici Maccabei di cui Dio combatte le guerre. Quell’entità politica, religiosa e istituzionale che chiamiamo cristianità si pensa come l’adempimento nella storia del popolo eletto. La crociata «era il nuovo esodo, la nuova marcia del Popolo Eletto verso la Terra Promissionis»144. La croce diviene simbolo e vessillo di questa entità che si pensa come rappresentante definitivo del Dio cristiano nella storia degli uomini. La stessa opera di Bernardo nel suo tentativo di cristianizzazione della cavalleria attraverso la riflessione sui templari è un segnale indiretto del bisogno di collocare la cavalleria – e le crociate – nel quadro di una società cristiana145.
La reinterpretazione della croce, avviata con la svolta costantiniana e maturata in maniera specifica all’inizio del secondo millennio, non si pone quindi tanto a un livello teologico e spirituale, per quanto significativo, quanto a un livello ecclesiologico e teologico-politico146. È, infatti, in tale quadro organico che la Chiesa stessa, con le sue relazioni con il potere politico e imperiale, tende a pensarsi progressivamente come coestensiva al mondo intero – Ecclesia, id est facies terrae147. All’interno di una determinata teologia politica è il ruolo complessivo del popolo cristiano e della Chiesa nella storia che rende possibile ipotizzare, ad esempio, la santità di una strage compiuta148 oppure la comprensione della reliquia della croce come strumento per la guerra o, infine, un combattente che segue la croce di Cristo – con il suo esempio intrinseco di mitezza, nonviolenza e pace – e nello stesso tempo lotta contro nemici che possono essere intesi, pur con le dovute distinzioni e differenziazioni149, come nemici della stessa croce. In estrema sintesi si può, forse, sostenere che è proprio l’ideale della società cristiana150 – con alcune tendenze universaliste e una determinata comprensione del proprio ruolo in relazione all’escatologico –, ideale che è andato maturando a partire dalla svolta di Costantino151, che permette, ad esempio, di comprendere la lotta in battaglia contro i nemici della croce come un modo appropriato di seguire il Cristo, mite e disarmato, verso il calvario.
Se secondo questa ipotesi di fondo «la crociata, a livello dell’ideologia, nei suoi vari e diversi aspetti, è una tipica manifestazione della religione medievale, della christianitas del Basso medioevo»152, si crede sia proprio a questo livello che l’eredità (teologica, ecclesiologica e teologico-politica) del processo innescato dalla svolta costantiniana e dalla correlativa rielaborazione di tale memoria abbia agito sulle strutture che hanno reso possibile il concepimento e i vari sviluppi delle guerre crociate.
Parte della consultazione bibliografica sulle fonti è stata svolta dalla dottoressa Elisa Dondi.
1 Cfr. J. Riley-Smith, s.v. Kreuzzüge, in Theologische Realenzyklopädie, XX, Berlin-New York 1990, pp. 1-10.
2 Cfr. P. Veyne, Quando l’Europa è diventata cristiana (312-394). Costantino, la conversione, l’Impero, Milano 2008.
3 Cfr. D. Gianotti, Dio e imperatore: la ‘teologia politica’ in epoca patristica, in Divus Thomas, 101 (1998), pp. 36-50.
4 Cfr. Ch.M. Odahl, Constantine and the Christian Empire, London-New York 2004.
5 Cristianesimo e istituzioni politiche. Da Costantino a Giustiniano, a cura di E. Dal Covolo, R. Uglione, Roma 1997.
6 M. Simonetti, Il Vangelo e la storia. Il cristianesimo antico (secoli I-IV), Roma 2010, p. 193.
7 Cfr. Vescovi e pastori in epoca teodosiana, XXV incontro di studiosi dell’antichità cristiana (Roma 8-11 maggio 1996), 2 voll., Roma 1997; K. Baus, Il clero nella Chiesa imperiale, in Storia della Chiesa, a cura di H. Jedin, II, L’epoca dei Concili (IV-V secolo), Milano 1977, pp. 295-315.
8 Cfr. T. Citrini, Presbiterio e presbiteri, II, Nella fucina dei grandi Padri (IV-V secolo), Milano 2011, pp. 279-289; J. Vogt, Organizzazione ecclesiastica e clero, in Storia della Chiesa, a cura di H. Jedin, III, La Chiesa tra Oriente e Occidente (V-VII secolo), Milano 1978, pp. 257-281.
9 G. Filoramo, La croce e il potere. I cristiani da martiri a persecutori, Roma-Bari 2011, p. 127: «La basilica simboleggiava il passaggio a una religione non solo visibile ma potente e ricca, espressione di un popolo cristiano in grado di manifestare anche da un punto di vista architettonico la sua identità. Si comprende meglio, su questo sfondo concreto, il processo complesso di osmosi con la società e con la cultura e le sue forme anche politiche che la cosiddetta svolta costantiniana mise in atto».
10 G. Dagron, Costantinopoli. Nascita di una capitale (330-451), Torino 1991.
11 Cfr. J. Gaudemet, L’Église dans l’Empire romain (IVe-Ve siècles), Paris 1989.
12 J. Ratzinger, Chiesa, ecumenismo e politica, Cinisello Balsamo 1987.
13 Cfr. D. Marguerat, La prima storia del cristianesimo. Gli atti degli apostoli, Cinisello Balsamo 2002.
14 Cfr. G.M. Cantarella, Il sole e la luna. La rivoluzione di Gregorio VII papa 1073-1085, Roma-Bari 2005.
15 Cfr. H.J. Berman, Diritto e rivoluzione. Le origini della tradizione giuridica occidentale, Bologna 1998.
16 Cfr. P. Prodi, La storia dell’Europa come rivoluzione permanente, in il Mulino, 3 (2007), pp. 495-503.
17 Cfr. P. Prodi, Suggestioni (da H.J. Berman) per lo studio del ruolo del diritto papale tra medioevo ed età moderna, in Nuovi modi per la formazione del diritto, Atti del convegno internazionale (Roma 2-3 giugno 1987), a cura di G. Piva, F. Spantigati, Padova 1988, pp. 93-103.
18 Un’utile problematizzazione si trova in M. Rizzi, Cesare e Dio. Potere spirituale e potere secolare in Occidente, Bologna 2009.
19 Cfr. P. Brown, Potere e cristianesimo nella Tarda antichità, Roma-Bari 1995.
20 Cfr. A. Linder, The Myth of Constantine the Great in the West: Sources and Hagiographic Commemoration, in Studi Medievali, s. 3, 16 (1975), pp. 43-95.
21 Cfr. H. Fuhrmann, «Il vero imperatore è il papa»: il potere temporale nel medioevo, in Bullettino dell’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, 92 (1985-1986), pp. 367-379.
22 Cfr. R. Klein, U. Mattejiet, Konstantin, in Lexikon des Mittelalters, V, cc. 1372-1375.
23 Cfr. J. Folda, The Art of the Crusaders in the Holy Land. 1098-1187, Cambridge 1995, pp. 233-240.
24 Cfr. B. Baert, A Heritage of Holy Wood. The Legend of the True Cross in Text and Image, Leiden 2004, pp. 124-164.
25 H.E.J. Cowdrey, The reform papacy and the origin of the crusades, in Le concile de Clermont de 1095 et l’appel à la croisade, Actes du Colloque universitaire international (Clermont-Ferrand 23-25 juin 1995), Rome 1997, p. 82: «The reform papacy was impelled to respond to the afflictions of eastern Christians and to the predicament of Constantinople because it saw the Church of Constantinople as a daughter of the Church of Rome. Its duty to respond was intensified by the prevailing appraisal of Constantine the Great as a model emperor and as a benefactor to whom it owed, among other things, the Lateran palace and its endowment of relics. These relics were a daily reminder of Jerusalem and of the saving events there which made its being in heathen hands an especial scandal among the misfortunes of the eastern churches. The holy cross, with its overtones of Costantine’s assurance of victory in battle, was a powerful symbol in recruiting for and in warranting warfare rightly undertaken. In the conflict between sacerdotium and regnum, the imperial associations that, through Costantine’s withdrawal to the east, gathered about the pope in the west, led the pope to claim a leadership in promoting peace in the Christian west and in extending it to the Christian east. This involved diverting the energies of the military classes to a warfare which was envisaged as centering upon Jerusalem and as extending to the walls of Constantinople».
26 Das Constitutum Constantini, hrsg. von H. Fuhrmann (MGH F X), Hannover 1968.
27 I. Herklotz, Gli eredi di Costantino. Il papato, il Laterano e la propaganda visiva nel XII secolo, Roma 2010, p. 11: «Dal momento che con Costantino il Laterano entrò a far parte della tradizione papale, si ritenne legittimo considerare l’autorità pontificia come elemento di congiunzione fra la storia antica e imperiale e quella cristiana e papale, e vedere nel papato contemporaneo non solo il legittimo successore di quello che era ritenuto il primo imperatore cristiano, ma, più semplicemente, il successore dell’Impero romano».
28 H.E.J. Cowdrey, The reform papacy, cit., pp. 69-72.
29 Ivi, p. 68.
30 Cfr. H. Fuhrmann, Konstantinische Schenkung, in Lexikon für Theologie und Kirche, VI, Freiburg 1997, pp. 302-304.
31 Cfr. A. Paravicini Bagliani, Le Chiavi e la Tiara. Immagini e simboli del papato medievale, Roma 1998.
32 Cfr. Decretales Pseudo-Isidorianae et capitula Angilrammi, hrsg. von P. Hinschius, Leipzig 1863, pp. 247-254.
33 Cfr. Th. Grünewald, Costantinus novus: zum Constantin-Bild des Mittelalters, in Costantino il Grande. Dall’antichità all’umanesimo, Colloquio sul Cristianesimo nel mondo antico (Macerata 18-20 dicembre 1990), a cura di G. Bonamente, F. Fusco, I, Macerata 1992, pp. 461-485.
34 Cfr. O. Hageneder, Il sole e la luna. Papato, Impero e regni nella teoria e nella prassi dei secoli XII e XIII, Milano 2000.
35 Cfr. H. Fuhrmann, «Il vero imperatore è il papa», cit., p. 373.
36 Cfr. W. Goez, Translatio Imperii. Ein Beitrag zur Geschichte des Geschichtsdenkens und der politischen Theorien im Mittelalter und in der frühen Neuzeit, Tübingen 1958.
37 Cfr. T. Struve, «Renovatio Imperii», in Europa in costruzione. La forza delle identità, la ricerca di unità (secoli IX-XIII), a cura di G. Cracco, J. Le Goff, H. Keller et al., Bologna 2006, pp. 73-107.
38 Cfr. F. Monfrin, Guerre et Paix de l’antiquité classique à l’empire chretien, in Prêcher la paix et discipliner la société. Italie, France, Angleterre (XIIIe-XVe siècles), éd. par R.M. Dessì, Turnhout 2005, pp. 17-60.
39 Cfr. G. Ruggieri, La storia della tolleranza e dell’intolleranza cristiana come problema teologico, in Cristianesimo nella Storia, 17 (1996), pp. 473, 478-479.
40 Cfr. E.-D. Hehl, Was ist eigentlich ein Kreuzzug?, in Historische Zeitschrift, 259 (1994), pp. 297-339.
41 Cfr. J. Riley-Smith, What were the Crusades?, Basingstoke 2002.
42 Cfr. G. Constable, The Historiography of the Crusades, in The Crusades from the Perspective of Byzantium and the Muslim World, ed. by A.E. Laiou, R.P. Mottahedeh, Washington 2001, pp. 1-22.
43 Un interessante ed esemplificativo approfondimento dello sviluppo storiografico sull’uso critico delle fonti per lo studio della ‘crociata’ si trova in M. Bull, Views of Muslims and of Jerusalem in miracle stories, c. 1000-c. 1200: reflections on the study of first crusaders’ motivations, in The experience of Crusading, ed. by M. Bull, N. Housley, I, Cambridge 2003, pp. 13-38.
44 Cfr. D.A. Trotter, Medieval French Literature and the Crusades, Genève 1988.
45 Cfr. F. Cardini, L’invenzione del nemico, Palermo 2006, pp. 23-37.
46 Cfr. C. Tyerman, The Invention of the Crusades, London 1998.
47 Cfr. N. Housley, Contesting the Crusades, Oxford 2006, pp. 1-23.
48 E.-D. Hehl, Was ist eigentlich ein Kreuzzug?, cit., p. 333: «Was ist nun eigentlich ein Kreuzzug? Jede Definition, gleich ob man an der Bindung des Kreuzzugs an Jerusalem festhält oder ob man ihn – wofür ich plädiere – daraus lösen will, läuft Gefahr, ihn als einen spezifischen Krieg der Kirche von den allgemeinen Entwicklungen der mittelalterlichen Gesellschaft zu trennen, ihn zu einem Ereignis an den Grenzen der Christenheit zu machen, statt seine Verwurzelung in deren zentralen Strukturen herauszustellen».
49 Cfr. A. Dupront, Le mythe de croisade, 4 voll., Paris 1997.
50 Cfr. J. Riley-Smith, The First Crusade and the idea of Crusading, Philadelphia 2009, pp. 135-152.
51 Cfr. J. Flori, La Guerra santa. La formazione dell’idea di crociata nell’Occidente cristiano, Bologna 2003.
52 L. Schmugge, ‘Pilgerfahrt macht frei’ – Eine These zur Bedeutung mittelalterlichen Pilgerwesens, in Römische Quartalschrift für christliche Altertumskunde und Kirchengeschichte, 74 (1979), p. 19: «Man kann den Kreuzzug überhaupt als einen Sonderfall der Peregrinatio definieren, als bewaffnete Wallfahrt nach Jerusalem».
53 J. Riley-Smith, What were the Crusades?, cit., p. 87.
54 Cfr. Cristianità ed Europa. Miscellanea di studi in onore di Luigi Prosdocimi, a cura di C. Alzati, 2 voll., Roma-Freiburg-Wien 2000.
55 Cfr. J. Flori, La cavalleria medievale, Bologna 2002.
56 Cfr. J. Van Laarhoven, Chrétienté et croisade. Une tentative terminologique, in Cristianesimo nella Storia, 6 (1985), pp. 27-43.
57 Cfr. F. Kempf, Das Problem der Christianitas im 12. und 13. Jahrhundert, in Historisches Jahrbuch der Görres-Gesellschaft, 79 (1960), pp. 104-123.
58 G. Ruggieri, Cosa hanno di diverso i nemici della cristianità?, in I nemici della cristianità, a cura di G. Ruggieri, Bologna 1996, p. 10.
59 Cfr. W. Kölmel, Chiesa, cristianità, genere umano: riflessioni sull’autocomprensione della società medievale, in Cristianesimo nella storia, 5 (1984), pp. 507-522.
60 L. Sartori, La promessa pace, a cura di L. Tallarico, Milano 2011, pp. 45-46.
61 Cfr. Ordericus Vitalis, Historia Ecclesiastica, ed. by M. Chibnall, IV, Oxford 1973, p. 296.
62 Cfr. M. Pellegrini, L’idea di ‘Christianitas’ nei cronisti latini della prima crociata, in Rivista di Studi Bizantini e Slavi, 7 (1991), pp. 69-99.
63 E.-D. Hehl, Was ist eigentlich ein Kreuzzug?, cit., p. 334: «Ein Kreuzzug scheint mir viel weniger ein Einzelereignis zu sein als der sich ständig wiederholende Reflex eines Bewußtseinswandels in abendländischen Christenheit: des Bestrebens, sich immer wieder erneut an einer Ordnung auszurichten, die man von Gott gegeben glaubte. Grundvorstellung war, Gott habe einen Wandel der Zeit bewirkt, der den Christen die Change gab, in Erfüllung des Göttlichen Willens erneut eine Heilsgemeinschaft zu bilden».
64 Ivi, p. 304.
65 J. Van Laarhoven, Chrétienté et croisade, cit., p. 32: «Comme l’a dit par example Foucher de Chartres: Quis “unquam audivit tot tribus linguae in uno exercitu?”; et après l’énumeration de dix-neuf peuples participants il conclut, avec quelque exagération il est vrai: “Sed qui linguis divisi eramus, tanquam fratres, sub dilectione Dei, et proximi, unanimes esse videbamur”. Plus tard, sous la plume d’un Ordéric Vital, on lit la meme chose: “a multis occidentalium populis unus grex miro modo congeritur”. […] Des termes comme “nos”, “nostri” et “christiani”, avec tous leurs dérivés, nous traduisent très clairment le sentiment commun des croisés».
66 Cfr. F. Cardini, La Guerra santa nella cristianità, in «Militia Christi» e Crociate nei secoli XI-XIII, Atti dell’XI settimana internazionale di studio (Mendola 28 agosto-1° settembre 1989), Milano 1992, pp. 387-401.
67 Cfr. F.H. Russell, The Just War in the Middle Ages, Cambridge 1975, pp. 252-257.
68 Cfr. H.E.J. Cowdrey, The reform papacy, cit., pp. 70-71.
69 J. Riley-Smith, The First Crusade and the idea of Crusading, Philadelphia 2009, p. 190: «The Church had the right to organize and conduct military measures on its own account, and that God would stand besides the Church’s warriors in the fight for freedom».
70 Dn 2,21.
71 Cfr. Guibert of Nogent, Dei gesta per Francos et cinq autres textes, éd. par R.B.C. Huygens (CCCM 127a), Turnhout 1996, p. 87.
72 Cfr. G. Constable, The Place of crusader in Medieval society, in Viator, 28 (1998), p. 389.
73 Cfr. E.-D. Hehl, Kirche und Krieg im 12. Jahrhundert. Studien zu kanonischem Recht und politischer Wirklichkeit, Stuttgart 1980.
74 Opere di San Bernardo, a cura di F. Gastaldelli, VI/2, Lettere 211-548, Milano 1987, pp. 433-435.
75 Cfr. J. Riley-Smith, Crusading as an act of love, in History, 65 (1980), pp. 177-192.
76 Cfr. Id., What were the Crusades?, Basingstoke 20094, pp. 53-55.
77 Cfr. A. Becker, Papst Urban II (1088-1099), 2 voll., Stuttgart 1964-1988; H. Roscher, Papst Innocenz III und die Kreuzzüge, Göttingen 1969.
78 Cfr. J. Richard, Urbain II, la prédication de la croisade et la définition de l’indulgence, in «Deus qui mutat tempora». Menschen und Institutionen im Wandel des Mittelalters, hrsg. von E.-D. Hehl, H. Seibert, F. Staab, Sigmaringen 1987, pp. 129-135.
79 Cfr. A. Morisi, La Guerra nel pensiero cristiano dalle origini alle crociate, Firenze 1963.
80 J. Riley-Smith, Der Aufruf von Clermont und seine Folgen, in Die Kreuzzüge. Kein Krieg ist heilig, hrsg. von H.-J. Kotzur, Mainz 2000, p. 59: «stellte die bewaffnete Kreuzfahrt eine radikale Absage an die Vorschrift dar, die Büßern das Tragen von Waffen verbot. […] In dieser Hinsicht also stellte der Erste Kreuzzug eine Neuerung dar. Die Kirche drängte nun Ritter dazu, eine bewaffnete Pilgerreise zu unternehmen, die sie in der Vergangenheit verurteilt hätte».
81 R. Somerville, The Councils of Urban II, I, Decreta Claromontensia, Amsterdam 1972, p. 74.
82 A. Barbero, Benedette guerre. Crociate e Jihad, Roma-Bari 2009, p. 54.
83 Cfr. T. Deswarte, Entre historiographie et histoire: aux origines de la guerre sainte en Occident, in Regards croisés sur la guerre sainte. Guerre religion et idéologie dans l’espace méditerranéen latin (XIe-XIIIe siècle), éd. par D. Baloup, Ph. Josserand, Toulouse 2006, pp. 67-90.
84 Cfr. E.-D. Hehl, War, Peace and the Christian Order, in The New Cambridge Medieval History, ed. by D. Luscombe, J. Riley-Smith, IV, Cambridge 2004, pp. 187-188.
85 J. Riley-Smith, The Crusades, Christianity, and Islam, New York 2011, pp. 31-32: «When Pope Urban II preached the First Crusade […] he associated the forthcoming military campaign with the most charismatic of all traditional penances, the pilgrimage to Jerusalem. As penitential events pilgrimages were “effectively satisfactory […] because just as a man has used all parts of his body when he has sinned, so he gives satisfaction by making all his members work hard”. With respect to the First crusade, therefore, the dangers of war gave added value to the penitential merit gained by a pilgrim. It would be hard to exaggerate how revolutionary this was».
86 Cfr. J. Riley-Smith, The First Crusade and the Idea of Crusading, Philadelphia 1986, p. 28: «Urban’s indulgence was no more than an authoritative declaration that the crusade was so severely penitential an exercise that it would be satisfactory penance for all previous sins».
87 Cfr. J. Riley-Smith, The Crusades, Christianity, and Islam, cit., p. 33.
88 E.-D. Hehl, War, peace and the Christian order, cit., pp. 211-212: «The crusading indulgence, which characterized this form of holy war, depended on a willingness to enter into the service of God. The mentality of the crusader was crucial here, not the political aim of the war. Hence, the character of the indulgence implied that it would be possible not only to appeal for crusades in the Holy Land, but also to transfer the crusading ideal to other struggles in the service of the church. Such attempts were made immediately after the first crusade. They did not imply any “perversion” of the crusading ideal».
89 Cfr. PL 214, cc. 780-782.
90 Cfr. E. Kennan, Innocent III and the First Political Crusade: a Comment on the Limitation of Papal Power, in Traditio, 27 (1971), pp. 231-249.
91 Cfr. E. Christiansen, Le crociate del nord. Il Baltico e la frontiera cattolica (1100-1525), Bologna 1983.
92 Cfr. PL 180, 1023-1024.
93 E.-D. Hehl, Crusades, in Religion past & present. Encyclopedia of theology and religion, ed. by H.D. Betz, D.S. Browning, B. Janowski et al., III, Leiden-Boston 2007, p. 592.
94 Cfr. F. Cardini, La crociata mito politico, in Pensiero politico, 8 (1975), pp. 3-32.
95 Cfr. A. Dupront, Guerra santa e cristianità, in Id., Il sacro. Crociate e pellegrinaggi. Linguaggi e immagini, Torino 1993, pp. 276-299.
96 E.-D. Hehl, War, Peace and the Christian Order, cit., pp. 185-228.
97 Cfr. F. Mandreoli, La tradizione cristiana, la pace e la guerra. ‘Dio lo vuole’, in Il Regno-attualità, 12 (2011), pp. 410-426.
98 Cfr. M. Phillips, The Thief’s Cross: Crusade and Penance in Alan’s of Lille’s «Sermo de cruce domini», in Crusades, 5 (2006), p. 143.
99 Cfr. U. Köpf, s.v. Kreuz IV, in Theologische Realenzyklopädie, XIX, Berlin-New York 1990, pp. 732-761.
100 Cfr. F. Cardini, Gilberto di Tournai. Un francescano predicatore della crociata, in Studi francescani, 72 (1975), pp. 31-48.
101 M. Papi, Crociati, pellegrini e cavalieri nei «sermones» di Gilberto di Tournai, in Studi Francescani, 73 (1976), p. 379.
102 Ivi, p. 385: «Certum est quod via assumendi crucem est via rectior ad salutem, quia, quanto via brevior tanto rectior; crux autem citissime facit crucesignatos devotos immo martyres veros pro causa Christi, de terra ad coelum evolare, unde Lucas: Qui vult venire post me abneget semet ipsum et tollat crucem suam et sequatur me. Et sequitur: et erit sepulcrum eius gloriosum; glorificatur enim sepulcrum Christi quando ex amore et devotione crucem assumunt, ut videant illudent honorent ipsum; et vere magna gloria est sequi Dominum».
103 Ivi, p. 386: «Notatur ergo quod iudeis in archo constitutis apparuit signum de celo, quo viso sese recollegerunt et hostes vicerunt; sicut faciunt milites quando vident signum regis animantur et rege stante in prelio et iusto exeunte bello fugere vererunt; bellum nunc iustum est quia contra inimicos fidei, usurpatores nostri patrimonii, pro causa Dei et fidei et nostre salutis res est».
104 Ivi, p. 387.
105 Ivi, p. 385: «Ponamos ergo crucem Christi super cor, hoc est in corde per affectum amoris, et super brachium per effectum operis; et si vere Christum diligis, pro Christo paratus eris. […] Hanc crucem Christi in corde habeas et eius stigmata in corpore tuo circunferas, ut intus offerens victimam olocausti etiam foris habeas pellem eius. Decet enim qui se dicit per internam dilectionem in Christo manere, debet per apertam operum et passionem eius imitationem sicut ille ambulavit et ipse ambulare».
106 Ivi, pp. 387-388.
107 Ivi, pp. 392-393.
108 Cfr. James of Vitry, Sermo I, in C.T. Maier, Crusade Propaganda and Ideology. Model Sermons for the Preaching of the Cross, Cambridge 2000, p. 99: «Dominus quidem affligitur in patrimoni sui amissione et vult amicos probare et experiri si fideles eius vasalli estis. Qui enim a domino tenent foedum, si desit illi dum inpugnatur et hereditas sua illi aufertur, merito foedo privatur».
109 Ivi, p. 98.
110 Ivi, p. 87.
111 Ivi, pp. 86-88.
112 Ivi, p. 92.
113 Eudes of Châteauroux, Sermo II, in C.T. Maier, Crusade propaganda and ideology, cit., p. 151.
114 G. Constable, The Place of Crusader in Medieval Society, cit., p. 384: «They were often described in terms like those used for monks, and their fighting was called spiritual. Bohemund at the siege of Antioch urged his men “to fight valiantly for God and the Holy Sepulcher, for you know that this in truth is a war not of flesh but of the spirit”».
115 Cfr. Bertrand de la Tour, Sermo I, in C.T. Maier, Crusade propaganda and ideology, cit., pp. 232-234.
116 Ivi, p. 238.
117 Cfr. P.J. Cole, The Preaching of the Crusades to the Holy Land 1095-1270, Cambridge 1991.
118 Cfr. A. Linder, Raising Arms: Liturgy in the Struggle to Liberate Jerusalem in the Late Middle Ages, Turnhout 2003.
119 Cfr. J. Brundage, «Cruce Signari»: the Rite for Taking the Cross in England, in Traditio, 22 (1966), pp. 289-310; K. Pennington, The Rite for Taking the Cross in the Twelfth Century, in Traditio, 30 (1974), pp. 429-435.
120 B.M. Kienzle, Preaching the Cross: Liturgy and Crusade Propaganda, in Medieval Sermon Studies, 53 (2009), pp. 11-32, in partic. 32: «I have focused solely on preaching on the cross, the most essential, richest, and most debated symbol of Christianity. Sermons on the cross challenge us to think about the boundaries between political and non-political preaching. […] Key scriptural passages ground the theology of the cross. These include Ephesians 3.18, interpreted as the four dimensions of the cross; Philippians 3.18, on the ‘enemies of the cross of Christ’; Galatians 6.14, where Paul eschews glorying in anything other than the cross of Christ; and Galatians 3.13 on the redemption brought by ‘the one who hangs on the cross’. The range of interpretations is perhaps best captured in the distance between Ephesians 3.18 on the four dimensions of the cross and Philippians 3. 18 on the enemies of the cross. The Ephesians passage generally grounds a discussion of the practice of virtue, whether the cultivation of the spiritual self or in relationship with one’s neighbor. The Philippians passage, on the other hand, frequently sharpens a hostile gaze outward as preachers identify the enemies of the cross: Jews, pagans, heretics and Muslims».
121 Cfr. S. Dianich, Il Messia sconfitto, Assisi 2009.
122 Cfr. M. Grilli, La violenza di Dio e la croce. Un contributo sull’immagine di Dio nei vangeli sinottici, in La violenza nella Bibbia, XXXIX Settimana biblica nazionale (Roma 11-15 settembre 2006), a cura di L. Mazzinghi, Bologna 2008, pp. 135-155.
123 G. Stählin, Skandalon, in Grande lessico del Nuovo Testamento, a cura di G. Kittel, G. Friederich, Brescia 1974, p. 413.
124 Citato in L. Padovese, Lo scandalo della croce. La polemica anticristiana nei primi secoli, Bologna 2004, p. 13.
125 M. Hengel, Crocifissione ed espiazione, Brescia 1988, p. 227: «Nell’uomo Gesù di Nazaret è Dio stesso, in fin dei conti, ad assumere su di sé la morte […]. Con ciò lo scandalo della croce non era in alcun modo attenuato; veniva anzi accentuato in maniera inaudita e senza precedenti per il mondo antico».
126 G. Filoramo, Croce, in Dizionario del Cristianesimo, a cura di P. Coda, G. Filoramo, Torino 2006, p. 309.
127 Ibidem.
128 C. Erdmann, Alle origini dell’idea di Crociata, a cura di R. Lambertini, Spoleto 1996, p. 37.
129 Cfr. E. Voltmer, Nel segno della Croce. Il carroccio come simbolo del potere, in ‘Militia Christi’ e Crociata, cit., pp. 193-207.
130 Cfr. C. Erdmann, Alle origini dell’idea di Crociata, cit., p. 9.
131 Cfr. l’interessante ricostruzione di P. Zerbi, La ‘Militia Christi’ per i Cistercensi, in ‘Militia Christi’ e Crociata, cit., pp. 273-294.
132 Cfr. J. Leclercq, Bernard de Clairvaux, Paris 1989, pp. 49-52.
133 Cfr. Id., Saint Bernard’s Attitude Toward War, in Studies in Medieval Cistercian History, ed. by J.R. Sommerfeldt, II, Kalamazoo 1976, pp. 1-39.
134 Cfr. F. Cardini, Bernardo e le crociate, in Bernardo cistercense, Atti del XXVI Convegno storico internazionale (Todi 8-11 ottobre 1989), Spoleto 1990, pp. 187-197.
135 Ivi, p. 195: «Bernardo non mette […] in dubbio che scopo immediato della crociata sia la tutela della Terrasanta minacciata dagli infedeli; né che il pellegrinaggio armato sia, in questa direzione, lo strumento tecnicamente, militarmente, teologicamente, penitenzialmente più opportuno. Ma non coincide con alcuna di queste cose il nucleo più profondo della concezione bernardiana di crociata: il punto è che l’iter Hierosolimitanum corrisponde al tempus acceptabile, è un’occasione della divina provvidenza offerta ai peccatori affinché si ravvedano, facciano penitenza, salvino le loro anime: il crucis signum veniva proposto da Bernardo quale salvezza per i vari stati del mondo».
136 Opere di San Bernardo, cit., I, Trattati, Milano 1984, p. 442.
137 Ivi, p. 447.
138 Ibidem.
139 Ibidem.
140 Ivi, p. 453.
141 Cfr. J. Leclercq, Pour l’histoire de l’encyclique de Saint Bernard sur la Croisade, in Mélanges offerts à Edmund-René Labaude, Poitiers 1974, pp. 484-485.
142 F. Cardini, La Guerra santa nella cristianità, cit., p. 399.
143 Cfr. J. Miethke, L’engagement politique: la seconde croisade, in Bernard de Clairvaux. Histoire, mentalités, spiritualité, Paris 1992, pp. 475-503.
144 F. Cardini, La Guerra santa nella cristianità, cit., p. 399.
145 P. Zerbi, La ‘militia Christi’ per i Cistercensi, cit., p. 284: «Il Cardini, cercando di andare alle radici della cavalleria medievale, scriveva: “L’alternativa alla costruzione d’un ideale guerriero cristiano sarebbe stata, se è lecito esprimersi in via ipotetica, l’impossibilità di cristianizzare l’uomo di guerra, il che – in un mondo segnato dalla violenza e dall’insicurezza e dominato dalle aristocrazie militari – avrebbe coinciso con l’impossibilità di costruire una società cristiana: imperfettamente cristiana, sia pure; contraddittoriamente cristiana, certo; superficialmente cristiana, senza dubbio: ma cristiana infine”. Sembra di poter concludere che la proposta del miles Christi templare, come è delineata nel De Laude – il guerriero cioè per una causa santa, stretto da voti monastici – rappresenti storicamente uno dei più seri tentativi per venire incontro a tale profonda esigenza».
146 Cfr. E.H. Kantorowicz, Laudes regiae. A Study in Liturgical Acclamations and Medieval Ruler Worship, Berkeley 1946.
147 Cfr. J. Van Laarhoven, ‘Christianitas’ et réforme grégorienne, in Studi Gregoriani, 6 (1959-1961), p. 25.
148 Cfr. G. Miccoli, Dal pellegrinaggio alla conquista: povertà e ricchezza nelle prime crociate, in Povertà e ricchezza nella Spiritualità dei secoli XI-XII, Todi 1969, p. 59.
149 Cfr. E-D. Hehl, Die Kreuzzüge. Feindbild – Erfahrung – Reflexion, in Die Kreuzzüge. Kein Krieg ist heilig, cit., pp. 237-247.
150 Cfr. E. Przywara, L’idea di Europa. La ‘crisi’ di ogni progetto politico cristiano, Introduzione, traduzione e note a cura di F. Mandreoli, J.L. N.
151 Cfr. G. Tabacco, Le ideologie politiche del medioevo, Torino 2000.
152 Cfr. G. Miccoli, Dal pellegrinaggio alla conquista, cit., p. 45.