Costantino e la dottrina della regalità sociale di Cristo
La dottrina della regalità sociale di Cristo rappresenta in ambito cattolico una delle risposte al processo di secolarizzazione, che segna, nella società occidentale, il passaggio da un ordine sociale fondato su un orizzonte trascendente e sul riconoscimento della Chiesa – considerata societas perfecta – come modello di riferimento a un sistema impostato sulla piena autonomia dell’uomo nell’organizzazione della vita collettiva. Sorta e diffusasi nella seconda metà dell’Ottocento, essa conosce un articolato e frastagliato sviluppo che culmina con la sua completa assunzione nel magistero pontificio e nella liturgia durante il pontificato di Pio XI1.
Nello sviluppo di tale dottrina, il personaggio di Costantino non occupa un posto di grande rilievo, sconsigliato dalla contingenza della sua esperienza storica e politica e, come tale, troppo vincolante per una riflessione sulla regalità che si contraddistingue per forti tendenze universalizzanti e per flessibilità nella scelta degli ordinamenti civili da appoggiare al fine di ottenere un assetto cristiano della società. Nonostante questo, nella dottrina della regalità sociale di Cristo compaiono diversi riferimenti a Costantino e alla sua epoca.
Si tratta di rimandi che godono di alterne fortune nell’ambito di questo pensiero teologico-politico e dell’influenza che esso esercita sull’agire dei cattolici dell’epoca. Nell’immaginario dell’intransigenza cattolica ottocentesca, il figlio di Costanzo Cloro viene legato a una visione provvidenziale della storia, in cui figura come esempio di buon governante cristiano, capace di aprire una stagione politica di alleanza tra potere spirituale e potere temporale culminata nella medievale societas christiana. Inoltre, la sua insegna imperiale – il labaro con sopra riportata la croce e l’iscrizione in hoc signo vinces – viene associata all’immagine del Sacro Cuore di Gesù, la cui devozione, tra Ottocento e Novecento, è veicolo della diffusione della regalità sociale di Cristo. Nel corso della prima metà del Novecento, l’associazione tra Costantino e l’ideale di regalità si dà soprattutto mediante la commemorazione dei grandi eventi di epoca costantiniana (l’editto di Milano, il concilio di Nicea, la scoperta della croce per opera di sua madre Elena), venendo solo marginalmente toccata dalle dinamiche di mitizzazione dei grandi capi politici appartenenti all’articolato schieramento conservatore dell’epoca. A partire dal secondo dopoguerra, nell’ambito dei fermenti innovatori che contraddistinguono una parte della realtà cattolica sotto il profilo sia politico che teologico, Costantino e la sua epoca, perdendo il proprio ruolo esemplare, vengono indicati ora come vicende storiche trascorse e non più ripetibili ora come l’avvio di un processo di travisamento del concetto di regno di Cristo posseduto dalla Chiesa apostolica.
La dottrina della regalità sociale di Cristo nasce e conosce le sue prime articolazioni in Francia a partire dagli anni Sessanta dell’Ottocento. Il principale elaboratore e promotore è il gesuita Henri Ramière (1821-1884), direttore della rivista Messager du Coeur de Jésus e professore di Filosofia del diritto all’Università cattolica di Tolosa. Il nucleo centrale di questa dottrina poggia su una teologia della storia, fondata su una prospettiva agostiniana e innestata sulle tesi espresse da Jacques-Bénigne Bossuet nel suo Discours sur l’histoire universelle2, secondo cui la Provvidenza opera per consentire, tramite la Chiesa, l’instaurazione del regno di Cristo in terra. Contraddistinta da un forte slancio attivistico alternativo all’atteggiamento di passiva attesa dell’apocalisse divina affermato da autori come Juan Donoso Cortés e Jean-Joseph Gaume e alimentata spiritualmente dalla devozione al S. Cuore di Gesù, essa sostiene la necessità di un fattivo impegno dei fedeli per la realizzazione del regno sociale di Cristo, inteso come istituzione di una società antitetica agli ordinamenti prodotti dalla Rivoluzione francese e i cui principi morali fondamentali devono essere indicati dalla Chiesa.
Rispetto a questo impianto concettuale, Costantino viene presentato, nelle prime opere che si occupano della regalità sociale di Cristo, come il soggetto che, ponendo fine alle persecuzioni e assegnando alla Chiesa una rilevanza pubblica, realizza le promesse divine di liberazione e di attuazione del regno di Cristo. Per tali ragioni, egli viene associato alle grandi personalità dell’Antico e del Nuovo Testamento. Nel libro Les espérances de l’Église (1861), uno dei primi volumi in cui vengono sviluppate le argomentazioni dottrinarie in questione, il gesuita Henri Ramière offre un parallelo tra Mosè, il liberatore del popolo ebraico dalla schiavitù egizia, e Costantino, che, con la vittoria assicuratagli da una visione divina nel momento culminante della persecuzione, consente che la Chiesa assuma l’importanza che le compete sulla scena pubblica e che «Jésus Christ prend possession de l’empire du monde»3. Analogamente, nell’opera Règne social du Christ (1866), il sacerdote lorenese Charles Bénard, un altro dei primi autori che utilizzano l’espressione «regno sociale di Cristo», sostiene che, alla pari di s. Pietro che aveva predicato alla realtà giudaica e di s. Paolo che aveva convertito i gentili, Costantino è l’«apôtre politique» che, consentendo allo spirito cristiano di penetrare la società in tutte le sue articolazioni, realizza il regno sociale di Cristo, che trova il suo apogeo nell’età medievale per poi dissolversi a causa dell’azione disgregatrice della Riforma protestante4. La riflessione teologico-politica della dottrina della regalità di Cristo condivide il paradigma medievale presente negli ambienti cattolici intransigenti che ridimensiona il mito imperiale sia costantiniano sia carolingio in nome di un ritorno al controllo diretto dell’esercizio del potere da parte dell’autorità ecclesiastica5. Questo non impedisce che tale dottrina individui nell’azione politica di Costantino, pur senza enfasi eccessive, un momento di radicale mutamento, che segna la nascita della societas christiana medievale e coglie nella figura del figlio di Costanzo Cloro un modello di governante cristiano. Questi concetti hanno diffusione soprattutto per opera del cardinale francese Louis-Édouard-François-Desiré Pie (1815-1880), divulgatore del tema della regalità di Cristo sugli Stati, i cui discorsi e scritti ottengono una buona circolazione, tanto da venire sistematicamente pubblicati alla fine degli anni Ottanta dell’Ottocento. Sostenendo che il trionfo della verità cristiana può darsi solamente mediante la sua proclamazione pubblica e sociale avallata dalle élite dirigenti, questo prelato francese annovera Costantino tra gli esempi di capi cristiani del passato, soggetti idonei a impegnarsi, con le loro scelte politiche, per l’avvento del regno di Cristo6.
In questo accostamento ai grandi capi politici cristiani, Costantino, tuttavia, viene messo in secondo piano rispetto a Carlo Magno, considerato l’esempio più grande di Cesare cristiano7.
Nel corso degli anni Settanta, il riferimento a Costantino ritorna in rapporto al processo di mitizzazione compiuto dalla stampa cattolica intransigente nei confronti del presidente dell’Ecuador Garcia Moreno. Questi, con la consacrazione della Repubblica sudamericana al Sacro Cuore – simbolo della dottrina della regalità sociale – e la concretizzazione di un modello statale che garantisce, secondo il modello costantiniano, il primato del magistero cattolico sulla politica, è considerato – come scrive don Davide Albertario sulla rivista milanese La scuola cattolica - «fedele e grande come Costantino». Nell’ideale confronto tra i due, l’imperatore romano viene nondimeno surclassato dal politico ecuadoriano, perché quest’ultimo si dimostra capace – secondo una certa retorica dell’epoca – di difendere i diritti temporali pontifici in un momento storico in cui l’apostasia dall’insegnamento cristiano è generalmente diffusa tra i grandi capi politici8.
Legato a un momento storico e a un’esperienza politica contingenti e giudicati non più ripetibili in alcuni loro aspetti dai teorici della dottrina della regalità sociale, Costantino è associato a un momento di vittoria del cristianesimo il cui emblema – il labaro imperiale con la croce e l’iscrizione in hoc signo vinces – diventa modello di riferimento per il Sacro Cuore, il simbolo devozionale che alimenta, sul piano spirituale, l’impegno per la realizzazione del regno sociale di Cristo. L’analogia fra queste due immagini è diffusa da padre Ramière nei suoi interventi pubblici e sulle pagine del Messager du Coeur de Jésus9, ottenendo un certo consenso. Oltre che nella letteratura devozionale10, questa associazione trova, in effetti, un riscontro in una precisa tradizione iconografica, consistente in una croce di Costantino con al centro l’immagine del Sacro Cuore. Tale raffigurazione diventa, dunque, l’insegna dell’organizzazione Oeuvre des cercles catholiques d’ouvriers di Albert de Mun e, nel corso degli anni Novanta dell’Ottocento, viene riportata nello scapolare del Sacro Cuore diffuso da François Voirin, superiore dei cappellani di Montmartre11.
Questo legame tra labaro costantiniano e Sacro Cuore trova un importante riconoscimento da parte di Leone XIII nell’enciclica Annum sacrum (1899), il primo documento pontificio che recepisce la dottrina della regalità sociale di Cristo. Raccogliendo alcune suggestioni proposte negli anni Settanta da Ramière sul già citato Messager du Coeur de Jésus, il documento pontificio conclude con l’auspicio che, come la croce apparsa in visione a Costantino, il Sacro Cuore sia l’emblema di una nuova stagione costantiniana, capace di ristabilire i rapporti tra Stato e Chiesa12. Sulla scia del testo leonino si diffonde nella pubblicistica cattolica intransigente il parallelo tra la vittoria costantiniana e la nuova vittoria che la Chiesa, per necessità provvidenziale, otterrà sul nuovo paganesimo, incarnato da un sistema sociale e politico che trova la sua origine nella Rivoluzione francese13.
Agli inizi del Novecento la dottrina della regalità sociale trova un nuovo, importante sostenitore in Pio X. Sotto il suo pontificato si registra un intensificarsi delle richieste di istituzione di un atto liturgico volto a compattare spiritualmente i credenti nell’impegno a conseguire un ordinamento di tipo ierocratico e si diffondono in maniera crescente pratiche come l’incoronazione e l’intronizzazione dell’immagine del Sacro Cuore nelle famiglie, atti devozionali legati alla diffusione dell’ideologia della regalità sociale nell’ambiente familiare, considerato la cellula fondamentale della società14. La politicizzazione della liturgia e l’orientamento a incidere nel tessuto della famiglia non favoriscono i riferimenti a Costantino, presenti, tuttavia, in scritti di natura storica e in commemorazioni di eventi costantiniani. Il rapporto tra Costantino e la dottrina della regalità sociale si esprime in relazione alla visione progressiva della storia presente in ambito cattolico. Il tema della regalità penetra nell’impostazione che s’intende dare a pubblicazioni con pretese scientifiche, in cui viene recepita la ridefinizione semantica del tema dell’‘impero’, presente tanto nella cultura intransigente quanto nel magistero pontificio, che teorizza la pretesa di potere di Cristo su tutte le società, comprese quelle che non conoscono il messaggio cristiano15. A fronte di una distinzione tra ‘regno della Chiesa’, costituito dalla vita religiosa, e ‘impero di Cristo’, riguardante tutta l’umanità, e della necessaria influenza del primo sul secondo per consentire un’autentica restaurazione cristiana della società, l’esperienza politica costantiniana rappresenta – secondo l’interpretazione storica offerta nel 1906 da Umberto Benigni (1862-1934), di lì a breve sottosegretario agli Affari Ecclesiastici Straordinari e figura chiave dell’integrismo cattolico – l’avvio di una corretta impostazione nel rapporto tra potere religioso e potere politico, in cui la valorizzazione del ruolo sociale della Chiesa diventa garanzia di autentica vita civile16.
Il rapporto tra Costantino e la dottrina della regalità sociale comincia a darsi in riferimento ai grandi eventi che riguardano questo imperatore romano e diventano occasione, oltreché di grandi celebrazioni, anche di riflessione sul significato che egli ebbe nel dispiegarsi della regalità di Cristo nella storia. Pur centrata sulla questione assai dibattuta e sentita del riconoscimento di un’almeno minima autonomia temporale per il pontefice, la commemorazione del XVI centenario della promulgazione dell’editto di Milano nel 1913 contiene rimandi alla dottrina della regalità sociale. Infatti la concessione della libertà alla Chiesa compiuta da Costantino viene intesa come il primo passo verso il pieno stabilimento della regalità divina nella società e l’affermazione dell’eterno impero sociale cristiano, diventando – secondo periodici come La Civiltà Cattolica – monito ai cattolici per battersi in favore della restaurazione cristiana della società e al contempo contro la rinascita di un nuovo paganesimo, che è rappresentato da un’autorità statale la quale non ammette la subordinazione ad altri poteri, incluso quello ecclesiastico, aprendo così la strada alla barbarie e all’inciviltà17.
Nel primo dopoguerra, la dottrina della regalità sociale viene rilanciata, con un nuovo indirizzo, da Pio XI. Con la sua prima lettera enciclica Ubi arcano (1922), papa Achille Ratti pone come obiettivo programmatico del suo pontificato la realizzazione di una società completamente cristiana, in cui Cristo regni su ogni aspetto della vita umana. Intenzionato a fornire un appoggio spirituale a questo progetto, il pontefice, accogliendo le istanze avanzate soprattutto dalla Société du Règne social di Paray-le-Monial e da numerosi ambienti romani, con l’enciclica Quas primas del 1925 introduce nel calendario liturgico la festa di Cristo Re, che sostituisce l’elemento mediatore del Sacro Cuore (che offriva l’immagine di Cristo ‘re d’amore’, con cui fino ad allora si era espresso il tema del regno sociale18) con l’idea forte e autoritaria del Cristo detentore, per diritto di natura e di conquista, della potestà legislativa, esecutiva e giudiziaria19.
All’interno di questo nuovo orientamento, che mira a evidenziare con chiarezza i mezzi giuridico-politici su cui deve costruirsi il regno sociale di Cristo, il personaggio di Costantino è citato, secondo una consolidata lettura teologica della storia, come l’avvio del regno sociale di Cristo20, offrendo un’interpretazione che parzialmente penetra tanto nella produzione omiletica21 quanto nella trattatistica volta a divulgare il concetto della regalità22.
Più che nell’ambito sistematico dell’impalcatura dottrinale, l’imperatore romano, tuttavia, è menzionato, come già era accaduto nel 1913, in rapporto ai grandi eventi occorsi durante il suo impero e legati alla manifestazione della regalità cristiana. Tra il 1924 e il 1926 si ricordano, infatti, la dedicazione della Basilica Lateranense (324)23, donata da Costantino a papa Milziade dopo l’editto di Milano, il concilio di Nicea (325) e la scoperta della santa croce di Cristo a Gerusalemme (326). Questi ultimi due avvenimenti sono considerati come fondamentali nella dottrina della regalità, perché – secondo quanto è affermato da una parte della riflessione teologica dell’epoca – Cristo è re per eredità, in ragione della consustanzialità affermata dall’assemblea nicena, e per conquista, in virtù della sua morte in croce24.
Nell’ambito delle commemorazioni nicene, Costantino, pur con qualche eccezione25, è considerato dalla pubblicistica cattolica come una figura di secondo piano rispetto all’autorità pontificia e ai grandi Padri della Chiesa (Ossio di Cordova e Atanasio di Alessandria, in particolare) che partecipano al concilio. Gli si riconosce, tuttavia, l’importante ruolo di aver convocato – sebbene dietro stimolo di papa Silvestro – la grande assemblea e di averne garantito il regolare svolgimento, dando prova di un esercizio esemplare del potere politico. Sottomettendosi all’autorità della Chiesa, considerata fonte prima di qualsiasi diritto, egli non solo sancisce il trionfo definitivo dello Stato cristiano su quello pagano, ma anche dimostra, nel distinguere le sfere di competenza dei due distinti poteri, di comprendere la superiorità del potere spirituale su quello temporale26.
Costantino occupa il ruolo di co-protagonista anche nelle celebrazioni per il XVI centenario della scoperta della santa croce, considerata simbolicamente il trono regale da cui Cristo governa. La figura del sovrano è, infatti, accostata a quella di sua madre Elena, colei che, mossa da profonda fede, si reca a Gerusalemme nel 326 e, grazie all’autorità e ai mezzi messi a sua disposizione dal figlio, riesce a trovare lo strumento del supplizio di Cristo. Se il personaggio materno incarna l’idea di una fede pia e genuina, Costantino si presenta nuovamente come strumento della Provvidenza. Non solo egli è dipinto come l’imperatore cristiano che si oppone ai predecessori pagani, colpevoli di avere perseguitato e oltraggiato il cristianesimo, ma anche come colui che si rende artefice del trasferimento della santa croce dal Golgota, luogo di morte e umiliazione, a Roma, sede del potere, così da risultare essere il primo imperatore ad avere propugnato il regno di Cristo in terra27.
Al di fuori dell’ambito commemorativo – pure importante per il rilievo degli eventi sopra menzionati – la figura di Costantino non ottiene, tuttavia, grandi riscontri nelle varie interpretazioni che si danno in quegli anni sul significato politico della regalità di Cristo.
Infatti, sebbene l’imperatore romano venga citato, per il carattere attuale e paradigmatico dell’ordinamento statuale da lui realizzato, nell’ambito di alcuni articoli pubblicati dalla rivista Au Christ Roi. Echos de son Règne social di Paray-le-Monial, in cui emerge una valutazione positiva sulle correnti politico-ideologiche della destra autoritaria28, il suo nome e la sua esperienza politica non ricevono menzione alcuna nei contributi dei principali interpreti della dottrina della regalità di Cristo. Il domenicano Edouard Hugon, il docente dell’Università Lateranense a cui Pio XI si era rivolto per l’indicazione delle idee di fondo della Quas primas, non cita il figlio di Costanzo Cloro nei testi deputati a commentare il documento pontificio, in cui interpreta la regalità come riconoscimento alla Chiesa del ruolo di fonte dei valori morali a cui la collettività è chiamata a uniformarsi29. Costantino non è menzionato nemmeno dal cardinale Camillo Laurenti, prefetto della Congregazione del concilio e figura di riferimento del filone interpretativo che identifica l’attuazione del regno sociale di Cristo con un ordinamento pubblico analogo a quello dell’etnarchia cristiana del tardo Medioevo30. È ipotizzabile che la scarsità di rimandi tesi a collegare questo personaggio con la dottrina della regalità di Cristo dipendesse dalla riscoperta della romanità imperiale condotta in quegli anni da alcuni ambienti clerico-fascisti, che individuavano proprio in Costantino un personaggio capace di conciliare l’elemento romano con quello cristiano31, anche se non si può escludere che abbia anche inciso il timore di riferirsi a una figura spesso assunta – secondo il pensiero cattolico dell’epoca – come riferimento per giustificare ingerenze del potere statale in ambito religioso.
Nel secondo dopoguerra, la tendenza a congiungere il regno sociale di Cristo con l’idea di Stato strettamente confessionale è messa in discussione tanto dalla constatazione delle evoluzioni politiche che hanno consentito l’affermazione dell’assetto democratico quanto dal dibattito culturale in cui emerge la convinzione che la dimensione ierocratica della regalità dipenda da condizioni storiche contingenti. Questi sforzi reinterpretativi sono, tuttavia, lontani dagli orientamenti romani: nonostante attui uno svuotamento del contenuto autoritario della nozione di regno sociale e apra all’ordinamento democratico, Pio XII continua, infatti, a richiedere che l’ordinamento pubblico resti cattolico, ossia subordinato alla gerarchia non solo nelle fondamentali scelte morali, ma anche nelle concrete e immediate direttive politiche.
In tale contesto, la figura di Costantino e il modello politico da lui rappresentato sono indicati come esperienze passate, che, tuttavia, rischiano di creare problematiche identificazioni tra uno specifico regime di cristianità e l’impegno della Chiesa a realizzare l’autentico trionfo della regalità di Cristo. Con il suo complesso di protezioni e garanzie temporali, infatti, Costantino segna – secondo il cardinale Emmanuel Suhard, arcivescovo di Parigi – l’inizio della «tentazione più grave in cui sia incorsa la Chiesa», ossia il legare la propria mistica missione con un determinato assetto socio-politico, sottoponendo così il proprio statuto ontologico al divenire storico32.
Sullo sfondo di un dibattito che vede confrontarsi modi diversi di concepire la regalità di Cristo, Costantino continua, tuttavia, a essere percepito, dagli ambienti che sostengono la sostanziale coincidenza tra azione politica e azione cattolica, come un modello politico a cui riferirsi in esplicita opposizione a coloro che, di contro, sostengono l’autonomia della politica e del laicato33.
Il personaggio e la sua esperienza politica sono ripresi soprattutto in rapporto al dibattito storiografico che si apre allora attorno al tema della regalità: un tema che si intende dimostrare essere stato teorizzato da alcune correnti della teologia del periodo medievale senza, però, ricevere il consenso papale. Avviatasi alla fine degli anni Trenta, l’attività storiografica volta ad approfondire la questione dei diritti regali di Cristo s’intreccia con la definizione dei comportamenti collettivi dei cattolici e, attraverso alcuni contributi, assume un importante rilievo nelle nuove elaborazioni teologiche portate avanti in modo particolare da Yves Congar e tese a rivalutare il ruolo del laicato e a promuovere il dialogo ecumenico34.
Influenzata dalla risignificazione maritainiana della regalità e operante sullo sfondo di una rilettura in chiave escatologica e spirituale, si fa strada una linea interpretativa tesa a mettere in discussione l’idea che Costantino e il suo impero abbiano permesso il realizzarsi del regno di Cristo sulla terra. Pur con accenti diversi, secondo alcuni di questi studi – che, è bene precisarlo, volgono principalmente la loro attenzione al periodo medievale – l’età costantiniana, con il suo saldarsi del rapporto tra realtà ecclesiale e potere politico, segna l’identificazione del regno di Cristo con un’entità politica definita, l’Impero romano, e, conseguentemente, l’avvio di un travisamento della concezione del regno di Cristo rispetto a quella affermatasi durante l’età apostolica35. Partendo dall’analisi di testi medievali, in cui pure vi è il desiderio di legittimare la teocrazia papale, si tende a non riconoscere più nel figlio di Costanzo Cloro e nella sua esperienza di governo l’attuazione del regno sociale di Cristo, ma, qualificandolo differentemente, s’identifica quest’ultimo con la venuta di Cristo stesso36.
Con il concilio Vaticano II, la dottrina della regalità è sottoposta a un ripensamento in cui, pur nella persistenza di elementi ierocratici, si riconosce l’autonomia della città terrena. Sebbene ribadisca il nesso tra dominio regale di Cristo sull’universo e una organizzazione pacifica e unitaria di cui la Chiesa detiene il controllo, la riforma liturgica che scaturisce dai lavori conciliari evidenzia la nuova dimensione escatologica, spirituale e ultraterrena della regalità di Cristo, segnando uno stacco rispetto all’impostazione contenuta nella Quas primas37. Nonostante le resistenze, si pone, dunque, un nuovo indirizzo che, impostato su una concezione del regno di Cristo disgiunta dal carattere immediatamente sociale, riconosce l’incompatibilità fra una prospettiva autenticamente cristiana e un non più proponibile sistema statale confessionale, sorto con la cristianità sacrale inauguratasi sotto Costantino, a favore di un’organizzazione della vita civile fondata sul rispetto della libertà e il riconoscimento delle diversità38.
1 Sugli sviluppi della dottrina della regalità sociale di Cristo e la sua diffusione tra XIX e XX secolo, si vedano: D. Menozzi, Regalità sociale di Cristo e secolarizzazione. Alle origini della Quas primas, in Cristianesimo nella storia, 16 (1995), pp. 79-113; Id., Liturgia e politica: l’introduzione della festa di Cristo Re, in Cristianesimo nella storia. Saggi in onore di Giuseppe Alberigo, a cura di A. Melloni, D. Menozzi, G. Ruggieri, et al. Bologna 1996, pp. 607-656; D. Menozzi, Da una liturgia politica a una liturgia evangelica: la festa di Cristo Re, in Liturgia ed evangelizzazione. Studi in onore di Enzo Lodi, a cura di E. Manicardi, F. Ruggiero, Bologna 1996, pp. 415-448; D. Menozzi, Devozione al Sacro Cuore e instaurazione del Regno sociale di Cristo: la politicizzazione del culto nella Chiesa ottocentesca, in Santi, culti, simboli nell’età della secolarizzazione, a cura di E. Fattorini, Torino 1997, pp. 161-194; D. Menozzi, Il primo riconoscimento pontificio della regalità sociale di Cristo: l’enciclica «Annum sacrum» di Leone XIII, in Anima e paura. Studi in onore di Michele Ranchetti, a cura di B. Bocchini Camaiani, A. Scattigno, Macerata 1998, pp. 287-305; D. Menozzi, La regalità di Cristo nel dialogo tra cattolici e protestanti degli anni ’50, in Il cristianesimo e le diversità. Studi per Attilio Agnoletto, a cura di R. Cacitti, G.G. Merlo, P. Vismara, Milano 1999, pp. 343-376; D. Menozzi, Rinnovamento dottrinale e storiografia: gli studi storici sulla regalità sociale di Cristo, in I grandi problemi della storiografia civile e religiosa, Atti dell’XI Convegno di studio dell’Associazione italiana dei professori di storia della Chiesa (Roma 2-5 settembre 1997), a cura di G. Martina, U. Dovere, Roma 1999, pp. 263-298; D. Menozzi, Sacro Cuore. Un culto tra devozione interiore e restaurazione cristiana della società, Roma 2001; Id., Spiritualità del regno e politica nel secondo dopoguerra, in Parola in dialogo. Scritti in onore di Paolo Ricca e Sergio Rostagno, Torino 2003, pp. 283-298; Id., La dottrina del regno sociale di Cristo tra autoritarismo e totalitarismo, in Cattolicesimo e totalitarismo. Chiese e culture religiose tra le due guerre mondiali (Italia, Spagna, Francia), a cura di G. Martina, R. Moro, Brescia 2004, pp. 17-55; D. Menozzi, Regalità di Cristo e politica nell’età di Pio XI: i congressi internazionali di Cristo Re, in Chiesa, laicità e vita civile. Studi in onore di Guido Verucci, a cura di L. Ceci, L. Demofonti, Roma 2005, pp. 153-172; D. Menozzi, Ernesto Balducci e il regno sociale di Cristo: tradizione e rinnovamento nell’ideologia politico-religiosa del cattolicesimo novecentesco, in Storia ed esperienza religiosa. Studi per Rocco Cerrato, a cura di A. Botti, Urbino 2005, pp. 139-160.
2 Sulle influenze agostiniane e bossuetiane nelle prime elaborazioni sulla regalità sociale di Cristo, cfr. D. Menozzi, Sacro Cuore, cit., pp. 110-112. Pur con alcune variazioni e reinterpretazioni, l’influenza di Bossuet si mantiene nei decenni successivi nelle riflessioni di teologia connesse alla dottrina della regalità, come indica il discorso tenuto da Francesco Olgiati in occasione del primo convegno sulla regalità di Cristo, tenutosi nel 1926 all’Università Cattolica di Milano (F. Olgiati, La divina regalità nella storia, in La regalità di Cristo. Relazioni, atti e voti del primo congresso nazionale della regalità di G. Cristo (Milano 20-22 maggio 1926), Milano 1926, pp. 86-108).
3 H. Ramière, Les espérances de l’Église, Paris-Lyon 1861, p. 518.
4 C. Bénard, Règne social du Christ, Paris 1866. Il Bénard, infatti, scrive: «Constantin sera l’apôtre politique, comme saint Paul a été celui de la Gentilité, et saint Pierre celui de la Synagogue» (p. 40). Nella riflessione offerta nel libro, il personaggio di Costantino è oggetto di ampia trattazione, essendo presentato come l’artefice di una rivoluzione non solo religiosa, ma anche sociale.
5 Sul ridimensionamento del mito dell’impero operato dal cattolicesimo intransigente, cfr. R. Moro, Il mito dell’impero in Italia fra universalismo cristiano e totalitarismo, in Cattolicesimo e totalitarismo, cit., pp. 316-320. Sulla mitizzazione dell’età medievale nel cattolicesimo intransigente, cfr. G. Miccoli, Chiesa e società in Italia fra Ottocento e Novecento: il mito della cristianità, in Id., Fra mito della cristianità e secolarizzazione, Casale Monferrato 1985, pp. 21-92 e D. Menozzi, La Chiesa cattolica e la secolarizzazione, Torino 1993, pp. 15-135.
6 I discorsi, le opere e gli scritti di Pie sono raccolti in L.É.F.D. Pie, Oeuvres de monseigneur l’évêque de Poitiers:discours, allocutions, homélies, panégyriques, éloges funebre, lettres pastorales, mandements, instructions sinodales, entretiens ecclèsiastiques, 10 voll., Paris 18879. La riflessione sulla regalità di Cristo offerta da Pie è stata sintetizzata nello scritto di Th. de Saint-Just, La Royauté Sociale de N.-S. Jésus Christ d’après le cardinale Pie, di cui, per la redazione della presente voce, si è potuta consultare la dodicesima edizione, stampata a Parigi nel 1925. Secondo Daniele Menozzi il pensiero del cardinal Pie era già noto negli anni Ottanta dell’Ottocento a membri di spicco dell’intransigenza cattolica italiana: cfr. D. Menozzi, Liturgia e politica: l’introduzione della festa di Cristo Re, cit., p. 610.
7 Parlando dei modelli di governanti cristiani secondo Pie, Théotime de Saint-Just, volgendo successivamente la propria attenzione all’imperatore carolingio, scrive che Carlo Magno rappresenta «le type le plus vaste et le plus magnifique du César chrétien» (cfr. La Royauté Sociale de N.-S. Jésus Christ, cit., p. 264). L’idea della superiorità di Carlo Magno rispetto a Costantino si mantiene nel tempo: nel 1914, a partire da una riflessione sul XVI centenario dell’editto di Milano tenutosi nel 1913, La Civiltà Cattolica pone a confronto Costantino, Carlo Magno e Napoleone, sostenendo che il secondo perseguì con maggiore forza e coerenza l’affermazione della effettiva sovranità di Cristo e della Chiesa: cfr. Costantino, Carlomagno e Napoleone. Lezioni di centenari (814-1814-1914), in La Civiltà Cattolica, II, 8 aprile 1914, pp. 129-148.
8 La citazione è tratta da D. Albertario, Don Gabriel Garcia Moreno, in La scuola cattolica, 3 (1875), p. 532. L’idea che Garcia Moreno rappresentasse, alla pari di Costantino o Carlo Magno se non addirittura meglio, un modello di governante cattolico è diffusa da una retorica raccolta in parte da A. Berthe, Garcia Moreno: président de l’Équateur, vengeur et martyr du droit chrétien: 1821-1875, Paris 1887. Per un inquadramento sull’impatto che la figura di Garcia Moreno ha sull’intransigenza cattolica italiana e l’ultramontanismo francese si rinvia a M. Granata, L’intransigentismo cattolico ed il mito di Garcia Moreno, in Bollettino dell’Archivio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia, 19,1 (1984), pp. 49-77.
9 All’assemblea dei comitati cattolici e dell’Apostolato della preghiera del 1874, Ramière afferma che Gesù Cristo, mediante le rivelazioni a Margherita Maria Alacoque, «avec sa croix, il nous montrait son coeur; et nous disait encore: in hoc signo vinces» (H. Ramière, L’assemblée des comités catholiques et l’Apostolat de la prière, in Le messager du Coeur du Jésus, 25 (1874), p. 337). Il motto costantiniano viene nuovamente citato da Ramière in occasione del Congresso dei comitati cattolici del 1874: «La restauration du règne social de Jésus Christ: c’est là l’oeuvre commune dont toutes le oeuvres catholiques s’efforcent de réaliser le conditions particulières, et dont notre confiance dans la protection du Coeur de Jésus doit assurer le succès: in hoc signo vinces»: cfr. H. Ramière, L’union des oeuvres catholiques dans la Ligue du Coeur de Jésus, in Messager du Coeur du Jésus, 26 (1874), p. 299. I testi sono citati anche in D. Menozzi, Sacro Cuore, cit., pp. 136-137.
10 Ph. Clément, L’image du Sacré-Coeur, Paris 1897, pp. 20-21.
11 D. Menozzi, Sacro Cuore, cit., pp. 136-137 e 223; J. Bainvel, La devozione al S. Cuore di Gesù. La sua dottrina e la sua storia, Milano 1940, p. 408.
12 «Cum Ecclesia per proxima originibus tempora caesareo iugo premeretur, conspecta sublime adolescenti imperatori crux, amplissimae victoriae, quae mox est consecuta, auspex simul atque effectrix. En alterum hodie oblatum oculis auspicatissimum divinissimumque signum: vide licet Cor Iesu sacratissimum, superimposita cruce, splendidissimo candore inter flamma se lucens» (Litterae encyclicae SS.mi D.N. Leonis Papae XIII de hominibus Sacratissimo Cordi Iesu devovendis, in Acta Apostolicae Sedis, 31 (1899), pp. 650-651). Sull’enciclica si rinvia a D. Menozzi, Il primo riconoscimento della regalità sociale di Cristo, cit., pp. 287-305; Id., Sacro Cuore, cit., pp. 212-224.
13 G. Alessi, Gesù Cristo re dei secoli e i suoi trionfi nel secolo XIX, Padova 1900. Analoga impostazione nella predica di Giuseppe Galloni tenuta la Domenica delle Palme del 1900: G. Galloni S.J., Gesù Cristo Re, in La Festa di Gesù Cristo Re, Roma 1926, pp. 128-145.
14 D. Menozzi, Liturgia e politica, cit., pp. 611-615. Sulla pratica delle incoronazioni e intronizzazioni dell’immagine S. Cuore nelle famiglie e le relative implicazioni politiche, cfr. Id., L’intronizzazione del S. Cuore nelle famiglie, in Rivista di storia e letteratura religiosa, 33 (1997), pp. 29-65, poi confluito con alcune variazioni e integrazioni in Id., Sacro Cuore, cit., pp. 241-281.
15 R. Moro, Il mito dell’impero in Italia, cit., pp. 317-319.
16 Tali concetti sono chiaramente espressi da Umberto Benigni nell’introduzione al primo dei cinque volumi della propria Storia sociale della Chiesa, I, Milano 1906, pp. XI-XXIII.
17 Secondo La Civiltà Cattolica, la concessione della libertà da parte di Costantino «significò, significa e significherà sempre il primo passo allo stabilimento del regno di Dio nella società, come tale, nelle sue leggi, nella sua vita»: cfr. Le feste centenarie dell’editto costantiniano e il dovere dei cattolici, in La Civiltà Cattolica, I, 4 gennaio 1913, pp. 3-13, in partic. 9. Su Costantino e la sua azione politica provvidenziale, tesa a consentire l’inizio dell’«impero sociale della religione e della civiltà cristiana, che dura fino ad oggi e durerà fino alla consumazione dei secoli», sempre la rivista dei gesuiti pubblicava una serie di articoli tra loro collegati: Costantino Magno e l’unità cristiana, in La Civiltà Cattolica, II, 3 maggio 1913, pp. 257-276, da cui è tratta la citazione riportata in nota; Costantino Magno e la libertà cristiana, in ivi, II, 21 giugno 1913, pp. 662-673; Costantino Magno e la libertà cristiana, in ivi, III, 19 luglio 1913, pp. 129-143; Costantino Magno e la moralità cristiana, in ivi, III, 16 agosto 1913, pp. 397-409 e Costantino Magno e la moralità cristiana, in ivi, III, 20 settembre 1913, pp. 677-691.
18 A favore dell’idea del Cristo, che soffre per amore dell’uomo e richiede all’umanità intera di corrisponderlo e di riconoscere la sua sovranità, si era speso molto p. Mateo Crawley-Boevey, i cui scritti vengono diffusi in Italia soprattutto durante gli anni Venti. Se ne citano alcuni: Incontro al re d’amore, Padova 1924; Trattenimenti evangelici sul S. Cuore di Gesù, Milano 1924; Il Regno sociale del S. Cuore di Gesù: conferenze, Padova 1925.
19 Sul distacco tra la dottrina della regalità sociale e la devozione al S. Cuore, cfr. G. Rumi, Il cuore del re. Spiritualità e progetto da Benedetto XV a Pio XI, in Santità sociale in Italia tra Otto e Novecento, Torino 1995, pp. 23-38; D. Menozzi, Liturgia e politica, cit., pp. 607-656.
20 Nella prima relazione del convegno sulla regalità di Cristo tenutosi a Milano nel 1926, l’arcivescovo di Taranto, mons. Orazio Mazzella, afferma, trattando dell’opera della Chiesa discente e della sua azione pratica nella storia: «Quando la croce fu vista nei cieli come un simbolo di vittoria e sul trono dei Cesari ascese Costantino ai piedi di Gesù Cristo Re si videro non solamente gl’individui, ma i popoli rappresentati dai loro capi, imperatori, re, magistrati supremi di repubbliche. Comincia così il regno sociale di Gesù Cristo» (O. Mazzella, La divina regalità nella teologia, in La regalità di Cristo. Relazioni, atti e voti, cit., p. 47).
21 L’idea del trionfo della regalità di Cristo avviatasi con Costantino emerge in alcuni discorsi contenuti nel libretto di F. Simonelli, Gesù Cristo re immortale dei secoli. Discorsi in omaggio alla divina regalità di Cristo, Torino 1926.
22 T. Neno, Gesù Cristo Re, Bergamo 1926, pp. 153-154. Non reca, invece, un cenno nemmeno di sfuggita l’opuscolo di G. Zanchetta, La regalità di Cristo Re, Milano 1926, diffuso per volere di Agostino Gemelli in occasione del convegno milanese sulla regalità del 1926.
23 Ad Emum P.D. Basilium Episcopum veliternum S.R.E. Card. Pompilj, vicaria potestate urbis antistitem, archibasilicae Lateranensis archipresbyterum: decimo sexto exeunte saeculo a dedicata primum eadem archibasilica, in Acta Apostolicae Sedis, 16 (1924), pp. 233-236.
24 Sui fondamenti teologici della regalità di Cristo, si rinvia ai seguenti contributi, che sintetizzano riflessioni affermatesi nei decenni precedenti: A. Gemelli, Per la festa della regalità del S. Cuore: un voto teologico della Università Cattolica del S. Cuore, in Vita e pensiero, 8 (1925), pp. 449-461; La sovranità universale di Cristo Re e i suoi fondamenti teologici, in La Civiltà Cattolica, III, 19 settembre 1925, pp. 481-491 e La sovranità universale di Cristo Re e i suoi fondamenti teologici, in ivi, IV, 3 ottobre 1925, pp. 3-13.
25 Nel numero straordinario de Il Carroccio, realizzato per il XVI anniversario del concilio di Nicea con la partecipazione di firme d’eccezione come il gesuita Enrico Rosa e lo storico francese Pierre Batiffol, Costantino è esaltato come il generale vittorioso che trionfa affiancato da «angeli con spade sguainate» e nel ruolo di politico che consente il dispiegarsi della provvidenza nella storia (si veda in modo particolare il contributo di E. Allodoli, L’imperatore, pp. 771-776).
26 Il primo concilio ecumenico di Nicea (325-1925), in La Civiltà Cattolica, II, 18 aprile 1925, pp. 104-117 e Il primo concilio ecumenico di Nicea (325-1925), in ivi, II, 20 giugno 1925, pp. 481-493; La vittoria della Chiesa nel primo concilio ecumenico di Nicea (325-1925), in ivi, IV, 21 novembre 1925, pp. 289-295; A. Grazioli, Nel XVI Centenario del Concilio di Nicea (325-1925), in La scuola cattolica, 15 giugno (1925), pp. 409-433.
27 Epistola ad Emum P.D. Guilelmum titulo S. Crucis in Hierusalem cardinalem van Rossum: XVI saeculo exeunte a S. Crucis inventione, in Acta Apostolicae Sedis, 18 (1926), pp. 182-185.
28 D. Menozzi, La dottrina del regno sociale di Cristo, cit., pp. 27-28.
29 Nei suoi scritti dedicati alla spiegazione della regalità di Cristo, Hugon, indicato da Menozzi come l’estensore dei punti cardine della Quas primas (cfr. D. Menozzi, Regalità sociale di Cristo ed Ernesto Balducci, cit., p. 140) non cita mai Costantino, come si può constatare in É. Hugon, La fête spéciale de Jésus-Christ Roi, in Revue thomiste, 30 (1925), pp. 297-320 e nell’omonimo opuscolo dai contorni più divulgativi: Id., La fête spéciale de Jésus Christ Roi, Paris 1925.
30 Il cardinale Camillo Laurenti, principale promotore della festa liturgica dedicata a Cristo Re, preferiva riferirsi al sistema teocratico enunciato da Bonifacio VIII con la bolla Unam Sanctam Ecclesiam (C. Laurenti, Il regno sociale di Cristo, in La festa di Cristo Re, cit., pp. XLVII-LXVI).
31 R. Moro, Il mito dell’impero in Italia, cit., p. 334.
32 E. Suhard, Agonia della Chiesa?, trad. it. di C. De Piaz, Roma 1948, pp. 33-35.
33 È significativo che, nel suo intervento alla settimana diocesana degli Uomini di Azione Cattolica di Roma del gennaio 1949, Luigi Gedda indicasse, al fianco di personaggi come san Luigi di Francia o Garcia Moreno, anche Costantino come una delle «figure luminose» a cui riferirsi per incidere nella società da cristiani in opposizione all’idea di apostolato promossa da Giuseppe Lazzati (la cronaca dell’intervento geddiano in G. Lazzati, Pensare politicamente, I, Il tempo dell’azione politica. Dal centrismo al centrosinistra, Roma 1988, pp. 47-48). Al riguardo si veda anche D. Menozzi, Spiritualità del regno e politica, cit., p. 294.
34 D. Menozzi, Rinnovamento dottrinale e storiografia, cit.
35 Ivi, p. 277. Menozzi si riferisce all’opera di E. Stähelin, Die Verkündigungdes Reiches Gottes in der Kirche Jesu Christi. Nell’introduzione al tomo II, l’autore individua nell’esperienza costantiniana l’inizio di un processo di deformazione del messaggio evangelico che ora viene reso troppo vicino alle questioni temporali ora si spiritualizza eccessivamente.
36 J. Leclercq, L’idée de la Royauté du Christ au moyen âge, Paris 1959, pp. 207-209.
37 E. Guillou, Les oraisons de la nouvelle messe et l’esprit de la réforme liturgique, in Fideliter, 86 (1992), pp. 71-73.
38 G. Lazzati, Pensare politicamente, cit., II, Da cristiani nella società e nello Stato, pp. 89-95.