Costantino e la letteratura
Teatro, poesia, narrativa, saggistica (1890-2010)
L’immagine di Costantino nella letteratura del Novecento è un argomento quasi del tutto inesplorato. I pochi studi che contengano accenni al tema si limitano a esaminare singole opere, o ambiti circoscritti della ricezione. Non disponiamo invece di indagini più ampie, tantomeno di repertori sistematici. L’obiettivo principale delle pagine che seguono sarà dunque elaborare un regesto completo, per quanto possibile, delle rappresentazioni letterarie di Costantino nel XX secolo. Come risulterà evidente, le occorrenze sono in effetti piuttosto numerose, e riguardano le più disparate tradizioni culturali (non solo europee). Oggetto del censimento sono i passaggi dedicati all’imperatore in qualsiasi testo di finzione (o in riflessioni saggistiche, se opera di scrittori), purché non si tratti di allusioni superficiali e cursorie. Sul piano cronologico i limiti effettivi del secolo sono dilatati in entrambi i sensi (1890-2010), al fine di includere opere ascrivibili almeno in parte – per motivi storici, estetici o di poetica – al panorama novecentesco. Gli esiti della ricerca sono qui esposti in quattro sezioni, ciascuna dedicata a una specifica forma letteraria: teatro, poesia, narrativa, saggistica. La struttura interna del discorso varierà a seconda della sezione: per i due capitoli iniziali, ad esempio, è sembrato opportuno attenersi in primo luogo a un criterio geografico; gli ultimi due si articoleranno invece in sottogruppi tematici o tipologici, all’interno dei quali varrà poi l’ordine cronologico. Le citazioni si daranno sempre in lingua italiana: dove possibile, farò riferimento a traduzioni già edite; negli altri casi, la traduzione è opera di chi scrive.
La fortuna teatrale di Costantino è un fenomeno discontinuo ma di lunga durata, il cui apice va senz’altro individuato nel XVII secolo: se il Crispus del gesuita Bernardino Stefonio risale al 1596, in pieno Seicento vengono scritte e rappresentate le tragedie di François de Grenaille, di Tristan L’Hermite e di Thomas Corneille (L’Innocent malheureux ou la Mort de Crispe, 1639; La Mort de Chrispe ou les malheurs domestiques du grand Constantin, 1645; Maximian, 1662); La lepra de Constantino di Pedro Calderón de la Barca (auto sacramental, 1660-63); e infine la tragedia Constantine the Great di Nathaniel Lee (1683, con prologo di Thomas Otway ed epilogo di John Dryden)1. Al centro della maggior parte dei drammi è l’oscura serie di eventi che conduce, nel 326, alle esecuzioni di Crispo e di Fausta: un episodio che una lunga tradizione associa alle vicende di Fedra e Ippolito, e le cui interpretazioni letterarie intrattengono, con le versioni teatrali del mito, un complesso dialogo intertestuale2. Eclissatasi al termine del grand siècle, solo nel Novecento la figura dell’imperatore tornerà ad assumere un ruolo significativo; sebbene nessun drammaturgo di prima importanza sia coinvolto in questa rinascita, i testi che prenderemo in esame formano un corpus non trascurabile. Degno di nota, in particolare, è il contributo dei teatri inglese e tedesco: a questi due ambiti saranno dedicati i primi due paragrafi, mentre la parte finale si soffermerà sulle occorrenze residue. Come si vedrà, la vicenda di Crispo e Fausta esercita un fascino considerevole anche sugli autori novecenteschi: il repertorio tematico si allarga comunque a numerosi eventi storici e biografici, la cui interpretazione varia fortemente – come prevedibile – a seconda del contesto geografico e culturale.
Nel 1906, il poeta Henry Newman Howard pubblica Constantine the Great: una tragedia in blank verse, parte conclusiva di una Christian trilogy iniziata con il dramma Kiartan the Icelander (1902) e proseguita con Savonarola: a City’s tragedy (1904). Il testo si articola in quattro atti: i primi due (Minervina’s tragedy) sono ambientati in Gallia – con qualche anacronismo – intorno al 310, mentre negli ultimi due (Crispus tragedy) l’azione si sposta agli eventi del 325-326. L’aspetto di maggiore interesse risiede fin dall’inizio nel rapporto tra Costantino e la religione cristiana. I passi più significativi in proposito si trovano all’interno di un lungo monologo, tenuto in presenza di Lattanzio e Atanasio:
Costantino. Un Dio, un Re; / non più cinque Imperatori e cinquecento sette; / una corona, una fede, il mondo ai nostri piedi. / […] Guardate il regno che il vostro Signore ha voluto! / Lattanzio. No, Augusto; il Suo regno è dentro di noi. / Costantino. Sei un tipo cocciuto: ma mi piaci. / Tuttavia, non fa per me la tua fede in tanti regni. / […] Almeno questo è chiaro, comunque: / uomini che sono fedeli al Dio che adorano, / e che né il denaro né la tortura possono corrompere, / quegli uomini saranno ugualmente fedeli al loro Principe3.
Nella seconda metà della tragedia, un gruppo di congiurati pagani fa credere all’imperatore che esista una relazione amorosa tra Crispo e Fausta. Costantino ordina la cattura del figlio, che muore suicida prima di essere scagionato dalla stessa Fausta. L’opera termina con il monologo disperato del protagonista, che ha ormai perso la ‘hybristica’ sicurezza dei primi due atti: «il Costantino / che conquistò il mondo è morto: qui giace il suo cuore. / […] Non ha amore, figli, speranze, rifugio; / le sue rovine guardano il sole tramontare; / si nutre di ceneri da un fuoco estinto»4. L’equilibrio del dramma rimane così sospeso tra la desolazione laica dell’imperatore e il conforto spirituale offerto da Lattanzio: «lasciati battezzare; / confessa, e lasciati assolvere»5.
Al 1939 risale invece Judgement at Chelmsford, ‘pageant play’ di Charles Williams. L’impianto è scopertamente allegorico e si basa sul meccanismo della prosopopea: la diocesi di Chelmsford (Essex), presentatasi in Paradiso per insediarsi tra i ‘Great Sees of Christendom’, è messa alla prova; sarà accolta solo se dimostrerà la sua importanza nella storia del cristianesimo, citando esempi di devozione che riguardino la diocesi in particolare o la Chiesa d’Inghilterra in generale. Degli otto episodi intercalati, sono per noi rilevanti gli ultimi due: Old king Cole e St. Helena and the Invention of the Cross. Nel primo, Costanzo Cloro incontra il leggendario re di Colchester e sua figlia Elena: dopo aver esposto le proprie inquietudini sul futuro di Roma («le manca un’anima, un sogno, un mito, una visione»), l’Augusto auspica l’avvento di un successore che abbia la forza spirituale della futura sposa («se ci fosse qualcuno che avesse il mio potere e il tuo spirito, lui cambierebbe il mondo»); è così profetizzata la nascita di Costantino, che nell’episodio seguente è ricordato come l’uomo che «portò pace alla Chiesa»6.
Di circa dieci anni posteriore al Judgement è il più esteso dramma britannico dedicato a Costantino: The emperor Constantine – A chronicle, scritto per il Colchester Festival del 1951 da Dorothy Sayers, oggi nota soprattutto per i suoi romanzi polizieschi. I temi principali sono definiti nella prefazione, che si sofferma anzitutto sull’ambiguità storica del protagonista («tutto quello che sappiamo di lui è in qualche modo ambiguo»; «il drammaturgo, facendosi strada tra le luci e le ombre della storia, deve cercare di interpretare al meglio i fatti»)7. Particolare risalto è dato, in queste pagine introduttive, al valore simbolico del concilio di Nicea:
Il primo imperatore cristiano è stato così, nell’economia della Provvidenza, lo strumento attraverso cui il cristianesimo è stato messo di fronte a due problemi che ancora non hanno trovato soluzione – i rapporti esterni tra Chiesa e Stato, e i rapporti interni tra ortodossia ed eresia. È poi diventato di moda incolpare Costantino per la corruzione implicita in ogni alleanza tra potere spirituale e potere temporale […]; ma simili critiche sono inutili. Il problema del potere non può essere ignorato; il cambiamento era inevitabile nella natura delle cose […]8.
Il rapporto fra Chiesa e potere è, in effetti, il motivo principale dell’opera. Costantino lo sperimenta in tutta la sua ambiguità, per quanto la sua parabola ideologica e spirituale sia orientata in un senso ben preciso: la cronaca segue la vicenda dell’imperatore dalla giovinezza alla morte, concentrandosi proprio sul mutare del suo atteggiamento nei confronti della religione. Ancora dopo la visione di ponte Milvio, il dio cristiano viene considerato da una prospettiva opportunistica, in funzione dei vantaggi politici o militari che potrà garantire9. Negli anni successivi – per promuovere la tolleranza, ma anzitutto per convenienza politica –, Costantino evita in ogni modo di rinnegare le divinità pagane. Dopo il 324, invece, il personaggio della Sayers si avvicinerà in modo evidente al cristianesimo: e non solo per ragioni strategiche. L’interesse per la nuova religione è mostrato dalla frequenza con cui l’imperatore allude a passi del Nuovo Testamento10, ma soprattutto dalla sua appassionata partecipazione al concilio di Nicea: a un intervento di Costantino è addirittura fatta risalire l’origine del dibattito sull’homoousia11. Tra gli eventi pubblici di Nicea e la sfera privata si darà infine un legame diretto, quando – in seguito alle esecuzioni del 326 – solo la fede nel «Dio vero da Dio vero» porterà conforto a un imperatore ormai pienamente convertito12. Non a caso, l’epilogo del dramma ritrae Costantino nell’atto di recitare il Credo, sul letto di morte.
Il primo testo significativo è Konstantin der Große, tragedia in cinque atti pubblicata nel 1925 da Albrecht Schäffer, poeta e narratore vicino al Kreis di Stefan George. Nucleo dell’opera è, di nuovo, il controverso rapporto fra il protagonista e la religione cristiana. «Non credo in niente», esclama con disprezzo Costantino, nei giorni che precedono lo scontro decisivo con Massenzio13: tuttavia, come si evince poco dopo da un dialogo con il figlio Giulio (nome con cui l’autore designa Crispo), i rivolgimenti interiori del personaggio sono ben più complessi. Costantino dichiara di essere da sempre affascinato dal cristianesimo: al tempo stesso – con l’avanzare della carriera politica – ha sentito il dovere di allontanarsene, per ragioni di coerenza; fede e potere si escludono infatti a vicenda, e chi regna non può illudersi di seguire l’insegnamento di Cristo14. L’ambiguitas, dunque, va intesa come sintomo di una coscienza divisa:
Chi sono io, Cristo, per combattere dalla tua parte? / […] È impossibile combattere su due fronti: / per te contro il mondo, e contro di te / nel profondo dell’animo. Sono bloccato dalla contraddizione: / ti odio, e soffro per te, / e tu sei troppo buono per questa Terra, / ma sei anche falso! O notte, sono diviso / come un albero dal fulmine15.
A stravolgere la situazione saranno gli eventi familiari del 326, esposti con numerose licenze rispetto alla vulgata. Giulio muore suicida, non potendo tollerare l’ingiusta ira del padre, che lo accusa di aver attentato alla sua vita; l’innocenza e la devozione del figlio saranno dimostrate troppo tardi. Fausta potrà invece assistere alla piena conversione dell’imperatore, che insieme con la moglie recita un commosso Padre nostro nella scena conclusiva16.
Decisamente meno cristiana, e più nietzscheana, è la figura delineata da Ernst Bacmeister in Kaiser Konstantins Taufe, tragedia edita nel 1937. Siamo nel 337 e Costantino, ormai stanco e malato, indice una provocatoria gara tra divinità: se un qualsiasi dio si manifesterà nell’arco di una giornata, a questo verrà consacrata la capitale; altrimenti, il solo culto ufficiale sarà «la fortuna dell’imperatore»17. L’indole antireligiosa del protagonista è continuamente ribadita: a suo dire, gli dei sono puro nulla, inutile flatus vocis, mentre Cristo è solo uno strumento per accentrare il potere18. In un mondo ideale, l’unica fede del Volk dovrebbe essere quella nella forza creatrice dell’individuo, forza che il Kaiser rappresenterebbe al massimo grado19. L’esito della gara sembra dunque scontato: nessuna miracolosa epifania avrà luogo e nessuna religione verrà ufficialmente favorita. Tuttavia, Costantino decide infine di battezzarsi; a convincerlo sono gli argomenti esposti da un fidato consigliere, lo stoico Sopatro (corrispondente, nella realtà storica, al filosofo neoplatonico Sopatro di Apamea):
Devi comandare, Imperatore, e non aspettare / che sia lo sciocco mondo a guidarti. / Il fenomeno cresce in modo indipendente da te. Allora diventa cristiano, / e fa’ che cresca come vuoi tu. / […] Chi altri potrebbe, finché tu sei in vita, / guidare il gregge dei popoli che tu stesso hai creato? / Ma solo un cristiano può guidarlo ora20.
Tanto vaghe quanto evidenti sono le premesse stoiche dell’esortazione: fata nolentem trahunt, volentem ducunt. Spinto dal filosofo, Costantino giunge a un compromesso tra tendenze superomistiche e necessità storica; decide allora di battezzarsi, riconoscendo la superiorità del cristianesimo sugli altri culti. La capitale, comunque, non verrà dedicata ad alcun dio, ma a un generico «Segreto divino» (l’autore allude, probabilmente, alla fondazione di Santa Sofia)21.
Le coordinate entro cui si muove il Bacmeister risultano chiare: il dramma deve molto all’ideologia nietzscheana, ma soprattutto all’immagine di Costantino promossa (con diverso giudizio morale) dagli studi di Burckhardt. A questi ultimi l’autore s’ispira, con ogni probabilità, anche per definire il personaggio di Sopatro: L’età di Costantino dedica un intero paragrafo all’amicizia tra l’imperatore e il filosofo neoplatonico, che è inclusa tra gli indizi della mancata conversione22. Su un altro piano, ma sempre in merito al legame tra opera e contesto storico, non possiamo trascurare la forte compromissione con il clima politico dell’epoca: non a caso, infatti, la Taufe godette di particolare favore presso il pubblico nazista; senza dubbio alcuni aspetti risultano in piena sintonia con la retorica del Reich, dal superomismo del Kaiser all’enfasi sulla potenza creatrice del Volk23. Il Costantino di Bacmeister è organico, per molti versi, all’immaginario nazista: fatto di per sé non ovvio, se si pensa alla probabile inclinazione hitleriana per la figura di Giuliano l’Apostata (su questo punto torneremo in seguito, nella sezione dedicata alla narrativa).
L’unica altra occorrenza nel teatro tedesco è ben più recente: si tratta dell’opera Fausta. Macht und Ohnmacht Kaiser Konstantins (musica di Heinz Heckmann, libretto di Heiner Martini), rappresentata nel maggio 2007 al Theater Trier, per l’inaugurazione di un’importante mostra su Costantino. Il testo è centrato sui tormenti privati dell’imperatore, che – dopo avere mandato a morte Crispo – deve decidere come punire la moglie adultera. Su consiglio di Elena, Costantino decide di applicare la legge in modo inflessibile; tuttavia, l’esecuzione di Fausta sembra condannarlo alla disperazione e al rimorso. L’unico sollievo sarà offerto dal valore cristiano della misericordia, simboleggiato dalla croce illuminata che campeggia nella scena finale. La tragedia familiare è dunque rappresentata come il momento di una decisiva svolta morale e religiosa: a questa prospettiva si affianca un evidente interesse per l’importanza politica di Trier, com’è naturale, date le circostanze in cui l’opera è stata concepita24.
Germania e Regno Unito sono, senza dubbio, i paesi in cui la presenza teatrale di Costantino è più cospicua e significativa: ad ogni modo, alcune attestazioni degne di nota sono ravvisabili anche altrove. È il caso della Grecia, a partire da Φαύστα (1893) di Dimitrios Vernardakis: una tragedia esemplata sull’Ippolito euripideo, nella quale più dello specifico storico conta la sovrapposizione archetipica tra Crispo e Ippolito, Fausta e Fedra, Costantino e Teseo. Un giudizio storico netto emerge, invece, dalla tragedia Κωνσταντίνος ο Μέγας, pubblicata nel 1957 dal narratore e drammaturgo ateniese Kosmas Politis. Il testo segue l’ascesa del protagonista a partire dalla vittoria su Massenzio e consegna l’immagine di un uomo mosso esclusivamente da una feroce sete di potere: la vita dei familiari è sacrificata, senza rimorsi, alle esigenze politiche e il cristianesimo ridotto a un mero instrumentum regni. È chiara l’influenza di quella linea storiografica che potremmo definire (con ovvie semplificazioni) anticostantiniana, e che unisce Voltaire e Gibbon a Burckhardt: una linea tutt’altro che egemone in un paese ortodosso, nel quale l’imperatore è venerato come santo. Non stupisce, quindi, il fatto che il dramma abbia suscitato vivaci polemiche, e che non sia mai stato rappresentato. Politis teneva comunque in grande considerazione l’opera, come documentato da una lettera a Federico Fellini (scritta nel settembre 1973, e mai inviata), nella quale l’autore proponeva al regista di curarne un adattamento cinematografico25.
Aggiungiamo per inciso che, prima di Politis, un altro drammaturgo aveva rivisitato gli eventi del IV secolo da una prospettiva eterodossa: edita nel 1945 (ma scritta nel 1939) è la tragedia Ιουλιανός ο Παραβάτης di Nikos Kazantzakis, uno dei maggiori scrittori greci del XX secolo26. Il testo, ambientato nel 363, non presenta riferimenti diretti a Costantino, ma contiene un giudizio implicito sulle conseguenze storiche delle sue scelte. L’azione ruota intorno ai bassi intrighi orditi dal vescovo di Costantinopoli, ideale esponente di una Chiesa ormai guastata dal commercio con il potere politico; al degrado del clero è opposta la figura di Giuliano, modello quasi agiografico di tolleranza e integrità morale. Vittima innocente della sua epoca, l’Apostata è presentato come il paradossale custode della vera etica cristiana: del resto simili interpretazioni, come vedremo, sono tutt’altro che rare nella letteratura del Novecento.
Per quanto riguarda le occorrenze propriamente costantiniane, va infine segnalato un dramma rumeno: Scene din viaţa lui Constantin cel Mare (Scene dalla vita di Costantino il Grande) di Cristina Tamaş (1955)27, messo in scena per la prima volta nel maggio 2002 al teatro di Constanța. La sede della prima rappresentazione non è certo casuale: si tratta infatti della romana Tomis, rinominata Constanța in onore della sorella dell’imperatore; alla storia della città, e al passaggio di Costantino in Romania, l’opera dedica ovviamente una speciale attenzione. Il tema principale resta comunque l’esperienza religiosa del protagonista, agiograficamente scandita da episodi miracolosi: su tutti la guarigione dalla lebbra (a questa altezza è fatto risalire il battesimo), e la visione di ponte Milvio. Il Costantino rumeno è, senza dubbio, il più univocamente cristiano tra quelli esaminati finora: negli altri testi la conversione è il punto d’arrivo di un percorso più complesso (Sayers e Martini, ma soprattutto Schäffer e – ancora più problematicamente – Newman Howard); oppure è un atto meramente esteriore e funzionale alle ambizioni del protagonista (lo sostengono, con giudizi opposti, Bacmeister e Politis). D’altronde, l’estrema varietà delle interpretazioni, esito naturale dell’ambiguità storica del personaggio, sarà evidente anche nelle prossime sezioni di questo lavoro.
Le opere in versi interamente dedicate alla figura di Costantino sono rare, specie nel XX secolo; ma anche in questo ambito non mancano episodi significativi, per quanto la loro entità testuale sia spesso circoscritta. In area italiana va ricordato anzitutto un passo dell’Hymnus in Taurinos (1911) di Giovanni Pascoli, in cui l’epifania della sacra insegna è spostata ai momenti che precedono la battaglia di Torino: la croce diviene così il simbolo di una continuità storica e spirituale, che da Costantino giunge allo scudo dei Savoia. Lo stesso Costantino, a sua volta, appare come l’unico legittimo continuatore della latinità: nella descrizione della battaglia, l’esercito di Massenzio è presentato alla stregua di un’orda barbarica, della quale i torinesi stentano a riconoscere l’origine28.
Pur caricandosi di sfumature molto diverse, la visione della croce resta il tema fondamentale delle altre occorrenze italiane, nelle quali si aggiunge, peraltro, il filtro decisivo degli affreschi aretini di Piero della Francesca. Al 1959 risale il poemetto La ricchezza di Pier Paolo Pasolini, poi inserito in La religione del mio tempo (1963): il primo ‘capitolo’ descrive appunto le Storie della Vera Croce, dal punto di vista di un operaio entrato per la prima volta nella chiesa di San Francesco. I versi conclusivi si soffermano in particolare sul sogno di Costantino: all’inquietudine infernale che precede la battaglia è contrapposta la «quiete divina» del futuro imperatore, figura di raccordo tra il piano della storia e una dimensione trascendente29. Come ha dimostrato Silvio Ramat in un libro intitolato proprio I sogni di Costantino, l’ekphrasis pasoliniana deve molto agli studi su Piero di Roberto Longhi: in special modo al saggio Piero della Francesca (1927), dove la ‘perenne storicità’ del notturno aretino è oggetto di riflessioni magistrali30.
È lo stesso Ramat a osservare come l’influenza del modello longhiano si estenda – negli stessi anni – a Roberto Roversi, autore del resto culturalmente vicino a Pasolini. L’opera in questione è Il sogno di Costantino (1959-1960), ottava sezione della raccolta Dopo Campoformio (1962, riedita con modifiche nel 1965). La quiete e l’attesa metafisica presenti in Pasolini, tuttavia, vengono qui del tutto demistificate: a ispirare Costantino non è una visione, ma la sua stessa ‘tragica insolenza’, la sua delirante ambizione di potere31. Di fronte al sacrificio delle armate il labaro rimane muto e il sogno rivela il suo carattere illusorio: «Eroi immobili nella mischia aspettano / che l’ala nera si spezzi e lo stendardo parli. / Ma da un sogno non attendere verità»32. Costantino non è più un passivo strumento del fato, né un raccordo tra la contingenza e la divinità: diventa anzi l’emblema dell’uomo politico che, presentandosi come emissario di un Verbo superiore, si rende responsabile di inutili massacri. La prospettiva attualizzante è chiara: come ribadito dall’autore nella Nota conclusiva, sfondo della raccolta è il periodo che va «dai fatti d’Ungheria all’esplosione di Krusciov»33; secondo uno schema che ritroveremo in altre opere, l’uso politico del cristianesimo da parte di Costantino diventa un modo di alludere alle contemporanee legittimazioni ideologiche della violenza.
Il poemetto di Roversi si sofferma con particolare enfasi su un problema capitale nella ricezione novecentesca di Costantino: lo statuto ambiguo dell’uomo di potere, i cui atti possono venire interpretati sia come l’esito di una libera scelta, sia come uno strumento al servizio di istanze superiori (si tratti della volontà divina o dell’inevitabilità dei processi storici). Su temi analoghi si interroga anche il poeta polacco Czesław Miłosz, in uno dei momenti letterariamente più alti della nostra rassegna: Cesarz Konstantyn, componimento conclusivo della raccolta Druga przestrzeń (Il secondo spazio, 2002). Voce monologante in questi versi, nonché protagonista di un’intera sezione del libro, è padre Severino, un prete cattolico della nostra epoca, tormentato da dubbi circa la presenza di Dio nella storia. Nella poesia finale, Severino immagina di essere vissuto ai tempi del concilio di Nicea:
Sarei potuto vivere al tempo di Costantino. / Trecento anni dopo la morte del Salvatore, / di cui non si sapeva nulla se non che era sorto / come un dio Mitra, solare, tra legionari romani. / Avrei assistito al dibattito tra homoousios e homoiousios, / se la natura di Cristo fosse divina o solo simile alla divinità. / Mi sarei opposto, credo, ai trinitaristi: / infatti, chi può davvero conoscere la natura del Creatore? / Costantino, imperatore del mondo, buffone e assassino, / ha fatto pendere la bilancia al Concilio di Nicea. / Solo grazie a lui, generazione dopo generazione, noi meditiamo sulla Santa Trinità, / mistero dei misteri, senza il quale / il sangue dell’uomo sarebbe stato estraneo al sangue dell’universo / […]. / E così, Costantino è stato solo un indegno strumento, / inconsapevole di ciò che stava facendo per i popoli di epoche lontane? / E noi, sappiamo a cosa siamo destinati?34
Come sosteneva già Dorothy Sayers nella premessa alla sua Chronicle, l’imperatore a Nicea sembra farsi «strumento della Provvidenza»; Miłosz sviluppa il medesimo punto, sottolineando la paradossale contraddizione tra la funzione storica del primo imperatore cristiano e le sue individuali miserie («buffone e assassino»).
Il paradosso è ripreso in un altro testo poetico recente, stavolta greco: Μέγας Κωνσταντίνος, della scrittrice e studiosa Helene Ahrweiler, tratto dalla raccolta ̕Ένδοξος Ελλάς (2004). Ancora più forte è qui l’insistenza, da parte dell’autrice, sulle colpe biografiche di Costantino: «è riuscito a uccidere la moglie e il figlio, / senza che uomo o dio gli desse un valido motivo… / Allora, chi sarà stato in grado di salvare il peccatore? […] / La domanda rimane senza risposta nella storia»)35. Il sospetto diventa un’affermazione perentoria nei versi che aprono un altro componimento della raccolta, Στὸν ῾Έγιο Κωνσταντίνο Δευτερολογία («ipocrisia, errore, menzogna, stupidità / quanto scrivono su di te i libri»)36. La prospettiva disincantata sul personaggio è dunque simile, per molti aspetti, a quella che abbiamo già riscontrato nel dramma di Politis. Ben diversa è invece la lettura in chiave intimistica offerta da un’altra poetessa greca, Kiki Dimoula: in Κωνσταντίνου και Ελένης (dal volume Η εφηβεία της λήθης, 1994) l’imperatore si rivolge al Dio cristiano perché la madre, ormai morta, venga accolta tra i santi. Costantino non mostra né il cinismo del politico né la devozione del santo, ma appare semplicemente come un figlio che – smarrito di fronte al mistero della morte – si avvicina alla fede con insicurezza e al tempo stesso con speranza. L’interpretazione della Dimoula rimuove, dunque, gli aspetti più oscuri della personalità di Costantino. Una lettura ancora più marcata in senso agiografico è reperibile in un testo devozionale rumeno, Vine Isus (Viene Gesù, 1981) di Costache Ioanid, dove l’imperatore viene citato come un esempio di virtù cristiana e come colui che per primo ‘dà libertà’ alla fede37. Sempre in ambito devozionale, un riferimento cursorio ma significativo si trova nelle Cinq mélodies populaires grecques, musicate da Maurice Ravel negli anni 1905-1906. I testi, raccolti e tradotti per l’occasione dal musicologo Michel Cavalcoressi, risalgono perlopiù alla guerra d’indipendenza grec. Nella canzone Là-bas vers l’église, la ‘chiesa di San Costantino’ è il simbolico punto di ritrovo degli eroi cristiani: «Laggiù, presso la chiesa, / presso la chiesa di Sant’Isidoro, / la chiesa, o santa Vergine, / presso la chiesa di San Costantino, / si sono riuniti, raccolti in numero infinito, / o Vergine santa, i più valorosi uomini del mondo».
Vanno infine segnalati due episodi di ordine ben diverso, entrambi legati alla poesia nordamericana. Il primo riguarda i Cantos di Ezra Pound, e in particolare la sezione Rock-drill (scritta intorno al 1945). Nel canto XCIV, penultimo della serie, il nome dell’imperatore è citato in termini dissacranti:
Il Bulgaro voleva conservare il buon senso / e un’impressione / forse in termini troppo generici, che / Costantino era un pidocchio / «Ma secondo la nuova legge», / 127 / «basta l’affetto»38.
La breve scena si svolge, come si evince dal contesto, all’epoca di Giustiniano. Stando ai commenti, il ‘Bulgaro’ è, con ogni probabilità, un condottiero ariano; la sua ostilità verso Costantino va quindi connessa con motivi religiosi. In questo caso si allude però a un tema più specifico, vale a dire il divieto di matrimonio per le prostitute (sancito dallo stesso Costantino). Al «pidocchio» si oppone l’esempio di Giustiniano, che concede – Novellae IV 127 – alle prostitute la possibilità di sposarsi39. Il tono polemico è invece assente nel secondo episodio, che risale ad anni più recenti: si tratta di The dream of Constantine – Piero della Francesca, poesia contenuta nella raccolta A gilded lapse of time (1992) della poetessa Gjertrud Schnackenberg. In modo analogo a Pasolini e Longhi, l’autrice indugia sul carattere atemporale dell’affresco; il corso della storia è sospeso, e l’esperienza di Costantino è considerata sub specie aeternitatis:
La città di Roma è tua, / e non ti preoccupare delle voci che affollano le tue orecchie / come angeli […] / da altre capitali con altre crocifissioni / alla fine di altre vie, scorte indistintamente / in città che devono ancora essere fondate, / alle cui periferie altri imperatori dormono nelle loro tende40.
In modo originale, il componimento declina il tema più ricorrente – come abbiamo visto – nelle interpretazioni poetiche di Costantino: l’opposizione tra la finitezza dell’individuo e le forze (storiche o metafisiche) che lo trascendono.
Lo spoglio non può che iniziare da Benoni and Serapta. A story of the time of Constantine the Great, founder of the Christian faith (1897), singolare opera di un oscuro autore americano, Douglas Vernon (le date di nascita e di morte sono ignote). Serapta è una «nobile principessa della nobile Britannia», nonché cugina di Costantino, mentre il marito Benoni è un principe di origine Parsi; in seguito a un naufragio, i due si trovano perduti su un’isola deserta. Sono recuperati da Ela ed Enoah, due emissari divini, incaricati di guidare Benoni al cospetto dell’imperatore: con la sua saggezza, il principe dovrà aiutare Costantino a limitare il potere della Chiesa e a far prevalere la tolleranza sul fanatismo dei vescovi. Temi centrali del romanzo saranno dunque la polemica anticlericale e la critica dalla deriva dogmatica del cristianesimo. A esprimere il pensiero dell’autore non è il solo Benoni, ma anche – e soprattutto – l’imperatore stesso. «Non finiranno mai queste dispute su minuzie dottrinali? sono stanco di questa guerra di parole», esclama ad esempio di fronte a Eusebio e Atanasio41; ma ancora più esplicite risultano le confidenze riservate a Benoni («Cristo non è mai resuscitato, e io sono stato complice di una frode»)42. Per mantenere un residuo di verosimiglianza storica, Vernon confina simili sfoghi polemici nell’ambito delle conversazioni private, evitando di inscenare improbabili svolte fattuali. Malgrado la vicenda di Serapta e Benoni si concluda in modo lieto, resta evidente l’amarezza dell’autore per la vittoria politica dei vescovi, sulla quale non può influire il pentimento tardivo dell’imperatore.
Quello di Vernon resterà a lungo un caso isolato: nella prima metà del Novecento non si registrano, di fatto, romanzi storici sull’epoca di Costantino. L’unica eccezione è Kaiser Konstantin – Eine Zeitwende (1929) di Albrecht Schäffer, dove la materia del dramma del 1925 è rielaborata con alcune aggiunte e modifiche. La variante più significativa riguarda la scena finale, nella quale Costantino – prima del battesimo ufficiale – si fa battezzare in segreto da papa Silvestro, usando le proprie lacrime al posto dell’acqua benedetta43. La seconda metà del secolo si apre invece con un’opera di grande rilievo, Helena (1950) dello scrittore inglese Evelyn Waugh. Per quanto centrato sulla figura della madre, il romanzo segue da vicino gli eventi principali della vita dell’imperatore, riportandoli da una prospettiva originale e spesso ironica. L’autore dedica naturalmente una speciale attenzione all’atteggiamento di Costantino verso il cristianesimo, spesso evidenziandone l’ambiguitas. In merito alla visione di ponte Milvio, per esempio, siamo invitati a condividere le cautele attribuite a Lattanzio: «tutto quanto sappiamo è che l’Imperatore si sta comportando come se avesse avuto una visione»; non resta che «accettare il mistero e glorificarne la causa prossima, il lontano, ambiguo imperatore»44. Più che fare chiarezza sulla vicenda personale di Costantino, ad ogni modo, a Waugh importa sottolineare la decisiva funzione del cristianesimo nello sviluppo della civiltà occidentale. Un bersaglio polemico diretto, sebbene implicito, sono in questo senso le tesi storiografiche di Gibbon45.
«La mia Elena è un capolavoro; sarà un fiasco», scriveva Waugh in una lettera del 194946: in effetti l’opera non ha i tratti del romanzo storico di successo e rappresenta piuttosto una sofisticata sintesi della poetica e delle idee religiose dell’autore. Pienamente ascrivibile ai moduli del best-seller a tema storico è invece un romanzo del 1965: Constantine – The miracle of the flaming Cross, dell’americano Frank Gill Slaughter. Il libro apre una lunga serie di biografie romanzate, raccolte dall’autore sotto il titolo Pathways of faith. La trama segue fedelmente l’intera parabola del protagonista, dall’infanzia alla morte. Per riassumere l’immagine di Costantino trasmessa da Slaughter, sarà sufficiente riportare alcuni passi della postfazione dell’autore:
Quasi dal giorno della sua morte, è sorta una controversia sul suo autentico rapporto con la fede cristiana. Molti lo hanno bollato come un opportunista […]; secondo altri fu sincero nella sua scelta del cristianesimo a scapito del paganesimo, e il peso delle testimonianze storiche conferma la seconda ipotesi. […] Istituendo uno stretto legame tra religione e potere temporale, Costantino ha indubbiamente posto le basi per i problemi politici che avrebbero poi causato scontri fra Stato e Chiesa, e addirittura guerre tra nazioni, nei secoli successivi. Da ogni punto di vista, comunque, è stato un grande imperatore. […] Più di sedici secoli dopo quei tragici eventi, il mistero circonda ancora gli eventi che portarono alla morte di Crispo, Fausta e Liciniano. […] Colpevole o innocente che fosse, è innegabile che quei fatti resero Costantino un uomo triste e oscuro, le cui tendenze dispotiche crebbero con il passare degli anni47.
L’enfasi viene posta sui problemi consueti: la sincerità della conversione, i meriti e i demeriti politici, le conseguenze storiche di lunga durata, le miserie private. Con simili questioni si misureranno – declinandole nei modi più diversi – tutti i successivi romanzi storici dedicati alla figura di Costantino, a partire da Κωνσταντίνος ο Μέγας (1969), del greco Kostas Kyriazi e dal più noto Emperor (1978) del britannico Colin Thubron. Quest’ultimo, in particolare, elabora dell’imperatore un’immagine contraddittoria e dichiaratamente ‘ambigua’, al fine di rendere la complessità di quello che un personaggio definisce l’«evento meno spiegabile della nostra era: la conquista di un imperatore romano da parte di un profeta galileo»48.
Un uso particolare del romanzo storico è quello praticato da Carlo Cassola nel 1980, con Il ribelle. Il protagonista, Severiano, è un intellettuale cristiano di origini patrizie. La sua ‘ribellione’ consiste nel solitario rifiuto della forma attribuita al cristianesimo da Costantino e Silvestro. Lo sfondo storico del libro è dunque rappresentato dallo stringersi, nell’età costantiniana, di un legame sempre più solido tra Chiesa e potere: Severiano si oppone invano al cammino della storia e per protesta si allontana gradualmente dalla Chiesa, fino a uscirne in modo definitivo dopo la morte del papa e dell’imperatore. Più che la fedele ricostruzione di un’epoca, il romanzo è di fatto un exemplum politico riferibile all’attualità, come suggerisce tra l’altro il lessico usato dal narratore: «Severiano pensava a un mondo completamente cristiano, non a quel compromesso tra il vecchio e il nuovo che venne messo in piedi pochi anni dopo da Costantino e Silvestro»; «Silvestro e Costantino […] erano due vecchie volpi. Insieme misero in piedi quel compromesso storico destinato ad essere la fortuna della chiesa e la disgrazia della religione»49. In un’intervista del 1986, l’autore si pronuncerà in modo ancora più esplicito:
Silvestro e Costantino sono stati sulle due diverse sponde gli artefici del compromesso storico, contro cui si batte il mio protagonista. Ecco, qui c’è la grande speranza popolare, il cristianesimo, che dopo tante persecuzioni sembra vincere, ma si arriva al compromesso storico tra Stato e Chiesa, il vero grande compromesso storico.
Allora questo romanzo è una complessa metafora della situazione attuale?
Basta sostituire un nome, ad esempio, «comunismo» al posto di «cristianesimo», mettere il nome di una rivoluzione laica, perché tutto torni50.
Otto anni dopo Il ribelle, un altro romanzo prende spunto dalle prime lotte interne al cristianesimo dopo la fine delle persecuzioni: O trono do Altíssimo, del portoghese João Aguiar. La narrazione verte sulla vita di un fittizio san Quintiano di Braga, diviso tra l’ortodossia e l’ascetismo priscillianista. L’azione comincia nel 350, tredici anni dopo la morte del primo imperatore cristiano, che è quindi menzionato solo sporadicamente. Vanno tuttavia segnalati alcuni passi, in particolare quelli in cui il pagano Flavio ricorda a un giovane Quintiano gli aspetti più controversi della figura di Costantino:
Costantino è stato battezzato soltanto nell’ora della morte e colui che è ha somministrato il battesimo è stato Eusebio di Nicomedia. Un vescovo ariano. […] L’Augusto che ha consegnato ai cristiani il dominio sull’Impero ha fatto uccidere il suo primogenito ed è morto da eretico. Costanzo, anche lui fervente cristiano – e anche ariano – ha ordinato la morte dei suoi parenti più prossimi. Giuliano, l’Apostata, ha perdonato i suoi nemici…51
Sul parallelo con Giuliano, e sulla sua diffusione novecentesca, torneremo fra poco. Qui importa notare piuttosto come l’ambiguità sia ancora la cifra determinante nel giudizio sull’«Augusto che ha consegnato ai cristiani il dominio sull’Impero». Aguiar non è certo l’ultimo romanziere a essersi occupato di Costantino: specie a partire dal 1995, anzi, il tema conosce una vera inflazione. Gli episodi più recenti necessitano però di una riflessione specifica, che rinviamo al paragrafo conclusivo della presente sezione; per ora converrà lasciare in sospeso la rassegna sui romanzi storici ambientati in epoca costantiniana e dedicarsi ad altre categorie narrative.
Nel 1907, vent’anni prima del saggio longhiano su Piero, Gabriele d’Annunzio dedica agli affreschi di Arezzo la prosa Il secondo amante di Lucrezia Buti, poi inclusa nelle Faville del maglio. Il testo influenzerà lo stesso Longhi52, anche per quanto riguarda l’interpretazione del Costantino sognante come una figura sospesa tra singolarità storica e universalità. Così il narratore autobiografico rievoca, infatti, il notturno aretino:
Costantino dorme sotto la tenda, vegliato dalle sue guardie. È l’uomo della sua storia, emerso dalle sue note fonti istoriali; è l’uomo de’ suoi eventi e de’ suoi detti insigni. Ma se si sveglia, ma se apre gli occhi, scopro in lui l’oscurità d’un sogno che non è il suo sogno interpretato, la profondità d’una visione che non è la sua visione celebrata». […] Così pensavo. Già dunque allora gli occhi chiusi di Costantino sognante mi aiutavano a comprendere quella portentosa ambiguità delle «cose vere» e dello «incognito indistinto» ne’ freschi di quel pittore che «ebbe bonissima cognizione d’Euclide53.
Sovrapponendo tessere vasariane e dantesche, d’Annunzio esalta il carattere indecifrabile e suggestivo degli affreschi: ma in questo caso l’‘ambiguità’ del pittore sarà amplificata da quella del personaggio, e in special modo dai misteri legati all’episodio di ponte Milvio.
In termini non troppo distanti, altri scrittori torneranno sul Sogno pierfrancescano: citeremo ulteriori esempi in questo paragrafo e nella sezione dedicata alla saggistica. Procedendo in ordine cronologico troviamo anzitutto occorrenze di tipo diverso. Al 1938 risale il racconto Z dziejów Konstantynopola (Storia di Costantinopoli), incluso nel volume Trzy znaki Zodiaku (Tre segni zodiacali) del polacco Jan Parandowski. Nel breve passo che lo riguarda, l’imperatore è ritratto mentre disegna i confini della nuova cinta muraria, ispirato da una visione divina54. Pochi anni dopo, Costantino appare nel Giudizio universale di Giovanni Papini: un’opera ambiziosa e incompiuta, nella quale i grandi personaggi della storia universale, giunti al cospetto di Dio, riconsiderano la loro vita e i loro peccati. Il testo dedicato a Costantino, scritto nel 1941, delinea un’immagine tutt’altro che celebrativa:
Tu sai che gli uomini mi hanno lodato smisuratamente in vita e dopo morte; […] perfino certi sacerdoti di Cristo mi hanno assolto in grazia di quella che fu piuttosto superstizione che conversione. Ebbi la misteriosa certezza che l’emblema dei cristiani aveva assicurato la vittoria del mio esercito contro Massenzio; in seguito a quella visione ordinai che la chiesa di Cristo non fosse più oltre perseguitata. Ma io, anche allora, mi credevo un Dio, una incarnazione di Apollo, e il Dio supremo ed unico era, per me, il Sole invitto55.
Intorno alla metà del secolo, un particolare interesse per Costantino è ravvisabile nell’opera dello spagnolo Ramón J. Sender. In Crónica del alba (1942) e Hipogrifo violento (1954) – prime due parti di un ciclo di nove romanzi autobiografici, dal titolo complessivo Crónica del alba –, alla figura dell’imperatore spetta un ruolo significativo. Tra la fine del romanzo eponimo e l’inizio dell’Hipogrifo è narrato l’ingresso del giovane José Garcés, alter ego dell’autore, nel collegio gesuita di Reus, in Catalogna. È il 1913 e la città è in festa per l’anniversario dell’editto di Milano, evento che segna il primo vero contatto del protagonista con la religione cristiana56. Sender menzionerà di nuovo Costantino nel romanzo storico Bizancio (1958), ambientato agli inizi del XIV secolo. Stavolta l’enfasi cade, però, sui lati oscuri del personaggio. Per Michele IX Paleologo, ritratto come un ambizioso privo di scrupoli, Costantino è un modello di astuzia politica:
Per Michele Costantino I, padrino di battesimo della città di Costantinopoli, era stato secoli prima un uomo meritorio ed esemplare. Il fatto che fosse celebrato dalla Chiesa cattolica come il suo più grande benefattore, anche se aveva assassinato sua moglie e suo figlio, gli sembrava un esempio di abilità e di energia dissimulata. Ogni forma di occultamento di un vizio o di un crimine sembrava ammirabile a Michele57.
Costantino è dunque presentato ora come un eroe del cristianesimo, ora come un abile dissimulatore. In entrambi i casi Sender non prende posizione in modo esplicito, evitando così di semplificare gli aspetti enigmatici e contraddittorî del personaggio.
Meno controverso, e più ingenuo, è il Costantino che appare brevemente nel racconto St. Athanasius (1919), di Edwar Morgan Forster. L’imperatore convoca il concilio di Nicea nella speranza di sanare i dissidi interni alla Chiesa, ma non può nulla di fronte all’«incredibile violenza» dei vescovi («lì convocò a Nicea, sul Mar Nero, e passò tutto il tempo a cercare di capire su cosa verteva la disputa […]; tra scene di incredibile violenza, il Credo niceno fu approvato»)58. Il tema dell’ambiguitas, declinato in chiave storico-artistica e filosofica, torna invece in un testo belga del 1973, Le songe de Constantin, di Alain Bosquet de Thoran. In un futuro non meglio specificato, al termine di un conflitto mondiale, il narratore si trova a riordinare la biblioteca di un villaggio deserto. La sua unica compagnia sono gli alti quadri di un esercito internazionale, stabilitosi nelle caserme del paese. Tra gli ufficiali spicca la figura di Mario Mauri, già docente di storia dell’arte all’Università di Padova Ai suoi monologhi è affidato il messaggio filosofico del racconto, che per il resto si sviluppa nella forma di una complessa allegoria. Secondo Mauri, la condizione umana è sospesa tra i vincoli della contingenza storica, da una parte, e la libertà di creare il proprio destino, dall’altra. Tale libertà può nascere solo dalla sfera del gioco e del sogno, che vanno quindi considerati come elementi irrinunciabili dell’esistenza. In questo senso, il Sogno di Piero viene descritto dal professore come l’emblema di una verità universale:
Dove depositare i resti delle proprie illusioni, […] se non da qualche parte lungo il cammino che sarà preso dalla nostra visione dell’uomo libero, finalmente in grado di immaginare da solo il proprio destino? Questo cammino, è quello che viene fissato dallo sguardo del bianco cameriere di Costantino, che veglia nella notte nera e illuminata del suo padrone? O è quello che viene preso all’insaputa di tutti da Costantino, il quale sta già sognando il destino dei guerrieri che, come lui, dormono con i loro sogni, sotto le stesse tende dai tetti conici, delle quali si indovina, dietro la sua, la processione immobile e silenziosa?59
La lettura proposta da Bosquet è simile, per molti versi, a quella già rilevata nella prosa di d’Annunzio, nel saggio di Longhi o nelle poesie di Pasolini e Schnackenberg: il Costantino di Arezzo non è solo un individuo storicamente definito, ma anzitutto una figura archetipica del rapporto fra contingenza e assoluto.
Il sogno di Costantino è anche il titolo di un racconto di Elio Bartolini, incluso nel volume Sette racconti cattolici (1992). Anche in questo caso ci troviamo in un futuro post-bellico. Il mondo è gestito da androidi, incaricati di eliminare tutti gli esseri umani che raggiungano il quarantesimo anno d’età. Il cristianesimo è solo un lontano ricordo, sepolto nella memoria collettiva. Il protagonista Costantino ha appena compiuto i quarant’anni e si trova in fuga da una morte certa. Durante la sua breve latitanza, sogna confusamente un bambino al momento del battesimo. Poco dopo, avvenuta l’inevitabile cattura, il condannato chiederà – come ultimo desiderio – un bicchiere d’acqua per battezzarsi60. Il sogno del Costantino futuro chiude dunque simbolicamente la civiltà del cristianesimo, allo stesso modo in cui un altro sogno aveva contribuito alla sua origine. Il testo di Bartolini è l’ultima delle occorrenze extravagantes: in ambito narrativo restano, tuttavia, ancora due gruppi di opere, ciascuna delle quali richiede un esame separato.
Tra il XIX e il XX secolo, l’immagine dell’Apostata conosce una notevole fortuna letteraria61. Solo negli anni Novanta dell’Ottocento, Giuliano è il protagonista – nel bene o nel male – di almeno tre opere, che all’epoca godettero di un certo successo: il romanzo in tre volumi Julian der Abtrünnige, dello storico tedesco Felix Dahn; l’omonimo dramma (1894) del tedesco Adam Trabert e il romanzo Smert’ bogov. Julian Ostupnik (La morte degli dei. Giuliano l’Apostata, 1895), di Dmitrij Merežkovskij. La tendenza si fa anche più marcata nel corso del Novecento. In particolare, sempre più spesso Giuliano è presentato come un difensore della tolleranza religiosa o addirittura come uno strenuo fautore di un’ideale sintesi tra cultura classica e cristianesimo. Al contempo, diventa uso comune – secondo uno schema già praticato, fra gli altri, da Voltaire – opporre all’Apostata la figura di Costantino. Quest’ultimo appare come un cinico uomo di potere, pronto a servirsi della religione per fini politici, oppure – nei casi migliori – come un debole, incapace di frenare le ambizioni e l’intolleranza dei vescovi.
L’antinomia tra i due imperatori è già evidente nel romanzo di Merežkovskij. A Giuliano è attribuito il linguaggio del superuomo nietzscheano62, che viene tuttavia riletto sulla base di una forte tensione religiosa. L’ideale del protagonista come dell’autore, sarebbe una fusione armonica tra il culto dell’uomo che si fa Dio (paganesimo) e quello del Dio che si è fatto uomo (cristianesimo). Malgrado le sue provocazioni ai danni dei ‘galilei’, l’imperatore è inconsapevolmente affascinato da alcuni aspetti dell’etica cristiana. Il conflitto diviene manifesto nelle pagine finali del romanzo, quando Giuliano – in preda a una visione mistica – arriva a invocare il «Buon Pastore» («quanto ti ho amato, Buon Pastore!»)63. Giuliano è l’emblema di un’utopia religiosa, che sopravvivrà alla sconfitta storica dell’imperatore per poi realizzarsi – secondo Merežkovskij – nella «sublime gaiezza del Rinascimento»64. Al polo opposto, nel sistema ideologico del romanzo, si trova Costantino, il cui rapporto con la fede è subordinato a miserie e debolezze personali:
Giuliano sa che questo glorioso Costantino uccise il proprio figliolo, l’unica colpa del quale fu d’essere troppo amato dal popolo. […] Morto su morto, vittima su vittima! Straziato dai rimorsi, l’Imperatore supplica gli ierofanti dei misteri pagani di dargli l’assoluzione, ma gli viene rifiutata. Allora un vescovo lo persuade che soltanto la religione cristiana possiede sacramenti tali da poterlo assolvere da simili delitti. E proprio per questo motivo il sontuoso labaro, lo stendardo sul quale il nome di Cristo è ricamato in pietre preziose, copre ora il catafalco del padre assassino…65.
Il confronto con Giuliano mette in risalto i limiti di Costantino: un uomo sensibile solo alla convenienza politica in vita e alla paura in punto di morte. Il romanzo deve molto, in questo senso, a un’opera fondamentale per la ricezione letteraria del tardoantico a fine Ottocento: Kejser og Galilæer (Imperatore e Galileo, 1873) di Henrik Ibsen. L’Apostata ibseniano è un personaggio titanico, che vive e muore nel sogno di un ‘Terzo Impero’ nel quale il potere della carne (paganesimo) e il potere dello spirito (cristianesimo) possano finalmente conciliarsi. Giuliano critica esplicitamente, e a più riprese, le scelte di Costantino, denunciandone l’opportunismo e la scarsa lungimiranza:
Capisco bene perché il grande Costantino ha portato alla vittoria e al potere una dottrina che lega così fortemente la volontà. Nessuna guardia armata con lance e scudi può formare intorno al trono imperiale un baluardo più saldo di quella fede che stordisce, e addita sempre l’aldilà66.
Costantino allargò le frontiere del suo dominio. Ma non restrinse di molto le frontiere del suo spirito e della sua volontà? Voi lo ponete troppo in alto chiamandolo grande67.
Occorre segnalare, per inciso, la tesi recente secondo cui le idee di Ibsen in merito al Terzo Impero avrebbero esercitato un’influenza diretta sulla retorica hitleriana del Dritte Reich68: la tragedia di Bacmeister del 1937 andrebbe dunque letta come un tentativo di riabilitare la figura di Costantino, all’interno di un clima ideologico più sensibile al fascino dell’Apostata. Se l’infausta ricezione politica del dramma ibseniano è ancora oggetto di discussione, è invece sicura – in tutt’altro ambito – l’influenza su Apostata, una delle Historiska Miniatyrer (Miniature storiche, 1905) di August Strindberg. Di Giuliano è di nuovo esaltata la grandezza spirituale, paragonata a quella di un asceta cristiano. L’apostasia è piuttosto dovuta a un profondo disprezzo per la corruzione morale ravvisata nei sedicenti cristiani, a partire da Costantino («tutti i cristiani che aveva conosciuto, specialmente suo zio Costantino il Grande, vivevano peggio dei pagani»)69, e la conversione di quest’ultimo, a sua volta, è giudicata un atto di ipocrisia e di opportunismo.
Circa sessant’anni più tardi il confronto è ripreso in Julian (1964), uno dei romanzi maggiori dello statunitense Gore Vidal. Malgrado la sua sincera fede pagana, l’Apostata è ritratto come il precursore di una moderna idea di laicità. È per il resto un personaggio dimesso, colto, e soprattutto estraneo alle ambizioni e agli intrighi di palazzo. I numerosi riferimenti a Costantino, specie nei passi narrati in prima persona da Giuliano, servono anzitutto a sottolineare la distanza del protagonista da quel modello:
Ho ancora il vago ricordo di un gigante, molto profumato, con indosso una veste rigida, tempestata di gemme. […] Quando si trattava del suo aspetto, era vanitoso come una donna: lo riconoscono perfino i suoi ammiratori galilei. […] Sul letto di morte mandò a chiamare nostro cugino, il vescovo Eusebio, perché lo battezzasse. Poco prima che il vescovo arrivasse, sembra che Costantino abbia detto, con un certo nervosismo: «Speriamo che non sia un errore». Era proprio da lui dire una frase simile. […] Costantino non è mai stato un vero galileo; si è semplicemente servito del cristianesimo per estendere il proprio dominio sul mondo. Era uno scaltro soldato professionista, malamente istruito e niente affatto interessato alla filosofia, sebbene ci fosse in lui un lato perverso che ricavava una soddisfazione enorme dalle dispute dottrinali: le folli diatribe dei vescovi lo affascinavano70.
Seguendo e rielaborando l’esempio di Vidal, numerosi romanzi si sono in seguito misurati con la figura di Giuliano, senza rinunciare a occasionali paralleli con Costantino. È il caso di L’Apostat (1968) di Luc Estang, Haikyōsha Yurianusu (Giuliano l’Apostata, 1972) di Kunio Tsuji, Julien ou La mort du monde antique (1985) di Claude Fouquet, Giuliano l’Apostata (1997) di Luca Desiato, Gods and legions (2002) di Michael Curtis Ford; all’elenco va inoltre aggiunto il ponderoso ciclo di quattro romanzi intitolati Keiser Julianus (1978, 1983, 1994, 2005), a opera dell’estone Leo Metsar.
Tra le opere dedicate a Giuliano, una menzione a parte spetta infine a Sam wyjdę bezbronny (Uscirò disarmato, 1976), singolare romanzo ‘storico-fantastico’ del polacco Teodor Parnicki. L’opera è ambientata in un immaginario IV secolo, nel quale Giuliano, che non è morto durante la campagna persiana, è alla guida di un impero fondato sulla libertà di culto. Il nome di Costantino appare spesso all’interno di fantasiosi retroscena: si insinua, ad esempio, che l’imperatore sia morto in seguito a un complotto organizzato dai fratellastri e dai loro figli71. Poco oltre, sono descritti i tentativi di Giulio Costanzo e Sicorio Probo per convincerlo a equiparare cristianesimo e culto del Sole invitto72. Anche nella storia parallela narrata da Parnicki, una simile mediazione è destinata a fallire: ancora una volta Costantino è rappresentato, in opposizione al nipote, come un avversario della libertà religiosa.
A partire dagli ultimi anni del XX secolo, la presenza di Costantino in opere narrative ha conosciuto un vistoso aumento. Com’è naturale, il fenomeno riguarda soprattutto il romanzo storico, in forme più o meno vicine ai canoni della letteratura di consumo. Prendendo in esame le diverse rappresentazioni dell’antichità nel romanzo contemporaneo, lo studioso spagnolo Carlos García Gual distingue varie tipologie, tre delle quali risultano particolarmente utili ai nostri fini: ‘romanzi di amore e avventura’, ‘biografie romanzate’ e infine ‘romanzi di intrigo’73. Cercheremo di suddividere il materiale raccolto a partire da queste categorie.
Al primo tipo, in effetti, è ascrivibile solo uno dei numerosi testi ambientati nell’epoca di Costantino: In this sign conquer (1996) dell’americana Irene Brand, dove la Zeitwende costantiniana è lo sfondo delle peripezie di due fratelli cristiani, Lucio e Marco. Ben più rappresentate sono le altre categorie, a cominciare dalle biografie romanzate. In questo caso influisce senza dubbio il modello generico della Yourcenar, oltre a una tradizione più specificamente legata a Costantino (Waugh, Slaughter, Thubron). Con la vita dell’imperatore – e talvolta di Elena – si è confrontato, di recente, un numero notevole di autori: i francesi Joël Schmidt (Mémoires de Constantin le Grand, 1998) e Max Gallo (Constantin le Grand, l’empire du Christ, 2006); lo spagnolo Albert Salvadó (El enigma de Constantino el Grande, 1997); l’olandese Ivo Knottnerus (De pelgrimage van Helena, ossia Il pellegrinaggio di Elena, 2006); l’albanese Leonard Prifti (Konstandini i Madh, cioè Costantino il Grande, 2007); il turco Radi Dikici (Büyük Konstantin - Helena ve Fausta, ovvero Costantino il Grande – Elena e Fausta, 2011), e infine l’italiana Edgarda Ferri (Imperatrix Elena – Costantino e la Croce, 2011). Nella maggior parte di queste opere, a differenza di quanto si è visto nel paragrafo precedente, l’ideale di Costantino sembra essere proprio la tolleranza – o almeno la flessibilità – religiosa. Emblematico è il finale dei Mémoires di Schmidt, in cui alla morte dell’imperatore «pagani e cristiani erano uniti nello stesso dolore»; «il Senato […] accordò a Costantino Massimo l’apoteosi, permettendogli così di raggiungere Dio, dissero i cristiani, i nostri dei dell’Olimpo, dissero i pagani»74. Ognuno dei romanzi citati presenta comunque significative peculiarità, sia nell’impostazione generale sia nella resa di singoli episodi. Per Schmidt, ad esempio, la visione di ponte Milvio non ha mai avuto luogo e la conversione è avvenuta solo qualche anno dopo75; il romanzo di Dikici si distingue per la particolare attenzione riservata alle origini della ‘Nuova Roma’; nel libro di M. Gallo, invece, la seduzione di Crispo a opera di Fausta è parte di un complotto per spodestare Costantino76.
Ancora più nutrito e vario è il gruppo dei ‘romanzi di intrigo’. Ne fanno parte anzitutto gialli o noir canonici, che usano come sfondo le lotte religiose e politiche dell’età di Costantino: ad esempio la tetralogia dell’inglese Paul Doherty (Murder Imperial, 2003; The song of the gladiator, 2004; The Queen of the night, 2006; Murder’s immortal mask, 2008), dove la detective è una sorta di agente segreto («agens in rebus») al servizio di Elena; Ecce Deus di Andrea Nardi (2006), costruito su una serie di delitti a ridosso del concilio di Nicea e animato da un’accesa critica dell’uso strumentale della fede da parte dell’imperatore; Siniestra dello spagnolo Javier Arriero Retamar (2010), sulla misteriosa morte di Ario appena prima della sua riabilitazione ufficiale. Ma la maggioranza dei testi ascrivibili a questo gruppo risponde a moduli piuttosto diversi, secondo cui l’intrigo non deriva solo dagli elementi tipici del giallo: il nucleo romanzesco risiede invece nella narrazione di controstorie o storie alternative, centrate sul ruolo – tanto fondamentale quanto ambiguo – giocato da Costantino negli sviluppi della civiltà occidentale. L’archetipo in questo senso è naturalmente The Da Vinci code (2003) di Dan Brown: la trama si fonda sull’idea che Costantino – per opportunismo politico – abbia soffocato l’essenza stessa del cristianesimo, privandolo degli aspetti potenzialmente rivoluzionari. Al tradimento perpetrato da Costantino si opporrebbe, da secoli, il Priorato di Sion. L’attacco più esplicito all’imperatore è affidato a Teabing, un seguace contemporaneo del Priorato:
Stabilire la divinità di Cristo fu un passo cruciale per l’ulteriore unificazione tra l’Impero romano e il nuovo potere con sede nel Vaticano. Appoggiando ufficialmente Gesù come Figlio di Dio, Costantino lo ha trasformato in una divinità che esiste al di fuori del mondo, un’entità il cui potere non si può contraddire. […] Dalla sua decisione nacque il momento più importante della storia cristiana. Costantino commissionò e finanziò una nuova Bibbia, che escludeva i vangeli in cui si parlava dei tratti umani di Cristo e infiorava i vangeli che ne esaltavano gli aspetti divini. I vecchi vangeli vennero messi al bando, sequestrati e bruciati77.
La palese infondatezza di simili teorie ha dato luogo a vivaci polemiche, perlopiù giornalistiche, nelle quali il ruolo attribuito a Costantino occupa naturalmente uno spazio considerevole78. Ad ogni modo, sulla scia di Brown sono comparsi numerosi romanzi il cui intreccio – pur ambientato nel presente – rimanda ai punti oscuri dell’età costantiniana: basti citare The Constantine conspiracy (2006), dell’americano Gary Parker, Konstantinovo Raskršće (L’incrocio di Costantino, 2009), del serbo Dejan Stojiljković, Konstantin’in Sırrı (Il segreto di Costantino, 2011), del turco Yaşar İliksiz. In forme diverse, l’influenza de Il codice Da Vinci resta evidente anche in altre opere: ad esempio il romanzo storico Con este signo venceras (2008), della panamense Mónica Miralles, o addirittura un dramma olandese (Constantijn de Grote, 2006, di Bart Kok). Nella stessa categoria vanno poi inclusi altri due romanzi, per quanto la loro impostazione sia di fatto estranea al modulo browniano: l’ambizioso Emperor (2006), dell’inglese Stephen Baxter, che attraversa – seguendo i principi dell’alternate history – i primi quattro secoli dell’era cristiana; e infine Destina (2008). della turca Mine Kırıkkanat, dove, in un futuro non troppo remoto, la ricerca dell’erede biologico di Costantino è al centro di un intrigo internazionale.
Il successo dei romanzi ‘di intrigo’ a tema costantiniano va collegato, del resto, a un fenomeno particolarmente diffuso in età postmoderna, tanto nell’immaginario di massa quanto nel cosiddetto midcult: la tendenza a mistificare la storia, più o meno lontana, mediante controstorie e teorie complottistiche. In misura inconcepibile fino alla metà del secolo scorso, il tema della cospirazione popola le nostre mitologie e si è affermato come uno dei principali dispositivi romanzeschi79. Non stupisce, in questo senso, che alcuni riferimenti a Costantino siano ravvisabili anche nell’opera di un maestro del romanzo storico postmoderno, Umberto Eco. In Baudolino (2000) si fa cenno a varie leggende riguardanti l’imperatore e la madre, dal ritrovamento della tomba dei Magi alla traslazione della Sindone a Costantinopoli80. Dieci anni dopo il testo di Eco, il fenomeno si è esteso in modo sorprendente, a conferma della centralità che il nostro immaginario narrativo – oltre alla nostra visione della storia – attribuisce a Costantino.
A documentare la ricezione di Costantino nel XX secolo non sono solo opere letterarie in senso stretto, ma anche numerose riflessioni saggistiche di autori novecenteschi. Una regione periferica riguarda la storia dell’arte, e più precisamente la fortuna degli affreschi aretini di Piero. Al riguardo si è già accennato ai fondamentali studi di Roberto Longhi81, che all’acume dell’analisi uniscono un alto grado di densità retorica. È soprattutto il saggio del 1927 a esaminare l’immagine dell’imperatore e la sua «visione sublimemente sognata e miracolosa», trasfigurata in una «perenne storicità»82. Oltre che nei testi poetici e narrativi sui quali ci siamo soffermati, l’influenza di Longhi è riscontrabile nei diari di viaggio di due autori polacchi, Barbarzynca w ocrodzie (Un barbaro nel giardino, 1962), di Zbigniew Herbert e Podróże do Włoch (Viaggi in Italia, 1977), di Jarosław Iwaszkiewicz. Tema centrale di entrambe le opere sono i capolavori della pittura italiana, e in entrambi i casi le Storie della Vera Croce sono oggetto di descrizioni dettagliate83.
Ma i temi più diffusi sono senza dubbio quelli legati alla funzione storica di Costantino, specialmente in rapporto al cristianesimo. A prevalere in questo ambito sono i giudizi negativi sulla figura dell’imperatore, spesso all’interno di polemiche più generali contro l’uso politico della religione. Esemplare la posizione espressa da Lev Tolstoj in un articolo del 1902, Pis’mo K fel’dfebelju (Lettera a un sergente): «i governi, per sottomettere il popolo e al tempo stesso venire considerati cristiani, hanno dovuto pervertire il cristianesimo […]; tale perversione è stata compiuta molto tempo fa, all’epoca di quel mascalzone di Costantino il Grande, che per questo è stato arruolato fra i santi»84. Del resto, accuse analoghe erano già state formulate da Tolstoj in un importante saggio datato 1882, Čercov’ i gosudarstvo (Chiesa e Stato): «con l’imperatore Costantino e il concilio di Nicea, la Chiesa diventa una realtà; ma una realtà fraudolenta»85. Accenti simili si trovano in The creed of Constantine (1916), pamphlet anticlericale dello scrittore e giornalista americano Henry Tichenor: Costantino «era un guerriero, cioè un macellaio professionista, al pari di Napoleone»; il suo «credo» è una versione corrotta del cristianesimo, elaborata con il solo scopo di «tenere le masse in soggezione»86. In seguito, altri celebri autori condanneranno la politica religiosa di Costantino. Nel 1921 lo spagnolo Ramón del Valle-Inclán riduce la visione di ponte Milvio a una montatura, inscenata «con l’obiettivo di guadagnare soldati» da un imperatore che «proprio in quel momento, invece di farsi cristiano, smise di essere cristiano»87. Nella Connaissance surnaturelle (1942), Simone Weil definisce l’«adozione del cristianesimo come religione ufficiale» quale trionfo dell’Anticristo88; nel 1969 lo svizzero Friedrich Dürrenmatt, dopo aver riconosciuto il ‘genio’ di Costantino nell’essersi nominato «vice di Dio, anziché direttamente Dio», afferma che «non può esistere uno Stato cristiano, così come non esiste un partito cristiano»89.
Un’isolata – almeno tra gli scrittori – opposizione a questa linea viene dal noto romanziere inglese Gilbert Keith Chesterton, che nel libello apologetico Orthodoxy (1908) esalta il ruolo di Costantino nella storia della civiltà occidentale: «il mondo pullulava di scettici, e il panteismo era lampante come la luce del sole, quando Costantino inchiodò la croce all’albero maestro»90. Fra gli interventi a tema storico-politico, una posizione a parte è infine occupata da Fuga da Bisanzio (1985), di Josif Brodskij. Il testo raccoglie le impressioni suscitate da un viaggio a Istanbul ed è ricco di allusioni al fondatore della ‘Nuova Roma’: la croce sognata prima della vittoria su Massenzio non sarebbe «una croce cristiana, bensì una croce urbana, l’elemento fondamentale di ogni insediamento urbano»; l’interesse per il cristianesimo deriverebbe principalmente dall’«efficienza organizzativa ed economica di questa Chiesa particolare»91. Sulla persona di Costantino, ad ogni modo, non viene pronunciato un giudizio storico netto: a Brodskij interessa piuttosto evidenziare l’ambiguo statuto di un personaggio in bilico tra Oriente e Occidente, ovvero tra due concezioni opposte – e ugualmente fondamentali – dell’esistenza umana.
Un’altra categoria saggistica comprende invece i testi che, a partire da Costantino, suggeriscono paralleli tra il IV secolo e la contemporaneità. Abbiamo visto come una simile tendenza fosse già presente in opere narrative e poetiche, specie nei casi di Cassola e Roversi. Sempre in area italiana, vanno ancora segnalati due episodi. Nel pamphlet antifascista Eros e Priapo (1945), Carlo Emilio Gadda istituisce un confronto parodico tra il «pollo» Mussolini e l’imperatore: «il pollo aureolato funzionò da croce di Costantino al ponte Molle; fu il segno di un avvenire indefettibile, garantito dal ku-ce. “In hoc signo vinces”»92. Un parallelo con i dittatori novecenteschi è proposto, circa sessant’anni dopo, anche in un saggio di Antonio Tabucchi: «la monumentalizzazione del Tempo, oltre al dominio della parola, è la preoccupazione di ogni regime di qualsiasi ideologia nel corso della Storia, dall’imperatore Costantino ai giacobini, da Stalin al Terzo Reich»93. Analoghe letture attualizzanti si trovano in autori di altre nazioni, europee e non solo. In un’intervista del 1971, Günter Grass anticipa in nuce le tesi poi sviluppate da Cassola nel Ribelle («Lenin ha a che fare con Marx tanto quanto Costantino, che per primo vinse militarmente nel segno della Croce, ha a che fare con Cristo»)94. In Constantine’s sword (2001), il giornalista e scrittore americano James Carroll traccia una storia dei rapporti fra Chiesa, militarismo e antisemitismo, dal IV secolo a oggi95.
Le ultime due occorrenze, infine, rimandano a due autori molto diversi tra loro e sono entrambe distanti dai casi esaminati finora. La figura di Costantino, infatti, non è qui considerata in termini storici o politici, ma da un punto di vista più astrattamente filosofico. Al 1925 risale A Vision, ambiziosa sintesi delle teorie mistiche di William Butler Yeats. Nel complesso sistema di fasi storiche elaborato dal poeta irlandese, Costantino è citato come il simbolo di una transizione epocale verso un’età dominata dallo spirito religioso («poiché Costantino non si convertì che sul letto di morte, io lo considero per metà uno statista e per metà un taumaturgo»)96. Secondo un passo in seguito espunto, inoltre, la nostra epoca sarebbe segnata «per interazione spettrale» dall’età di Costantino, come verrebbe confermato da una misteriosa apparizione riferita all’autore97. A tutt’altro clima filosofico appartiene la seconda occorrenza: si tratta, infatti, de L’Être et le Néant (1943), e più precisamente della sezione Être et faire: la liberté, nella quale Jean-Paul Sartre cita in varie occasioni il nome di Costantino. Un primo riferimento si trova nelle pagine dedicate allo scarto fra le intenzioni che determinano un atto e le imprevedibili conseguenze di quest’ultimo: «l’imperatore Costantino non prevedeva, andando a stabilirsi a Bisanzio, che avrebbe creato una città di cultura e lingua greca, il cui apparire avrebbe provocato in seguito uno scisma nella chiesa cristiana e avrebbe contribuito perciò all’indebolimento dell’impero romano»98. Poco dopo, si allude a Costantino in una riflessione sulla differenza tra ‘motivi’ razionali e ‘moventi’ soggettivi:
Quando Ferdinando Lot, dopo aver dimostrato che le ragioni che si adducono generalmente per la conversione di Costantino sono insufficienti o erronee, per esempio scrive: «[…] non c’è che una spiegazione possibile, cioè che egli ha ceduto a un impulso improvviso, di ordine patologico o divino», abbandona la spiegazione mediante motivi, che gli sembra insufficiente, e le preferisce la spiegazione mediante i moventi. La spiegazione deve essere allora cercata nello stato psichico – e pure nello stato «mentale» – dell’agente storico. Ne segue naturalmente che l’avvenimento diventa interamente contingente poiché un altro individuo, con altre passioni ed altri desideri, avrebbe agito in modo diverso99.
In entrambi i passi citati, il riferimento è piuttosto cursorio oltre che funzionale alle argomentazioni del filosofo. Non è un caso, tuttavia, che Sartre ponga l’accento su problemi che abbiamo già rilevato in molti altri autori: per quale motivo Costantino ha scelto di privilegiare il cristianesimo? qual è il rapporto fra motivazioni interiori e oggettiva convenienza politica? dove finisce il dominio della contingenza e del libero arbitrio, e dove inizia l’impersonalità dei processi storici (o del piano divino)? Da un simile punto di vista, l’ambiguitas dell’imperatore può divenire sintomo di un’ambiguità universale, legata al nostro modo di intendere la storia. È questo aspetto, si direbbe, a segnare nel modo più profondo la ricezione letteraria di Costantino nel Novecento.
1 Su Stefonio, de Grenaille e Tristan L’Hermite, cfr. gli studi di M. Fumaroli: Les dieux païens dans «Phèdre», in Exercices de lecture. De Rabelais à Paul Valéry, Paris 2006, in particolare pp. 232-238; Il «Crispus» e la «Flavia» di Bernardino Stefonio, in Eroi e oratori, ed. it., Bologna 1990, pp. 197-232.
2 Se, ad esempio, il Crispus di Stefonio si presenta come una versione ‘storicizzata’ dell’Ippolito, le tragedie di F. de Grenaille e Tristan L’Hermit vanno incluse tra le probabili fonti della Phèdre di Racine (cfr. M. Fumaroli, Les dieux païens dans «Phèdre», cit., pp. 235-236).
3 H. Newman Howard, Constantine the Great. A tragedy, London 1906, pp. 31-32.
4 Ivi, pp. 118-119.
5 Ivi, p. 117.
6 C. Williams, Judgement at Chelmsford, Oxford 1946, pp. 77, 79, 86.
7 D. Sayers, The emperor Constantine – A chronicle, London 1951, p. 6.
8 Ivi, p. 5.
9 Queste le parole dell’imperatore, poco dopo la visione della croce: «Gli sono sinceramente grato, e se ci darà la vittoria come ha promesso… Mi è piaciuto il modo in cui si è espresso, Osio […]: è stato davvero chiaro, a differenza degli oracoli» (ivi, p. 52).
10 «Il nostro Signore disse alla Samaritana: “voi non sapete quello che adorate, noi invece sappiamo quello che adoriamo”. E voi sapete quello che adorate?» (ivi, p. 110); «Non è forse vero che la lettera uccide, e lo spirito vivifica?» (ivi, p. 115).
11 «Una frase menzionata poco fa nei verbali mi ha colpito particolarmente. Se ricordo bene, era “della stessa sostanza del Padre” […]. Mi sembra una parola molto chiara e univoca» (ivi, pp. 154-55).
12 Ivi, p. 183.
13 A. Schäffer, Konstantin der Große, Berlin 1925, p. 10.
14 «“Il mio regno non è di questo mondo”! O figlio, / dammi un dio per questo mondo» (ivi, p. 12); «Conosco Gesù Cristo / dalla mia giovinezza, e lo amo profondamente» (ivi, p. 13); «Cristo è di gran lunga troppo buono per questo mondo!» (ibidem).
15 Ibidem.
16 Ivi, pp. 121-122.
17 E. Bacmeister, Kaiser Konstantins Taufe, Berlin 19412, p. 20.
18 «Jahvé è quello che sono tutti gli dei […]: una parola» (ivi, p. 13). «Ho legato gli dei alle mie redini, / e Cristo, schiumante di rabbia per il morso del mondo, / è stato il mio mezzo per guidarli» (ivi, p. 30).
19 «Io stesso mi sono creato» (ivi, p. 14); «Ho guidato il mondo da ovest a est, / io, Costantino, io da solo con il mio lavoro» (ivi, p. 15); «Questo il mio testamento a voi: siate creatori. / Come il sole, così voi. / E ciascuno si crei, come me, il proprio impero» (ivi, p. 57).
20 Ivi, p. 81.
21 Ivi, p. 99.
22 Cfr. J. Burckhardt, L’età di Costantino il Grande, ed. it. Firenze 1957, pp. 377-378.
23 Cfr. G. Gadberry, The history plays of the Third Reich, in Theatre under the Nazis, ed. by J. London, Manchester 2000, pp. 112-114.
24 Per informazioni sull’opera e per ulteriori indicazioni bibliografiche in merito, cfr. A. Goltz, Der “mediale” Konstantin: Zur Rezeption des ersten christlichen Kaisers in den modernen Medien, Köln 2008, pp. 278-279 e 294.
25 La lettera è riportata da Georgios Kallinis nell’introduzione a K. Politis, Γάιος Φλάβιος Βαλέριος Αυρηλιανός Κλαύδιος Κωνσταντίνος, Athina 1999.
26 Il testo è raccolto in N. Kazantzakis, Θέατρο Β΄. Τραγωδίες με βυζαντινά θέματα, Athina 1956, pp. 123-320.
27 Dramma reperibile in C. Tamaş, Teatru, III, Constanța 2007.
28 G. Pascoli, Carmina, a cura di M. Valgimigli, Milano 1951, p. 416.
29 P.P. Pasolini, Bestemmia: tutte le poesie, Milano 1999, pp. 426-427.
30 Cfr. S. Ramat, I sogni di Costantino, Milano 1988, in partic. pp. 197-243. La citazione longhiana è tratta da R. Longhi, Piero della Francesca, in Da Cimabue a Morandi, Milano 1973, p. 400.
31 «Il sogno di Costantino: / affidare con tragica insolenza il destino / delle armate al bianco di una piuma» (R. Roversi, Dopo Campoformio, Torino 1965, p. 85).
32 Ivi, p. 86.
33 Ivi, p. 111.
34 C. Miłosz, Druga przestrzeń, Krakow 2002, p. 59. Dell’opera è inoltre disponibile una traduzione inglese: Second space, transl. by R. Hass, C. Miłosz, New York 2002.
35 H. Ahrweiler, ̕Ένδοξος Ελλάς, Athina 2004, p. 8.
36 Ivi, p. 10.
37 «Tiberio, Nerone, Diocleziano se ne sono andati! / Costantino il Grande ci libera… / Gesù torna»: C. Ioanid, Taine (Misteri), Bucureşti 1981, p. 123.
38 E. Pound, I Cantos, a cura di M. de Rachewiltz, Milano 1985, p. 1217.
39 Cfr. C.F. Terrell, A Companion to the Cantos of Ezra Pound, London 1993, pp. 573-574.
40 G. Schnackenberg, Supernatural Love: Poems 1976-2000, Newcastle 2000, p. 225.
41 D. Vernon, Benoni and Serapta, Whitefish 2005, p. 166.
42 Ivi, p. 173.
43 A. Schäffer, Kaiser Konstantin, Leipzig 1929, p. 240.
44 E. Waugh, Elena, Milano 2002, pp. 95 e 97.
45 Una divertita allusione allo storico settecentesco si nasconde nella figura del «gibbone», chiamato in causa da Lattanzio all’interno di un profetico monologo (ivi, p. 87).
46 The letters of Evelyn Waugh, ed. by M. Amory, Harmondsworth 1982, p. 313.
47 F.G. Slaughter, Constantine: The miracle of the flaming Cross, New York 1965, pp. 429-430.
48 «Di Costantino sappiamo troppo poco, per essere certi che fosse così ambiguo come l’ho rappresentato» (C. Thubron, Emperor, London 2002, p. vii); «ho copiato i documenti più rilevanti in merito all’evento meno spiegabile della nostra era: la conquista di un imperatore romano da parte di un profeta galileo» (Ivi, p. x). La prima citazione è tratta dalla breve premessa dell’autore; la seconda è tolta dalle parole con cui un immaginario ‘Melezio’ presenta le carte che ha raccolto perché siano pubblicate, e che costituiranno di fatto la materia del romanzo.
49 C. Cassola, Il ribelle, Milano 1980, pp. 94, 157.
50 Intervista raccolta in F. Zangrilli, La forza della parola, Ravenna 1992, pp. 19-20.
51 J. Aguiar, Il trono dell’Altissimo, Roma 2011, pp. 94-95.
52 Cfr. di nuovo S. Ramat, I sogni di Costantino, cit., pp. 208-217.
53 G. d’Annunzio, Le faville del maglio, Milano 1939, I, pp. 258-259.
54 J. Parandowski, Trzy znaki Zodiaku, Gdańsk 1972, p. 120.
55 G. Papini, Scritti postumi, Milano 1966, I, p. 139.
56 Cfr. in particolare R.J. Sender, Hipogrifo violento, in Crónica del alba, Barcelona 1973, p. 143.
57 R.J. Sender, Obra completa, Barcelona 1976, t. I, p. 61.
58 E.M. Forster, Pharos and Pharillon, London 1961, p. 48.
59 A. Bosquet de Thoran, Le songe de Constantin, Bruxelles 1973, p. 139.
60 E. Bartolini, Sette racconti cattolici, Milano 1992, p. 174.
61 Per una sintesi sulla ricezione di Giuliano tra Ottocento e Novecento, cfr. F. Ursini, Vite di Cesari, in Il mondo classico nell’immaginario contemporaneo, a cura di B. Coccia, Roma 2008, in particolare pp. 256-265; cfr. anche R. Browning, The emperor Julian, Berkeley 1978, pp. 219-235.
62 «Io vi porto la vita: io sono il liberatore, sono l’Anticristo!» (D. Merežkovskij, Giuliano l’Apostata o La morte degli dei, Sesto San Giovanni 1934, p. 234).
63 Ivi, p. 376.
64 Ivi, p. 399.
65 Ivi, pp. 19-20.
66 H. Ibsen, I drammi, Torino 1966, I, p. 1093.
67 Ivi, p. 1194.
68 S. Sage, Ibsen and Hitler: The Playwright, the Plagiarist, and the Plot for the Third Reich, New York 2006.
69 A. Strindberg, Historiska Miniatyrer, Stockholm 1997, p. 95.
70 G. Vidal, Giuliano, Roma 2003, pp. 33 e 35.
71 T. Parnicki, Sam wyjdę bezbronny, Warszawa 1985, pp. 438-39. Ringrazio la dott.ssa Anna Zawadzka per l’indispensabile aiuto nella traduzione del romanzo.
72 Ivi, pp. 443-444.
73 C. García Gual, La antigüedad novelada: las novelas históricas sobre el mundo griego y romano, Barcelona 1995, pp. 211-236.
74 J. Schmidt, Costantino: memorie del primo imperatore cristiano, Cinisello Balsamo 2001, p. 239.
75 Ivi, pp. 131-133.
76 M. Gallo, Constantin le Grand, Paris 2006, pp. 207-208.
77 D. Brown, Il codice Da Vinci, Milano 2006, pp. 272-275.
78 Cfr. ad esempio C. Olson, S. Miesel, The Da Vinci Hoax, San Francisco 2004.
79 Con il termine midcult mi riferisco a D. Macdonald, Masscult and midcult (1960), in Against the American grain, New York 1962. Per quanto riguarda la diffusione delle teorie complottistiche nell’immaginario contemporaneo, cfr. F. Jameson, Esperimenti col tempo: realismo e provvidenza, in Il romanzo, a cura di F. Moretti, Torino 2002, IV, pp. 315-347, nonché M. Barkun, A culture of conspiracy, Berkeley 2003.
80 U. Eco, Baudolino, Milano 2004, pp. 126 e 486.
81 R. Longhi, Piero dei Franceschi e lo sviluppo dell’arte veneziana (1914), ora in Id., Scritti giovanili, 1912-1922, Firenze 1980; Id., Piero della Francesca (1927), in Da Cimabue a Morandi, cit.
82 Ivi, p. 400.
83 Z. Herbert, Barbarzynca w ogrodzie, Krakow 1991, pp. 169-70; J. Iwaszkiewicz, Podróże do Włoch, Warszawa 1977, p. 291.
84 L. Tolstoj, Polnoe sobranie sočinenij, vol. 90, Moskva 1958, p. 55. Del testo è disponibile una traduzione inglese in Id., Essays, letters and miscellanies, Rockville 2010, p. 36.
85 Ivi, vol. 23, Moskva 1928, p. 478. Cfr. inoltre Id., Essays, letters ans miscellanies, cit., p. 149.
86 H. Tichenor, The creed of Constantine, St Louis 1916, pp. 17 e 20.
87 Le parole sono tratte da un discorso di Valle-Inclán a una delegazione di studenti messicani: cfr. L.M. Schneider, La segunda estancia de Valle-Inclán en Mèxico, in Valle-Inclán, 1898-1998: Escenarios, ed. M. Santos Zas, Santiago de Compostela 2000, p. 134.
88 S. Weil, La connaissance surnaturelle, Paris 1950, p. 272.
89 F. Dürrenmatt, Die vier Verführungen des Menschen durch den Himmel (1969), in Gesammelte Werke, Zürich 1996, VII, pp. 609-610.
90 G.K. Chesterton, Ortodossia, Casale Monferrato 1999, p. 186.
91 J. Brodskij, Fuga da Bisanzio, Milano 1987, pp. 134-135 e 144.
92 C.E. Gadda, Saggi, giornali, favole e altri scritti, II, Milano 1992, p. 261.
93 A. Tabucchi, L’oca al passo, Milano 2006, p. 73.
94 G. Grass, Ich bin Sozialdemokrat, weil ich ohne Furcht leben will (1971), in Angestiftet, Partei zu ergreifen, Göttingen 1994, p. 158.
95 Constantine’s sword. The Church and the Jews: a History, Boston 2001. Dal volume è stato tratto, nel 2007, un omonimo film-documentario, con regia di Oren Jacoby.
96 W.B. Yeats, Una visione, Milano 1973, p. 288.
97 «Una nota studiosa – ora morta – mi mostrò abbondanti prove scritte che dimostravano come il fantasma apparso a lei e a un amico, al Louvre, era proprio quello dell’imperatore Costantino» (Id., A Vision, London 1925, p. 168).
98 J.-P. Sartre, L’essere e il nulla, Milano 1965, p. 526.
99 Ivi, p. 542.