Costantino e la legislazione antiereticale
La costruzione della figura dell’eretico
I compilatori del Codex Theodosianus inclusero 66 constitutiones sotto il titolo de haereticis del libro XVI1 e, in accordo con il programma compilatorio del 429 e del 435, che individuava Costantino quale punto di partenza per la collezione2, collocarono al primo posto una legge costantiniana del settembre 3263. Le istruzioni di Teodosio II relative al fatto di dare avvio al Codex con l’inclitus Costantino obbedivano a ragioni tecniche più che ideologiche4, e tuttavia contribuirono a diffondere l’idea del carattere fondativo della sua legislazione. Studi recenti hanno sottolineato l’essenziale continuità dell’attività normativa sotto Costantino, anche negli ambiti in cui egli introdusse maggiori cambiamenti5. Nondimeno, il trattamento giuridico delle sette ereticali, in seguito agli accordi di Milano con Licinio6, comportò una innovazione. Prima di Costantino non esisteva la categoria giuridica di haereticus: essa fu una sua creazione7. Egli inserì nella legge non soltanto il discorso eresiologico e le corrispettive categorie, ma anche l’ethos dell’eretico, contribuendo poi efficacemente alla loro diffusione. A partire da allora, le leggi antiereticali si unirono alle predicazioni e alle letture pubbliche, metodi tradizionali per esprimere il dissenso, quali strumenti per combattere l’avversario nella controversia religiosa8. Lo stesso Teodosio II riconobbe esplicitamente Costantino come precedente nella legge emanata nel 435 contro l’eresia di Nestorio («lege divae memoriae Constantini»)9. Da parte sua Eusebio, la cui Vita Constantini offre la principale rappresentazione di Costantino nella veste di legislatore10, attribuiva all’imperatore, con toni encomiastici, l’eliminazione degli eretici dalla faccia della terra11 come conseguenza dell’applicazione dell’editto costantiniano contro i novazianisti, i valentiniani, i marcioniti, i paulianisti e i cosiddetti catafrigi. Anche Sozomeno, prendendo le mosse dall’ambiente culturale della Costantinopoli teodosiana nella quale il Codex ebbe la sua gestazione, partecipa alla rappresentazione di Costantino come legislatore di primaria importanza contro gli eretici e, nella scia di Eusebio, distingue tra un prima della legge costantiniana e un dopo di essa12.
Tuttavia, l’efficacia della legislazione costantiniana non ebbe la portata che le attribuiscono Eusebio e Sozomeno13. Il Codex Theodosianus – una fonte selettiva, che non riunisce tutte le leggi costantiniane, ma soltanto quelle che sembravano potere risultare utili nel 437 – lo conferma. Da una parte, infatti, furono incluse nella compilazione solo due tra le disposizioni costantiniane relative all’eresia, un numero esiguo se confrontato con le oltre 250 leggi costantiniane presenti nel Codex14. Dall’altra, la legge generale contro gli eretici emanata da Teodosio II nel 435 menziona quasi tutti i gruppi che Costantino aveva combattuto15. Ciononostante, la legislazione costantiniana esercitò un grande influsso sull’attività normativa imperiale, sia per quanto concerne il trattamento penale riservato all’eretico sia per la sua dignità morale. L’analisi sistematica e contestualizzata delle norme costantiniane contro gli eretici, nella loro successione cronologica, permette di discutere queste ipotesi.
La prima legge costantiniana conservatasi, nella quale compare il termine ‘haereticus’, risale all’ottobre del 313 e apre il titolo De episcopis, ecclesiis et clericis del libro XVI del Codex16. Ne è stato tramandato solo un frammento, che permette comunque di comprovare sia la scelta, operata da Costantino, del cristianesimo dei clerici della ecclesia catholica, sia il suo rifiuto di quella che lui chiama la factio haereticorum: una antitesi che non ammette inclusioni, destinata a perdurare nel linguaggio legislativo. Questa legge si inscrive nel contesto del cosiddetto scisma donatista17, iniziato nella Chiesa di Cartagine nel 30518 a riguardo dello status dei traditores, i chierici che avevano consegnato i testi sacri durante le persecuzioni; sebbene non compaia il destinatario, la formula di cortesia adoperata, «tua gravitas», suggerisce che si tratti del governatore provinciale, nella fattispecie quello d’Africa. Il tenore della legge sembra indicare che sia stata redatta in forma di epistula e in risposta a una qualche richiesta. L’imperatore era stato informato («comperimus») che la factio degli haeretici aveva sottoposto i chierici della Chiesa cattolica a nominatio o susceptio, violando così i privilegi che erano stati loro concessi. Nella parte dispositiva si ordina al governatore di provvedere alla sua sostituzione (subrogari) nella curia e di proibire le iniuriae di questa classe contro gli uomini di detta religio, il che equivale a sottoporli agli oneri curiali19. In questo modo gli haeretici erano ritenuti responsabili di avere disobbedito a un ordine imperiale e di avere causato iniuria ai cattolici, e ciò nello stesso momento in cui il governatore veniva incaricato di ristabilire lo ius e di vegliare a che in futuro i cattolici fossero al sicuro dalla vexatio degli eretici. Con un linguaggio connotativo, gli haeretici sono dunque rappresentati come faziosi, nemici dell’ordine sociale e religioso, il che supponeva concepire l’eresia non come un reato religioso, che come tale non esisteva in diritto romano20, ma come un problema di ordine pubblico, la cui tutela spettava al governatore21. La dicotomia, che non ammette inclusioni, tra catholicus ed haereticus acquisiva quindi rango giuridico.
In seguito all’eliminazione di Massenzio, il 28 ottobre 31222, e prima dell’aprile del 313, Costantino aveva inviato una lettera, tramandata da Eusebio, al proconsole d’Africa Anullino, nella quale gli comunicava la sua decisione di esentare i chierici della Chiesa cattolica presieduta da Ceciliano di Cartagine da tutti gli obblighi liturgici, senza limite alcuno di natura patrimoniale23. La missiva è anteriore alla replica inviata da Anullino a Costantino, conservatasi in Agostino24, che cita l’iniziativa imperiale insieme con la sua data, il 15 di aprile. Nella sua risposta all’imperatore, il proconsole confermava di avere ricevuto gli scripta, attestava di avere dato notizia a Ceciliano dell’esenzione dai munera curialia e informava Costantino sulla reazione suscitata da tale provvedimento in coloro che, capeggiati da Maiorino, si opponevano al vescovo di Cartagine. Erano stati presentati dinanzi al proconsole due documenti, un fasciculum e un libellus, con la richiesta di farli pervenire all’imperatore. Anullino confermava nella lettera di avere trasmesso alla corte due libelli, uno suprascriptus intitolato Libellus ecclesiae catholicae criminum Caeciliani traditus a parte Maiorini e l’altro, privo del sigillo, unito al precedente.
La legge costantiniana è successiva al concilio di Roma (2-5 ottobre 313) riunito da Milziade, al quale Costantino aveva delegato la risoluzione del conflitto dopo avere ricevuto la richiesta del partito donatista di nominare dei giudici galli che investigassero sulla disputa sorta a partire dalla scelta di Ceciliano25. L’imperatore, che in questo modo si implicava direttamente nella controversia africana, aveva anticipato al vescovo romano il proprio rispetto per la Chiesa cattolica, che era riconosciuta dalla legge, e la sua volontà di non tollerare alcuno scisma o divisione26. Il sinodo si pronunciò a favore di Ceciliano27. Sebbene nel 313 non potesse risultare semplice per l’imperatore operare un discernimento eresiologico28, l’influenza dei vescovi ammessi a corte dopo gli accordi di Milano29, e tra quei vescovi Ossio30, la risoluzione conciliare romana, unitamente alla consueta e aggressiva disobbedienza dei donatisti, che assoggettarono i cattolici agli oneri curiali (iniuria), spiega come il linguaggio giuridico incorpori in sé il concetto di haereticus per screditare in maniera decisiva i nemici di Ceciliano.
In effetti, l’esenzione da oneri municipali era un privilegio riservato a gruppi minoritari31. La sua estensione al clero comportava un cambiamento nella vita cittadina, con conseguenti difficoltà applicative. Da un lato, si trattava di superare la resistenza dei curiali a esonerare dai loro oneri quanti erano idonei al servizio civico in ragione del loro patrimonio; dall’altro sussisteva la necessaria distinzione tra il clero che si considerava cattolico e coloro che erano esclusi da tale denominazione in quanto sostenitori di Maiorino: essi, da quel che si deduce dalla risposta di Anullino, si erano opposti alla privazione del privilegio dell’immunità attaccando Ceciliano. E non era l’unica discriminazione alla quale erano stati sottoposti. In precedenza Costantino li aveva esclusi dalla distribuzione di denaro, fatta a vantaggio dei servitori della Chiesa cattolica, e dalla restituzione ai cristiani della Chiesa cattolica dei beni di loro proprietà. Effettivamente, dopo la sconfitta di Massenzio, Costantino, a Roma, aveva dato istruzioni al proconsole Anullino e al vicario del prefetto del pretorio Patrizio, entrambi sul punto di partire per l’Africa, a che assistessero il vescovo di Cartagine Ceciliano nella distribuzione, tra i chierici della sua Chiesa, di 300 folles inviati dall’imperatore per il loro sostentamento. Ceciliano aveva ricevuto una lettera che lo informava degli ordini impartiti al rationalis Africae, Urso, di mettere a sua disposizione quella somma e di ripartirla tra i chierici che comparivano in un lista redatta da Ossio32. Nella missiva l’imperatore attestava di essere stato informato dell’esistenza di individui che desideravano condurre il popolo della santa e cattolica Chiesa verso una dottrina falsa, e del fatto che Anullino e Patrizio avevano ricevuto l’ordine di non trascurare la faccenda. Costantino sollecitava Ceciliano a ricorrere a detti giudici se tali individui avessero perseverato nella loro pazzia. In un’altra lettera, inviata in questo caso ad Anullino, gli chiedeva di supervisionare la restituzione dei beni di sua proprietà alla Chiesa cristiana dei cattolici, senza fare espressa menzione dei dissidenti33. Questa tripla esclusione34 spiega la rivendicazione di rappresentare la ecclesia catholica nel titolo del libello indirizzato dalla pars Maiorini all’imperatore35.
Sebbene la retorica rappresentasse una parte intrinseca dell’atto legislativo, i compilatori del Codex, sopprimendo ciò che era superfluo e riducendo le leggi allo ius, nel rispetto delle istruzioni editoriali del testo, non conservarono la giustificazione della legge36. Diversamente Eusebio. Questi, in accordo con gli usi tradizionali dell’ideologia imperiale, utilizza le leggi per la caratterizzazione di Costantino come buon principe: nel tramandare l’epistula imperiale con la quale Costantino esonerava i chierici della Chiesa cattolica dai munera civilia, comunica le motivazioni che l’avevano ispirata: il vincolo tra religio e salus publica e la necessaria dedizione esclusiva di quanti officiano il culto alla divinità37, poiché la negligenza in materia religiosa causa grandi mali allo Stato, per dirla con Costantino, mentre la corretta osservanza del culto procura i benefici divini, sotto forma di prosperità per i romani e di successo per le loro iniziative.
Costantino proseguiva così il cammino dei suoi predecessori, vincolando la salus publica alla protezione divina, ma le attribuiva un nuovo contenuto, annettendo il Dio dei cristiani alle divinità protettrici dell’Impero. Tuttavia, l’ideologia della permissività («libera potestas sequendi religionem»38) evidente negli accordi di Milano si mostrò incompatibile con la pretesa dell’unità come programma politico. Nel 313, la Chiesa che egli aveva scelto proprio per la sua universalità era molto lontana dall’essere una e cattolica. Gli sforzi costantiniani in favore dell’unità erano messi in pericolo dalla divisione fra i cristiani delle province africane.
Sebbene il pensiero espresso da Ignazio di Antiochia all’inizio del II secolo, quello secondo cui dove c’è un vescovo esiste una Chiesa dotata di autonomia e di monarchia episcopale39, fosse ancora attuale dopo la pace ottenuta dalla Chiesa, lo sviluppo della nozione di communio permetteva di identificare sia i vescovi delle comunità cristiane che si riconoscevano come membri della Chiesa cattolica, uniti da lettere di comunione tra di loro e con Roma, sia gli esclusi in quanto eretici. I vescovi disponevano di liste episcopali40 in cui si elencavano i nomi di coloro con cui erano in comunione e, inoltre, ogni chiesa locale doveva disporre di un registro dei propri membri. In esso figuravano tutti, dai catecumeni sino al vescovo, includendo due grandi gruppi, i battezzati e i chierici, oltre a gruppi irregolari esclusi dalla comunione41.
L’applicazione dell’esonero fiscale a beneficio dei cattolici spettava alle curie, che, probabilmente, avrebbero consultato il vescovo sul numero dei chierici che dovevano essere esclusi dai munera civilia. Ma in quelle città in cui entrambe le Chiese, avversarie fra loro, reclamavano per sé il titolo di cattoliche, non era un compito facile individuare, e talora ne derivava confusione, coloro che dovevano essere esentati. Secondo la legge, l’imperatore era stato informato di abusi commessi dagli eretici contro i cattolici.
Tuttavia, tale legge42 non era soltanto frutto dell’influenza esercitata dai consiglieri sul sovrano o conseguenza del pronunciamento conciliare in favore di Ceciliano. Costantino era preoccupato da un tema di primaria importanza, quello per cui si sottraevano all’assunzione degli oneri municipali coloro che avrebbero dovuto assumerli in ragione del proprio patrimonio. Il corpus di 22 constitutiones costantiniane poste in apertura del titolo de decurionibus all’interno del libro XII del Codex Theodosianus copre un lasso di tempo di venticinque anni, ponendo bene in evidenza l’attenzione prestata dall’imperatore a un problema tanto rilevante nell’amministrazione dello Stato43. Gli abusi all’interno delle curie erano frequenti a motivo delle divergenze tra potentiores e inferiores. Costantino, nel febbraio del 313, aveva denunciato la collusio (intesa fraudolenta) dei potentiores, che, con la collaborazione dei tabularii, avevano scaricato la sarcina sugli inferiores44; nel marzo dello stesso anno aveva proibito agli iudices di concedere la vacatio civilium munerum a un curiale, senza averne dato previa notizia all’imperatore45.
Con questi precedenti, nella legge si assegna alla factio haereticorum la responsabilità di assoggettare i clerici della ecclesia catholica a nominatio, vale a dire la designazione per la curia, con la conseguente assunzione dei munera dovuti alla città, e a susceptio, ossia i servizi dovuti all’amministrazione centrale, i più gravosi, soprattutto quando c’è di mezzo la riscossione delle imposte46, violando così la disposizione che li esonerava da tali oneri.
Le contestualizzazioni giuridica e storica della norma, che assegnava rango giuridico all’opposizione catholicus/haereticus, permette di scoprire una doppia finalità: ratificare le differenze all’interno delle Chiese, identificando i reali beneficiari dell’esenzione fiscale come parte del processo di definizione dello status giuridico della Chiesa all’interno dell’Impero; risolvere un problema economico e di funzionamento amministrativo qual era quello di assicurarsi l’assunzione degli oneri municipali da parte di coloro che erano chiamati a farlo. Forte dell’avallo conciliare, Costantino, dopo essere stato informato, probabilmente dallo stesso Anullino, del fatto che in Africa alcune curie avevano violato la vacatio a civilibus muneribus decisa in favore del clero cattolico, affermò l’autorità del suo provvedimento, arricchì il lessico giuridico del termine ‘eretico’, associò l’eresia all’azione faziosa e coinvolse il governatore nell’applicazione delle sue disposizioni con un duplice obiettivo: proteggere il clero cattolico nelle Chiese africane, e introdurre ordine e chiarezza in una materia così delicata qual era la fiscalità municipale47. Sebbene il provvedimento fosse esteso a un ambito geografico limitato e rispondesse a una richiesta che partiva dall’Africa – non lo si può interpretare come un’iniziativa autonoma di Costantino – a partire dal 313 l’haereticus si trasformava in nemico del catholicus, era ritenuto responsabile d’iniuria e come tale diveniva oggetto di repressione da parte della legge. Gli si attribuiva un comportamento illecito, contrario alla legge e all’ordine sociale, ma non un delitto religioso in se stesso. Tuttavia, quella di ‘eretico’ non era una designazione obiettiva, ma un’accusa lanciata dagli avversari. Nel promulgare leggi contro gli eretici, Costantino sanzionava accuse tra rivali nell’ambito della competizione ecclesiastica, prendendo le parti di coloro che erano stati avallati al concilio romano e con ancor maggiore influenza presso la corte imperiale. Il sovrano optava per il cristianesimo episcopale e sinodale, distanziandosi dalla neutralità istituzionale in materia religiosa propria della sua condizione di Pontifex Maximus.
La crisi ariana è stato il più grande conflitto religioso che Costantino abbia dovuto affrontare. Se lo scisma donatista aveva avuto origine da questioni connesse con la penitenza e l’ecclesiologia nelle Chiese africane, la controversia ariana riguardava il concetto di Dio, la cristologia e la salvezza. Nel 324, quando Costantino divenne unico Augusto in seguito all’eliminazione di Licinio, tale controversia divideva le Chiese d’Oriente, mettendo in discussione l’unità politica dell’Impero48. Tuttavia, la produzione legislativa antiariana di Costantino conservatasi è molto scarsa. Essa si è tramandata per via indiretta, e il pezzo principale è un editto che ordina di mettere al rogo gli scritti di Ario.
La legge fu emanata dalla cancelleria costantiniana dopo la conclusione del concilio di Nicea, nel giugno del 32549. L’imperatore sanzionò gli accordi conciliari relativi ad Ario: non soltanto lo inviò in esilio50, ma impedì anche la diffusione della sua teologia. A tale scopo ordinò il rogo dei suoi scritti. Il contenuto dell’editto di Costantino contro Ario e i sostenitori della sua cristologia non è offerto dal Codex Theodosianus, ma si conserva, in forma di lettera indirizzata ai vescovi e ai laici, in Socrate51. Da questo storico si viene a sapere che Costantino, emanata una legge contro Ario e quanti ne condividevano l’opinione, volle che essa fosse conosciuta da tutti52. La norma prevedeva che ad Ario fosse imposta l’atimía, cioè la perdita dello status giuridico, misura già applicata a Porfirio, e tale provvedimento si giustificava adducendo la corrispondenza tra la sua empietà e quella del filosofo neoplatonico. Di seguito si evocava il castigo meritato da Porfirio, qualificato come nemico della pietà verso Dio per avere scritto trattati scellerati contro la religione. In concreto, ciò significava non solo disonore e infamia sul suo nome53, ma anche la distruzione delle sue empie opere. Sulla base di tale equiparazione, nella parte dispositiva si stabiliva che Ario e quanti ne condividevano le opinioni fossero chiamati ‘porfiriani’, perché assumessero il nome di coloro di cui avevano imitato la condotta e si accollassero la loro infamia; si ordinava, inoltre, di mettere al rogo le opere di Ario, con un duplice dichiarato scopo: fare sparire i suoi insegnamenti perversi ed eliminarne il ricordo54. In questo modo si attribuiva rango giuridico al nomen porfiriano come marchio di esclusione infamante contro coloro che si opponevano alla formula di fede stabilita a Nicea, ma non li si chiamava eretici. Infine, si rendeva noto che chi fosse stato sospettato di avere occultato alcuni di questi scritti e di non averli consegnati per la loro distruzione nel fuoco avrebbe subito la pena di morte, di cui si specificava la forma: per decapitazione. La severità della pena era da porre in relazione con il carattere nocivo e probatorio di empietà che si intendeva assegnare alla Thalia di Ario, e rispondeva al desiderio di intimorire i suoi possessori per porre così fine alle discussioni teologiche55. Il concilio di Nicea aveva espressamente condannato il libro56. Nel 324/325, in una lettera inviata ad Ario e Alessandro, Costantino li aveva ammoniti di porre fine alle loro dispute pubbliche osservando il silenzio, per non indurre il popolo alla blasfemia o allo scisma. Ritenendo che la materia su cui vi era disaccordo fosse secondaria, richiamava l’attenzione verso il pericolo di tenere tali discussioni in pubblico e li sollecitava a conservare l’unità di fede, la concordia e la pace, nonostante la differenza di idee. L’imperatore desiderava che si ottenessero quanto prima la pronoia, la pistis e la synesis57. D’altra parte, a quanto riferisce Socrate, Costantino, in occasione del concilio di Nicea58, prima dell’apertura delle sessioni, ordinò di bruciare i libelli che gli avevano fatto recapitare gli uni e gli altri vescovi, con le loro richieste opposte, senza averli letti, e frattanto comandava loro di rinunciare alle lamentele e alle reciproche accuse, mentre li esortava a occuparsi delle questioni che avevano motivato la convocazione59. La distruzione simbolica del dissenso che si riflette nei libelli evidenzia il desiderio costantiniano di porre fine in modo irreversibile alla divisione in seno alle Chiese.
L’editto di Costantino dà notizia di un’altra disposizione, non conservatasi, in base alla quale si condannavano al rogo gli scritti di Porfirio. Nei suoi quindici libri Contro i cristiani (da poco restituiti al loro numero da Richard Goulet60), redatti in una data incerta tra il 272 e il 30561, di cui sono sopravvissuti soltanto frammenti dispersi, il filosofo neoplatonico, sulla base di attente analisi filologiche e storiche, aveva incentrato la sua critica sui Vangeli, che conosceva bene, segnalando le incongruenze interne di ciascun Vangelo e quelle tra i Vangeli. La sua confutazione testuale non soltanto metteva in dubbio la storicità dei libri sacri dei cristiani, inclusa la lettura che essi facevano della Bibbia ebraica62, ma anche la divinità di Gesù Cristo63. Il provvedimento risalirebbe al 325, prima della condanna al rogo dei libri di Ario, e non sarebbe stato parte di un programma antipagano64, ma destinato a evitare il confronto religioso65. Di fatto, nell’Oratio ad sanctorum coetum, che risale al 324/325, prima della conclusione del concilio di Nicea, Costantino aveva già censurato alcuni aspetti della filosofia neoplatonica, mostrando al tempo stesso di averne conoscenza66.
L’editto di Costantino contro Ario esplicitava in che cosa consistesse la sua empietà: nell’avere scritto, cioè, trattati scellerati contro la religione, per cui lo si riteneva nemico della pietà verso Dio. Per la sua radicale distinzione tra il Figlio e il Padre,67 Ario divenne colpevole di politeismo68: il punto di confluenza con Porfirio probabilmente risiedeva nella negazione della divinità di Cristo, il che giustificava l’appellativo di ‘porfiriani’ dato agli ariani69.
Oltre al precedente ora richiamato, Costantino disponeva di altri motivi d’accusa. La base giuridica che legittimava l’esclusione sociale dei seguaci di Ario e la messa al rogo dei loro libri risiedeva nell’empietà e nell’avere scritto testi scellerati contro la religione. Entrambi i casi erano contemplati nel rescritto di Diocleziano contro i manichei, ritenuti eretici negli ambienti cristiani70. Il rescritto era stato poi raccolto nel Codex Gregorianus71.
Il rescritto contro i manichei fu emanato da Diocleziano probabilmente nel 30272, in difesa della tradizione e dell’unità religiosa. La finalità della norma era enunciata nel preambolo: mantenere inalterata la vetus religio, la cui retractatio era considerata un grande crimen, e castigare i nequissimi homines che opponevano nuove e inaudite sette alle religioni più antiche, nella fattispecie i manichei73. A tale scopo, il legislatore presentava i manichei come nemici della gens romana e associava la loro religio al venenum e al maleficium74. Questo vincolo costituiva il fondamento giuridico delle clausole punitive. Il rescritto prevedeva la condanna a morte sul rogo per gli auctores e principes della setta, così come il rogo dei loro abominevoli scritti; per coloro che si opponevano, se perseveravano nel loro atteggiamento, si stabiliva la pena capitale e la confisca dei beni75. Nel caso si fosse trattato di honorati, vale a dire persone investite di una qualche dignità, o di maiores che fossero passati (transtulerint) alla inaudita, turpis e infamis setta o alla dottrina dei persiani, si stabiliva che la pena corrispondente fosse la confisca del patrimonium e la damnatio ad metallum – la forma più dura di deportazione – in luoghi lontani («ipsos quoque Phaenensibus vel Proconnensibus metallis dari»76). In entrambi i casi: l’allontanamento dalla religione tradizionale e l’adesione a una setta infamis, la punizione prevista era la soppressione totale e irrevocabile dei diritti civili, sotto forma di morte fisica per le persone di bassa condizione e di irreversibile esclusione sociale e politica per gli honorati77.
Costantino elaborò la sua legislazione caso per caso, in funzione dei conflitti e delle divisioni esistenti in seno alle Chiese. La credenza erronea non era stata in precedenza oggetto di persecuzione giuridica e dunque costituiva un problema nuovo, che Costantino affrontava però con metodi tradizionali, già sperimentati contro cristiani e manichei in un recente passato. Ciò nonostante, il rescritto contro i manichei servì agli scriniarii della cancelleria che seguiva Costantino come fondamento non solo per il trattamento penale dell’eretico, ma anche per la sua caratterizzazione morale: una doppia finalità, che si riflette nell’editto di Costantino contro gli eretici.
In accordo con la prospettiva di epoca teodosiana, lo storico Sozomeno segnalava che la legge costantiniana contro novazianisti, valentiniani, marcioniti, paulianisti, montanisti o catafrigi e altri ancora aveva comportato un cambiamento nell’esistenza degli eretici: con la promulgazione della norma costantiniana essi persero la libertà di riunione e di culto di cui prima avevano goduto, e furono posti sotto la stretta vigilanza dei vescovi78. Ciononostante, l’ottimismo di Sozomeno a riguardo dei suoi effetti è messo in dubbio dagli studiosi79. Per una sua migliore comprensione si analizzeranno il contenuto, la cronologia e la finalità del testo, questioni tra loro collegate.
L’editto in se stesso non è pervenuto né attraverso la Vita Constantini di Eusebio, scritta tra il 337 e il 34080, né tramite il Codex Theodosianus, promulgato nel 438 (due fonti singolari nella costruzione dell’immagine di Costantino come legislatore), ma il suo contenuto può essere ricostruito grazie alla prima delle due fonti e contestualizzato in forza della seconda. Se Eusebio va utilizzato con cautela quando interpreta in senso cristiano alcune leggi di Costantino cui si riferisce, è tuttavia attendibile quando tramanda il testo delle disposizioni costantiniane81. Il riferimento all’editto si integra bene nella rappresentazione di Costantino come legislatore cristiano all’interno del tema più ampio della Vita, che consiste nel presentare Costantino quale governante ideale attraverso i termini abituali dei discorsi tradizionali del potere, vale a dire come pius princeps legato alla divinità da una speciale relazione, come amico e devoto di Dio in tutte le sue azioni; e le buone leggi sono un topos dell’elogio del buon governante. Non a caso l’exemplum biblico di riferimento è Mosè, il legislatore archetipico dell’Antico Testamento82. Questo motivo forma parte dell’economia narrativa del libro III, che si apre con un encomio della pietà dell’imperatore messa a confronto con gli eccessi e le trasgressioni dei tiranni (v.C. III 1-3): pietà che, nel prosieguo del testo, si esemplifica con la convocazione del concilio di Nicea (v.C. III 4-24), l’edificazione dei luoghi sacri (v.C. III 25-53), l’eliminazione dei templi pagani (v.C. III 54-58), il superamento del conflitto per la successione episcopale nella Chiesa di Antiochia, un affaire in cui viene coinvolto lo stesso Eusebio (v.C. III 59-63). Infine, a conclusione dell’opera, Eusebio annette i capitoli dedicati alla soppressione delle sette eretiche, che considera esterne alla Chiesa (v.C. III 63-66).
Nel procedimento espositivo di Eusebio si presentano distinti l’inserzione del testo come argumentum e il suo personale commento. L’editto, tramandato nella sua forma di epistola imperiale agli eretici, appare preceduto da un’introduzione e seguito dall’interpretazione eusebiana. Nell’introduzione (v.C. III 63) l’autore stabilisce le ragioni del provvedimento legislativo di Costantino: gli eretici, ai quali si riferisce in maniera generica senza definirli in questo modo, agiscono dissimulando, sotto un’apparente sanità, e infettano le città come una peste distruttiva, rendendone necessaria l’eliminazione. Il ricorso all’analogia medica giustifica il necessario intervento dell’imperatore con la forza salvifica delle leggi. Eusebio distingue due documenti: allude a un keleusma (nomos), inviato ai governatori delle province, e una didaskalia, rivolta a «questa classe di uomini» con l’insistenza affinché si pentissero e tornassero alla Chiesa. Eusebio non tramanda l’editto, ma soltanto l’ammonizione in forma di epistola, rivolta da Costantino, Victor Maximus Augustus, agli eretici, che coincide, per la maggior parte, con il testo dell’editto. Questa strategia espositiva dimostrerebbe che sotto Costantino una simile disposizione normativa si sarebbe potuta diffondere in forme diverse, con contenuti simili (o differenti) in funzione dei vari destinatari83.
In accordo con i moduli della cancelleria, l’epistola (v.C. III 64-65) e, di conseguenza, l’editto, consta di due parti, un preambolo e un dispositivo. In essa si affrontano il problema della falsa credenza e una definizione di eresia. La persecuzione penale nei confronti dell’eresia aveva bisogno di una propria identificazione e della definizione della natura della sua colpa. Nel preambolo si identificano per nome gli eretici (novazianisti, valentiniani, marcioniti, paulianisti, i cosiddetti catafrigi), si lascia aperta la possibilità di aumentarne l’elenco con altri, cui si allude in maniera sommaria («tutti voi che costituite le eresie attraverso le vostre assemblee private») e si definiscono i casi di applicazione delle disposizioni, che acquisiscono effetto legale: celebrazione di riunioni particolari, che tradizionalmente si associavano al segreto e al sospetto di malignità e illiceità84, e diffusione di dottrine false e perniciose per la società. In questo punto si trova la definizione dell’eresia formulata dalla cancelleria costantiniana85.
Il cambiamento determinato da questa legge rispetto alla situazione precedente era profondo e richiedeva un’esposizione chiara e un linguaggio efficace per dissuadere coloro che fino ad allora, come dice Sozomeno, avevano portato avanti la loro attività senza alcuna punizione. Per giustificare la necessità della norma si costruisce un’immagine abominevole degli eretici, dipingendoli come esseri immorali e nocivi, attraverso un vocabolario criminalizzante. La parte peggiore corrisponde alla loro dottrina, che è assimilata a un veleno (pharmakon) per mezzo del quale gli eretici contaminano coloro che credono, trascinandoli verso la malattia e la morte. La cancelleria di Costantino fa sua la retorica della denigrazione tipica del discorso eresiologico a partire dal II secolo, studiata approfonditamente da Ilona Opelt e Alain Le Boulluec86. Di per sé i termini del discorso fanno parte del lessico della denigrazione e del vituperio, tradizionalmente utilizzato per distruggere, sul piano morale e religioso, ciò che attentava alla cosa pubblica in materia religiosa. Inoltre, per estensione, una simile terminologia era stata utilizzata per vessare il nemico pubblico nelle invettive politiche. Questo repertorio discreditante e criminalizzante è quello adottato dai cristiani, a partire dall’apologetica del II secolo, per connotare gli eretici. In esso confluiscono la concezione e il vocabolario tradizionale della trasgressione religiosa e l’immagine dell’eresia forgiata dalla letteratura cristiana a partire dal quel periodo87.
In accordo con questi usi, ricorrendo a un’analogia di ambito medico, gli eretici sono rappresentati come portatori di un’infermità contagiosa di origine diabolica. L’utilizzo del termine pharmakon non è un mero artificio retorico. Si conosceva l’effetto letale del veleno inoculato dai serpenti che, secondo il pensiero cristiano, erano la rappresentazione del diavolo88. Il termine aveva inoltre connotazioni magiche, considerando che il venenum faceva parte dell’armamentario dei maghi e lo stesso Costantino aveva catalogato il veneficium tra gli atrocissima facinora, a fianco dell’omicidio, dell’adulterio e del maleficium, nel 314, e, per questa ragione, aveva escluso i venefici dal diritto di appello89. L’immagine dell’eretico come serpente capace di inoculare il suo veleno e causare la morte e l’assimilazione della sua dottrina con un’infezione pestilenziale aveva il proposito di provocare avversione sociale per la sua pericolosità, intimorire gli eretici e giustificare la parte dispositiva. In effetti, si esplicita la rottura con la liberalità precedente e la necessità di disporre di una norma: come nella malattia, l’apatia facilita il contagio. Il necessario intervento si formalizza in termini che corrispondono alla funzione punitiva e anche dissuasoria della legge. Si proibiscono le assemblee in maniera casuistica e tassativa, siano esse riunioni pubbliche o tenute in luoghi privati, e si ordina la confisca degli edifici in cui si fossero svolte. Contemporaneamente si insiste sul pentimento e la reintegrazione nella Chiesa cattolica come metodi per evitare le pene previste.
In questa seconda parte si considera il dissenso di eretici e scismatici di follia superstiziosa ed errore fraudolento e, in accordo con uno schema antitetico di ampio uso retorico, si contrappongono l’inganno, le tenebre, la vanità, e la morte in cui vivono eretici e scismatici alla retta via, alla luce, alla verità e alla salvezza della Chiesa. In linea con quanto iniziato dai donatisti e considerata la dissidenza eretica, che rappresentava una nuova tipologia legale, la cancelleria di Costantino ricorre all’analogia con atti illeciti: associa le riunioni degli eretici ad assemblee sediziose per giustificare la confisca dei luoghi in cui si svolgevano e classifica la loro dottrina come superstitio (deisidaimonia)90, con il significato di falsa credenza91, frutto dell’anomalia mentale (anoia), della mancanza di ragione, insomma, della pazzia, una mancanza che precedentemente era stata attribuita ai cristiani92 e che i cristiani tradizionalmente avevano imputato agli eretici93.
Prima di Costantino, Diocleziano aveva fatto ricorso alla retorica della violenza e alla terminologia che gettava discredito sullo scelus religioso per criticare i manichei. Aveva degradato la loro dottrina, considerandola il frutto di menti deformi (pravae mentes), e aveva paragonato la diffusione delle loro execrandae consuetudines alla propagazione di un venenum malevolum, con cui pretendevano di inficere la modesta e pacifica gens Romana e tutto l’universo romano. Nell’esortazione finale diretta al proconsole d’Africa perché applicasse la legge, Diocleziano assimilava il manicheismo a una pestilenza contagiosa (lues nequitiae) che bisognava stirpitus amputare, cioè estirpare dalla radice94.
Infine, perché la legge ottenesse gli effetti terapeutici che perseguiva, veniva reiterato l’ordine di confiscare tutti i luoghi in cui gli eretici si riunivano, precisando che qualsiasi luogo adibito alla preghiera (eukterios) sarebbe dovuto immediatamente passare nelle mani della Chiesa cattolica, mentre gli altri sarebbero stati confiscati per uso pubblico. Da una parte veniva imposta agli eretici una penalizzazione economica che tentava di indebolirli, dall’altra veniva riservata alla Chiesa cattolica la proprietà dei luoghi di culto. La povertà e l’eresia da una parte, la disputa per il possedimento delle chiese dall’altra, sarebbero state questioni che avrebbero avuto un’ampia diffusione nei successivi dibattiti tra ortodossi ed eretici.
Sebbene nell’epistola non se ne faccia menzione, l’editto ordinava la confisca dei libri eretici e la loro messa al rogo. Ciò si evince dall’epilogo di Eusebio all’epistola (v.C. III 66). In esso si riporta l’applicazione dell’editto imperiale ed è riferita un’informazione supplementare riguardo al suo contenuto e alla definizione legale di eretico: vi si stabilisce, infatti, un distinguo tra quanti sono considerati capi dell’empietà e i loro seguaci – una distinzione presente nelle clausole penali del rescritto dioclezianeo contro i manichei – e nell’ambito di quest’ultimo gruppo si opera l’ulteriore suddivisione tra i veri e i falsi pentiti. I capi furono espulsi dopo lo scioglimento delle riunioni. Tra i seguaci, alcuni rinunciarono all’eresia in modo ingannevole, tanto che furono scoperti conservare i libri eretici, di cui l’editto prevedeva la consegna, e persistere nelle pratiche maligne. Altri, invece, si sottomisero alla Chiesa con sincerità. Secondo Eusebio, furono incaricati i vescovi di esaminare caso per caso gli eretici pentiti, escludendo coloro che mentivano e ammettendo alla comunione quanti erano considerati sinceri. Questa fu la politica perseguita con gli eretici. Coloro che non avevano introdotto empietà nell’insegnamento dei dogmi e si erano semplicemente allontanati dalla comunione per colpa degli scismatici furono ricevuti senza alcuna esitazione.
Costantino proseguì il cammino iniziato con Ario per quanto riguarda i testi eretici95. Effettivamente, la messa al rogo dei libri, oltre a essere uno spettacolo con implicazioni politiche, in cui si evocava in maniera sottintesa la crematio96 degli autori, dei possessori o dei lettori dei testi eretici, svolgeva la funzione di un rito di espiazione atto a liberare la comunità da una contaminazione perniciosa attraverso il fuoco purificatore e si prefiggeva inoltre il fine, grazie al carattere pubblico della sua esecuzione, di ammonire, di costituire un esempio e di non tollerare mezze misure97. Simile era la dichiarazione rituale di ciò che era permesso e di ciò che era vietato, con la quale si pretendeva di impedire la diffusione della parola eretica. D’altra parte, il gesto di consegnare i libri perché venissero messi al rogo pubblicamente aveva il valore simbolico di rinuncia all’eresia e di assunzione dell’ortodossia.
Inoltre, secondo il decreto imperiale, la dichiarazione di ortodossia o di eterodossia spettava ai vescovi98, per cui, in seguito, la formazione di maggioranze episcopali intorno al principe sarebbe stata decisiva per la definizione legale dell’ortodossia e dell’eresia, come Sozomeno avrebbe riconosciuto più tardi99. In ultimo, l’esegesi eusebiana conferma che nel vocabolario legale costantiniano, i termini eretico e scismatico designavano la stessa tipologia di persona100: eretici, secondo la cancelleria di Costantino, erano coloro che organizzavano assemblee private ai margini della Chiesa cattolica e diffondevano false credenze.
Lo scopo dell’editto era di porre fine a gruppi, tra i quali alcuni agivano da molto tempo, che avevano mantenuto strutture di appartenenza non integrate pienamente nel modello episcopale101. Ciononostante, sebbene fossero stati inclusi negli elenchi eresiologici102, la loro attività era discontinua all’età costantiniana103. Al contrario, nell’epistola non si nominano né donatisti né ariani, probabilmente perché si trattava di conflitti interni alla Chiesa e ciascuno di essi aveva ricevuto un trattamento particolare. Non si allude neppure, perlomeno nominalmente, ai manichei, forse perché erano già fuori legge ai tempi di Diocleziano, sebbene sia possibile includerli nella proposizione sommaria che segue l’identificazione nominale delle sètte nell’epistola di Costantino («riassumendo, tutti voi che costituite le eresie attraverso le vostre assemblee private»)104.
Ammiano informa che Costantino mise in atto un’indagine minuziosa delle sètte delle superstitiones. Tra queste, lo storico individua con il loro nome i manichei, riassumendo le altre con un generico similes («superstitionum quaereret sectas, Manichaeorum et similium»). Identifica, inoltre, il funzionario incaricato di mettere in atto la ricerca, segnalando che l’imperatore, non trovando un interprete in grado di attuare gli accertamenti necessari, ricorse a Strategio Musoniano, un ufficiale di origine antiochena, comes nel 325-326, che riuscì a diventare prefetto del pretorio nel 354 grazie al dominio di entrambe le lingue105, circostanza che obbliga a supporre che l’indagine fosse il risultato dell’estensione dell’editto all’Oriente.
Questo non è stato l’unico servizio offerto da Strategio a Costantino in relazione alle dispute ecclesiastiche. Nel capitolo che precede quelli dedicati all’epistola contro gli eretici (v.C. III 62), Eusebio tramanda la lettera inviata dall’imperatore al sinodo riunito ad Antiochia riguardo alle dispute interne, di cui dice di avere avuto notizia attraverso gli stessi vescovi ai quali scrive e i comites Acacio106 e Strategio (v.C. III 62,1)107.
L’elaborazione dell’editto-epistula contro gli eretici, prima di essere formalizzata definitivamente nello scrinium del magister epistularum108, fu complessa e conobbe l’intervento di mani, suggerimenti, influenze e contributi diversi all’interno e all’esterno della cancelleria. Se occorreva attribuire agli esperti degli scrinia l’indagine precedente e la compatibilità con la tradizione legale romana, il discorso eresiologico – un discorso antico, e tuttavia aperto e in evoluzione agli inizi del IV secolo – ha avuto probabilmente un’ispirazione cristiana. Ossio ed Eusebio sono considerati i consulenti di Costantino per quanto riguarda il tema della lotta all’eresia109, ma deve essere tenuto in considerazione anche Lattanzio. Nel IV libro delle sue Divinae Institutiones110, dopo aver stabilito la differenza tra religio e superstitio e avere rivendicato per il cristianesimo la condizione di unica vera religione, in quanto contempla un unico Dio e difende l’unità del Padre e del Figlio, lo scrittore cristiano riferisce dell’esistenza di eresie e scismi tra i cristiani e inserisce un riferimento a sètte eretiche che coincidono quasi totalmente con quelle che erano state segnalate nell’epistola eusebiana: phryges, novatiani, valentiniani, marcionitae e anthropiani111. Il passaggio sviluppa, in ugual modo, le idee di separazione e pentimento e la questione del nomen112.
L’influenza delle Divinae Institutiones all’interno dell’epistola agli eretici non avrebbe costituito un caso isolato. Elisabeth DePalma Digeser ha studiato i parallelismi tra l’opera di Lattanzio e determinati passaggi dell’epistola costantiniana al concilio di Arles nel 314113. Anche Paolo Silli ha segnalato le coincidenze stilistiche e concettuali tra l’epistola di Costantino rivolta ad episcopos Numidarum, a proposito della disputa tra donatisti e cattolici per il possesso di una basilica, e diversi passi delle Divinae Institutiones, il che porta l’autore a supporre che sia stato Lattanzio a redigere l’epistola114. Infine, Roberto Cristofoli riconosce l’influenza di Lattanzio, sebbene non esclusiva, nella controversa Oratio ad sanctorum coetum, la cui redazione è datata immediatamente dopo la vittoria di Costantino a Crisopoli115.
È risaputo che, oltre ad avere dedicato a Costantino le Divinae Institutiones, Lattanzio, nei suoi ultimi anni, fu tutore di Crispo116. Si può individuare la sua presenza all’interno dell’entourage dell’imperatore nel 313/314 a Treviri e prolungarla fino alla sua morte, nel 324117. È possibile che Costantino avesse a disposizione una copia delle Divinae Institutiones al momento della redazione della legge, che bisogna situare, probabilmente, fra il concilio di Nicea e il 1° settembre del 326. L’editto, secondo Eusebio, fu inviato, senza ulteriori precisazioni, ai governanti, non specificando indicazioni cronologiche o geografiche.
Tuttavia, nell’epistula, Costantino, tra i cui epiteti compare anche quello di Victor nella inscriptio, si rivolge a sètte eretiche di entrambe le parti dell’Impero, il che comporta una datazione successiva al 324. Il contesto legislativo permette di fissare il limite ante quem118.
I compilatori del Codex Theodosianus inclusero due leggi relazionate tematicamente con l’epistola agli eretici, emanate dalla cancelleria costantiniana nel 326. La prima (Cod. Theod. XVI 5,1) è una copia della legge pubblicata a Gerasa il 1° settembre 326 e compare nell’apertura dell’ampio capitolo de haereticis. Era indirizzata a Draciliano119, vicario dei prefetti d’Oriente, e se ne conserva soltanto la parte dispositiva, in cui si stabiliva con precisione chi dovesse beneficiare dei privilegi («privilegia») attribuiti in considerazione della religio, e chi invece dovesse esserne escluso: dei privilegi potevano beneficiare soltanto coloro che avessero osservato la lex catholica («observatores legis catholicae»). La regola puntualizza che eretici e scismatici non solo dovevano essere esclusi da tali privilegi («ab his privilegiis alienis esse volumus»), ma che dovevano essere anche obbligati e sottomessi ai diversi oneri («munera»)120. La legge è successiva all’estensione a Oriente delle esenzioni con le quali Costantino aveva privilegiato il clero cristiano in Occidente, secondo quanto si deduce da un’altra legge, emanata da Costantino a Serdica il 5 febbraio del 330 e rivolta a Valentino121, console di Numidia, che la invoca come precedente (Cod. Theod. XVI 2,7). Costantino ordinava che i lettori delle Sacre Scritture, i suddiaconi e tutti gli altri chierici che erano stati chiamati in curia per la iniuria degli eretici, fossero liberati da quell’onere. In seguito si invocava quanto era stato deliberato per l’Oriente («ad similitudinem Orientis») per stabilire che, in futuro, non fossero chiamati nelle curie e beneficiassero della piena immunità122.
La discriminazione religiosa tra «observatores legis catholicae» e «haeretici autem atque schismatici», accorpata alla regola del 326, introduce un chiarimento necessario soltanto nel caso in cui si fossero previamente emanate leggi contro eretici e scismatici e se li si fosse identificati con il loro nome, circostanza che obbliga a datare l’epistola contro gli eretici ad alcuni mesi prima del 1° settembre del 326, data della propositio di questa legge a Gerasa e non della sua emissione. D’altra parte la disposizione è richiesta in seguito alla nascita di alcune dispute religiose nelle città, cui si allude sempre nell’epistola (v.C. III 63,2).
La seconda legge, del 25 settembre del 326, successiva alla prima di alcune settimane, regola la confisca delle chiese che erano in mano ai novazianisti (Cod. Theod. XVI 5,2)123. La cancelleria di Costantino, da Spoleto, probabilmente in risposta a una consulta del prefetto del pretorio Giunio Basso124, introdusse una exceptio legis a proposito dei novazianisti, in relazione all’applicazione dell’editto contro gli eretici, che presenta alcune condizioni.
La regola inizia con una dichiarazione giustificatoria, secondo la quale l’imperatore non considera colpevoli i novazianisti prima di averli giudicati ed esamina pertanto una delle loro richieste. Si dispone che essi possano conservare i loro locali per le riunioni e i cimiteri che da tempo erano di loro proprietà, perché li avevano ottenuti acquistandoli, o in qualsiasi altro modo, «sine inquietudine»; non potevano, viceversa, usurpare le proprietà che appartenevano alle chiese di santità perpetua prima della loro separazione dalla Chiesa.
La legge fornisce informazioni riguardo a tre questioni: innanzitutto l’imperatore considera i novazianisti separati dalla Chiesa (si parla di «discidium»); in secondo luogo si era cercato di confiscare loro i locali in cui si riunivano e i cimiteri, presumibilmente in applicazione dell’editto contro gli eretici; infine, si riconosce loro il diritto di possedere le proprie «domus ecclesiae» e i «loca sepulcris», finché non fosse stato esaminato il loro caso, ma comunque non le chiese.
Le due leggi tentano di risolvere alcune fattispecie concrete, sorte dall’applicazione dell’editto contro gli eretici e gli scismatici, che secondo Eusebio e, più tardi, Sozomeno, si applicò con efficacia grazie anche alla decisa collaborazione dei vescovi, ai quali spettavano l’esame religioso, l’identificazione e la conseguente esclusione o ammissione alla comunità. Eusebio sottolinea la rapida riconciliazione di coloro che si erano allontanati soltanto dalla comunione, mentre Sozomeno, amplificando la notizia, evidenzia la maggiore permissività nei confronti dei novazianisti125, il che permette di datare l’editto e l’epistola agli eretici prima del settembre 326. La notizia di Ammiano a proposito dell’ordine costantiniano di ricercare le sètte delle superstitiones, cioè dei manichei e simili, raccomandata a Strategio, che fu comes tra il 326 e il 327, avrebbe rafforzato questa data126.
Del resto, non c’è contraddizione fra il trattamento ricevuto dai novazianisti e i paulianisti al concilio di Nicea127 e la successiva emissione dell’editto. Nel caso dei novazianisti, lo stesso Sozomeno afferma che l’imperatore era segretamente d’accordo con loro, poiché voleva intimorire i suoi sudditi, non distruggerli128. D’altra parte, le considerazioni conciliari nei loro riguardi denotano che tra i vescovi esisteva una preoccupazione per l’attività di alcune sètte, al margine di ariani e donatisti. L’atteggiamento benevolo tenuto nei loro confronti, inclusa l’ipotetica assistenza del vescovo dei novazianisti, Acesio129, avrebbe spiegato l’esortazione al pentimento contenuta nella lettera agli eretici.
Il contesto concreto dell’emanazione dell’editto poté derivare dalla situazione creatasi in seguito al concilio di Nicea, da cui era si era originata la definitiva assimilazione della Chiesa alla struttura civile. Le unità di base dell’organizzazione ecclesiastica erano la città e il suo territorio, ciascuna con il proprio vescovo autonomo e il proprio clero subalterno, che si occupavano della comunità cristiana che viveva all’interno dei suoi confini. Inoltre il concilio aveva espresso un credo universale, secondo la formula del Logos della stessa sostanza del Padre, basandosi sul quale si poteva definire chi fossero eretici. La volontà costantiniana di ottenere una Chiesa unita aveva bisogno di classificare ed escludere i falsi credenti, ovvero gli eretici. Costantino era garante della pax deorum come condizione della prosperità dell’Impero, ma la protezione del Dio dei cristiani dipendeva anche da una retta comprensione delle Scritture. A questo bisogna aggiungere la pressione episcopale perché si trovasse una soluzione giuridica alle situazioni di concorrenza create nelle città dai gruppi menzionati nell’epistola e da altri ancora.
L’efficacia delle leggi costantiniane contro gli eretici fu molto limitata, come dimostrano la successiva attività delle sètte e l’intensa produzione legislativa inerente a questo problema. Tuttavia Costantino pose le basi per il discorso antiereticale, sia nella parte precettiva sia in quella retorica delle norme, in particolare per quanto riguarda la costruzione dell’immagine dell’eretico, e la sua opera ebbe un ampio sviluppo nella successiva legislazione antiereticale, soprattutto in epoca teodosiana.
Il Codex Theodosianus fornisce una testimonianza esplicita e diretta della imitatio Constantini alla corte di Teodosio II: nel 435 Teodosio, attraverso una constitutio con cui i compilatori conclusero il capitolo de haereticis, sanciva la dichiarazione dell’eresia di Nestorio, decisa dal concilio di Efeso del 431, e ordinava di bruciarne gli scritti. Nella parte dispositiva del testo si citava come precedente la legge di Costantino, di divina memoria, attraverso cui quest’ultimo imponeva di chiamare porfiriani gli ariani130, per giustificare la denominazione di simoniaci applicata ai nestoriani e la conseguente messa al rogo dei loro libri131.
Oltre a questa invocazione, espressa dall’antecedente legislativo costantiniano, altre leggi del Codex avrebbero dimostrato che le leggi di Costantino contro gli eretici erano a disposizione degli uffici delle cancellerie imperiali già molto tempo prima e che furono utilizzate come modello.
Gli antichi discorsi sull’ortodossia e l’eresia produssero un certo numero di strategie, che includono, tra le altre, il contrasto fra l’unità della vera Chiesa e la divisione e la pluralità dei gruppi eretici, l’attacco al carattere morale degli avversari, la questione del nomen nelle genealogie eretiche, l’argomento secondo cui l’eresia è frutto della contaminazione di una fede originariamente pura132.
Costantino inserì questo discorso nelle leggi e costruì un’immagine abominevole degli eretici come antitesi dei cattolici. Allo stesso tempo, nei suoi scrinia tentò di rendere fra loro compatibili la penalizzazione della dissidenza religiosa e la tradizione giuridica. Così si applicarono agli eretici le proibizioni e i castighi utilizzati per punire le devianze religiose: divieto di riunioni, confisca e consegna dei locali di riunione, tutte cose che, nel caso degli eretici, implicavano il disconoscimento dello status di chiese proprio di tali luoghi di riunione.
In definitiva, la contrapposizione tra osservanti della lex catholica ed eretici scismatici, la celebrazione di assemblee private e la falsa credenza come elementi distintivi dell’eresia, il biasimo, la denigrazione e l’esclusione sociale, la questione del nomen, il divieto di riunirsi, la confisca degli spazi in cui avevano luogo tali riunioni e l’esclusione dal possesso delle chiese, la criminalizzazione degli eretici, la previsione del pentimento come alternativa al castigo, il riconoscimento dell’autorità dei vescovi per distinguere tra ortodossi ed eretici, tutti fatti che si sono analizzati in alcune delle leggi costantiniane, sono la matrice del successivo trattamento giuridico degli eretici. Nella Cunctos populos del 380 (Cod. Theod. XVI 1,2) la cancelleria di Teodosio I aggiunse le credenze alla legge e stabilì una chiara dicotomia tra coloro che dovevano essere chiamati con il nomen di Christiani catholici e coloro che venivano obbligati a portare l’infamia del dogma eretico, le cui assemblee non meritavano l’appellativo di ecclesiae bensì quello di conciliabula. La stessa regola includeva l’inserimento dei vescovi nella produzione giuridica come referenti dell’ortodossia e il riconoscimento implicito dell’incarico di distinguere tra cattolici ed eretici133. Anche la constitutio Nullus haereticis mysteriorum locus, emanata da Teodosio nel 381 prescriveva l’esclusione degli eretici dal possesso di chiese, li identificava con il nomen (photiniani, ariani, eunomiani) e rappresentava la dissidenza ereticale come una pestilenza contagiosa, sacrilega e maligna, opera di mostri irrazionali pervasi da un veleno diabolico, che minacciava di contaminare i corpi sani di chi osservava la fede nicena e di disgregare la società134. Da parte sua Arcadio, in una legge del 398, ordinava la messa al rogo dei codici eunomiani, paragonati a codici malefici, e minacciava i suoi possessori con la pena di morte135. In una constitutio contro i manichei e gruppi affini, promulgata dalla cancelleria di Onorio nel 407 e indirizzata al prefetto di Roma si decise, in termini assoluti, l’esclusione sociale degli eretici per ciò che riguardava mores e leges e si considerava la loro eresia come un crimen publicum, aggiungendo come spiegazione che quanto si compie contro la religio divina causa la iniuria di tutti136. Nel preambolo di un’altra legge di Onorio dello stesso anno si proclama che la sua finalità è di correggere i pensieri perversi degli eretici mediante il richiamo al pentimento. A questo scopo si propone loro il perdono, a condizione che accettino di attuare una confessione di fede, rinunciando così alla loro devianza137.
Tuttavia, con l’introduzione della categoria di eretico nel vocabolario giuridico, Costantino legittimò un’accusa soggettiva e reversibile tra avversari che si disputavano l’identità di veri cristiani. Fare dipendere la loro identificazione dai vescovi rese difficile l’applicazione delle leggi e, ancora nel 395, il proconsole d’Asia, Aureliano, che doveva giudicare il luciferiano Heuresio, si vide costretto a rivolgere un’interrogazione alla cancelleria di Arcadio riguardo a coloro che dovessero essere inclusi nel vocabulum di haeretici. Il rescritto imperiale stabiliva che sarebbero stati considerati eretici, e quindi sottomessi alle leggi dettate contro di loro, chi fosse stato scoperto ad allontanarsi dal giudizio della catholica religio seppure per questioni minori138.
La legislazione di Costantino riguardo agli eretici non obbedì a un disegno programmatico, ma emise leggi riguardo a una materia nuova all’interno della tradizione, in funzione di circostanze, ascoltando suggerimenti, rispondendo a consulenze e richieste e al contempo affermando la sua autorità e la sua ideologia dell’unità. L’accoglienza legislativa di categorie estranee al linguaggio giuridico e l’aggiunta di nuovi destinatari, come vescovi o eretici, alle disposizioni normative, giustificano il fatto di considerarlo un innovatore. L’inserimento nella tradizione penale della qualificazione giuridica della dissidenza eretica (iniuria, factio, superstitio) avviene, però, secondo schemi preesistenti. La tradizione e l’innovazione delle sue leggi furono recepite e messe in pratica dalla cancelleria costantinopoliana dell’epoca di Teodosio II con l’attribuzione di carattere fondativo nel Codex, sebbene la collectio delle leggi, a partire da Costantino, si sarebbe dovuta attuare «ad similitudinem Gregoriani atque Hermogeniani codicis», e cioè in continuità con la legislazione precedente.
1 Sulla formalizzazione della categoria giuridica di eretico a partire da Costantino e sulle procedure seguite si vedano K.L. Noethlichs, Die gesetzgeberischen Massnahmen der christlichen Kaiser des 4. Jahrhunderts gegen Häretiker, Heiden und Juden, Diss. Köln 1971; L. De Giovanni, Chiesa e Stato nel Codice Teodosiano. Saggio sul libro XVI, Napoli 1980, pp. 81-106; R. Maceratini, Ricerche sullo status giuridico dell’eretico nel diritto romano-cristiano e nel diritto canonico classico, Da Graziano ad Uguccione, Padova 1994, pp. 23-108; C. Humfress, Roman Law, Forensic Argument and The Formation of Christian Orthodoxy (III-VI Centuries), in Orthodoxie, Christianisme, Histoire, éd. par S. Elm, E. Rebillard, A. Romano, Roma 2000, pp. 125-147; K.L. Noethlichs, Revolution from the Top? Orthodoxy and the Persecution of Heretics in Imperial Legislation from Constantine to Justinian, in Religion and Law in Classical and Christian Rome, ed. by C. Ando, J. Rüpke, München 2006, pp. 115-125; M.V. Escribano, La construction de l’image de l’héretique dans le Code Théodosien XVI, in Empire chrétien et Église aux IVe et Ve siècles: Intégration ou «concordat»? Le témoignage du Code Théodosien, Actes du Colloque international (Lyon 6-8 octobre 2005), éd. par J.-N. Guinot, F. Richard, Paris 2008, pp. 389-412; C. Humfress, Citizens and Heretics. Late Roman Lawyers on Christian Heresy, in Heresy and Identity in Late Antiquity, ed. by E. Iricinschi, H.M. Zellentin, Tübingen 2008, pp. 128-142; Droit, religion et société dans le Code Théodosien, éd. par J. Aubert, P. Blanchard, Genève 2009: L. Cracco Ruggini, Il Codice Teodosiano e le eresie, pp. 21-37; M.V. Escribano, The Social Exclusion of Heretics in Codex Theodosianus XVI, pp. 39-66.
2 Cod. Theod. I 1,5-6. Sul progetto compilatorio di Teodosio II e sull’elaborazione del Codex si vedano T. Honoré, The Making of the Theodosian Code, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtgeschichte, 103 (1986), pp. 133-222; The Theodosian Code. Studies in the Imperial Law of Late Antiquity, ed. by J. Harries, I. Wood, Ithaca (NY) 1993: J. Harries, The Background to the Code, pp. 1-16; J.F. Matthews, The Making of the Text, pp. 19-44; Id., Laying Down the Law. A Study of the Theodosian Code, New Haven-London 2000, pp. 10-84; A.J.B. Sirks, The Theodosian Code. A Study, Friedrichsdorf 2007, passim.
3 Cod. Theod. XVI 5,1.
4 Apprendimento, sintesi e certezza sono le idee ispiratrici del Codex, che si presenta in continuità cronologica con il Codex Gregorianus e il Codex Hermogenianus di epoca dioclezianea (Cod. Theod. I 1,5. Ad similitudinem Gregoriani atque Hermogeniani) sebbene esistano grandi differenze tra il Theodosianus e i due codices anteriori. In materia si vedano J. Harries, Law and Empire in Late Antiquity, Cambridge 1999, pp. 59-64; M.U. Sperandio, Codex Gregorianus. Origini e vicende, Napoli 2005; Id., Sullo scopo delle codificazioni tardoantiche, I: i “codices” dell’età dioclezianea, in Atti dell’Accademia Romanistica Costantiniana, XVII Convegno internazionale in onore di Giuliano Crifò (Perugia, Spello 16-18 giugno 2005), Roma 2011, pp. 975-997; S. Connolly, Lives behind the Laws: The World of the Codex Hermogenianus, Bloomington-Indianapolis 2010.
5 Per ciò che riguarda la famiglia, lo status sociale, le abitudini, si vedano ad esempio J. Evans Grubbs, Constantine and Imperial Legislation on the Family, in The Theodosian Code, cit., pp. 120-142; Y. Rivière, Constantin, le crime et le christianisme, Contribution à l’étude des lois et des moeurs de l’Antiquité tardive, in Antiquité Tardive, 10 (2002), pp. 327-361; C. Humfress, Civil Law and Social Life, in The Cambridge Companion to the Age of Constantine, ed. by N. Lenski, Cambridge 2006, pp. 205-225; Id., Poverty and Roman Law, in Poverty in the Roman World, ed. by R. Osborne, M. Atkins, Cambridge 2006, pp. 183-203; J.N. Dillon, The Justice of Constantine the Great. Law, Communication and Control, Ann Arbor (MI) 2012.
6 Si veda il dibattito sul cosiddetto editto di Milano in T.D. Barnes, Constantine, Dynasty, Religion, and Power in the Late Roman Empire, Chichester-Malden (MA) 2011, pp. 93-97.
7 C. Humfress, Roman Law, cit., pp. 125-147.
8 Cfr. R. Lim, Christian Triumph and Controversy, in Late Antiquity. A Guide to the Postclassical World, ed. by G.W. Bowersock, P. Brown, O. Grabar, Cambridge (MA) 1999, pp. 196-218.
9 Cod. Theod. XVI 5,66. Su Teodosio II e l’eresia si vedano C. Luibhéid, Theodosius II and Heresy, in Journal of Ecclesiastical History, 16 (1965), pp. 13-38; J. Harries, Pius princeps: Theodosius II and Fifth-Century Constantinople, in New Constantines: the Rhythm of Imperial Renewal in Byzantium, 4th–13th Centuries, ed. by P. Magdalino, London 1994, pp. 35-44 e F. Millar, A Greek Roman Empire, Power and Belief under Theodosius II, 408-450, Berkeley 2006, pp. 149-167.
10 Si veda l’analisi recente di J. Harries, Constantine the Lawgiver, in From the Tetrarchy to the Theodosians. Later Roman History and Culture, 284-450 CE, ed. by C. Sogno, S. McGill, E. Watts, Cambridge 2010, pp. 73-92; Id, Superfluous Verbiage? Rhetoric and Law in the Age of Constantine and Julian, in Journal of Early Christian Studies, 19 (2011), pp. 345-374.
11 Eus., v.C. III 66,3.
12 Soz., h.e. II 32,3-4. Sozomeno dedica a Teodosio II la sua Historia ecclesiastica. Sull’attività di Sozomeno a Costantinopoli mentre si stava compilando il Codex Theodosianus cfr. J. Harries, Sozomen and Eusebius: The Lawyer as Church Historian in the Fifth Century, in The Inheritance of Historiography, 350-900, ed. by C. Holdswoorth, T.P. Wiseman, Exeter 1986, pp. 45-52; G.F. Chesnut, The First Christian Histories Eusebius, Socrates, Sozomen, Theodoret and Evagrius, Paris 1986, pp. 199 segg.; R.M. Errington, Christian Accounts of the Religious Legislation of Theodosius I, in Klio, 79 (1997), pp. 398-443; H. Leppin, The Church Historians (I): Socrates, Sozomenus, and Theodoretus, in G. Marasco, Greek and Roman Historiography in Late Antiquity, Fourth to Sixth Century, Leiden-Boston 2003, pp. 219-254. Un’analisi comparativa di Sozomeno e Socrate si trova in T. Urbainczyk, Observations on the Differences between the Church Histories of Socrates and Sozomen, in Historia, 46 (1997), pp. 355-373.
13 Sulle difficoltà che interessavano il rispetto effettivo delle leggi si veda M.V. Escribano, L’application des lois dans Codex Theodosianus XVI, 5, in Quatrièmes Journées d’Études sur le Code Théodosien. Aux sources juridiques de l’histoire de l’europe: le Code Théodosien, (Clermont-Ferrand 4-6 décembre 2008), éd. par A. Laquerrière-Lacroix, Clermont-Ferrand 2012, in corso di stampa.
14 J. Gaudemet, Les constitutions constantiniennes du Code Théodosien, in Il Codice Teodosiano e le sue fonti. Problemi critici e ricostruttivi, V Convegno internazionale (Spello, Perugia, Bevagna, San Sepolcro 14-17 ottobre 1981) Rimini 1983, pp. 135-175, in partic. 139. L’autore conta 276 leggi di questo tipo, escluse quelle frammentarie e incluse quelle di Licinio. Sulla legislazione liciniana si vedano S. Corcoran, Hidden from History. The Legislation of Licinius, in The Theodosian Code, cit., pp. 97-119; Id., The Empire of the Tetrarchs. Imperial Pronouncements and Government, AD 284-324, Oxford 1996; P.O. Cuneo, Codice di Teodosio, codice di Giustiniano. Saggio di comparazione su alcune costituzioni di Costantino e Licinio, in Studia et Documenta Historiae Iuris, 68 (2002), pp. 265-317.
15 Cod. Theod. XVI 5,66. Anno 435: «Arriani, Novatiani, Valentiniani, Montanistae, Marcionistae, Donatistae, Pauliani, Manichaei».
16 Cfr. Cod. Theod. XVI 2,1, del 31 ottobre 313. Sulla data si veda R. Delmaire, Les lois religieuses des empereurs romaines de Constantin a Théodose, I, Code Théodosien XVI, Paris 2005, p. 122. Cfr. Cod. Theod. XVI 2,2 del 21 ottobre 313, inviata a Ottaviano, corrector Lucaniae et Brittiorum. La stessa norma avrebbe potuto adattare il suo contenuto a circostanze distinte in base ai destinatari. Si veda S. Corcoran, The Empire of the Tetrarchs, cit., pp. 155-156 e p. 162.
17 Si veda il contributo di M. Perrin nella presente opera.
18 Sugli inizi della secessione in Africa si veda T.D. Barnes, The Beginnings of Donatism, in Journal of Theological Studies, 26 (1975), pp. 13-22; cfr. W.H.C. Frend, The Donatist Church: a Movement of Protest in Roman North Africa, Oxford 1952; B. Kriegbaum, Kirche der Traditoren oder Kirche der Märtyrer, Innsbruck 1986; M.A. Tilley, Donatist Martyr Stories: The Church in Conflict in Roman North Africa, Liverpool 1996; Id., When Schism Becomes Heresy in Late Antiquity: Developing Doctrinal Deviance in the Wounded Body of Christ, in Journal of Early Christian Studies, 15 (2007), pp. 1-21; Id., Redefining Donatism: Moving Forward, in Augustinian Studies, 42 (2011), pp. 21-32; P.I. Kaufman, Donatism Revisited: Moderates and Militants in Late Antique North Africa, in Journal of Late Antiquity, 2 (2009), pp. 131-142, in partic. 131.
19 Costantino torna a utilizzare l’espressione «iniuria haereticorum» per riferirsi agli stessi fatti in Cod. Theod. XVI 2,7, testo risalente al 330. Si veda la sintesi della iniuria in Pauli sententiae 5,4 («Iniuriam patimur aut in corpus aut extra corpus: in corpus verberibus et illatione stupri, extra corpus conviciis et famosis libellis, quod ex adfectu uniuscuiusque patientis et facientis aestimatur»). Riguardo al concetto polivalente di iniuria, cfr. C. Dupont, ‘Injuria’ et délits privés dans les constitutions de Constantin, in Revue Internationale des Droits de l’Antiquité, 1 (1952), pp. 423-444; G. Bassanelli Sommariva, ‘L’iniuria’ nel diritto romano del IV e V secolo, in I problemi della persona nella società e nel diritto del tardo impero, Convegno internazionale (Spello, Perugia, Città di Castello 29 settembre-2 ottobre 1987), Napoli 1990, pp. 651-664; G. Thome, Crime and Punishment, Guilt and Expiation: Roman Thought and Vocabulary, in Acta Classica, 35 (1992), pp. 73-98; M. Hagemann, Iniuria. Von den XII-Tafeln bis zur justinianischen Kodifikation, Köln, Weimar, Wien, Böhlau 1998.
20 J. Scheid, Le délit religieux dans la Rome tardo-républicaine, in Le délit religieux dans la cité antique, Actes de la table ronde (Rome 6-7 avril 1978), Rome 1981, pp. 117-171.
21 Si veda L. Barnard, The Criminalisation of Heresy in the Later Roman Empire: A Sociopolitical Device?, in Journal of Legal History, 16 (1995), pp. 121-146.
22 Si veda R. Donciu, L’empereur Maxence, Bari 2012, pp. 155-213.
23 Eus., h.e. X 7,1-2.
24 Aug., epist. 88,2.
25 Optat., I 22. Optato li denomina il partito di Donato e non di Maiorino. Cfr. K.M. Girardet, Die Petition der Donatisten an Kaiser Konstantin (Frühjahr 313): Historisch Voraussetzungen und Folgen, in Chiron, 19 (1989), pp. 185-206; Id., Das Reichskonzil von Rom (313): Urteil, Einspruch, Folgen, in Historia, 41 (1992), pp. 104-116 dubita dell’autenticità del documento citato da Optato. Si veda la discussione in B. Kriegbaum, Zwischen den Synoden von Rom und Arles: Die donatistische Supplik bei Optatus, in Archivum Historiae Pontificiae, 28 (1990), pp. 23-61 e C. Mazzucco, Ottato di Milevi in un secolo di studi: problemi e prospettive, Bologna 1993.
26 Eus., h.e. X 7,1-2. Costantino aveva incaricato Milziade, insieme con altri tre vescovi galli, di risolvere la questione. La commissione di vescovi fu trasformata in un concilio dal vescovo di Roma, che convocò quindici colleghi italiani.
27 Si veda H.A. Drake, Constantine and the Bishops. The Politics of Intolerance, Baltimore-London 2000, pp. 212-221.
28 M.Y. Perrin, The Limits of The Heresiological Ethos in Late Antiquity, in Religious Diversity in Late Antiquity, ed. by D. Gwynn, S. Bangert, Leiden 2010, pp. 199-228.
29 Eus., v.C. I 42,1.
30 Riguardo a Ossio, si rimanda al contributo di V. Aiello, Ossio e la politica religiosa di Costantino, nella presente opera, con la biografia corrispondente. Si vedano V. De Clercq, Ossius of Cordova: a Contribution to the History of the Constantinian Period, Washington 1954; H.A. Drake, Constantine and the Bishops, cit., pp. 217-218; A. Lippold, Bischof Ossius von Cordova und Konstantin der Grosse, in Zeitschrift für Kirchengeschichte, 92 (1981), pp. 1-15, che minimizza l’influenza di Ossio su Costantino.
31 Godevano di immunitas per legge i senatori, i professores litterarum, gli archiatri (medici), i culmina dignitatum (alte cariche della burocrazia imperiale). Altri riuscirono a mantenersi immuni attraverso sotterfugi, come l’acquisizione di codicilli o suffragia, ovvero, per votazione nella propria curia. Altri per concessione imperiale a titolo individuale o collettivo. Cfr. A.J.B. Sirks, Munera publica and Exemptions (vacatio, excusatio and inmunitas), in Studies in Roman Law and Legal History in Honour of R. D’Abadal i De Vinyals, Barcelona 1989, pp. 79-111.
32 Eus., h.e. X 6,1-5.
33 Eus., h.e. X 5,15-17.
34 Sui tre documenti africani si vedano R. Lizzi Testa, Privilegi economici e definizione di status: il caso del vescovo tardoantico, in Rendiconti della Accedemia Nazionale dei Lincei. Classe di Scienze morali, storiche e filologiche, s. 9, vol. XI,1 (2000), pp. 55-103, in partic. 58-67; Id., Clerical Hierarchy and Imperial Legislation in Late Antiquity, in Reforming the Church before Modernity. Patterns, Problems and Approaches, ed. by C.M. Bellito, L.I. Hamilton, Ashgate 2005, pp. 88-103.
35 Cfr. E. Zocca, L’identità cristiana nel dibattito tra cattolici e donatisti, in Annali di Storia dell’Esegesi, 21 (2004), pp. 109-130; P. Marone, The Use of the Term “Catholic” in the Donatist Controversy, in Pomoerium, 6 (2007-2008), pp. 1-11.
36 W.E. Voss, Recht und Rhetorik in den Kaisergesetzen der Spätantike. Eine Untersuchung zum nachklassischen Kauf- und Übereignungsrecht, Frankfurt a.M. 1982.
37 Eus., h.e. X 7,2. Sul concetto di utilitas publica cfr. M.H. Hoflich, The Concept of “utilitas publica” in Early Ecclesiastical Law and Government, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte. Kanonistische Abteilung, 67 (1981), pp. 36-74.
38 Lact., mort. pers. 48,2. Si veda R. Lim, Christian Triumph and Controversy, cit., pp. 197-201.
39 Ign., Smyrn. 8,2. Sulla divisone tra le Chiese in seguito al 313 cfr. R. Lim, Public Disputation, Power, and Social Order in Late Antiquity, Berkeley-Los Angeles-Oxford 1995, in particolare il primo capitolo, The Diffusion of the Logos, pp. 1-30.
40 L. Hertling, Communio. Chiesa e papato nell’Antichitá cristiana, Roma 1961, p. 18; J. Vilella, In alia plebe: las cartas de comunión en las iglesias de la Antigüedad, in Correspondances. Documents pour l’histoire de l’Antiquité Tardive, éd. par R. Delmaire, J. Desmulliez, P.-L. Gatier, Lyon 2009, pp. 83-113.
41 L. Hertling, Communio, cit., p. 91.
42 Cod. Theod. XVI 2,1
43 M. Felici, Appunti sulla politica municipale nell’età di Costantino, in Atti dell’Accademia Romanistica Costantiniana, 17 (2011), pp. 1063-1100, in partic. 1076.
44 Cod. Theod. XIII 10,1.
45 Cod. Iust. I 1,15, anno 313. Sull’esenzione dei chierici dagli oneri decisa da Costantino, si vedano C. Dupont, Les privilèges des clercs sous Constantin, in Revue d’Histoire Ecclésiastique, 62 (1967), pp. 729-752; A.J.B. Sirks, Munera publica, cit., pp. 79-111; E. Wipszycka, La sovvenzione costantiniana in favore del clero, in Rendiconti della Accademia Nazionale dei Lincei. Classe di Scienze morali, storiche e filologiche., s. 9, vol. VIII,3 (1997), pp. 483-498. R. Lizzi Testa, Privilegi economici, cit., pp. 91 segg.; M. Felici, Appunti sulla politica municipale, cit., pp. 1076 segg.
46 L’elenco dei munera si può leggere in Ermogeniano (Dig. L 40,1 e L 4,18) che riproduce il Liber singularis de muneribus civilibus emanato dal giurista di epoca costantiniana Arcadio. Si veda L. De Salvo, . munera curialia nel IV secolo. Considerazioni su alcuni aspetti sociali, in Il tardo impero. Aspetti e significati nei suoi riflessi giuridici, X Convegno internazionale in onore di Arnaldo Biscardi (Spello, Perugia, Gubbio 7-10 ottobre 1991), Napoli 1995, pp. 291-318. Lo stesso Costantino sistematizzò nel 317 le condizioni di accesso alla curia: origo, incolatus e possidendi condicio (Cod. Theod. XII 1,5).
47 Nell’epistula inviata al vicarius Aelafio agli inizi del 314, in cui gli si comunicava la convocazione del concilio di Arles, Costantino dichiarava la necessità di mantenere unitario il culto della religione cattolica per conservare la benevolenza di Dio nei confronti dei romani e verso lui stesso: Optat., app. III; J.L. Maier, Le dossier du donatisme, I, Des origines à la mort de Constance II (303-361), Berlin 1987, pp. 153-158.
48 O. Norderval, The Emperor Constantine and Arius: Unity in the Church and Unity in the Empire, in Studia Theologica, 42 (1988), pp. 113-150. Sulla questione ariana e la corrispondente bibliografia, si vedano i contributi di M. Simonetti, nella presente opera. In materia, fondamentali i lavori di M. Simonetti, Studi sull’arianesimo, Roma 1965; Id., La crisi ariana del IV secolo, Roma 1975; Id., Studi di cristologia postnicena, Roma 2006; R.D. Williams, Arius: Heresy and Tradition, London 1987; H.C.Brennecke, Studien zur Geschichte der Homöer. Der Osten bis zum Ende des homöischen Reichskirche, Tübingen 1988 e R.P.C. Hanson, The Search for the Christian Doctrine of God. The Arian Controversy, 318-381, Edinburgh 1988.
49 Si vedano il dibattito storiografico e argomenti a favore di questa datazione in T.D. Barnes, The Exile and Recalls of Arius, in Journal of Theological Studies, 60 (2009), pp. 109-129.
50 Socr., h.e. I 8,33-34; Philost., h.e. 1,9. Cfr. T.D. Barnes, Constantine and Eusebius, Cambridge (MA) 1981, p. 217; R.P.C. Hanson, The Search, cit. pp. 162-163.
51 Ath., decr. 39 (cfr. apol. sec. 56,1; h. Ar. 22,2); Socr., h.e. I 9,30; Gel. Cyz., h.e. II 36,1-2; III 19. Cfr. Nicephorus Callistus, h.e. VIII 25. Si veda P. Silli, Testi costantiniani nelle fonti letterarie, Milano 1987, pp. 155-160.
52 Si veda S. Corcoran, The Empire of the Tetrarchs, cit., pp. 198-203, a proposito della interrelazione tra editti ed epistole imperiali. Una legge, infatti, poteva essere diffusa in forma di editto e di lettera. Le differenze formali tra queste due forme di espressione del potere imperiale rappresentano una questione aperta, Cfr. F. Millar, Greek Roman Empire. Power and Belief under Theodosius II, 408-450, Berkeley-Los Angeles-London 2006, pp. 7 segg. Si veda anche il saggio di S. Puliatti, Il diritto prima e dopo Costantino, nella presente opera.
53 Relativamente al danno sociale inferto all’existimatio e alla fama che comportavano l’infamia e le sue conseguenze in ambito giuridico, cfr. Dig. III 2: «de his qui notatur infamia». Hanno trattato la questione, tra gli altri, M. Kaser, Infamie und Ignominie in den römischen Rechtsquellen, in Zeitschrift der Savigny Stiftung für Rechtsgeschichte, 73 (1956), pp. 220-278 e F. Camacho, La infamia en el derecho romano, Alicante 1997, che distingue tra infamia iuris e infamia de facto.
54 Sulla messa al rogo dei volumi nell’antichità si vedano F.H. Cramer, Bookburning and Censorship in Ancient Rome. A Chapter from the History of Freedom of Speech, in Journal of the History of Ideas, 6 (1945), pp. 157-196; A.S. Pease, Notes on Book-Burning, in Munera Studiosa. Studies in Honour of W.H.P. Hatch, ed. by M.H. Shepherd, S.E. Johnson, Cambridge (MA) 1946, pp. 145-160; W. Speyer, Büchervernichtung und Zensur des Geistes bei Heiden, Juden und Cristen, Stuttgart 1981. La violenza del fenomeno è stata evidenziata da D. Sarefield, Bookburning in the Christian Roman Empire: Transforming a Pagan Rite of Purification, in Violence in Late Antiquity, Perceptions and Practices, ed. by H.A. Drake, Aldershot 2006, pp. 287-296; cfr. da ultimo M.V. Escribano, Constantino y los escritos heréticos: antes y después en las fuentes legislativas, in Costantino prima e dopo Costantino, Atti del Convegno internazionale (Perugia, Spello 27-30 aprile 2011), a cura di G. Bonamente, N. Lenski, R. Lizzi Testa, Bari 2012, in corso di stampa.
55 Nel 319 (Cod. Theod. X 1,3), Costantino aveva ordinato di bruciare documenti fiscali prescritti per evitare litigi su particolari. Si veda H.A. Drake, Lambs into Lions: Explaining Early Christian Intolerance, in Past and Present, 153 (1996), pp. 3-36, che considera l’editto un punto di svolta per quanto riguarda il comportamento di Costantino nei confronti dei dissidenti.
56 Socr., h.e. I 9,16. Si veda K. Metzler, Ein Beitrag zur Rekonstruktion der “Thalia“ des Arius (mit einer Neuedition wichtiger Bezeugungen bei Athanasius), in Ariana et Athanasiana, Studien zur Überlieferung und zu philologischen Problemen der Werke des Athanasius von Alexandrien, hrsg. von K.Metzler, F. Simon, Opladen 1991, pp. 11- 45 e 131-133.
57 Eus., v.C. II 69-71. Si veda il commento di Av. Cameron, S.G. Hall, Eusebius, Life of Constantine, Oxford 1999, pp. 250-253. La lettera fu portata da Ossio, incaricato di risolvere il dissenso che Eusebio attribuisce a pthonos, cioè una faccenda dovuta all’invidia. S.G. Hall, Some Constantinian Documents in the Vita Constantini, in Constantine: History and Historiography, ed. by S.N.C. Lieu, D. Montserrat, New York 1998, pp. 86-104, suggerisce che la lettera fu inviata al concilio di Antiochia nella primavera del 325. Cfr. S. Parvis, Marcellus of Ancyra and the Lost Years of the Arian Controversy, New York 2006, p. 77 nota 172 e H. Pietras, Le ragioni della convocazione del Concilio Niceno da parte di Costantino il Grande, in Gregorianum, 82 (2001), pp. 5-35.
58 Si veda la sintesi e la bibliografia in L. Ayres, Nicaea and its Legacy. An Approach to Fourth-Century Trinitarian Theology, Oxford 2004.
59 Socr., h.e. I 8,19; Soz., h.e. I 17; cfr. Rufin., hist. X 2.
60 R. Goulet, Hypothèses récentes sur le traité de Porphyre Contre les chrétiens, in Hellénisme et christianisme, éd. par M. Narcy, E. Rebillard,Villeneuve d’Ascq 2004, pp. 61-109, dove si ammette, tuttavia, che il titolo Contro i cristiani non sia perfettamente stabilito.
61 Si segue la datazione di S. Morlet, La datation du Contra Christianos de Porphyre. À propos d’un passage problématique d’Eusèbe de Césarée (Histoire ecclésiastique, VI, 19, 2), in Revue d’Études Augustiniennes et Patristiques, 56 (2010), pp. 1-18. Per un’altra datazione cfr. T.D. Barnes, Porphyry Against the Christians: Date and Attribution of the Fragments, in Journal of Theological Studies, 24 (1973), pp. 424-442, in partic. 433-437.
62 Si vedano al riguardo A. von Harnack, Porphyrius, ‘Gegen die Christen’ 15 Bücher, Zeugnisse, Fragmente und Referate, in Abhandlungen der Königlich Preussischen Akademie der Wissenschaft. Philosophisch-Historische Klasse, 1916, pp. 1-115; B. Croke, The Era of Porphyry’s Anti-Christian Polemic, in Journal of Religious History, 13 (1984), pp. 1-14; P.F. Beatrice, Le traité de Porphyre contre les chrétiens. L’état de la question, in Kernos, 4 (1991), pp. 119-138; Id., Towards a New Edition of Porphyry’s Fragments Against the Christians, in Σοφι΄ης μαιήτορες “Chercheurs de sagesse”. Hommage à Jean Pépin, éd. par M. Goulet-Cazé, G. Madec, D. O’Brien, Paris 1992, pp. 347-355; M. Kahlos, Forbearance and Compulsion. The Rhetoric of Religious Tolerance and Intolerance in Late Antiquity, London 2009, pp. 42-45; Porfirio, Contro i Cristiani, a cura di G. Muscolino, Milano 2009.
63 J.M. Zamora, ᾿'Aνϑρωπος γενόμενος. La divinité du Christ dans le Contra Christianos de Porphyre, in Le traité de Porphyre contre les chrétiens. Un siècle de recherhes, nouvelles questions, Actes du Colloque international (Paris 8-9 septembre 2009), éd. par S. Morlet, Paris 2011, pp. 291-304.
64 In senso contrario T.D. Barnes, Constantine and Eusebius, cit., p. 211; Id., Constantine. Dynasty, cit., p. 110, che la fa risalire al 324/325 e la mette in connessione con l’epistola ai provinciali di Oriente (Eus., v.C. II 48-60); sulla stessa linea J.M. Schott, Christianity Empire, and the Making of Religion in Late Antiquity, Philadelphia 2008, pp. 128-129, per cui l’ordine di distruggere i libri di Porfirio avrebbe avuto relazione con il suo ruolo decisivo nella persecuzione di Diocleziano. Si veda inoltre R.M. Berchman, Porphyry ‘Against the Christians, Leiden-Boston 2005, pp. 3-4; Cfr. C. Riedweg, Porphyrios über Christus und die Christen: De Philosophia ex oraculis haurienda und Adversus Christianos im Vergleich, in L’Apologétique Chrétienne gréco-latine à l’époque prénicénienne: sept exposés suivis de discussions (Vandoeuvres, Genève 13-17 septembre 2004), Genève 2005, pp. 151-198.
65 Eus., v.C. III 12,1-5, sulle parole di apertura del concilio di Nicea; in materia, cfr. anche Eus., h.e. I 44,3; I 45,1-3; III 59,1-5; IV 41,1-4; T.D. Barnes, From Toleration to Repression: The Evolution of Constatine’s Religious Policies, in Scripta Classica Israelica, 21 (2002), pp. 189-207.
66 Sui problemi generati dal testo e sul dibattito storiografico circa la sua interpretazione si vedano R. Cristofoli, Costantino e l’Oratio ad sanctorum coetum, Napoli 2005 e il suo contributo nella presente opera. Cionondimeno, Costantino mantenne Sopatro di Apamea nel proprio comitatus fino alla sua caduta, posteriore alla fondazione di Costantinopoli, e nel 326, con il beneplacito dell’imperatore, Nicagora di Atene viaggiò fino a Tebe, luogo di pellegrinaggio dei filosofi neoplatonici, dove il diadoco di Eleusi dedicò una iscrizione agli dei, a Platone e al genio dell’imperatore. Cfr. E. Moreno Resano, Constantino y los cultos tradicionales, Zaragoza 2007, pp. 333-345.
67 Si veda la bibliografía in W. Löhr, Arius Reconsidered. Part 1, in Zeitschrift für Antike und Christentum, 9 (2005), pp. 524-560 e Id., Arius Reconsidered. Part 2, 10 (2006), pp. 121-157; Athanasius Werke, III/1, Dokumente zur Geschichte des arianischen Streites, hrsg. von H.C. Brennecke, U. Heil, A. von Stockhausen et al., Berlin-New York 2007, pp. XIX-XXXIV.
68 Ath., h. Ar. 3,15-16; 64; decr. 50.
69 O. Norderval, The Emperor Constantine, cit., p. 118. Si veda E. DePalma Digeser, Lactantius, Porphyry, and the Debate over Religious Toleration, in Journal of Roman Studies, 88 (1998), pp. 129-146, in partic. 135, circa la Filosofia degli oracoli e la considerazione di Gesù come saggio pietoso, lettore e discepolo di Platone; Id., The Power of Religious Rituals. A Philosophical Quarrel on the Eve of the Great Persecution, in The Power of Religion in Late Antiquity, ed. by A. Cain, N. Lenski, Farnham 2009, pp. 80-92.
70 Si veda C. Humfress, Roman Law, cit., pp. 131-132; Id., Citizens and Heretics, cit., pp. 128-142. Sui manichei come avversari di Ario ad Alessandria e sulla loro considerazione di eretici cristiani cfr. R. Lyman, Arians and Manichees on Christ, in Journal of Theological Studies, 40 (1989), pp. 493-503.
71 È citato dal compilatore anonimo della Mos. et Rom. legum collatio XV 3: «Gregorianus libro VII sub titulo de maleficis et manichaeis». Si veda R.M. Frakes, Compiling the Collatio legum Mosaicarum et Romanarum in Late Antiquity, Oxford 2011.
72 Si veda S. Corcoran, The Empire of the Tetrarchs, cit., p. 135. Oltre al 302, altre tre date coincidono con una possibile presenza imperiale ad Alessandria: 287, 297 e 307. Si vedano gli argomenti a favore del 302 in T.D. Barnes, The New Empire of Diocletian and Constantine, Cambridge (MA)-Londra 1982, p. 55 nota 41.
73 Mos. et Rom. legum collatio XV 3,2.
74 Mos. et Rom. legum collatio XV 3,4-5. Cfr. P. Brown, The Diffusion of Manichaeism in the Roman Empire, in Journal of Roman Studies, 59 (1969), pp. 91-103.
75 Mos. et Rom. legum collatio XV 3,6. Anche nell’editto di persecuzione di Diocleziano contro i cristiani del febbraio del 303, a quanto si viene a sapere dalle informazioni combinate di Lattanzio ed Eusebio (Lact., mort. pers. 13,1; Eus., h.e. VIII 2,4; IX 10,8), si prevedeva, tra le altre pene, la atimía per i cristiani e la messa al rogo dei loro scritti. Si veda D. Sarefield, The Symbolics of Booksburning, The Establishment of a Christian Ritual of Persecution, in The Early Christian Book, ed. by W.E. Klingshirn, L. Safran, Washington DC 2007, pp. 166-169.
76 Mos. et Rom. legum collatio XV 3,6-7.
77 Relativamente all’influenza del rescritto di Diocleziano nella formalizzazione della categoria giuridica di eretico, a partire da Costantino, e i procedimenti impiegati si vedano C. Humfress, Roman Law, cit., p. 125-147; Id., Orthodoxy, cit., pp. 243-255.
78 Soz., h.e. II 32,1-6. Cfr. S.G. Hall, The Sects under Constantine, in Voluntary Religion, ed. by J. Scheils, D. Wood, London 1986, pp. 1-13, in partic. 1.
79 Sull’editto, oltre all’articolo di Hall, si vedano H. Dörries, Konstantin und die Häretiker, in Wort und Stunde, I, Gesammelte Studien zur Kirchengeschichte des vierten Jahrhunderts, Göttingen 1966, pp. 80-117; O. Norderval, Kaiser Konstantins Edikte gegen die Häretiker und Schismatiker (Vita Constantini III, 64-65), in Symbolae Osloenses, 70 (1995), pp. 95-115; K.M. Girardet, Die Konstantinische Wende. Voraussetzungen und geistige Grundlagen der Religions-Politik Konstantins des Grossen, Darmstatd 2006, pp. 133-146; V. Minale, Creating a Law against the Heretics during the Constantinian Age: The Case of the Edict in Vita Constantini III.64-65, in “Making Things Legal”. Law-Making and Procedural Reality in the European Legal Traditions, XVIIIth Forum of Young Legal Historians (Wien 30 may-2 june 2012), in corso di stampa; M.V. Escribano Paño, El edicto de Constantino contra los heréticos (Vita Constantini, III, 63-66), in Constantino ¿el primer emperador cristiano? Religión y polίtica en el siglo IV, Actas del Congreso internacional (Barcelona, Terragona 20-24 marzo 2012), ed. por J. Vilella, in corso di stampa.
80 Si veda il dibattito sulla questione dell’attribuzione di un autore e della cronologia dell’opera in Av. Cameron, S.G. Hall, Eusebius of Caesarea, cit., pp. 1-53.
81 Eusebio nella Vita Constantini acclude il testo greco di quindici documenti imperiali. La maggior parte sono lettere di Costantino inviate ai vescovi o alle Chiese, mentre tre sono editti in forma epistolare: la lettera ai provinciali di Palestina, l’epistola agli orientali e quella agli eretici. Cfr. C. Dupont, Décisions et textes constantiniens dans les oeuvres d’Eusèbe de Césarée, in Viator, 2 (1971), pp. 1-32; Ch. Pietri, Constantin en 324. Propagande et théologie impériales d’après les documents de la Vita Constantini, in Crise et redressement dans les provinces européennes de l’Empire (milieu du IIIe-milieu du IVe siécle ap. J. C.), éd. par E. Frézouls, Strasbourg 1983, pp. 63-90; B.H. Warmington, The Sources of Some Constantinian Documents in Eusebius’Ecclesiastical History and Life of Constantine, in Studia Patristica, 18 (1985), pp. 93-98. Id., Eusebius of Caesarea’s Versions of Constantine’s Laws in the Codes, in Studia Patristica, 24 (1993), pp. 201-207; S.G. Hall, Some Constantinian Documents in the Vita Constantini, in Constantine: History, Historiography and Legend, ed. by S.N.C. Lieu, D. Montserrat, London-New York 1998, pp. 86-103; Av. Cameron, S.G. Hall, Eusebius of Caesarea, cit., pp. 16-21.
82 Si vedano J. Harries, Constantine the Lawgiver, cit., pp. 79-87; M. Hollerich, The Comparison of Moses and Constantine in Eusebius of Caesarea’s Life of Constantine, in Studia Patristica, 19 (1989), pp. 80-95; C. Rapp, Imperial Ideology in the Making: Eusebius of Caesarea on Constantine as ‘bishop’, in Journal of Theological Studies, 49 (1998), pp. 685-695; J. Harries, Superfluous Verbiage?, cit., pp. 345-374.
83 Nel corpo della didaskalίa si allude per due volte al testo come nomothesía e nómos, cosa che, sommata all’istruzione finale riguardo alla sua pubblicazione permette di concludere la coincidenza fondamentale tra il contenuto del nómos rivolto ai governatori e l’epistola agli eretici, di cui Eusebio avrebbe disposto di una copia. La consegna dell’epistola ai provinciali di Palestina, è preceduta da una dichiarazione secondo cui essa è una copia della legge autentica (Eus., v.C. II 23,3). Una stessa disposizione imperiale avrebbe potuto dare luogo a molteplici copie di documenti con formati o contenuti distinti ed essere diffusa come editto e lettera, con diversi destinatari. La vera differenza non si deve stabilire tra editti e lettere, ma tra editti, epistole che sono norme generali ed epistulae che sono rescritti in risposta a domande o consulenze di funzionari. Cfr. S. Corcoran, The Empire of the Tetrarchs, cit. p. 201-203.
84 Cfr. Cod. Theod. XVI 8,1.
85 Riguardo all’emergenza della distinzione tra scisma ed eresia nelle fonti cristiane dei secoli II e III, si veda H. Zinser, Religio, secta, haeresis in den Häresiegesetzen des Codex Theodosianus (16, 5, 1/66) von 438, in Hairesis. Festschrift Hoheisel, hrsg. von M. Hutter, Münster 2002, pp. 159-219; Av. Cameron, How to Read Heresiology, in Journal of Medieval and Early Modern Studies, 33 (2003), pp. 471-492; Id., Heresiology, in Late Antiquity. A Guide to the Postclassical World, cit., pp. 488-490; J.R. Lyman, Heresiology: the Invention of Heresy and Schism, in The Cambridge History of Christianity, II, Constantine to c. 600, ed. by A. Casiday, F.W. Norris, Cambridge 2007, pp. 296-313; M.A. Tilley, When Schism Becomes Heresy, cit., pp. 1-21.
86 I. Opelt, Die Polemik in der christlichen lateinischen Literatur von Tertullian bis Augustin, Heidelberg 1980; Y. Le Boulluec, La notion d’hérésie dans la litterature grecque IIe-IIIe sièclesI, I, De Justin a Irénée, Paris 1985. Si veda, inoltre, K.L. King, Social and Theological Effects of heresiological Discourse, in Heresy and Identity, cit., pp. 28-49.
87 P.A. Gramaglia, Il linguaggio eresiologico in Tertulliano. L’approccio cattolico all’eresia, in Augustinianum, 25 (1985), pp. 667-710; C. Mazzucco, Gli apostoli del diavolo: gli eretici nella Storia Ecclesiastica di Eusebio di Cesarea, ivi, pp. 749-781.
88 Si veda Le Boulluec, La notion d’hérésie, I, cit., pp. 20-39; H. Inglebert, L’histoire des hérésies chez les hérésiologues, in L’historiographie de l’église des premiers siècles, éd. par B. Pouderon, Y.-M. Duval, Paris 2001, pp. 105-125; J.C. Larchet, Théologie de la maladie, Paris 1991; Id., Thérapeutique des maladies mentales, L’expérience de l’Orient chrétien des premiers siècles, Paris 1992, pp. 53 segg.
89 Cod. Theod. XI 36,1. Sul trattamento giuridico veneficium a partire dalle sue origini, si veda J.B. Rives, Magic in Roman Law: The Reconsctruction of a Crime, in Classical Antiquity, 22 (2003), pp. 313-339, in partic. 317-322 e A. Di Mauro Todini, Medicamentarius, una denominazione insolita. Brevi considerazioni a proposito di CTh 3,16,1, in Matrimonio e filiazione nel diritto tardo-imperiale romano (da Costantino a Teodosio), VII Convegno internazionale (Spello, Perugia, Norcia 16-19 ottobre 1985), Napoli 1988, pp. 343-382. In seguito nel 322, Costantino escluse i venefici dall’indulgentia concessa in occasione della nascita del figlio del Cesare Crispo (Cod. Theod. IX 38,1, anno 322).
90 Si veda la continuità tra la normativa tradizionale e la legislazione cristiana relativa alla repressione del reato religioso in C. Humfress, Roman Law, cit., pp. 129-131.
91 La polisemia del concetto di superstitio è stata analizzata da M.R. Salzman, Superstitio in the Codex Theodosianus and the Persecution of Pagans, in Vigiliae Christianae, 41 (1987), pp. 172-188; M. Sachot, Religio/superstitio. Historique d’une subversion et d’une retournement, in Revue de l’Histoire des religions, 208 (1991), pp. 355-394 e M. Kahlos, Religio and Superstitio, Retortions and Phases of a Binary Opposition in Late Antiquity, in Athenaeum, 95 (2007), pp. 389-408.
92 L.F. Janssen, Superstitio and the Persecution of the Christians, in Vigiliae Christianae, 33 (1979), pp. 131-159. Si veda anche T.D. Barnes, Legislation against the Christians, in Journal of Roman Stories, 58 (1968), pp. 32-50
93 Per esempio Iren., h.e.. V 9,1; V 9,12. Cfr. F. Zuccotti, Furor haereticorum. Studi sul trattamento giuridico della follia e sulla persecuzione della eterodossia religiosa nella legislazione del tardo impero romano, Milano 1992, pp. 233-283.
94 Mos. et Rom. legum collatio XV 3,4 e 8.
95 S.G. Hall, The Sects under Constantine, cit., p. 12 attribuisce l’iniziativa ai vescovi come parte dell’esame in cui verificavano la sincerità degli eretici pentiti.
96 La crematio era una delle forme di summum supplicium, con cui si penalizzavano i grandi crimina. Si veda Du châtiment dans la cité. Supplices corporels et peine de mort dans le monde antique, Table ronde organisée par l’École Française de Roma avec le concour du Cnrs (Rome 9-11 novembre 1982), Paris-Roma 1984: D. Grodzynski, Tortures mortelles et catégories sociales. Les Summa Supplicia dans le droit romain aux IIIe et IVe siècles, pp. 361-403; J.P. Callu, Le jardin des supplices au Bas Empire, pp. 313-359.
97 A.S. Pease, Notes on Book-Burning, cit., pp.145-160.
98 Cfr. T.D. Barnes, Emperor and Bishops, A.D. 324-344: Some Problems, in American Journal of Ancient History, 3 (1978), pp. 53-75;
99 Soz., h.e. I 1,15. K.L. Noethlichs, Revolution from the Top?, cit., pp. 115-125, in partic. 120; Av. Cameron, The Violence of Orthodoxy, in Heresy and Identity, cit., pp. 102-114.
100 Riguardo al concetto di eretico in Eusebio si veda E. Junod, Les hérétiques et l’hérésie dans le “programme” de l’Histoire ecclésiastique d’Eusèbe de Césarée, in Rivista di storia del cristianesimo, 6 (2009), pp. 417-434.
101 K. Cooper, Christianity, Private Power, and the Law from Decius to Constantine: The Minimalist View, in Journal of Early Christian Studies, 19 (2011), pp. 327-343, in partic. 343.
102 H. Inglebert, L’histoire des hérésies, cit., pp. 105-125.
103 Valentiniani e marcioniti, vincolati allo gnosticismo, avevano iniziato la loro attività nel II secolo, erano antecedenti rispetto al pieno emergere del sistema cattolico. Anche i catafrigi o montanisti, il cui profetismo metteva in dubbio aspetti istituzionali della Chiesa episcopale. I novazianisti erano considerati scismatici a partire dal 250, e il leader dei paulianisti, Paolo di Samosata, era stato condannato perché aveva negato la consustanzialità del Logos nel 268. Gnosticismo, monarchianismo adozionista, profetismo e scisma erano stati disapprovati per legge. Cfr. J.L. Papandrea, The Trinitarian Theology of Novatian of Rome. A Study in Third-Century Orthodoxy, Lewiston (NY), 2008; C. Markschies, Valentinus Gnosticus? Untersuchungen zur Valentinianischen Gnosis mit ein Kommentar zu den Fragmenten Valentinus, Tübingen 1992; B. Aland, Was ist Gnosis? Studien zum frühen Christentum, zu Marcion und zur kaiserzeitlichen Philosophie, Tübingen 2009; S. Moll, The Arch-Heretic Marcion, Tübingen 2010; U.M. Lang, The Christological Controversy at the Synod of Antioch in 268/269, in Journal of Theological Studies, 51 (2000), pp. 54-80; C. Trevett, Montanism: Gender, Authority and the New Prophecy, Cambridge 1996.
104 V. Minale, Creating a Law, cit., passim; Si veda relativamente ai manichei N. Adkin, Heretics and Manichees, in Orpheus, 14 (1993), pp. 135-140; R. Lim, The Nomen Manichaeorum and its Uses in Late Antiquity, in Heresy and Identity, cit., pp. 143-167.
105 Amm., XV 13,2: «Constantinus enim cum limatius superstitionum quaereret sectas, Manichaeorum et similium, nec interpres inveniretur idoneus, hunc sibi commendatum ut sufficientem elegit: quem officio functum perite Musonianum voluit appellari, ante Strategium dictitatum». Nel 354 divenne prefetto del pretorio d’Oriente con Costanzo, un’ascesa politica che Ammiano attribuisce alla sua eloquenza in entrambe le lingue: Amm., XV 3,1 «Domitiano crudeli morte consumpto Musonianus eius successor orientem praetoriani regebat potestate praefecti, facundia sermonis utriusque clarus. unde sublimius quam sperabatur eluxit». PLRE I, s.v. Strategius Musonianus, pp. 611-612. Si veda F. Dölger, Konstantin der Grosse und der Manichäismus. Sonne und Christus in Manichäismus, in Antike und Christentum. Kultur und religionsgeschichtliche Studien, Münster 1931, pp. 310-314; H. Scholten, Römische Diplomatie im 4. Jhd. n.Chr.:Eine Doppelstrategie des Praefectus Praetorio Orientis Musonianus?, in Historia, 47 (1998), pp. 454-467; J. Matthews, The Roman Empire of Ammianus Marcellinus, London 1989, p. 449; J.W. Drijvers, E.D. Hunt, The Late Roman World and Its Historians: Interpreting Ammianus Marcellinus, London-New York 1999, p. 175; D. Woods, Strategius and the “Manichaeans”, in The Classical Quarterly, 51 (2001), pp. 255-264; Cfr. J.W. Drijvers, Ammianus Marcellinus 15.13.1-2: Some Observations on the Career and Bilingualism of Strategius Musonianus, in The Classical Quarterly, 46 (1996), pp. 532-537.
106 PLRE I, s.v. Acacius, p. 6. Egli fu comes in Palestina tra il 326 e il 330. Si veda D. Woods, Eusebius and Some Constantinian Officials, in Irish Theological Quaterly, 67 (2002), pp. 195-223.
107 Cfr. Eus., v.C. III 59,3.
108 Cfr. S. Corcoran, The Empire of the Tetrarchs, cit., pp. 202-203: è probabile che gli editti fossero responsabilità del magister memoriae, mentre il magister epistularum si incaricasse delle epistulae. L’intervento del quaestor non è testimoniato finchè non diventa abituale nel IV secolo. Si veda J. Harries, Constantine the Lawgiver, cit., p. 74; Id., The Roman Imperial Quaestor from Constantine to Theodosius II, in Journal of Roman Studies, 78 (1988), pp. 148-172.
109 Sulla relazione di Costantino con Ossio, si veda supra. Quanto a Eusebio, l’opera fondamentale continua a essere quella di T.D. Barnes, Constantine and Eusebius, cit., pp. 261-271. Cfr. i contributi di A. Monaci Castagno, Eusebio biografo e M. Simonetti, L’esegesi di Eusebio e la figura di Costantino, nella presente opera.
110 Esse furono scritte probabilmente tra il 305 e il 313, ed edite una seconda volta intorno al 321-323, quando furono aggiunti gli elogia dedicati a Costantino. E. DePalma Digeser, Lactantius and Constantine’s Letter to Arles: Dating the Divine Institutes, in Journal of Early Christian Studies, 2 (1994), pp. 33-52, propende per una data più bassa, ma i suoi argomenti siano stati controbattuti da E. Heck, Constantin und Lactanz in Trier - Chronologisches, in Historia, 58 (2009), pp. 118-130.
111 Lact., inst. IV 30,10: «Cum enim Phryges aut Novatiani aut Valentiniani aut Marcionitae aut Anthropiani seu quilibet alii nominantur, Christiani esse desierunt, qui Christi nomine amisso humana et externa vocabula induerunt». La coincidenza riguarda l’elenco di eresie, con l’eccezione degli anthropiani, che non figurano in Eusebio, e dei paulianisti, che vengono omessi da Lattanzio. L’ordine è lo stesso, con eccezione dei catafrigi, primi in Lattanzio e ultimi nell’epistola di Costantino.
112 Gli eretici occupano un luogo singolare all’interno della Historia ecclesiastica di Eusebio. Tuttavia, Eusebio non fornisce un elenco stratturato delle ventisei eresie, da Simon Mago a Mani, alle quali allude nei libri II e VII della sua opera. Tra tutti, sono i montanisti, i novazianisti e i paulianisti quelli che attirano maggiormente la sua attenzione: cfr. E. Junod, Les hérétiques et l’hérésie, cit., pp. 417-434.
113 Cfr. E. DePalma Digeser, Lactantius and Constantine’s Letter to Arles, cit., pp. 33-52.
114 Emanata a Serdica il 5 febbraio del 330 e trasmessa all’interno dell’appendice al Contra Parmenianum Donatistam libri VII di Ottato di Milevi. Cfr. P. Silli, Mito e realtà dell’“Aequitas Christiana” Contributo alla determinazione del concetto di “Aequitas” negli atti degli “Scrinia” Costantiniani, Milano 1980, pp. 123-125.
115 R. Cristofoli, Costantino e l’oratio, cit., pp. 107-120. Cfr. T.D. Barnes, Constantine’s “Speech to the Assembly of the Saints”: Place and Date of Delivery, in Journal of Thelogical Studies, 52 (2001), pp. 26-36; H. A. Drake, Suggestions of Dates in Constantine’s “Oration to the Saints”, in American Journal of Philology, 106 (1985), pp. 335-349; M.J. Edwards, The Arian Heresy and the “Oration to the Saints”, in Vigialiae Christianae, 49 (1995), pp. 379-387; Id., The Constantinian Circle and the “Oration to the Saints”, in Apologetics in the Roman Empire: Pagans, Jews, and Christians, ed. by M.J. Edwards, M. Goodman, S. Price, Oxford 1999, pp. 252-275.
116 Hier., vir. ill. 80: «Hic [Lactantius] in extrema senectute magister Caesari Crispi, filii Constantini, in Gallia fuit, qui postea a patre interfectus est».
117 E. Heck, Constantin und Lactanz in Trier, cit., pp. 118-130. P. Silli, ‘Minima Lactantiana’: nuove ipotesi sui suoi ultimi anni alla corte di Costantino, in Studia et Documenta Historiae et Iuris, 61 (1995), pp. 847-852, la sposta oltre il 330. Riguardo alla relazione tra Costantino e Lattanzio, T.D. Barnes, Lactantius and Constantine, in Journal of Roman Studies, 63 (1973), pp. 29-46 e M. Perrin, La révolution constantinienne vue à travers l’oeuvre de Lactance (250-325 ap. J. C.), in L’idée de révolution, Actes du Colloque (Chantilly, Oise 20-23 septembre 1989), Fontenay-Saint Cloud 1991, pp. 81-94. In senso opposto, F. Heim, L’influence exercée par Constantin sur Lactance, sa théologie de la victoire, in Lactance et son temps. Recherches actuelle, Actes du IV Colloque d’études historiques et patristiques (Chantilly 21-23 sptembre 1976), éd. par J. Fontaine, M. Perrin, Paris 1978, pp. 55-70.
118 T.D. Barnes, Constantine and Eusebius, cit., p. 224, lo fa risalire al 324, prima che Costantino manifestasse le sue simpatie per Novaziano nel concilio di Nicea; K.M. Girardet, Die Konstantinische Wende, cit., p. 141 nota 405, lo sposta nel 325/326; O. Norderval, Kaiser Konstantins Edikte, cit., pp. 105-106, lo situa nel 326 e S.G. Hall, The Sects under Constantine, cit. pp. 9-10, propone gli anni 328-330 come vera data di redazione dell’epistola, periodo che coincise con un cambiamento di politica nei confronti dei novazianisti.
119 Vicario dei prefetti d’Oriente con autorità in Palestina: Cod. Theod. II 33,1; Eus., v.C. III 31; Thdt., h.e. I 17,6; PLRE I, s.v. Dracilianus, p. 271.
120 Cod. Theod. XVI 5,1.
121 PLRE I, s.v. Valentinus, p. 936.
122 Cod. Theod. XVI 2,7. Il 5 febbario 330 Costantino inviava una lettera a undici vescovi di Numidia citando il contenuto della legge: cfr. Optat., app. X.
123 Cod. Theod. XVI 5,2.
124 Prefetto del pretorio di Costantino per quattordici anni: dal 318 al 331, secondo l’iscrizione di Aqua Viva (AE 1964, 203). Si veda R. Delmaire, Les lois religieuses des empereurs, cit., p. 228.
125 Eus., v.C. III 66,3. Soz., h.e. II 32,1-6.
126 Cfr. D. Woods, Strategius and the “Manichaeans”, cit., pp. 255-264.
127 Gel. Cyz., h.e. II 32; Socr., h.e. I 10.
128 Soz., h.e. II 32,5.
129 La notizia relativa al fatto che Costantino avesse convocato al concilio Acesio, vescovo dei novazianisti, la fornisce Socrate (h.e. I 10), che ha chiare simpatie novazianiste, e va quindi considerata con prudenza. Sozomeno (h.e. I 22) diffonde la stessa notizia, ma la introduce con un «si dice». Cfr. T. Urbainczyk, Socrates of Constantinople, Historian of Church and State, Ann Arbor 1997, pp. 24-29.
130 Cod. Theod. XVI 5,66.
131 Si veda M.V. Escribano, Il controllo delle menti nel Codice Teodosiano XVI: il rogo dei libri, in Organizzare, sorvegliare, punire: il controllo dei corpi e delle menti nel diritto della tarda antichità, XIX Convegno internazionale (Spello, Perugia 25-27 giugno 2009), in corso di stampa.
132 K.L. King, Social and Theological Effects, cit., p. 31.
133 Cod. Theod. XVI 1,2.
134 Cod. Theod. XVI 5,6.
135 Cod. Theod. XVI 5,34.
136 Cod. Theod. XVI 5,40.
137 Cod. Theod. XVI 5,41.
138 Cod. Theod. XVI 5,28.