Costantino e l’autorappresentazione del papato
Arte, architettura e cerimoniali romani
Già entro il V secolo, mediante la redazione degli Actus Silvestri1, la biografia costantiniana narrata da Eusebio era stata sostanzialmente travisata accrescendo il ruolo, soprattutto nella conversione imperiale, di papa Silvestro I; dall’VIII secolo la progressiva autonomia del dominio papale su Roma e l’instaurazione del rapporto con i franchi fecero sì che la leggenda silvestrina e il connesso, cosiddetto, Constitutum Constantini2 (composto a partire da essa) divenissero anche parte di un disegno politico-ecclesiastico finalizzato a sostenere la potestà spirituale e temporale del pontefice. Questi testi influenzeranno l’elaborazione ecclesiologica medievale3. Tuttavia, parallelamente, essi, assieme a ulteriori elaborazioni testuali (ad esempio legate alla basilica lateranense, ovvero Costantiniana4), supporteranno anche, da un lato, l’adozione da parte del papato di elementi cerimoniali e simbolici di tradizione imperiale che la donazione vuole trasmessi da Costantino a Silvestro5, e, dall’altro, una committenza artistica ‘romana’ intesa a richiamarli e interpretarli in funzione del presente6. Si tratta della rappresentazione visiva di una sempre più definita autocoscienza papale, proposta a un pubblico variegato e tendenzialmente universale, ma naturalmente non sempre accettata pacificamente dai poteri temporali in vario modo concorrenti. Una dialettica che, tra l’altro, accompagna l’intera storia dei ‘recuperi’ costantiniani a Roma, in cui lo strumento artistico e cerimoniale riveste un significato fondamentale, e forse anche principale, in quanto non solo di immediata percezione, ma anche dotato di grande forza creatrice di immagini e di rapporti mitici o ideologici imposti come realtà.
Il Constitutum Constantini (pur al centro di una complessa questione) è per lo più attribuito ai pontificati di Stefano II7 (752-757) o dei suoi successori Paolo I (757-767) e Stefano III8 (767-772). Ci si troverebbe comunque non molto dopo la metà dell’VIII secolo, in seguito all’allontanamento del papato dall’impero bizantino e (di fronte alla minaccia longobarda) al suo avvicinamento ai sovrani franchi, ai quali, dal 757, iniziò a essere comunicata l’elezione papale; dopo, soprattutto, i trattati di Ponthion e Quierzy (754) e la ‘donazione’ di Pipino del 756, che sanciva anche formalmente la costituzione del patrimonium Petri (in realtà determinata dalla sostituzione dell’esarca bizantino nel governo del ducato romano). Un simile snodo incentivava una rivisitazione del ruolo del papa e dei suoi rapporti con gli altri poteri spirituali e temporali e, insieme, lo sviluppo di una simbologia e di un’arte adeguati. Infatti il Constitutum, dopo aver ripreso gli episodi della leggenda silvestrina degli Actus (intenzione di Costantino di guarire dalla lebbra con il sangue di bambini; pietà di fronte alle loro madri; sogno degli apostoli Pietro e Paolo; richiamo di Silvestro dal monte Soratte; presentazione all’imperatore e riconoscimento dei ritratti degli apostoli; suo battesimo: tutti di grande fortuna iconografica), contiene, da parte di Costantino, il riconoscimento della superiorità della Chiesa romana rispetto agli altri quattro patriarcati e, sul piano temporale, la donazione a Silvestro e ai suoi successori del palazzo imperiale del Laterano, della città di Roma, dei territori italici e dell’Impero occidentale. A ciò corrispondono la consegna a Silvestro dei rispettivi emblemi ‘imperiali’ («ad imitationem imperii nostri, imperialia indumenta, imperialia sceptra», si legge), in particolare il manto purpureo e il phrygium bianco (o regnum, la futura tiara, in seguito al rifiuto del papa di ricevere il diadema aureo), e l’introduzione di rituali che indicavano reverenza, ma anche implicita subordinazione, da parte del monarca, quali l’officium stratoris, ovvero il procedere a piedi conducendo per il freno il cavallo su cui cavalcava il pontefice9. Grazie a tali richiami lo snodo della seconda metà del secolo è sottolineato dal tentativo di arricchimento della persona del papa non solo con i suddetti emblemi, ma anche con un cerimoniale ‘imperiale’ (sia esso precedente – e influente – oppure conseguente al Constitutum), che si cerca di imporre alla controparte franca per marcare un rapporto: il Constitutum non mirerebbe infatti a ottenere «concreti possedimenti», ma alla «esplicitazione del ruolo che il papato autonomamente si attribuiva»10. Gregorio III, poco prima della metà del secolo si era di fatto liberato del controllo bizantino e Zaccaria, l’ultimo papa greco (741-752), aveva sostenuto l’avvicendamento regio di Pipino. Il suo successore Stefano II nel 753 si recò Oltralpe (per primo; mentre l’ultimo viaggio di un papa a Costantinopoli è del 711), ottenendo dal re la promessa della cessione dell’esarcato di Ravenna e dei ducati di Spoleto e di Benevento11. In questa missione le fonti papali (il Liber pontificalis nella vita di Stefano, composta al più tardi sotto il pontificato del fratello e successore Paolo I) sostengono che Pipino sarebbe stato il primo sovrano (dopo Costantino) a rendere al pontefice l’officium stratoris e ad accettare la piena obbedienza (ovvero subordinazione)12. Stefano II ricorse inoltre, per la definizione del rapporto, al rito dell’unzione di Pipino e dei suoi figli, consacrandoli re e patrizi romani, per quanto il primo fosse già re: ciò avrebbe sia creato una relazione di compaternitas sia sottolineato, mediante l’impartizione del sacramento, la superiorità sacerdotale. Si tratta di un parallelo con il contenuto della falsa donazione, nella quale il rapporto di subalternità di Costantino e le conseguenti concessioni ‘imperiali’ scaturivano dal sacramento del battesimo del sovrano. Infatti, tale unzione fu costantemente richiamata dai pontefici nelle lettere ai re franchi, in quanto funzionale a rafforzare la sovranità temporale del papa in Italia13. Nella visita di Carlo a Roma, nel 774, papa Adriano I (772-795) ribadì il proprio dominio sulla città e inserì nella richiesta di conferma delle promesse del padre espliciti richiami alla vicenda di Silvestro e Costantino. Lo stesso pontefice nel 778, dopo la conquista del regno longobardo (di cui rivendicava alcune porzioni), scrisse a Carlo non solo ricordandogli il comparatico (in quanto il re intendeva battezzare un figlio a Roma), ma soprattutto esortandolo a comportarsi come novello Costantino, restituendogli terre già nominate in donazioni di precedenti sovrani: in ciò ricalcando i termini del Constitutum riguardo al dominio sull’Occidente14.
Da parte franca il rapporto era però inteso diversamente e le fonti si differenziano da quelle papali proprio riguardo ai simboli di esso: a proposito dell’accoglienza di Stefano II non vi è traccia del cerimoniale dell’officium stratoris, mentre, in contrappeso all’onorevole accoglienza del papa, esse sostengono che fu lui a supplicare il re. In seguito Carlo Magno di fatto non si uniformò alla relazione proposta da Adriano, intitolandosi re di Gallia, Germania e Italia (ossia le province occidentali del Constitutum), e anzi i teologi di corte, in merito al culto delle immagini, rifiutarono la conclusione del papa che esso fosse attestato dalla leggenda di Silvestro (il quale aveva mostrato a Costantino le immagini di Pietro e Paolo). L’incoronazione imperiale dell’800, poi, fu vissuta da Carlo come fonte di una piena sovranità prettamente ‘romana’ (senza alcun riferimento a Costantino nella documentazione e nella monetazione) anche sul papa, il quale, secondo i cronisti carolingi, avrebbe addirittura compiuto la prostrazione rituale davanti al sovrano. Nei fatti nemmeno Ludovico il Pio rinunciò alla piena sovranità su Roma, mentre dalla parte opposta Stefano IV, eletto nell’816, interrompeva la tradizione di comunicare la propria nomina all’imperatore (ora d’occidente). Lo stesso anno Stefano IV, recatosi Oltralpe per l’incoronazione di Ludovico, non solo ebbe confermati solamente una parte dei territori promessi dal padre e dall’avo, ma (pur accolto con grande fasto) vide ignorato il suo tentativo di ristabilire la propria visione di una sovranità imperiale concessa dal successore di Pietro mediante l’utilizzo nella cerimonia (avvenuta solo dopo dure trattative) della corona di Costantino. I cronisti franchi, riguardo a Costantino, si riallacciarono alla tradizione di Cassiodoro e Orosio (con il battesimo a Nicomedia) e riferirono del viaggio dell’816 come avvenuto su ordine dell’imperatore: la corona sarebbe stata solo un dono (o una restituzione) in cambio della protezione ricevuta (e infatti il Liber pontificalis evita di accennare all’incoronazione). I sovrani franchi dunque rifiutarono il rapporto subordinato di matrice ‘costantiniano-silvestrina’ (ovvero riconducibile agli Actus e al Constitutum) proposto dai papi, finché tale rifiuto fu sanzionato da Lotario con la Constitutio romana15. Naturalmente, occorre cautela riguardo all’idea irrealistica che «nel medioevo tra i rappresentanti del potere spirituale e temporale si sarebbe svolta ininterrottamente, per secoli, una disputa teorica; […] molti modi d’agire non hanno dato luogo a nessuna dottrina». Soprattutto «fino all’alto medioevo il dibattito sulla qualità del potere temporale è stato condotto in modo irregolare e anche inconseguente e in ogni caso con lunghe pause. Solo dall’epoca della Riforma, dalla fine del secolo XI, il dibattito ebbe una certa continuità»16.
Tale tentativo di imporre alla relazione un connotato ‘silvestrino-costantiniano’ portò già Stefano II nel 757 a trasformare, come promesso a Pipino, un mausoleo tardoimperiale (IV-V secolo) posto sul lato sud di San Pietro, nella chiesa di S. Petronilla (figlia di Pietro), santa dichiarata ausiliatrice del re franco, e Paolo I a collocare in questo sacrario dell’alleanza papale-carolingia le reliquie della santa e a decorarlo con scene della vita di Costantino. Questa sarebbe rimasta la ‘cappella del re di Francia’ fino alla ricostruzione cinquecentesca di San Pietro17. Sulla facciata della basilica già campeggiava un’iscrizione, documentata dal VII-VIII secolo in cui Costantino, in prima persona, ricordava la propria vicenda secondo la versione degli Actus Silvestri18. In contemporanea Paolo I aveva dato sviluppo al culto di Silvestro fondando il monastero di S. Silvestro in Capite, arricchito delle reliquie del santo pontefice (e deponendovi le spoglie di Stefano II)19.
L’attenzione dei papi in età franca, oltre che alla basilica petrina, è soprattutto rivolta al Laterano, in particolare al loro palazzo di residenza ufficiale: se gli Actus narravano la costruzione della basilica vaticana da parte di Costantino, il Constitutum alla donazione del palazzo imperiale lateranense al papa aggiungeva da parte del sovrano l’edificazione della contigua basilica del Salvatore come prima chiesa pubblica del cristianesimo (dopo le persecuzioni). Essa assumeva, per disposizione dell’imperatore (che nel palazzo si sarebbe preparato al battesimo, avvenuto poi nel battistero lateranense), la qualifica di «caput et vertex omnium ecclesiarum in universo orbe terrarum»20. La rovina del palazzo imperiale sul Palatino, già sede dell’esarca bizantino, vedeva il parallelo ampliamento del patriarchium del Laterano, sede del papa, che iniziò a essere nominato anch’esso palatium (o sacrum palatium, ma soprattutto nel IX e ancor più nel X secolo)21, assumendo le caratteristiche sontuose di un palazzo regio, o meglio ‘imperiale’. Tale opera, iniziata con papa Zaccaria all’inizio dell’VIII secolo (affreschi, portico, triclinium, nuovo blocco detto turris con ampia sala per banchetti), fu proseguita da Adriano I con un’altra torre tra i cui affreschi vi era un’immagine dell’orbis terrarum, simbolo di universalità, il rinnovamento del portico e altri edifici non specificati. Leone III (795-816) edificò due immensi saloni, tra cui il triclinium maius dotato di tre absidi e dieci nicchie, ispirato all’architettura imperiale bizantina ad esempio nell’uso del porfido. Nel corso nel IX secolo anche Gregorio IV, Nicola I e Adriano II ampliarono notevolmente il complesso (abbattuto infine e sostituito dall’attuale palazzo, più compatto, al tempo di Sisto V, ma documentato dalla pianta di Francesco Contini del 163022).
I simboli e il cerimoniale di palazzo perseguirono una imitatio imperii influenzata da Bisanzio, ma anche dai regni occidentali (la sella pontificalis posta nell’edificio, le laudes per il pontefice). Come accennato, il tentativo di imperializzazione non ebbe completo successo di fronte a Pipino e ai suoi successori: la monetazione con il ritratto di Adriano (in luogo del basileus) fu ‘attenuata’ subito da Leone III, che sulle sue monete dall’800 unì i riferimenti a sé e a Pietro a quelli al nuovo imperatore23. Tuttavia gli apparati decorativi del palazzo rivestono una notevole rilevanza in relazione alle pretese papali radicate negli Actus e sviluppate nel Constitutum: una produzione artistica ‘ufficiale’ connotata da un forte simbolismo politico. Oltre a quanto accennato su S. Petronilla e S. Silvestro in Capite (e alla diaconia di San Silvestro fondata in San Pietro da Adriano I, che aveva restaurato le catacombe di S. Priscilla, ritenute luogo di sepoltura del santo), Zaccaria nel palazzo lateranense aveva fatto affrescare l’oratorio di S. Silvestro. Leone III decorò una delle due grandi sale edificate, la cosiddetta sala del concilio, con un mosaico (un materiale che rimandava alla tarda antichità) raffigurante la missione di evangelizzazione universale da parte di Cristo24. Lo stesso tema (la missio apostolorum, invece della consueta traditio legis) torna nel catino dell’abside principale del suo triclinium maius, realizzato in stretta relazione con il viaggio di Carlo Magno a Roma, entro il 799, in quanto egli vi è denominato ‘rex’. L’abside, unico brano sopravvissuto dell’aula, è stata rimodernata nel XVIII secolo e attualmente è affacciata sulla piazza. Sull’arco, nel lato destro, nel rifacimento settecentesco dell’originale, campeggia la figura di Pietro che consegna a Leone III e Carlo Magno, inginocchiati, rispettivamente il pallio e il vessillo di patrizio romano. Il lato sinistro nel 1743 è stato rifatto (altri restauri risalgono al XIX secolo) sulla base di un precedente rifacimento del 1625 (a opera di Francesco Barberini, quando le figure erano quasi scomparse, ma documentate dall’inizio del Cinquecento), quindi non è del tutto affidabile (lo ‘stato’ post 1625 risulta da un’incisione). Esso rappresenta Cristo in trono affiancato (presumibilmente) da Silvestro (per taluni Pietro, mancando il nome), cui consegna le chiavi, e da Costantino (il nome è scritto a mosaico), cui porge il labaro: l’insieme offrirebbe, nella specularità tra i due lati, proprio negli anni dell’incoronazione imperiale, l’interpretazione ‘silvestrino-costantiniana’ del rapporto contemporaneo tra Leone e Carlo, tra il papato e il rinnovato impero, esattamente nel senso sopra descritto (che i due papi siano Pietro e Leone piuttosto che Silvestro e Leone III, in ogni caso la presentazione di Carlo Magno come nuovo Costantino è certa)25.
All’interno di questa svolta, dall’VIII secolo sarebbe stata valorizzata l’area antistante il palazzo lateranense, sul lato nord (ove partivano le vie verso le principali basiliche romane, S. Maria Maggiore, S. Stefano Rotondo, i Ss. Quattro Coronati, S. Clemente), anche per le incombenze di carattere temporale attribuitesi dei papi. Qui si trovavano la grande scala di accesso al patriarchium e il portico edificato a partire da papa Zaccaria (anche con materiale di spoglio), principale collegamento palazzo-piazza. Dalla loggia almeno dagli anni di Adriano I si distribuivano viveri ai poveri (presenti infatti negli affreschi del portico)26. La piazza aveva una funzione giudiziaria e il cosiddetto caballus Constantini lì collocato (l’attuale statua equestre di Marc’Aurelio del Campidoglio, allora identificata con Costantino) era un punto di riferimento per punizioni ed esecuzioni. In particolare il portico fungeva da aula di giustizia, e forse già all’VIII secolo risalirebbe la collocazione in loco di bronzi antichi, documentati però più tardivamente, che avevano la funzione di sottolineare la potestas dei pontefici in continuazione di quella imperiale antica, come asserito nel Constitutum: la lupa capitolina, un ariete, e la lastra della lex de imperio Vespasiani (i bronzi non potrebbero essere stati collocati in epoca precedente, in quanto ciò avrebbe comportato una concessione imperiale, di cui non vi è traccia, a differenza di altri casi analoghi). Infatti dalla metà dell’VIII secolo i papi, in sostituzione degli esarchi, estesero la loro giurisdizione all’ambito civile, che aveva il suo centro al Laterano. Leone IV, una cui costituzione dell’853 riorganizzava tale attività giudiziaria, coinvolgendo i funzionari palatini e il clero, fece collocare nel portico anche dei sedili marmorei27.
Gli elementi artistico-simbolici densamente concentrati in questi spazi rendevano visibile un primo tentativo di imperializzazione del potere papale su Roma, parallelo alla testualità silvestrina, che ancora nel X secolo Sergio III (904-911) ribadiva in un’epigrafe nella basilica, secondo cui questa era stata edificata da Costantino dopo il suo battesimo e la sua guarigione28.
Nei secoli IX e X il portico lateranense rimase il luogo di esercizio della giustizia papale29, un esercizio insidiato dalle famiglie nobili romane, soprattutto tra X e XI secolo, e dalle pretese imperiali. In seguito, nel XII, l’opposizione provenne prevalentemente dal Senato cittadino. Un’opposizione che toccava ovviamente il Laterano e i simboli della continuità imperiale-papale. Durante la lotta per le investiture Benzo d’Alba, fautore dell’antipapa Cadalo opposto da Enrico IV ad Alessandro II (1061-1073), sottolineava che il Laterano (in mano a quest’ultimo) era di fondazione ‘solo’ imperiale e non apostolica e poteva onorare esclusivamente il caballus Constantini e nessuna delle tombe degli apostoli30. Sia Benzo, sia i Mirabilia urbis Romae (dell’epoca di Innocenzo II, circa 1143), probabilmente vicini all’ispirazione senatorio-repubblicana del nuovo comune, contestarono inoltre l’identificazione della statua equestre con Costantino. Tuttavia i Mirabilia non tacciono i riferimenti silvestrino-costantiniani, ad esempio nell’identificazione del Laterano come il palatium Constantini31. Invece un testo risalente al tempo dell’incoronazione di Federico I, la Graphia attribuita a Pietro Diacono di Montecassino (1154 circa), rielabora i Mirabilia in senso filoimperiale, identificando (quasi provocatoriamente) il Laterano con il palazzo di Nerone, omettendo i riferimenti a Costantino (sia per l’edificio che per la statua) e a Silvestro, inficiando infine il Constitutum nell’attribuire il possesso delle insegne ivi citate all’imperatore e non al papa32 (sono gli anni di Arnaldo da Brescia, in cui un non identificabile Wezel scrive all’imperatore ritenendo la donazione un ridicolo falso33). Ciò si opponeva a una più robusta tradizione che, secondo l’opinione curiale, vedeva nel trasferimento di materiale antico (la statua equestre, ma anche i frammenti bronzei di un colosso che avrebbe simboleggiato il potere dell’antica Roma) l’idea di una prosecuzione di potestas (tale tradizione sarebbe stata raccolta più tardi dall’inglese maestro Gregorio, ai tempi di Gregorio IX, e in seguito, nel XIV secolo, dalla revisione dei Mirabilia del cardinale Nicola Rosel, il quale attinge da opere del XII secolo come il Liber pontificalis continuato dal cardinale Bosone, e il Liber censuum, contenente a sua volta il Constitutum e altri privilegi)34. La renovatio romana del XII secolo accumula infatti in maniera sistematica, soprattutto attorno al Laterano, riferimenti costantiniani, e più in generale simboli e collegamenti ‘imperiali’, appoggiandosi alla leggenda silvestrina e alla trasmissione della potestas imperiale del Constitutum. Già Gregorio VII nel Dictatus pape, estremizzando questa tendenza, aveva avanzato la pretesa che solo il papa potesse avvalersi delle insegne imperiali (e che se canonicamente eletto, per i meriti di Pietro egli potesse dirsi sanctus, «a indicare in maniera pregnante la personificazione individuale e istituzionale dei poteri a suo tempo affidati a Pietro»35). Nel XII secolo, inoltre, dopo alcuni casi precedenti a partire dall’VIII, si concentra l’uso dei papi di collocare i propri sepolcri nella basilica lateranense, piuttosto che presso le tombe apostoliche (ben dieci dei dodici papi morti a Roma, sul totale dei sedici del secolo)36. In due casi si riscontra una chiara intenzione di imperializzazione dell’immagine del pontefice defunto non solo mediante l’uso del porfido, materiale ‘imperiale’ per eccellenza (per quanto dal V secolo tale uso fosse cessato tra gli imperatori e passato piuttosto alle tombe dei santi), ma anche con il riutilizzo di sarcofagi imperiali: dapprima da parte di Innocenzo II, morto nel 1143, che trasportò nella basilica costantiniana dal mausoleo di Adriano una choncha porfiretica (oggi perduta) che si riteneva appartenuta allo stesso imperatore; poi, sul suo esempio, da parte di Anastasio IV (morto nel 1154), il quale collocò nella stessa il colossale sarcofago di Elena (le cui spoglie erano allora in Francia), già situato nel mausoleo sulla via Casilina e ornato di scene di trionfi, un motivo di grande attualità per i pontefici del secolo, desunto dal cerimoniale imperiale. In generale per la maggior parte dei sepolcri dei papi dell’epoca si può parlare di un ritorno a modelli classici, ignorando le correnti artistiche contemporanee caratterizzate da tombe a parete oppure a baldacchino, e anzi, per lo più, di diretto reimpiego di sepolcri antichi in pietra rossa (già in uso per le tombe dei santi), ritenuti più adatti a rappresentare il defunto. Motivi classici come i bucrania e le ghirlande caratterizzano le tombe antiche di Gregorio VII (a Salerno) e di Adriano IV37. In questo riutilizzo di autentico porfido o di marmo rosso (come il prezioso rosso antico), non sempre distinti, si coglie una delle modalità di appropriazione di quelle insegne imperiali che nel Constitutum Costantino trasmetteva a Silvestro e che nel quadro ecclesiologico e politico-ecclesiastico del XII secolo trovavano la loro funzione. Le rotae pavimentali di porfido non sarebbero allora una semplice moda, né lo sarebbe la rota posta in cima allo schienale del trono papale della chiesa di S. Maria in Cosmedin, un’antica sedia marmorea restaurata con l’aggiunta di figure leonine, donata da Alfano, camerlengo di Callisto II, il 6 maggio 1123, che esprimerebbe il ‘tema’ dell’imperium (lo stesso giorno, all’indomani del concordato di Worms, il papa aveva inserito nell’altare le reliquie di un papa santo, Bonifacio IV)38.
Un preciso senso, a ciò connesso, avrebbe la collocazione (entro la fine dell’XI secolo) davanti alla cappella di S. Silvestro presso il palazzo del Laterano di due sedili antichi ritenuti di porfido, ma in realtà in rosso antico. Questi oggetti sono legati al cerimoniale con cui il pontefice neoeletto prendeva possesso del Laterano, almeno dall’elezione di Pasquale II (1099): le prime fonti sono le Vitae di Pasquale II e Onorio II nel Liber pontificalis; ma quelle più complete sono gli ordines di Albino e di Cencio (1189 e 1192) e due altri ordines della stessa epoca39. Se la prima riferisce dell’ingresso in Laterano di un papa già incoronato40, i cerimoniali di fine secolo prevedono che egli, ammantato con il piviale rosso al momento della scelta del nome, fosse poi accompagnato da due cardinali al primo dei quattro troni mediante i quali prendeva possesso del Laterano: fatto che dunque appare il più rilevante nella lunga cerimonia dell’elezione. Si trattava in primo luogo della cosiddetta sedes stercorata posta dinanzi alla facciata della basilica (tuttora esistente nel chiostro), che con la sua base con leoni e draghi riprendeva i troni altomedievali, e il cui nome richiamava, secondo gli ordines stessi, un versetto del libro di Samuele (1 Re 2,8): «Quem siquidem electum duo de maioribus addextrant usque ad sedem lapideam que stercorata dicitur, ut vere dicatur: “Suscitat de pulvere egenum et de stercore erigens pauperum, ut sedeat cum principibus et solium glorie teneat”»: autoumiliazione e regalità nella funzione papale41. Seguiva l’intronizzazione sulla cattedra posta nell’abside42. L’eletto era poi condotto alle soglie della cappella di S. Silvestro, sempre nel complesso lateranense, ai lati del cui ingresso (su cui pendeva una miracolosa immagine del Salvatore) si trovavano i due suddetti sedili in rosso antico, ricavati da un edificio termale romano (la cui forma a sigma onciale, con un foro centrale, influenzerà il sorgere della leggenda della papessa Giovanna43). Mentre le fonti di inizio secolo (Vita di Pasquale II) li definiscono curuli, in relazione ai troni degli antichi magistrati, gli ordines successivi, chiamandoli sedi porphyretice, insistono sul loro materiale, e per questo e per la loro origine li definiscono (specificamente l’ordo di Basilea, del tempo di Gregorio IX ma composto di materiali precedenti) «non patriarchales sed imperiales»44. Non è un caso che tali oggetti ‘imperiali’ si trovassero davanti al sacello dedicato al pontefice legato alla figura di Costantino, costruttore della basilica e donatore del palazzo. Il papa doveva innanzitutto sedersi sulla sedia alla sua destra, ricevendo dal priore della basilica di S. Lorenzo in Palazzo le chiavi del Laterano (secondo Cencio esse sono anche le chiavi di Pietro e indicano la potestas ligandi et solvendi) e la ferula45 (segno di correzione e magistero, ma secondo la Vita di Pasquale simbolo di potere legato alla presa di possesso del palazzo da parte del papa che con ciò è «già sovrano» nel momento in cui percorre gli ambienti palatini). Passato alla sedia marmorea di sinistra, egli restituiva tali oggetti e veniva cinto da un cingolo rosso da cui pendevano dodici sigilli e del musco. Il modo di sedersi doveva apparire come un ‘giacere’ tra due lettucci, significanti il primato di Pietro e la predicazione di Paolo, a indicare il passaggio all’apostolicità del sommo pontefice. Un gesto di nuovo retoricamente autoumiliatorio (il giacere evoca la caducità) e però anche regale (presente nell’intronizzazione del re di Francia) e di imitatio imperii, in quanto nel cerimoniale bizantino la caducità è contrappeso della regalità imperiale. Dopo aver ricevuto gli ufficiali di palazzo, il papa si recava (percorrendo un lungo portico con miracolose immagini di Pietro e Paolo) alla chiesa di S. Lorenzo, detta Sancta sanctorum, pure nell’area palatina (ora sul lato settentrionale della piazza), a adorare (da solo, a sottolinearne l’apostolicità) le reliquie di Cristo donate, come si credeva, da Costantino a Silvestro (ombelico, prepuzio, latte materno)46, custodite in un altare dove solo lui poteva celebrare (nella precedente Lateranensis ecclesie descriptio sull’altare vi sarebbero state le icone di Pietro e Paolo che Silvestro avrebbe mostrato a Costantino47). La settimana successiva avevano luogo le cerimonie in San Pietro, con la consacrazione e la consegna del pallio, l’incoronazione con la tiara e la cavalcata di ritorno al Laterano48. Tali gesti sono ancora documentati nel XVI secolo, ma, di fronte alla sempre maggiore preminenza dell’incoronazione in San Pietro rispetto alle cerimonie lateranensi, di queste si inizierà a perdere il significato simbolico. Più lunga durata ha un altro rito di autoumiliazione, introdotto tra XI e XII secolo e anch’esso richiamante il cerimoniale imperiale bizantino, l’accensione di una stoppa di lino (segno di caducità) che avveniva nel ritorno al Laterano dopo l’incoronazione (e a quest’ultima sempre più associato): ancora nel 1406 a proposito dell’incoronazione di Gregorio XII l’accensione della stoppa sarà accostata alle insegne regali donate da Costantino a Silvestro49.
I cerimoniali del XII secolo (oltre agli ordines di Albino e di Cencio, il Liber politicus di Benedetto di San Pietro, del 1140 circa) attribuiscono al Laterano, e in particolare al campus lateranensis, davanti all’ingresso del palatium, sul lato settentrionale (ove era il descritto portico con i suoi oggetti antichi), una più generale centralità nella liturgia papale, durata fino alla costruzione della loggia delle benedizioni di Bonifacio VIII, che ne spostò il baricentro più a ovest. Il cerimoniale ‘imperiale’ papale e la liturgia stazionale erano connessi. Dal portico partivano (e tornavano) le processioni verso le chiese ove il pontefice si recava a celebrare; lì per l’occasione era ammantato di rosso e incoronato con la tiara; lì saliva e scendeva dal cavallo bianco50. Come afferma Bruno di Segni, questi emblemi sono indossati dai papi non solo per la loro significatio, ma in quanto insegne imperiali trasmesse da Costantino: lo sfarzo nelle processioni papali rispecchia quello degli antichi imperatori:
Il sommo pontefice porta il regnum (cosi infatti è chiamato) e si avvale della porpora non per il loro valore simbolico, credo, ma perché l’imperatore Costantino una volta ha trasmesso tutte le insegne dell’impero romano al beato Silvestro. Per questo nelle processioni solenni al papa viene apparecchiato tutto quell’apparato che una volta soleva essere apparecchiato agli imperatori51.
Le processioni vedevano infatti la partecipazione non solo del clero ma del prefetto di Roma, dei funzionari (iudices) cittadini, e dei vessilliferi dei dodici borghi. Nel secolo XII il papa appariva veramente in queste cavalcate l’episcopus imperialis della Donatio. Al ritorno, sia in occasione dell’incoronazione in San Pietro, sia delle feste maggiori, scesi da cavallo i cardinali, il papa, in sella, riceveva le laudes secundum leges imperatorum52. Albino riferisce che in queste occasioni iudices e advocati lo accompagnavano agli scalini del palazzo ove era una rota di porfido e ove i cardinali preti di S. Lorenzo recitavano le loro lodi53: un disco non menzionato invece nel 1140. L’intera cerimonia presso l’atrio del patriarchium sembra ispirata al cerimoniale imperiale bizantino; al termine di essa il papa compariva a una finestra, invocato da acclamazioni che richiamavano non solo i cesari ma la metafora solare, pure di origine bizantina. La domenica Laetare Ierusalem il prefetto della città avrebbe prestato al papa l’officium stratoris, ricevendo in dono una rosa d’oro (rituale sparito verso la fine del secolo quando il prefetto è sottoposto all’autorità imperiale54), mentre è dubbio se il campo lateranense abbia mai visto tale ufficio prestato dall’imperatore in occasione della sua incoronazione, come vuole il cosiddetto ordo Cencius II55. Il moltiplicarsi degli interventi artistici e edilizi dei pontefici in Laterano nel XII secolo56 (che si sommano a quelli del locale capitolo, in concorrenza con quello vaticano: una lite di notevole rilevanza, che verteva sulla posizione di prima chiesa e quindi vertice della cristianità) si deve a questa loro particolare vicinanza alla basilica, addirittura presa a simbolo della ecclesia romana57. Oltre alla chiesa e agli spazi aperti, il palatium Lateranense riprendeva a essere oggetto di lavori e decorazioni che recuperavano elementi della tradizione (pseudo-)silvestrina alla luce della nuova autocoscienza del papato post-gregoriano. Callisto II aggiunse al triclinium di Leone III, ove si tenevano i concistori pubblici (ma anche banchetti cerimoniali e assemblee sinodali), un edificio minore a esso collegato. Al piano superiore trovarono posto una cappella dedicata a S. Nicola e due stanze, di cui una pro secretis consiliis: ovvero destinata a riunioni ristrette con cardinali e dignitari della curia, le cui decisioni (anche giudiziarie) erano poi rese pubbliche nella vasta aula contigua. Sulle pareti del piccolo ma importante ambiente Callisto, immediatamente dopo il concordato di Worms (tra il 1122 e il 1124), in una rilettura unilaterale delle vicende della lotta per le investiture, fece rappresentare ad affresco l’inusuale tema del trionfo dei papi legittimi (da Alessandro II a sé stesso) sugli antipapi, concluso con una scena raffigurante il concordato (dell’insieme, perduto, vi è testimonianza attraverso disegni cinquecenteschi)58. Peraltro un ‘trionfo’ era avvenuto realmente poco prima, quando lo stesso Callisto II era entrato a Roma conducendo con sé, prigioniero su un cammello, l’antipapa Gregorio VIII. Il tema non era quindi privo di attualità. I papi protagonisti della lotta per le investiture appena conclusa a Worms (più d’uno se l’antipapa aveva ‘regnato’ per più pontificati) stavano assisi in trono con i loro rivali (a loro volta uno o più) posti sotto i loro piedi59. Si trattava di una calcatio trionfale ispirata a esempi che però raffiguravano divinità, soprattutto Cristo giudice, schiaccianti una personificazione del male: se in tal modo il papa era assimilato a Cristo stesso (ancor prima che l’attributo di vicarius Christi divenisse usuale), i suoi rivali sconfitti risultavano diffamati quali equivalenti dell’anticristo o degli eresiarchi damnati (anche il cerimoniale della scomunica prevedeva una simbolica calcatio di ceri accesi). Il notevole numero di citazioni del ciclo nelle fonti del XII secolo è indicativo di quanto una simile novità iconografica dovesse impressionare gli osservatori60. Il tutto era concluso da un affresco in cui comparivano Callisto ed Enrico II al momento del concordato (momento puramente simbolico, dato che il pontefice non era stato a Worms): la sua particolarità mostra l’evoluzione, nella concezione papale, del rapporto con gli imperatori. I citati mosaici dell’VIII secolo ponevano i due personaggi (Leone III e Carlo, Silvestro e Costantino) in una parità gerarchica con una figura centrale in trono (Pietro e Cristo). Ora invece Callisto II sedeva in trono, mentre a fianco l’imperatore in piedi, in abito militare arcaizzante, forse secondo modi bizantini, gli porgeva un lungo documento. Il concordato del 1122 consisteva in realtà in uno scambio di due documenti contenenti ciascuno le concessioni fatte da ciascuna parte: ma, come nelle contemporanee fonti papali, nell’affresco lateranense compariva solo quello con gli impegni presi dall’imperatore, mentre era tralasciato il corrispettivo. Le caratteristiche iconografiche della scena rappresentano l’atto come un’umile donazione da parte del sovrano a un pontefice gerarchicamente superiore. Enrico V è raffigurato, infatti, nella consueta tipologia del donatore, a cui di solito corrisponde un santo intercessore, cui implorare, mediante il dono, la salvezza dell’anima. Qui l’intercessore è il papa: mentre gli antipapi sono dannati, l’imperatore, ‘pentito’ o ‘convertito’, ottiene, mediante il dono del documento, l’assoluzione dalla scomunica e la salvezza. Il documento imperiale citava in effetti la salvezza dell’anima dell’imperatore, ma esso si rivolgeva a Dio, a Pietro e Paolo e alla Chiesa, che nell’affresco sono invece rappresentati da Callisto. Tanto le scene con gli antipapi, quanto quest’ultima, utilizzavano quindi in modo del tutto inaudito l’iconografia sacra per distorcere in senso filopapale il significato della lotta per le investiture e la sua conclusione61.
L’allusione ‘costantiniana’ si trovava esplicitata nell’affresco absidale della contigua cappella di S. Nicola (iniziata da Callisto ma completata dall’antipapa Anacleto), un caso di «estremismo ideologico», al pari dei precedenti, secondo Ingo Herklotz, tale da non trovare seguito nel Medioevo. Nel registro inferiore san Nicola è affiancato da quattro papi per lato, tutti qualificati come sancti: non solo i ‘grandi’ pontefici dell’antichità, Leone I e Gregorio I, ma (per la prima volta attuando alla lettera il Dictatus papae) anche i papi vittoriosi nella recente lotta, mai canonizzati e tali solo per il loro ufficio: Alessandro II, Gregorio VII, Vittore III, Urbano II, Pasquale II e Gelasio II. I due papi donatori apparivano nel registro superiore inginocchiati ai lati della Madonna: mentre ad Anacleto (poi sostituito da Anastasio) era affiancato il santo omonimo, accanto a Callisto II compariva Silvestro con in capo la tiara, il dono di Costantino (che S. Anacleto/Anastasio non portava in quanto vissuto precedentemente)62. Secondo Mary Stroll, Callisto II, pur non trascurando l’iconografia apostolica nell’associare (secondo alcune testimonianze) la propria immagine anche a Pietro e Paolo, avrebbe optato «for the imperial rather than the apostolic tradition» (tanto più che il descritto programma iconografico era realizzato presso quella che già la Descriptio Lateranenis ecclesiae aveva definito basilica «patriarchalis et imperialis», «sacerdotalis et regia»)63.
Alcuni decenni dopo, intorno alla fine del XII secolo (probabilmente sotto Clemente III o Celestino III, rispettivamente 1188-1191 e 1191-1198), l’ideologia della Descriptio, allusiva a una imitatio imperii da parte del pontefice incentrata sul Laterano, trovava un’altra manifestazione. Sulla trabeazione del portico della facciata della basilica, decisamente antichizzante nello stile, trovava posto una serie di singolari scene a mosaico, separate da clipei e corredate di iscrizioni esplicative, le une e le altre sopravvissute solo parzialmente in riproduzioni secentesche che non ne rispettano la sequenza originaria. Due raffigurano episodi della guerra giudaica: le navi romane e l’assedio di Tito e Vespasiano a Gerusalemme; tre altrettanti episodi della vita di Silvestro; una la discesa di Cristo nell’Ade e due il martirio di Giovanni evangelista e del Battista64. Si tratterebbe quindi di una rappresentazione della stessa basilica Costantiniana, la quale, oltre al Salvatore, era dedicata ai due Giovanni, anche se ciò è attestato nella Descriptio solo nelle elaborazioni tarde (quella di Giovanni Diacono cita solo il Battista). Il richiamo alla guerra giudaica, o meglio al suo bottino portato a Roma, non era fuori luogo, dato che tra le reliquie della basilica lateranense se ne annoveravano parecchie veterotestamentarie. Nella retorica papale il parallelo tra il pontefice e Mosè, o tra lui e Samuele nell’incoronare l’imperatore-Davide, o ancora, al tempo dei papi riformatori, con lo stesso Davide e con Salomone, era consueta. Nella chiesa e nel palazzo papale un’iscrizione e poi la Descriptio (che citava i rilievi dell’arco di Tito come prova del trasferimento) collocavano, donati da Costantino, una pietra del monte Sinai, resti del tempio di Salomone tra cui i sette candelabri della stanza anteriore, e addirittura l’arca santa (sotto l’altare), il bastone di Mosè, le tavole della legge e molte altre reliquie, che rafforzavano l’analogia e la continuità con l’antichità giudaica65. Un Tito vendicatore di Cristo e ‘cristianizzato’, secondo il volere di Dio, come già in Orosio, trasferisce le reliquie del Tempio a Roma, il centro della nuova religione cristiana, ove la Chiesa romana è rappresentata dalla basilica lateranense (e dunque opportunamente le custodisce). Proprio la scarsa fortuna ‘esterna’ di tali attestazioni e i contrasti in proposito fanno comprendere come nel tardo XII secolo i mosaici del portico intendessero dare una certezza visibile alla rivendicazione e valorizzarla (da parte del capitolo vaticano si contrapponevano infatti le reliquie degli apostoli lì custodite ai segni dell’antica sinagoga)66. Queste ‘prerogative’ lateranensi sono ribadite pochi anni dopo in un sermone di Onorio III (1216-1227) per la Dedicazione della basilica, che, selezionandole dagli scritti del secolo precedente, ne riprende le tradizioni storiche e liturgiche, e soprattutto il primato e il ruolo nella storia della salvezza che si ritrova nei mosaici in esame. Non vi ha un ruolo la donazione, bensì la leggenda di Silvestro, con la guarigione di Costantino, la successiva libertà di culto e l’edificazione del tempio, mentre più spazio è dato alle similitudini veterotestamentarie, a partire dalla forma dell’altare: non però le reliquie che in esso sarebbero state contenute secondo la Descriptio, e poi secondo l’ordo di Basilea67.
Il primato lateranense, inscindibile dall’ideologia dell’imitatio imperii dei papi post-gregoriani, espressa dalla Descriptio (che inserisce i doni e i privilegi di Costantino in modo via via più ampio fino alla redazione di Giovanni Diacono)68, era rappresentato nella trabeazione sopra descritta dalle tre scene silvestrine. Le tre sopravvissute attraverso la documentazione secentesca sono la cattura del drago, il battesimo di Costantino e la donazione (con l’iscrizione «Rex in scriptura Sylvestro dat sua iura»), quest’ultima una vera novità iconografica. L’ispirazione (anzi lo schema stesso) della scena, infatti, è evidentemente desunta dall’affresco di Callisto II con il concordato di Worms. In modo ancor più rivoluzionario (perché applicato non a Enrico V, ma allo stesso Costantino) il papa è presentato in trono con il nimbo della santità, in una posizione di superiorità rispetto al sovrano in piedi in umile atto di donatore, e di nuovo con un abbigliamento militare antichizzante privo dei segni del potere imperiale; il documento della donazione, di grandi dimensioni e centrale tra le due figure, occupa la stessa posizione di quello ‘offerto’ a Worms nella stanza pro secretis consiliis: essi appaiono dunque assimilati o assimilabili69.
Nel XII secolo, in cui le origini imperiali della basilica e del palazzo erano tanto rimarcate, il contenuto del Constitutum iniziava così a trovare una reale valorizzazione in ambiti vicini a quelli papali (oltre alle pretese di preminenza nei confronti delle chiese orientali da parte di Leone IX e poi di Pasquale II): nella Descriptio, nell’integrazione di Paucapalea al Decretum, nel Liber Censuum di Cencio che ne trascrive un brano, nel cerimoniale, con la pretesa di Adriano IV nel 1155 (come si vedrà) di costringere all’officium stratoris il Barbarossa (ma anche contestazioni: si sono già citati Wezel e la Graphia). Come già per le reliquie veterotestamentarie, la rappresentazione musiva della facciata conferiva ‘realtà’ e immagine (pubblica, a differenza degli affreschi palatini) alla lettura unilaterale, in funzione del presente, delle vicende costantiniane: una realtà (questa volta) ben recepita nel XIII secolo. La tavola ‘miracolosa’ con i Santi Pietro e Paolo mostrata a Costantino da Silvestro, che la Descriptio vuole sull’altare lateranense, non era solo un complemento di ciò, ma anche un indispensabile elemento ‘apostolico’ nella basilica, a fondamento del possesso di Roma del papa e soprattutto del primato suo e della sua Chiesa su tutte le altre, come del resto il Constitutum riconosceva (entrambi gli apostoli, equiparati, figuravano sui sigilli plumbei papali): tanto che tra le reliquie lateranensi si annoveravano le teste dei due apostoli (nel 1370 saranno inserite nel ciborio gotico)70. Secondo alcune fonti tarde i due apostoli figuravano sulla facciata anche e in vari altri luoghi del Laterano: sedes apostolica (o sedes Petri) del resto (secondo la Descriptio) anche per il solo fatto di essere la cattedrale del successore di Pietro, al quale dal IV secolo si aggiungevano grazie a Silvestro e Costantino i poteri imperiali (ma, secondo la teologia corrente, anche l’eredità dell’antica alleanza: la basilica è paragonata nel citato sermone di Onorio III al tempio di Salomone, il quale, come Silvestro, inizia una nuova era di pace di cui emblema sono i due edifici)71.
La Descriptio può applicare i termini tradizionalmente usati per esprimere il primato alla chiesa del Laterano solo in virtù del fatto che non intende il valore apostolico di detta chiesa, e più ancora il rapporto con Pietro, nel senso della sua origine, ma li riferisce esclusivamente al successore dell’apostolo Pietro, il papa. […] la Chiesa di Cristo, fondata a Roma da Pietro e Paolo, stava sotto la guida del pontefice in quanto successore designato da Dio dell’antica alleanza. Dall’epoca di Costantino la Chiesa godeva di diritti imperiali72.
Il primato del Laterano era confermato anche dall’iscrizione della citata architrave che, mutando in parte la lettera del Constitutum in un senso già attuato da alcune versioni della Descriptio, definiva la chiesa «cunctarum mater caput ecclesiarum» per volere papale e imperiale73 (nel Constitutum si parlava di «caput et verticem» per ‘sanzione’ del solo Costantino, come trascritto nelle prime versioni della Descriptio stessa)74: a partire da Celestino III, gli attributi di caput e mater saranno connessi, nell’identificare la ecclesia romana con la ecclesia, all’idea di plenitudo potestatis. E infatti la festa della consacrazione della basilica Salvatoris, che ricordava Silvestro e Costantino, dalla fine dell’XI secolo è documentata come una delle feste principali di Roma75. Il portico della facciata, rivolto a est, non a caso era connesso alla liturgia pontificia (per il resto l’ingresso principale era quello del transetto settentrionale, verso la città): nel XII secolo, secondo l’ordo del priore Bernardo (1145 circa) il papa celebrava nella basilica in nove festività del Salvatore o dei due Giovanni. Dal palazzo egli accedeva alla navata settentrionale procedendo verso la cappella di S. Tommaso presso la facciata, ove avveniva la vestizione. La processione entrava poi in chiesa attraverso il portale maggiore secondo un cerimoniale di lontana origine imperiale inteso a glorificare il papa, figura di Cristo che tornava verso il Padre. Dal 1099 la ‘funzione papale’ del portico orientale fu accentuata dalla cerimonia della intronizzazione sulla sedes stercorata dopo l’elezione, primo passo per la presa di possesso del Laterano76. Chiudendo il cerchio, Innocenzo III nell’abside lateranense, sopra il trono papale, inserirà un’iscrizione che definirà la basilica sede del vicario di Cristo77.
Completando l’evoluzione ecclesiologica del XII secolo, Innocenzo III interpreta il ruolo del papa non più solo come vicario di Pietro, ma come Pietro stesso, ‘vicario di Cristo’, valorizzando ad esempio la cattedra dell’Apostolo (in realtà una cattedra lignea donata da Carlo il Calvo a Giovanni VIII nell’875)78 custodita nella basilica vaticana e utilizzata nel cerimoniale pontificio (addirittura la Descrizione della basilica vaticana di Pietro Mallio aveva affermato che nella chiesa fossero custoditi i corpi sia di Pietro che di Paolo)79. Ciò trova riscontri iconografici. Nella stessa basilica vaticana Innocenzo rifece il mosaico dell’abside con significative novità rispetto a quella paleocristiana. Nell’abside innocenziana ai lati di Cristo in trono (sostituendo probabilmente una Traditio legis) furono aggiunti i due apostoli in atteggiamento di acclamazione tra palme. Nella fascia inferiore da porte urbiche (Gerusalemme e Betlemme) ai lati estremi escono agnelli convergenti verso il centro ove un gruppo con trono sormontato da croce e agnello sacrificale (che riproduce l’originale) è affiancato, invece che da due agnelli, da Innocenzo III con tiara e pallio e dall’ecclesia romana, impersonata da una figura femminile con diadema imperiale e vessillo papale con le chiavi (con un’iscrizione, che, contrastando con le suddette ‘pretese’ lateranensi, definiva San Pietro madre delle chiese). Non si tratterebbe di un matrimonio mistico tra il pontefice e la sua chiesa, bensì della rappresentazione di un rapporto con il Cristo centrale (agnello/trono/croce): ossia del fatto che il pontefice, identificato con la Chiesa romana (verso cui inconsuetamente tende le mani), riceve il suo potere non tanto da Pietro, ma (come Pietro e tramite lui) direttamente da Cristo, ricavandone la dignità insieme sacerdotale e regale (rappresentato da pallio e tiara; una fenice accentua tale rapporto, in quanto simbolo cristico di resurrezione e di eternità, ma anche di una ‘dignità perenne’, quella del papa/Chiesa)80. Il vessillo con le chiavi è un’altra, convergente novità, con cui la figura del papa è accostata a quella di Pietro, di cui le chiavi sono attributo iconografico. Nel Duecento esse vengono effettivamente poste sui vessilli delle truppe papali, finché, alla fine del secolo Bonifacio VIII le renderà attributo iconografico dello stesso papa, ponendole nelle mani del proprio busto eseguito da Arnolfo di Cambio (con gesto simile alla venerata statua bronzea vaticana di Pietro)81. Nella medesima direzione dell’abside innocenziana, qualche decennio più tardi, Gregorio IX restaurò il mosaico sulla facciata della stessa basilica, ove in precedenza l’agnello era adorato dagli evangelisti e dai vegliardi. Egli sostituì l’agnello con Cristo in trono e aggiunse i due apostoli e il papa stesso, che non compie la ‘solita’ genuflessione (proskynesis), ma ripete il gesto di Innocenzo III nell’abside (scena che si ritrova nella cappella di S. Gregorio nel monastero di Subiaco)82. Gregorio IX è colui che nel 1236 aveva scritto a Federico II dichiarando, sulla base del Constitutum, come Costantino avesse trasferito a Silvestro e ai suoi successori, con Roma e il potere temporale, le insegne imperiali, e inoltre, mutando capitale, avesse riconosciuto che papa e imperatore non potevano risiedere nella medesima città (e il sovrano nemmeno in Italia)83. Un nipote di Innocenzo III, il cardinale Stefano Conti, vicarius Urbis mentre Innocenzo IV a Lione deponeva Federico II84, in una situazione militare non troppo salda, intorno al 1245 fortificò il monastero dei Ss. Quattro Coronati, in prossimità del Laterano e in posizione elevata e difendibile, da allora denominato anche palatium. In una cappella, consacrata nel 1247 dal cardinale Rinaldo di Jenne (futuro Alessandro IV) in onore di S. Silvestro, egli commissionò il più significativo ciclo sivestrino-costantiniano tuttora superstite, ricco di significati politico-ecclesiastici quanto mai connessi alla situazione del momento. Come rappresentate del papa (partito nel 1244) e incaricato della difesa della città, il Conti risiedeva con la curia in Laterano, di cui tale fortificazione si deve ritenere una sorta di appendice (nel calendario sulle pareti della sacrestia della cappella vi sarebbe una certa corrispondenza con le feste celebrate nella basilica e nella Cappella papale)85: per cui il pur piccolo sacello e il suo contenuto iconografico non costituiscono affatto un semplice oratorio privato, ma un luogo in cui tale ‘manifesto’ dell’ecclesiologia papale/curiale della metà del XIII secolo avesse un senso anche propagandistico, per quanto non ‘pubblico’ ma ‘interno’ alla curia86. Per la prima volta, dopo i piccoli mosaici del portico lateranense, comunque dedicati solo in parte al tema (e forse dopo quelli dell’VIII secolo in S. Petronilla, di cui però non si sa nulla), la vicenda della conversione di Costantino e della conseguente donazione come narrata negli Actus Silvestri e sviluppata nel Constitutum, trovava una completa trasposizione iconografica in un programma marcatamente politico-ideologico (mentre scene analoghe di pochi decenni precedenti, a cavallo tra XII e XIII secolo, si devono interpretare piuttosto in relazione all’esaltazione di san Silvestro in edifici di culto a lui dedicati, anche se uno degli esempi, in S. Silvestro a Tivoli, degli anni di Innocenzo III, segue il recupero papale della città, nel 1188, dopo la presenza del Barbarossa87; un successivo ciclo silvestrino, nel portico vaticano sopra le colonne degli archi, dell’ottavo decennio del XIII secolo, è perduto88). Negli affreschi dei Quattro Coronati risultano infatti notevoli la sistematicità e l’attenzione per i particolari (le altre scene si riferiscono a episodi e figure veterotestamentarie ed escatologiche, non slegate dal ciclo silvestrino)89. In sintesi: Costantino ordina la strage degli innocenti per guarire dalla lebbra; gli appaiono in sogno Pietro e Paolo e gli fanno mutare idea inducendolo a rivolgersi a Silvestro; i messaggeri di Costantino vanno dal papa sul monte Soratte; Silvestro mostra a Costantino le immagini degli apostoli, il quale le riconosce; quindi accetta il battesimo e guarisce; Costantino dona a Silvestro le insegne imperiali; infine gli presta l’officium stratoris. Un seguito della leggenda silvestrina sono le contrapposte scene con Elena: la disputa con gli ebrei, il miracolo del toro, l’invenzione della croce e il miracolo del drago90.
La sistematicità nel riproporre la versione ‘romana’ della leggenda costantiniana non appare casuale: il pontificato di Innocenzo IV, durante lo scontro con Federico II, ne accentua nella maniera più rigorosa il significato in funzione di un’ecclesiologia ierocratica. Nella lettera papale Eger cui lenia (anche se di non certissima attribuzione e mai uscita dalla curia in forma di decretale), egli afferma che il pontefice possiede sia il potere spirituale che quello temporale, il secondo soltanto delegato all’imperatore al momento dell’incoronazione. Stando a tale teoria, Costantino non avrebbe donato nulla di proprio a Silvestro, ma semplicemente avrebbe restituito ciò che già apparteneva di diritto al vicario di Cristo, solo così trasformando un potere prima tirannico e illegittimo in uno legittimo91: una conseguenza della connessione tra l’idea di Dio quale dominus naturalis, con un diritto naturale di dominio universale, e quella del papa, appunto, come vicarius Christi. L’iconografia accompagna e riflette, anche senza un rapporto diretto, tali riflessioni teologiche, tale ‘ideologia’, ricevendone una sanzione e a sua volta divenendone parte non secondaria. L’affresco non può arrivare alla sottigliezza di distinguere una ‘restituzione’ da una ‘donazione’ (o forse, piuttosto, l’interpretazione estremistica di Innocenzo IV non si era pienamente affermata su quella più tradizionale della donazione, per quanto devota e sottomessa), ma può avvicinarsi all’idea: da un lato, le scene commissionate da Stefano Conti comprendono tutte le pretese ‘romane’ via via accresciutesi sino al papato duecentesco; dall’altro, l’atteggiamento umile dell’imperatore è effettivamente quello di chi si inchina davanti a un superiore gerarchico, da cui ottiene (o ha ottenuto) la salvezza dell’anima, esattamente allo stesso modo (e con lo stesso significato, pur con scelte iconografiche diverse e più articolate) dell’‘offerta’ del documento imperiale di Worms a Callisto II da parte di Enrico V nella sala de secretis consiliis in Laterano e della ‘gemella’ donazione costantiniana del mosaico del portico della basilica Salvatoris.
Le scene più significative e ricche di implicazioni politico-ideologiche del ciclo dei Ss. Quattro Coronati sono le due conclusive dei fatti di Costantino a Roma. Nell’una il papa siede in trono con la mitra mentre Costantino, in abiti imperiali ma senza corona, si inchina nel porgergli la tiara (il phrygium accettato in luogo del diadema aureo), un dignitario gli porge l’ombrellino cerimoniale a righe rosse e giallo e un altro, cavalcando, conduce fuori dalla città (Roma) un cavallo bianco92. Il cavallo bianco (anche se non compreso nella donazione) è quello che il pontefice cavalca durante le processioni, in ciò distinguendosi dall’intera curia93. Infatti Silvestro è in tale posizione nella scena successiva (i prelati del seguito cavalcano invece animali d’altro colore), con già in capo la tiara, protetto dall’ombrellino e agghindato con la tunica bianca e il manto rosso, che non solo sono i colori cristici: la cappa rubea, simbolo imperiale, è tra le insegne donate da Costantino a Silvestro94.
Per la prima volta il manto rosso della donazione è attestato sicuramente in occasione dell’elezione di Gregorio VII (1076) e poi regolarmente tra la fine dell’XI e il XII secolo. L’immantatio con il piviale è prescritta dai cerimoniali di Albino (1089) e Cencio (1192) in sostituzione dell’intronizzazione come segno di assunzione della dignità papale, in abbinamento con il camice bianco, altro colore cristico e imperiale: da qui anche il colore candido del cavallo (per quanto, come sopra riportato, Bruno di Segni escludeva che il rosso del manto papale e la sua corona/regnum fossero altro che insegne imperiali di origine costantiniana). Un quarto di secolo dopo gli affreschi della cappella di S. Silvestro, secondo il cerimoniale di Gregorio X, che per la prima volta regola minutamente i due colori, il papa eletto riceve l’alba romana (l’abito bianco che il concilio Lateranense IV riservava ai vescovi) e il mantello rosso. Dopo il Te Deum egli torna in camera, depone il piviale rosso e la mitra bianca e indossa un secondo mantellus rosso, e calze, calzature, cingolo e mitra dello stesso colore. Il bianco è il colore liturgico nell’incoronazione, in cui un cardinale diacono toglie al nuovo pontefice la mitra, sostituita con la tiara, e poi questi, così agghindato, cavalca verso il Laterano sul cavallo bianco ammantato di rosso nella parte posteriore. Nell’ordo di Gregorio X la veste bianca e rossa rinvia sia all’imitatio imperii, sia alla plenitudo potestatis papale e alla sua natura di vicarius Christi, o persona Christi, con una progressiva accentuazione del bianco95.
Anche la precisa raffigurazione della mitra (ancora in capo a Silvestro nel penultimo episodio) e della tiara (in questo in mano al sovrano e nell’ultimo già in testa al papa), non è un dettaglio trascurabile. Secondo gli ordines del XII secolo e quello di Basilea, l’incoronazione avveniva, una settimana dopo la presa di possesso del Laterano, in San Pietro. Come detto, con la tiara in capo il pontefice tornava a cavallo al patriarchium lateranense: [papa] celebrata missa […] descendit ad constitutum locum ubi est papalis equus decenter phaleratus, et ubi archidiaconus recipit regnum, quod alio vocabulo frigium dicitur, de manu marescalci maioris, de quo dominum papam coronat. Et sic per mediam urbem et viam sacram, que via pape dicitur, deveniat ad lateranense palatium coronatus96.
La cavalcata rimane nel cerimoniale di Gregorio X: solo che in esso l’incoronazione precede la presa di possesso del Laterano, in un’evoluzione che valorizza la tiara come supremo simbolo di potere. Gregorio X sottolinea il rilievo dell’incoronazione romana proprio richiamando la donazione da parte di Costantino a Silvestro della sua corona, in «segno di decoro regio e di dominio temporale»97. Il phrygium della donazione costantiniana98, nei secoli VIII-XI detto anche corona o regnum, aveva iniziato a definirsi thyara nel XII. In origine simile alla mitra episcopale, nel XII secolo, mentre questa assumeva la nota forma a due punte99, la tiara era ben distinta da essa in Cencio anche nell’uso, una durante le cerimonie religiose, l’altra durante le cavalcate romane100. Pochi anni dopo, Innocenzo III per ben due volte aveva ribadito e distinto il significato dei due copricapo papali, non a caso in un sermone per la festa di S. Silvestro e in uno per quella della Cattedra di San Pietro: nel primo in particolare la mitra era descritta quale simbolo del potere spirituale del papa e la tiara di quello ‘imperiale’, ossia del sacerdotium e del regnum, il primo superiore sul secondo («Urbem pariter et senatum cum honoribus et dignitatibus et omne regnum occidentis ei tradidit […] Romanus itaque pontifex in signum imperii utitur regno, et in signum pontificii utitur mitra»)101. Conformemente a questa interpretazione, l’anello metallico alla base della tiara già al tempo di questo papa inizia a configurarsi come una corona, e il biografo di Gregorio IX parla di «corona duplice», evidente ad esempio nei sepolcri di Gregorio X, Niccolò III e Onorio IV. Alla fine del secolo Bonifacio VIII al diadema aggiungerà non una, ma due corone (la forma definitiva si avrà nel XIV secolo quando Clemente VI trasformerà il diadema di base in una terza corona). Pur non accompagnata da un testo teorico, l’evoluzione sottintende la rivendicazione della pienezza dei poteri: in trono con la tiara a due corone in capo e in mano chiavi e spada imperiale, Bonifacio riceverà nel 1298 gli inviati del re di Germania affermando di essere anche Cesare e imperatore. Ma la tiara, con cui i papi, a partire da Lucio III, si fanno raffigurare nei monumenti funebri, non è solo segno imperiale ma anche, insieme, del vicariato di Cristo, tanto da essere talora adornata, nel XIII secolo, con piume di pavone, simbolo della gloria ultraterrena da cui deriva la suprema potestà102. Intorno al 1297 Bonifacio VIII si farà affrescare presso la loggia delle benedizioni, da lui edificata sul lato settentrionale del Laterano (oppure nella sala del concilio del palazzo), con la tiara a doppia corona, il manto rosso, l’ombrellino a righe gialle e rosse e l’insegna delle chiavi, ossia gran parte degli emblemi del ciclo dei Ss. Quattro Coronati (per la prima volta il simbolo imperiale dell’ombrellino appare in relazione con un papa vivente); accanto vi erano due scene con la fondazione della basilica e il battesimo di Costantino. Si tratterebbe di una fase delle cerimonie di incoronazione di papa Caetani, in cui egli, preso possesso del palazzo e della chiesa, nuovo Costantino restauratore della basilica lateranense, in presenza della curia, dell’ufficialità romana e del popolo, si affaccerebbe da un balcone sotto un baldacchino a benedire la folla acclamante (altra novità iconografica. A parte un frammento e una riproduzione della scena con la benedizione il ciclo è perduto, ma nella nuova loggia cinquecentesca Sisto V riprenderà ancora il tema costantiniano)103.
Lo stesso Bonifacio si era fatto costruire negli stessi anni in San Pietro una tomba che aveva le dimensioni di un vero sacello in forma di baldacchino con cupola ottagonale (dedicato a Bonifacio IV papa e confessore, le cui reliquie, come nel 1123 in S. Maria in Cosmedin e nel 1246 in S. Silvestro nel palatium dei Quattro Coronati, vi furono collocate in modo da riallacciare, in assenza del corpo del predecessore Celestino V, ancora vivo, una interrotta successione). Il sepolcro, in una nicchia sulla parete di fondo era protetto da una cortina sollevata da due angeli, che mostravano il gisant del papa (allora vivente) poggiato sul sepolcro con stemmi dei Caetani, probabile opera di Arnolfo di Cambio: l’immagine del pontefice sereno e ‘quasi vivo’, che voleva essere elemento di gloria, in quanto prefigurante l’immortalità della Risurrezione ma incorporante la precisa fisionomia della sua persona, immagine vivente di Cristo, suscitò scandalo. Nel mosaico retrostante di Jacopo Torriti la Madonna con bambino era affiancata da Pietro e Paolo, mentre, nel registro inferiore, il trono vuoto dell’Apocalisse con croce e palme vedeva Bonifacio VIII (con tanto di iscrizione, come Innocenzo III nell’abside della basilica, preso a modello), inginocchiato proprio sotto san Pietro (che teneva le mani sulle sue spalle e lo ‘presentava’ a Maria), con il manto, la tiara e le chiavi del principe degli apostoli. Non meno ‘innovativa’ è la già citata statua che, forse per il giubileo, Bonifacio VIII si fece scolpire da Arnolfo (ora nelle grotte vaticane): la prima statua di un papa vivo posto in una chiesa, che benedice con la destra e regge le chiavi nella sinistra, portando in capo una tiara di particolare altezza: attributi e somiglianza che, conformemente a reali affermazioni di Bonifacio, in un’«autoproduzione di memoria» identificavano l’una et sancta ecclesia nella sua persona104.
Un ultimo (non per rilevanza) elemento caratterizza la scena della cavalcata papale nella cappella dei Quattro Coronati in senso fortemente ideologico. In essa Costantino, con gli abiti imperiali e la corona, conduce il cavallo del papa. L’officium stratoris, un rituale di cui qui vi è la prima presentazione iconografica documentata105, costituisce un chiaro segno di sottomissione del sovrano certo a Cristo, ma anche al suo vicario. L’officium stratoris, contenuto nel falso Constitutum della seconda metà dell’VIII secolo, non era affatto un elemento secondario dei rapporti tra papa e imperatore, in ragione delle sue implicazioni politiche106. Non a caso, come si è visto, esso è attestato per la prima volta nell’VIII secolo (ossia mentre si fabbricava il falso), a proposito dell’incontro tra Pipino e Stefano II, soltanto dagli autori di parte papale, cioè nel Liber pontificalis nella vita di Stefano (Pipino sarebbe stato il primo sovrano a praticarlo dopo Costantino, con voluto parallelismo), mentre nelle fonti di parte franca non ve n’è traccia107. Dalla fine dell’XI secolo comunque questo rito ‘pseudo-costantinianano’ (pur in un equilibrio precario e spesso con funzione legittimante in situazioni di concorrenza tra due imperatori o due pontefici; ancora nel XV secolo Federico III insisterà a praticarlo per timore che l’incoronazione risultasse ‘difettosa’)108 trovò posto negli incontri tra i papi e gli imperatori (e i sovrani in genere), che andavano loro incontro a piedi e li conducevano per un tratto tenendo le briglie. Così fece nel 1095 a Cremona Corrado, figlio di Enrico IV, incontrando Urbano II; nel 1120 a Troia il principe Guglielmo d’Apulia quando Callisto II giunse in città (nello stesso anno a Benevento il rituale fu compiuto dai cittadini); e ancora nel 1131 a Liegi Lotario ricevendo Innocenzo II109.
Quest’ultimo avrebbe poi fatto rappresentare, tra il 1133 e il 1143, nel palazzo del Laterano, nella già citata cappella di san Nicola, la scena dell’incoronazione di Lotario del 1133, che più tardi, da parte imperiale, sarebbe stata interpretata come una concessione feudale, soprattutto a causa della didascalia («rex […] homo fit pape»). Da un disegno cinquecentesco di Onofrio Panvinio, che anche lo descrive (ma attribuisce a Innocenzo II e non a Callisto II l’erezione del sacello), si osserva che l’affresco era composto da tre scene in continuazione: il giuramento di Lotario di mantenere gli Urbis honores, forse l’investitura dei beni matildici o la commendatio durante la cerimonia e l’incoronazione110.
Non è forse un caso che due decenni più tardi, nel 1155, Federico I, giunto a Sutri, secondo le fonti di parte papale non avrebbe avuto problemi a compiere il consuetudinario bacio dei piedi di Adriano IV, ma avrebbe rifiutato di prestare l’officium stratoris. Ciò causò un incidente non lieve, dato che il papa gli rifiutò a sua volta il bacio della pace. Sembra che a Sutri il problema di Federico fosse proprio il timore di passare per vassallo del papa, a causa di tale honor, anche se più in generale il Barbarossa intendeva evitare in maniera intransigente qualsiasi riferimento che legasse la corona al pontefice. Solo dopo una serie di trattative, e dopo la consulenza di alcuni principi che spiegarono invece quell’honor come semplice atto di riverenza (così è anche nel Constitutum), il sovrano, giorni dopo, accettò di fare da strator al pontefice, come anche tutto quanto era previsto fino all’incoronazione. Negli incontri successivi con Vittore IV (1160) e con Alessandro III (1177, a Venezia), l’officium fu ripetuto senza incidenti come atto ormai ritualizzato, che come tale conobbe esempi nei secoli successivi111 (forse da parte dello stesso Federico II con Onorio III nel 1220, un antecedente per gli affreschi dei Ss. Quattro Coronati)112.
L’episodio del 1155 e l’affresco sono indubbiamente legati113, se è vero, come asserisce Rahewino, continuatore di Ottone di Frisinga, che in quella stessa occasione Federico protestò anche contro l’offensivo affresco lateranense di Innocenzo II che gli sarebbe sembrato descrivere il rapporto tra pontefice e sovrano come un rapporto feudale. Riporta Rahewino che nel 1157 Federico I e i suoi dignitari, alla dieta di Besançon, si indignarono nel ricevere una legazione con una lettera apostolica in cui l’incoronazione di due anni prima appariva qualificata come una mera concessione papale, a causa dell’espressione beneficium lì inserita e da loro intesa in senso feudale (nel 1158 Adriano IV avrebbe spiegato trattarsi di un equivoco, avendo lui usato il termine semplicemente come sinonimo di bonum factum). Ancor più i presenti si sarebbero infiammati – stando al racconto – per il fatto che a Roma si sarebbe sostenuto non solo a parole, ma anche con iscrizioni e raffigurazioni («non solum dictis, sed et scriptis atque picturis»), che i sovrani germanici possedevano il regno italico per delega dei pontefici. Ciò sarebbe stato provato dalla suddetta scena lateranense su Lotario e dai versi posti da Innocenzo II a esplicazione di essa, che proprio grazie al cronista sono stati trasmessi: «Rex venit ante fores, iurans prius Urbis honoris / Post homo fit pape, sumit quo dante coronam» (ovvero, «incoronato dal papa, Lotario divenne ‘suo uomo’»). Il problema è politico, ma è notevole l’attenzione per le arti figurative funzionali (parole di Rahewino) a «representare et ad posteros transmittere»114. Un’altra cronaca conferma che nel 1157 i dissapori tra papa e imperatore sarebbero stati innescati da tale scintilla ‘iconografica’, oltre che dalla sunnominata lettera, un cui passo sarebbe stato interpretato come un cenno all’incoronazione come sorta di infeudazione papale115. Tanto più che – afferma Rahewino –, cercando forse così di spiegare l’ira imperiale del 1157 (non v’è cenno dell’episodio nel racconto del viaggio romano di due anni prima), nel 1155, di fronte allo scandalo provocato dall’affresco e dall’iscrizione, papa Adriano avrebbe promesso, per amor di pace, di eliminare l’uno e l’altra. Non è possibile stabilire la realtà di questa promessa116. Ma l’eliminazione (dell’affresco o solo dell’iscrizione) non sarebbe stata eseguita, stando alla reazione finale di Federico (nel 1157), intenzionato alla pura e semplice eliminazione di un’immagine che per lui sarebbe stata eterno segno di discordia con il papato e minacciava, passando allo scritto, di creare un’auctoritas (lo stesso pensiero del cronista riguardo al potere della pittura sui posteri). Secondo i vescovi tedeschi che riferivano al papa, dopo l’episodio di Besançon egli avrebbe ordinato:
A pictura cepit, ad scripturam processit, scriptura in auctoritatem prodire conatur. Non patiemur, non sustinebimus, coronam ante ponemus, quam imperii coronam una nobiscum sic deponi consentiamus. Picture deleantur, scripture retractentur, ut inter regnum et sacerdotium eterna inimicitiarum monimenta non permaneant117.
L’affresco esisteva ancora nel XVI secolo; l’iscrizione non è detto: Panvinio, che cita Ottone-Rahewino, potrebbe averla desunta dalla cronaca118. L’insieme dovette comunque apparire davvero eccessivo, non solo agli imperatori. Gerhoh di Reichersberg sembra riferirsi a simili interpretazioni e raffigurazioni, quando, in diverse opere, qualifica l’officium stratoris come onore spontaneamente offerto alla Chiesa e non diritto da pretendere, pur fondato sul Constitutum. Nel De investigatione Antichristi (1162) egli loda l’umiltà di Costantino, ma anche quella manifestata del santo pontefice nel respingere alcuni doni (la corona aurea) e nell’accettare l’officium stratoris solamente in quanto rivolto a Dio e alla Chiesa, senza assolutamente averlo preteso. Il papa che lo pretendesse invece che accettarlo con riluttanza, come Silvestro, peccherebbe di superbia: «Imitentur pontifices Silvestrum honorem huiusmodi non exigentem, sed ad honorem Dei et ecclesie vix admittentem»119. Si tratta forse di un riferimento indiretto al caso di Sutri del 1155?120 L’allusione alle arti figurative, e quindi agli affreschi lateranensi, piuttosto che al cerimoniale in sé, si troverebbe nel De quarta vigilia noctis (1167), in cui il preposito di Reichersberg ribadisce il fondamento dell’atto in quanto prestato da Costantino, ma nega che Silvestro o qualunque papa dopo di lui abbia per questo mai osato «definire, qualificare per iscritto o dipingere l’imperatore suo marescalcus»: «Beatus papa Silvester ab augusto Constantino regalis magnificentie honoribus preditus non se honoranten inhonoravit et quamvis ei, pro sui humilitate semel stratoris officium exhibuerit, non tamen eum suum esse marescalchum vel dixit vel scripsit vel pinxit». Certo per Gerhoh la pretesa dell’atto non costituiva un’innocua pretesa di semplice reverenza (come stabilito nel 1155 per non pregiudicare l’incoronazione). Infatti egli, dopo avere affermato che i sovrani «sogliono dipingere o far scrivere nelle loro stanze i loro sottoposti», e dunque i papi, facendo lo stesso, raffigurano gli imperatori come loro vassalli, manifesta il suo stupore per una «nuova pittura» in cui l’imperatore sarebbe stato raffigurato come marescalchus: «Valde miramur, unde nova pictura hec emerserit, qua Romanorum imperator pingitur marescalchus»121. Gerhoh, pochi anni dopo le dispute del 1155 e del 1157 intorno all’affresco innocenziano, usa le stesse espressioni dei cronisti (dicere, scribere, pingere), e inoltre il riferimento a pitture murali che umiliano il sovrano è evidente. Egli riferisce però sempre dell’imperatore in funzione di mareschalcus, immagine che, se riflette l’‘incidente’ di Sutri, non risulta essere compresa negli affreschi su Innocenzo II e Lotario (almeno dai disegni cinquecenteschi rimasti). A meno che (Gerhoh parla di nova pictura), Adriano IV non avesse a sua volta rappresentato l’incontro di Sutri con l’officium stratoris prestato da Federico (ma nel 1157 non se ne parla). Con ogni probabilità, Gerhoh, non conoscendo direttamente gli affreschi alla base della polemica, e avendo però notizia di quest’ultima, sovrappone erroneamente a essi la sua critica alle pretese papali in tema di cerimoniale, pure al centro di una disputa, a Sutri, e usa l’immagine ‘scultorea’ e a effetto dell’imperatore mareschalcus del papa122.
Peraltro, sul piano politico, l’una e l’altra raffigurazione non sono così distanti, come mostrerà un secolo più tardi il ciclo dei Ss. Quattro Coronati in cui, in un’interpretazione più ‘estrema’ (e soprattutto più sistematica) del rapporto papa-imperatore, l’officium stratoris immaginato da Gerhoh godrà effettivamente di un intera scena, curata nei particolari. Una tradizione iconografica piuttosto robusta se (dopo che Gregorio XIII aveva fatto rappresentare l’imperatore-palafreniere nella sala delle carte geografiche in Vaticano) Sisto V, dopo aver sostituito il vecchio patriarchium lateranense con l’attuale palazzo, non ne dimenticò le tradizioni ‘silvestrine-costantiniane’ e vi replicò la scena nella sala di Costantino e nella loggia delle benedizioni, specificando trattarsi di un onore concesso a Cristo e al suo vicario123, senza più equivoci feudali. Arrestandosi prima di tali sviluppi, il confronto tra il ‘simmetrico’ mosaico del triclinio lateranense e gli esiti iconografici dei secoli XII-XIII che vedono insieme papa e imperatore, è sufficiente a mostrare, con maggiore efficacia e a complemento della ricca trattatistica in merito («non solum dictis, sed et scriptis atque picturis»), l’evoluzione della coscienza di sé e (dunque) dell’autorappresentazione papale.
1 R.-J. Loenertz, Actus Silvestri. Genèse d’une légende, in Revue d’histoire ecclésiastique, 70 (1977), pp. 426-439; W. Pohlkamp, Textfassungen, literarische Formen und geschichtliche Funktionen der römischen Silvester-Akten, in Francia, 19 (1992), pp. 115-196; si veda il contributo di T. Canella in questa stessa opera e Id., Gli Actus Silvestri. Genesi di una leggenda su Costantino imperatore, Spoleto 2006.
2 Constitutum Constantini, hrsg. von H. Fuhrmann, Hannover 1968; su tale dipendenza W. Levison, Konstantinische Schenkung und Silvesterlegende, in Id., Aus rheinischer und fränkischer Frühzeit. Ausgewählte Aufsätze, Düsseldorf 1948, pp. 390-465 (già in Miscellanea Francesco Ehrle, II, Roma 1924, pp. 159-247); W. Pohlkamp, Privilegium ecclesiae Romanae pontifici contulit. Zur Vorgeschichte der Konstantinischen Schenkung, in Fälschungen im Mittelalter, II, Hannover 1988, pp. 413-490.
3 Cfr. G. Laehr, Die Konstantinische Schenkung in der abendländischen Literatur des Mittelalters bis zur Mitte des 14. Jhs., Berlin 1926 (rist. Vaduz 1965); D. Maffei, La Donazione di Costantino nei giuristi medievali, Milano 1964; J. Miethke, Die ‘Konstantinische Schenkung’ in der mittelalterlichen Diskussion. Ausgewählte Kapitel einer verschlungenen Rezeptiongeschichte, in Konstantin der Große. Das Bild des Kaisers im Wandel der Zeiten, hrsg. von A. Goltz, H. Schlange-Schöningen, Köln 2009, pp. 35-108, a pp. 104-105 i riferimenti bibliografici ai precedenti lavori dello studioso tedesco sul tema; si veda il contributo di J. Miethke in questa stessa opera.
4 In particolare la Lateranensis ecclesie descriptio, della fine dell’XI secolo, rielaborata più volte fino alla versione di Giovanni Diacono, della seconda metà del XII, in Codice topografico della città di Roma, a cura di R. Valentini, G. Zucchetti, III, Roma 1940-1953, pp. 326-373. Cfr. C. Vogel, La Descriptio ecclesiae Lateranensis du diacre Jean. Histoire du texte manuscrit, in Mélanges en l’honneur du mons. M. Andrieu, Strasbourg 1965, pp. 457-476.
5 P.E. Schramm, Kaiser, Könige und Päpste. Gesammelte Aufsätze zur Geschichte des Mittelalters, 4 voll., Stuttgart 1968-1971, in partic. IV/1; B. Sirch, Der Ursprung der bischöflichen Mitra und päpstlichen Tiara, Sankt Ottilien 1975; G.B. Ladner, Die Papstbildnisse des Altertums und des Mittelalters, 3 voll., Città del Vaticano 1941-1984; Id., Images and Ideas in the Middle Ages. Selected Studies in History and Art, 2 voll., Roma 1983; R. Elze, Päpste-Kaiser-Könige und die mittelalterliche Herrschaftssymbolik. Ausgewählte Aufsätze, hrsg. von B. Schimmelpfennig, L. Schmugge, London 1982; A. Paravicini Bagliani, Il corpo del papa, Torino 1994; Id., Il trono di Pietro. L’universalità del papato da Alessandro III a Bonifacio VIII, Roma 1996; Id., Le chiavi e la tiara. Immagini e simboli del papato medievale, Roma 1998; Id., Il potere del papa. Corporeità, autorappresentazione, simboli, Firenze 2009; in generale G. Althoff, Die Macht der Rituale: Symbolik und Herrschaft im Mittelalter, Darmstadt 2003.
6 P. Lauer, Le palais de Latran, Paris 1911; G. Matthiae, Pittura politica del medioevo romano, Roma 1964; Id., Pittura romana del medioevo, secoli XI-XIV, aggiornamento scientifico e bibliografia di F. Gandolfo, II, Roma 1988; S. Epp, Konstantinszyklen in Rom. Die päpstliche Interpretation der Geschichte Konstantins bis zur Gegenreformation, München 1968; P.C. Claussen, Magistri doctissimi romani. Die römischen Marmorkünstler des Mittelalters, Stuttgart 1987; San Giovanni in Laterano, a cura di C. Pietrangeli, Firenze 1990; Il palazzo apostolico Lateranense, a cura di C. Pietrangeli, Firenze 1991; M. Stroll, Symbols as Power. The Papacy following the Investiture Contest, Leiden 1991; P.C. Claussen, Renovatio Romae. Erneuerungsphasen römischer Architektur im 11. und 12. Jahrhundert, in Rom in hohen Mittelalter. Studien zu den Romvorsellungen und zur Rompolitik vom 10. bis 12. Jahrhundert. R. Elze zur Vollendung seines siebzigsten Lebensjahres gewidmet, hrsg. von B. Schimmelpfennig, L. Schmugge, Sigmaringen 1992, pp. 87-125; A. Sohn, Bilder als Zeichen der Herrschaft. Die Silvesterkappelle in SS. Quattro Coronati (Rom), in Archivum historiae pontificiae, 35 (1997), pp. 7-47; A. Draghi, Il ciclo di affreschi rinvenuto nel convento dei SS. Quattro Coronati a Roma: un capitolo inedito della pittura romana del Duecento, in Rivista dell’Istituto nazionale di archeologia e storia dell’arte, 56 (1999), pp. 115-166; I. Herklotz, Gli eredi di Costantino. Il papato, il Laterano e la propaganda nel XII secolo, Roma 2000; A. Marcone, Gli affreschi costantiniani nella chiesa romana dei Quattro Coronati, in Costantino il Grande tra medioevo ed età moderna, a cura di G. Bonamente, G. Cracco, K. Rosen, Bologna 2008. Altri studi saranno citati nelle note seguenti. Sulla memoria costantiniana, con saggi anche sugli aspetti cerimoniali, simbolici e artistici, Costantino il Grande. Dall’antichità all’umanesimo, a cura di G. Bonamente, F. Fusco, 2 voll., Macerata 1992-1993; Costantino il Grande tra medioevo, cit.; Konstantin der Große, cit.
7 I. Herklotz, Gli eredi di Costantino, cit., pp. 79, 84.
8 F. Raspanti, Ipotesi per una cronologia della ‘Donazione di Costantino’ (757-772), in Pensiero politico medievale, 2 (2004), pp. 177-187, in partic. 187; E.D. Hehl, 798 – Ein erstes Zitat aus der Konstantinischen Schenkung, in Deutsches Archiv für Erforschung des Mittelalters, 47 (1991), pp. 1-18; M. Becher, Costantino il Grande, l’incoronazione imperiale nell’816 e le relazioni tra papato e Franchi dopo la prima metà del secolo VIII, in Costantino il Grande tra medioevo, cit., pp. 15-50, in partic. 19-20, 27-28. Tuttavia non mancano le ipotesi di una stesura più tarda e avvenuta nel regno franco, avvalorata dal fatto che gli esemplari più antichi si trovano in manoscritti posteriori alla metà del IX secolo redatti Oltralpe, inseriti nelle Decretali pseudoisidoriane (pur in modo spesso incompleto): cfr. in particolare J. Fried, ‚Donation of Constantine’ and ‚Constitutum Constantini’. The Misinterpretation of a Fiction and is Original Meaning, Berlin-New York 2007; Id., Die konstantinische Schenkung, in Die Welt des Mittelalters. Erinnerungsorte eines Jahrtausends, hrsg. von J. Fried, O.B. Rader, München 2011, pp. 295-311, in partic. 515-517; sull’intera questione J. Miethke, Costantino e il potere papale, cit.
9 Constitutum, cit., p. 92; cfr. P.E. Schramm, Kaiser Rom und Renovatio. Studien zur Geschichte des römischen Erneuerungsgedankens vom Ende des karolingischen Reiches bis zum Investiturstreit, Darmstadt 19572, pp. 21-29; E.H. Kantorowicz, Constantinus strator. Marginalien zum Constitutum Constantini, in Mullus. Festschrift für Theodor Klauser zum 70. Geburtstag, Münster 1964, pp. 181-189.
10 M. Becher, Costantino il Grande, cit., p. 21.
11 Ivi, pp. 23-27.
12 Vita Stephani II, in Liber pontificalis, ed. L. Duchesne, I, Paris 1892, pp. 443, 448. Cfr. A.Th. Hack, Das Empfangszeremoniell bei mittelalterlichen Papst-Kaiser-Treffen, Köln-Weimar-Wien 1999, pp. 434-440; M. Becher, Costantino il Grande, cit., pp. 27-28.
13 M. Becher, Costantino il Grande, cit., pp. 28-30.
14 Vita Adriani, in Liber pontificalis, cit., pp. 497-498; Codex Carolinus, in Epistolae merowingici et karolini aevi, I (MGH.Ep, 3), hrsg. von W. Gundlach, Berlin 1892, n. 60, pp. 586-587.
15 N. Gussone, Thron und Inthronisation des Papstes von den Anfängen bis zum 12. Jahrhundert, Bonn 1978, pp. 192-196; O. Hageneder, Das crimen maiestatis, der Prozeß gegen die Attentäter Papst Leos III. Und die Kaiserkrönung Karl des Großen, in Aus Kirche und Reich. Festschrift für Friedrich Kempf, hrsg. von H. Mordek, Sigmaringen 1983, pp. 55-79; A.Th. Hack, Das Empfangszeremoniell, cit., pp. 445-464; soprattutto M. Becher, Costantino il Grande, cit., pp. 28-29, 38-49, con bibliografia sulle relazioni tra Carolingi e papato.
16 H. Fuhrmann, ‘Il vero imperatore è il papa’: il potere temporale nel medioevo, in Bullettino dell’Istituto italiano per il medioevo e archivio muratoriano, 92 (1985-1986), pp. 367-378, la citazione a pp. 367-368.
17 Vita Stephani II, cit., p. 455; Vita Pauli, in Liber pontificalis, cit., p. 464; Codex Carolinus, cit., n. 14, pp. 511-512; cfr. E.H. Kantorowicz, Constantinus strator, cit., pp. 188-189; E. Ewig, Das Bild Constantins des Großen in den ersten Jahrhunderten des abendländischen Mittelalters, in Id., Spätantikes und fränkisches Gallien. Gesammelte Schriften, hrsg. von H. Atsma, I, München-Zürich 1976, pp. 72-113 (già in Historisches Zeitschrift, 75 (1956), pp. 1-46), in partic. 102; S. Epp, Konstantinszyklen, cit., p. 17; A. Angenendt, Das geistliche Bündnis der Päpste mit den Karolingern (754-796), in Historisches Jahrbuch, 100 (1980), pp. 1-94, in partic. 47-49; R. Krautheimer, Corpus basilicarum christianarum Romae, V, Romae 1980, pp. 179-186; A.M. Voci, ‘Petronilla auxiliatrix regis Francorum’. Anno 757: sulla ‘memoria’ del re dei Franchi presso San Pietro, in Bullettino dell’Istituto storico italiano per il medioevo, 99 (1993), pp. 1-28.
18 S. Epp, Konstantinszyklen, cit., pp. 16-17; H. Belting, Die beiden Palastaulen Leos III. im Lateran und die Entstehung einer päpstlichen Programmkunst, in Frühmittelalterliche Studien, 12 (1978), pp. 55-83, in partic. 77-78 (l’edizione alla nota 68). Inoltre, secondo testimonianze quattro-cinquecentesche, all’interno, sull’arco trionfale un mosaico rappresentava Costantino che mostrava a Cristo e san Pietro la chiesa da lui edificata: ivi, p. 16 nota 55.
19 S. Epp, Konstantinszyklen, cit., p. 18.
20 Constitutum, cit., pp. 70, 74.
21 K. Jordan, Die Entstehung der römischen Kurie, in Zeitschrift für Rechtsgeschichte, 59, Kanonistische Abteilung, 28 (1939), p. 101; Id., Die päpstliche Verwaltung im Zeitalter Gregors VII., in Studi gregoriani, 1 (1947), p. 112; R. Elze, Das ‘Sacrum palatium Lateranense’ im 10. und 11. Jahrhundert, in ivi, 4 (1952), pp. 27-54, ora in Id., Päpste-Kaiser-Könige, cit., n. I. Già nel Constitutum si parla di «palatium imperii nostri».
22 Notizie in Liber pontificalis, cit., I, pp. 432, 502-505; II, pp. 3-4, 11, 76, 81, 166, 176; P. Lauer, Le Palais, cit., pp. 91-135; R. Krautheimer, Corpus basilicarum, V, cit., pp. 109-142; N. Gussone, Thron und Inthronisation, cit., pp. 159-182; M. Di Berardo, Le aule di rappresentanza, in Il palazzo apostolico, cit., pp. 37-49; I. Herklotz, Gli eredi di Costantino, cit., pp. 78-79; la pianta è pubblicata ivi, fig. 2.
23 I. Herklotz, Gli eredi di Costantino, cit., pp. 79-81.
24 Ivi, pp. 83-84.
25 G.B. Ladner, I mosaici e gli affreschi ecclesiastico-politici nell’antico palazzo Lateranense, in Rivista di archeologia cristiana, 12 (1935), pp. 262-292, poi in Id., Images and Ideas, cit., I, pp. 347-366, in partic. 347-350 e tav. 1; Id., Die Papstbildnisse, cit., I (1941), pp. 113-126 e tav. XIII in allegato; G. Matthiae, Pittura politica, pp. 25-31; C. Davis-Weyer, Eine patristische Apologie des Imperium Romanum und die Mosaiken der Aula Leonina, in Munuscula discipulorum. Kunsthistorischen Studien H. Kauffmann zum 70. Geburtstag, hrsg. von T. Buddensieg, M. Winner, Berlin 1966, pp. 71-83; C. Davis-Weyer, Die Mosaiken Leos III. Und die Anfänge der karolingischen Renaissance in Rom, in Zeitschrift für Kunstgeschichte, 29 (1968), pp. 111-132; S. Epp, Konstantinszyklen, cit., pp. 13-15; H. Walter, Papal Political Imagery in the Medieval Lateran Palace, in Cahiers archéologiques, 20 (1970), pp. 155-176, in partic. 159-160; 21 (1971), pp. 109-136; H. Belting, I mosaici dell’aula leonina come testimonianza della prima ‘renovatio’ nell’arte medievale di Roma, in Roma e l’età carolingia, Atti delle Giornate di studio (Roma 3-8 maggio 1976), Roma 1976, pp. 167-182; Id., Die beide Papstaulen, cit., pp. 61-68; N. Gussone, Thron und Inthronisation, cit., pp. 179-181, 198; M. Di Berardo, Le aule, cit., pp. 38-39; I. Herklotz, Francesco Barberini, Nicolò Alemanni and the Lateran Triclinium of Leo III: An Episode in Restoration and Seicento Medieval Studies, in Memoirs of the American Academy in Rome, 40 (1995), pp. 175-197; 799 – Kunst und Kultur in Karolingerzeit. Karl der Große und Papst Leo III. in Paderborn, hrsg. von C. Stiegemann, M. Wemhoff, I, Mainz 1999: M. Luchterhandt, Famulus Petri. Karl der Große in den römischen Mosaikbildern Leos III., pp. 55-70; Id., Päpstlicher Palastbau und höfisches Zeremoniell unter Leo III., pp. 109-122; e cfr. II, pp. 636-638; I. Herklotz, Gli eredi di Costantino, cit., pp. 82-84 (e fig. 21); M. Andaloro, La pittura medievale a Roma 312-1431. Atlante. Percorsi visivi, I, Suburbio vaticano, Rione Monti, Milano 2006, n. 19, pp. 217-220; R. Rusconi, Santo Padre. La santità del papa da san Pietro a Giovanni Paolo II, Roma 2010, p. 51 (e tav. III a. e b., con l’incisione di Nicola Alemanni del 1625 raffigurante il restauro barberiniano dello stesso anno).
26 I. Herklotz, Gli eredi di Costantino, cit., pp. 42-44.
27 Ivi, pp. 61-65, 74; cfr. S. Episcopo, Monumenti romani reimpiegati nella basilica di S. Giovanni in Laterano, in San Giovanni, cit., pp. 258-259 e fig. p. 263; P. Liverani, Monumenti di epoca classica nel patriarchio e nel campo lateranense, in Il palazzo apostolico, cit., pp. 107-117.
28 P. Lauer, Le Palais, cit., p. 139; sui secoli IX-XI cfr. P.E. Schramm, Kaiser Rom und Renovatio, cit.
29 Sul ruolo centrale del palazzo nei secoli X-XI e sulla sua burocrazia R. Elze, Das ‘sacrum palatium Lateranense’, cit., passim.
30 In MGH.SS, 11, pp. 618. Le tematiche del presente capitolo sono trattate nella maniera più esauriente in I. Herklotz, Gli eredi di Costantino, cit.
31 In Codice topografico, cit., III, pp. 32-33. Sulla base di questa ambiguità, a differenza di I. Herklotz, Gli eredi di Costantino, cit., p. 215, altri storici considerano i Mirabilia espressione della curia: C. Frugoni, L’antichità: dai «Mirabilia» alla propaganda politica, in Memoria dell’antico nell’arte italiana, a cura di S. Settis, Torino 1984-1986, I, pp. 3-70, in partic. 63-64; L. De Lachenal, Il gruppo equestre di Marco Aurelio e il Laterano. Ricerche per una storia della fortuna del monumento dall’età medievale sino al 1538, in Bollettino d’arte, s. 6, 61 (1990), pp. 1-51, in partic. 15-16; 62-63 (1990), pp. 1-56; C. Parisi Presicce, Il Marco Aurelio in Campidoglio, Milano 1990, pp. 91-94.
32 Codice topografico, III, cit., pp. 81-91, 98-99, 102. Cfr. A. Thielemann, Roma und die Rossebändiger im Mittelalter, in Kölner Jahrbuch, 26 (1993), pp. 85-131, in partic. 120-125; J. Strothmann, Kaiser und Senat. Der Herrschaftsanspruch der Stadt Rom zur Zeit der Staufer, Köln-Weimar-Wien 1998, pp. 84-127, 182-187; I. Herklotz, Gli eredi di Costantino, cit., pp. 215-217.
33 A. Frugoni, Arnaldo da Brescia nelle fonti del secolo XII, Roma 1954, pp. 72-76; sull’insieme di questi testi ‘topografici’, ma fortemente ideologici, riguardo al Laterano e alla memoria costantiniana P.E. Schramm, Kaiser, Könige, cit., IV/1, pp. 22-38; I. Herklotz, Gli eredi di Costantino, cit., pp. 64-70.
34 Magister Gregorius, Narracio de mirabilibus urbis Rome, ed. R.B.C. Huygens, Leiden 1970, pp. 13-19 (anche in J. Osborne, Master Gregorius: The Marvels of Rome, Toronto 1987); Codice topografico, III, cit., pp. 195-196; cfr. C. Nardella, Il fascino di Roma nel medioevo. Le «Meraviglie di Roma» di maestro Gregorio, Roma 1997, pp. 88-89; N.R. Miedema, Die «Mirabilia Romae». Untersuchungen zu ihrer Überlieferung mit Edition der deutschen und niederländischen Texte, Tübingen 1996, pp. 258-259; M. Stroll, Symbols as Power, cit., pp. 184-185; I. Herklotz, Gli eredi di Costantino, cit., pp. 70-74.
35 H. Fuhrmann, ‘Il vero imperatore’, cit., pp. 371-372; P.E. Schramm, Kaiser, Könige, IV/1, cit., pp. 88-99; R. Rusconi, Santo Padre, cit., pp. 27-33, la citazione a p. 32.
36 Un quadro storico sulla funzione centrale per i pontefici della basilica lateranense dalla metà dell’XI secolo in S. de Blaauw, Cultus et decor. Liturgia e architettura nella Roma tardoantica e medievale. Basilica Salvatoris, Sanctae Mariae, Sancti Petri, I, Città del Vaticano 1994, pp. 203-213, sulle tumulazioni papali nella basilica, 204-205.
37 J. Deér, The Dynastic Porphyry Tombs of the Norman Period in Sicily, Cambridge (MA) 1959, pp. 146-154; I. Herklotz, «Sepulchra» e «Monumenta» del medioevo. Studi sull’arte sepolcrale in Italia, Roma 1985, pp. 85-140, ridotto e aggiornato in Id., Gli eredi di Costantino, cit., pp. 17-39; M. Borgolte, Petrusnachfolge und Kaiserimitation. Die Grablegen des Päpste. Ihre Genese und Traditionsbildung, Göttingen 1989 (19952), pp. 49-126. Sull’impiego del porfido e di materiali similari cfr. anche S. de Blaauw, Papst und Purpur. Porphyr in frühen Kirchenausstattungen in Rom, in Tesserae. Festschrift für Josef Engmann, Münster 1991, pp. 36-50 (sui sepolcri papali del XII secolo p. 47); M. Stroll, Symbols as Power, cit., pp. 185-186. Connessa a queste sepolture lateranensi è la leggenda attestata nel XII secolo, anche della Descriptio del diacono Giovanni, in Codice topografico, III, cit., p. 348, secondo cui il sepolcro di Silvestro II (insolitamente, per i primi anni dell’XI secolo), posto nella basilica, avrebbe rilasciato umidità in occasione della prossima morte del papa regnante: A. Paravicini Bagliani, Il corpo del papa, cit., pp. 19-22.
38 Sul trono papale di S. Maria in Cosmedin, del tempo di Callisto II, F. Gandolfo, Reimpiego di sculture antiche nei troni papali del XII secolo, in Rendiconti della Pontificia accademia romana di archeologia, s. 3, 47 (1974-1975), pp. 203-207; M. Stroll, Symbols as Power, cit., pp. 11-15 e tav. 2.
39 Rispettivamente in Le Liber censuum de l’Église romaine, éd. par P. Fabre, L. Duchesne, G. Mollat, Paris 1889-1951, I, pp. 311-313, II, pp. 123-125; B. Schimmelpfennig, Ein bisher unbekannter Text zur Wahl, Konsekration und Krönung des Papstes in 12. Jahrhundert, in Archivum historiae pontificiae, 6 (1968), pp. 43-70 (l’edizione a pp. 60-70); Id., Ein Fragment zur Wahl, Konsekration und Krönung des Papstes im 12. Jahrhundert, in ivi, 8 (1970), pp. 323-331.
40 Cfr. anche N. Gussone, Thron und Inthronisation, cit., pp. 251-252 e su Callisto II ed Eugenio III 263-264, 268-269.
41 Cit. dall’ordo di Basilea, B. Schimmelpfennig, Ein bisher unbekannter, cit., p. 60, quasi in tutto corrispondente con quello di Albino; cfr. F. Pomarici, Medioevo. Scultura, in San Giovanni, cit., p. 118 (illustrazione della sedes); M. Maccarrone, La ‘cathedra sancti Petri’ nel medioevo: da simbolo a reliquia, in Id., Romana ecclesia Cathedra Petri, II, Roma 1991, pp. 1249-1373, in partic. 1311-1325; A. Paravicini Bagliani, Il corpo del papa, cit., pp. 38-40, 42-43 e tav. 2; Id., Il trono di Pietro, cit., pp. 18-19; Id., Le chiavi e la tiara, cit., pp. 63-64.
42 Solo l’ordo di Basilea polemizza con i precedenti, ritenendo che il papa debba sedersi sulla cattedra lateranense prima della consacrazione: B. Schimmelpfennig, Ein bisher unbekannter, cit., p. 61.
43 C. D’Onofrio, La papessa Giovanna. Roma e papato tra storia e leggenda, Roma 1979 (cfr. tavv. 85-91); A. Boureau, La papesse Jeanne, Paris 1981.
44 B. Schimmelpfennig, Ein bisher unbekannter, cit., p. 62, definizione estesa anche alla sedes stercorata («Hee quidem due sedes et illa que dicitur stercorata non fuerunt patriarchales sed imperiales»); cfr. N. Gussone, Thron und Inthronisation, cit., pp. 255-256, 280-284; S. de Blaauw, Cultus et decor, I, cit., pp. 320, 322-323; A. Paravicini Bagliani, Il corpo del papa, cit., p. 43 e tav. 3; M. Stroll, Symbols as Power, cit., p. 34; I. Herklotz, Gli eredi di Costantino, cit., pp. 164-166.
45 Sulla ferula E. Eichmann, Weihe und Krönung des Päpstes im Mittelalter, München 1951, pp. 32-34; J. Deér, The Dynastic Porphyry, cit., p. 143; P. Salmon, Mitra und Stab. Die Pontifikalinsignien in römischen Ritus, Frankfurt a.M. 1960, pp. 60-73; N. Gussone, Thron und Inthronisation, cit., p. 280; G.B. Ladner, Die Papstbildnisse, cit., III (1981), p. 309: essa (tutt’ora in uso) è per lo più interpretata come simbolo di potere temporale e spirituale, non sempre come derivazione dallo scettro imperiale.
46 B. Schimmelpfennig, Ein bisher unbekannter, cit., p. 63.
47 Descriptio, cit., in Codice topografico, III, cit., p. 338.
48 N. Gussone, Thron und Inthronisation, cit., pp. 280-287; S. de Blaauw, Cultus et decor, I, cit., pp. 319-323; II, pp. 725-732; A. Paravicini Bagliani, Il corpo del papa, cit., pp. 40-42, 45-49 (alla nota 143 trascrizione dell’ordo di Albino); Id., Il trono di Pietro, cit., pp. 19-20; Id., Le chiavi e la tiara, cit., pp. 64-66.
49 S. de Blaauw, Cultus et decor, cit., II, pp. 726-727; A. Paravicini Bagliani, Il corpo del papa, cit., pp. 28-37; sul contrappunto tra regalità e caducità anche Id., Le chiavi e la tiara, cit., pp. 85-95.
50 Le liber censuum, I, cit., pp. 290-314; II, pp. 87-137, 141-159, su cui B. Schimmelpfennig, Die Zerimonienbücher der römischen Kurie im Mittelalter, Tübingen 1973, pp. 6-16; I. Herklotz, Gli eredi di Costantino, cit., pp. 45-48. Sulla liturgia stazionale J.F. Baldovin, The Urban Character of Christian Worship. The Origins, Development and Meaning of Stational Liturgy, Rome 1987, pp. 105-166; V. Saxer, L’utilisation par la liturgie de l’espace urbain et suburbain: l’exemple de Rome dans l’antiquité et le haut moyen âge, in Actes du XIe Congrès international d’archéologie chrétienne (Lyon, Vienne, Grenoble, Genève, Aoste 21-28 septembre 1986), II, Roma 1989, pp. 917-1033, in partic. 938-952; A. Chavasse, La liturgie de la ville de Rome du Ve au VIIIe siècle. Une liturgie conditionnée par l’organisation de la vie in Urbe et extra muros, Rome 1993, pp. 231-246; S. de Blaauw, Cultus et decor, I, cit., pp. 267-273, 278-280, 290-319.
51 PL 165, c. 1108: «Summus autem pontifex propter hec et regnum portat (sic enim vocatur) et purpura utitur non pro significatione, ut puto, sed quia Constantinus imperator olim beato Silvestro omnia Romani imperi insignia tradidit. Unde et magnis processionibus omnis ille apparatus pontifici exhibetur, qui quondam imperatoribus fieri solebat», citato anche in R. Elze, Das ‘Sacrum palatium Lateranense’, cit., p. 49.
52 «Postquam vero pervenit ad gradus sacratissimi palatii, antequam de equo descendat, presbiteri cardinales S. Laurentii faciunt ei consuetam laudem, prius benedictione accepta. Qua finita, iudices omnes alta voce post benedictionem faciunt domino pape laudes secundum leges imperatorum», citato da B. Schimmelpfennig, Ein bisher unbekannter, cit., pp. 66-67, identico ad Albino se non per l’aggiunta «secundum-imperatorum». Cfr. E. Kantorowicz, Laudes regiae. A Study in Liturgical Acclamations and Medieval Rule Worship, Berkeley-Los Angeles 1958, pp. 129-142; R. Elze, Die Herrscherlaudes im Mittelater, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte, Kanonistische Abteilung, 40 (1954), pp. 201-223, poi in Id., Päpste-Kaiser-Könige, cit., n. X.
53 Le liber censuum, II, cit., p. 128.
54 Ivi, II, p. 150; A. Paravicini Bagliani, Il corpo del papa, cit., pp. 115-117; Id., Le chiavi e la tiara, cit., pp. 53-55; sul prefetto J. Strothmann, Kaiser und Senat, cit.
55 R. Elze, Die Ordines für Weihe und Krönung des Kaisers und der Kaiserin, Hannover 1960, p. 47; I. Herklotz, Gli eredi di Costantino, cit., pp. 48-57.
56 S. de Blaauw, Cultus et decor, I, cit., p. 229.
57 I. Herklotz, Gli eredi di Costantino, cit., p. 166. Dopo un secolo, quando Giotto rappresenterà ad Assisi il sogno di Innocenzo III, ovvero una chiesa che crolla e che san Francesco sostiene, l’edificio – immagine della Chiesa universale – avrà i tratti della basilica lateranense: F. Gandolfo, Assisi e il Laterano, in Archivio della Società romana di storia patria, 106 (1983), pp. 63-113; I. Herklotz, Gli eredi di Costantino, cit., p. 166.
58 Informazioni sugli edifici e gli affreschi callistini in Liber pontificalis, II, cit., pp. 323, 378-379; preziosa fonte cinquecentesca è Onophrius Panvinius, De praecipuis Urbis Romae sanctioribusque basilicis quas Septem ecclesias vulgo vocant, Romae 1570, pp. 172-173; Id., De sacrosancta basilica, baptisterio et patriarchio lateranensi, ed. P. Lauer, in Id., Le palais, cit., pp. 410-490, in partic. 478, 482; cfr. I. Herklotz, Die Beratungsräume Calixtus’ II. im Lateranpalast und ihre Fresken. Kunst und Propaganda am ende des Investiturstreits, in Zeitschrift für Kunstgeschichte, 52 (1989), pp. 145-214 (sull’edificio pp. 154-173), ridotto e aggiornato in Id., Gli eredi di Costantino, cit., pp. 95-158; M. Stroll, Symbols as Power, cit., pp. 16-35 e tavv. 8-10; S. Beulertz, Ansichten von handelnden Herrschern. Wendepunkte der Salischen Geschichte in Bild und Text, in Bilder erzählen Geschichte, hrsg. von H. Altrichter, Freiburg im Breisgau 1995, pp. 105-131, in partic. 123 segg.; B. Schilling, Guido von Vienne – Papst Calixt II. (MGH, Schriften, 45), Hannover 1998, pp. 589-603. L’oratorio di S. Nicola sarà sede della ‘cappella’ papale, su cui cfr. R. Elze, Die päpstliche Kapelle im 12. und 13. Jahrhundert, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte, Kanonistische Abteilung, 36 (1950), pp. 145-204, poi in Id., Päpste-Kaiser-Könige, cit., n. II. Qualche somiglianza nella folla dei prelati negli affreschi della chiesa inferiore di S. Clemente di poco precedenti (1100-1125, attribuibili o a Pasquale II o agli immediati successori): cfr. J. Osborne, Proclamation on Power and Presence: The Setting and Function of two Eleventh-Century Murals in the lower Church of San Clemente, Rome, in Medieval studies, 59 (1997), pp. 155-172, tav. 2.
59 P. Lauer, Le palais, cit., p. 147; G.B. Ladner, Die Papstbildnisse, I, cit., pp. 195-201 e tav. XIX in allegato; Id., I mosaici e gli affreschi, cit., ora in Id., Images and Ideas, I, cit., in partic. pp. 347-348, 350-356 e tavv. 2-7, 10; G. Matthiae, Pittura romana, II, cit., p. 65, che, sulla base dei disegni cinquecenteschi, ritiene gli affreschi di scarso interesse artistico, ma integrato da F. Gandolfo a p. 271; M. Stroll, Symbols as Power, cit., pp. 20-27; I. Herklotz, Gli eredi di Costantino, cit., pp. 96-105.
60 I. Herklotz, Gli eredi di Costantino, cit., pp. 113-131 e tavv. 22-24.
61 M. Stroll, Symbols as Power, cit., pp. 28-35 e tavv. 12-15; I. Herklotz, Gli eredi di Costantino, cit., pp. 131-151 (e tav. 25); M. Andaloro, La pittura medievale, I, cit., n. 17, pp. 213-215; R. Rusconi, Santo padre, cit., pp. 51-52.
62 G.B. Ladner, Die Papstbildnisse, I, cit., pp. 202-218 e tav. XX in allegato; H. Toubert, Un art dirigé. Réforme grégorienne et iconographie, Paris 1990, pp. 308-310; M. Stroll, Symbols as Power, cit., pp. 132-149, 209-214 (con insistenza sulla differenza tra Anacleto e Callisto, ad esempio nel rappresentare il ‘proprio’ santo senza tiara, all’opposto del Silvestro di Callisto), e tavv. 25-39; S. de Blaauw, Cultus et decor, I, cit., p. 232; I. Herklotz, Gli eredi di Costantino, cit., pp. 131-152 e tav. 46; R. Rusconi, Santo padre, cit., pp. 52-53 e tav. IV.
63 M. Stroll, Symbols as Power, cit., p. 34.
64 Ivi, p. 31; I. Herklotz, Der mittelalterliche Fassadenportikus der Lateranbasilika und seine Mosaiken. Kunst und Propaganda am Ende des 12. Jahrhunderts, in Römisches Jahrbuch der Bibliotheca Hertziana, 25 (1989), pp. 25-95; Id., Gli eredi di Costantino, cit., pp. 159-209, in partic. 166-168 e tavv. 47-56; sul portico cfr. anche D. Popp, Eine unbekannte Ansicht der mittelalterlichen Fassade von S. Giovanni in Laterano, in Römisches Jahrbuch für Kunstgeschichte, 26 (1990), pp. 31-39; F. Pomarici, Medioevo. Architettura, in San Giovanni, cit., pp. 63-66 e figg. a pp. 73-75; S. de Blaauw, Cultus et decor, I, cit., p. 214; J. Poeschke, Architekturästethik und Spolienintegration im 13. Jahrhundert, in Antike Spolien in der Architektur des Mittelalters und der Renaissance, hrsg. von J. Poeschke, München 1996, pp. 225-248, in partic. 238-239; A. Sohn, Bilder als Zeichen, cit., p. 30; M. Andaloro, La pittura medievale, I, cit., n. 15, pp. 193-202; R. Quednau, Costantino il Grande a Roma. Forme e funzioni della memoria nelle testimonianze visive da Ponte Milvio a Mussolini, in Costantino il grande tra medioevo, cit., pp. 319-386, in partic. 324-325.
65 Codice topografico, III, cit., pp. 83-84 (Graphia, ma senza cenno al Laterano), 333, 339-342, 358, 368-369 (Descriptio); P. Lauer, Le palais, cit., pp. 294-295; sulle reliquie veterotestamentarie anche Le liber censuum, II, cit., pp. 166-167; l’ordo di Basilea, in B. Schimmelpfennig, Ein bisher unbekannter, cit., p. 61: «sub quo [altare] est archa federis et virga Aaron et tabule testamenti quas Moyses fregit, et alia magnifica»; G. Wolf, Salus populi romani. Die Geschichte römischer Kultbilder im Mittelalter, Weinheim 1990, pp. 322-323; cfr. S. de Blaauw, The Solitary Celebration of the Supreme Pontiff. The Lateran Basilica and the New Temple in the Medieval Liturgy on Maundy Thursday, in Omnes circumadstantes. Contributions Towards a History of the Role of the People in the Liturgy, ed. by Ch. Caspers, M. Schneiders, Kampen 1990, pp. 120-143; S. de Blaauw, Cultus et decor, I, cit., pp. 233-247; I. Herklotz, Gli eredi di Costantino, cit., pp. 167-175; sul recupero papale di paralleli veterotestamentari W. Ullmann, Die Machtstellung des Papsttums im Mittelalter. Idee und Geschichte, Graz 1960, pp. 223-225; P.E. Schramm, Kaiser, Könige, IV/1, cit., pp. 76-77; G. Alberigo, Cardinalato e collegialità. Studi sull’ecclesiologia tra l’XI e il XIV secolo, Firenze 1969, pp. 64-65, 72-84, 138-139; P. Jounel, Le culte des saints dans les basiliques du Latran et du Vatican au douzième siècle, Rome 1977, p. 311; W. Imkamp, Das Kirchenbild Innozenz’ III (1198-1216), Stuttgart 1983, pp. 286-287.
66 I. Herklotz, Gli eredi di Costantino, cit., pp. 176-180. La scena della discesa di Cristo nell’Ade sarebbe un’altra rappresentazione del passaggio degli antichi patriarchi e profeti alla Chiesa trionfante: ivi, p. 179.
67 J.W. Powell, Honorius III’s ‘Sermo in dedicatione ecclesie lateranensis’ and the Historical-Liturgical Traditions of the Lateran, in Archivum historiae pontificiae, 21 (1983), pp. 195-209, l’edizione a pp. 205-209.
68 Codice topografico, III, cit., pp. 330-332, 362-368 e sull’’imperializzazione’ della basilica 328, 336, 345.
69 M. Stroll, Symbols as Power, cit., pp. 31-34 e tav. 19.
70 I. Herklotz, Gli eredi di Costantino, cit., pp. 180-193 con esauriente bibliografia; R. Rusconi, Santo padre, cit., pp. 53-54; per i sigilli papali plumbei con i ritratti degli apostoli e il nome del pontefice A. Paravicini Bagliani, Il trono di Pietro, cit., pp. 76-77.
71 W. Ullmann, Die Machtstellung, cit., pp. 602-604; W. Beinert, Die Kirche – Gottes Heil in der Welt. Die Lehre von der Kirche nach den Schriften des Rupert von Deuz, Honorius Augustodunensis und Gerhoh von Reichersberg. Ein Beitrag zur Ekklesiologie des 12. Jahrhundert, Münster 1973, pp. 321-350; W. Imkamp, Das Kirchenbild, cit., pp. 228-232, 252-253; I. Herklotz, Gli eredi di Costantino, cit., pp. 191-192.
72 I. Herklotz, Gli eredi di Costantino, cit., pp. 190-191.
73 Codice topografico, III, cit., p. 335; IV, pp. 172-173; cfr. N. Gussone, Thron und Inthronisation, cit., pp. 253-255; S. de Blaauw, Cultus et decor, I, cit., pp. 207; I. Herklotz, Gli eredi di Costantino, cit., pp. 1193-202.
74 Constitutum Constantini, cit., pp. 83-85; Codice topografico, III, cit., pp. 330-332.
75 P. Jounel, Le culte des saints, cit., pp. 305-307, 380-381; J.W. Powell, Honorius III’s ‘Sermo’, cit., pp. 201-202, 206-207.
76 I. Herklotz, Gli eredi di Costantino, cit., pp. 159-166.
77 «Hec est papalis sedes et pontificalis / presidet et Christi de iure vicarius isti / hoc quia iure datur sedes romana vocatur / nec debet vere nisi solus papa sedere / et quia sublimius alii subduntur in imis». Cfr. G.B. Ladner, Images and Ideas, I, cit., pp. 487-515; W. Imkamp, Das Kirchenbild, cit., pp. 289-300; A. Tomei, La decorazione pittorica della basilica tra Duecento e Trecento, in San Giovanni, cit., pp. 92-93; soprattutto I. Herklotz, Gli eredi di Costantino, cit., pp. 193-203. L’abside lateranense fu distrutta e ricostruita alla fine del XIX secolo, mantenendo l’iconografia del catino: M. Morbidelli, L’abside di S. Giovanni in Laterano. Una vicenda controversa, Roma 2010.
78 P.E. Schramm, Kaiser, Könige, IV/1, cit., pp. 119-122; C. Frugoni, L’ideologia del potere imperiale nella ‘Cattedra di san Pietro’, in Bullettino dell’Istituto storico per il medioevo, 86 (1976-1977), pp. 67-183; N. Gussone, N. Staubach, Zu Motivkreis und Sinngehalt der Cathedra Petri, in Frümittelalterliche Sudien, hrsg. von K. Hauck, IX, Berlin-New York 1975, pp. 334-358; N. Gussone, Thron und Inthronisation, cit., pp. 299-300; A. Paravicini Bagliani, Le chiavi e la tiara, cit., pp. 13-19 e tavv. 18-19; R. Rusconi, Santo padre, cit., pp. 64-65.
79 Un quadro storico sull’architettura della basilica vaticana dal 1050 al 1304 in S. de Blaauw, Cultus et decor, II, cit., pp. 621-632.
80 G.B. Ladner, Die Papstbildnisse, cit., II (1970), pp. 56-68 e tavv. IX-XI in allegato; A. Iacobini, Il mosaico absidale di San Pietro in Vaticano, in Fragmenta picta. Affreschi e mosaici staccati del medioevo romano, a cura di M. Andaloro, A. Ghidoli, A. Iacobini et al. (catal.), Roma 1989, pp. 119-129; Id., La pittura e la arti suntuarie da Innocenzo III a Innocenzo IV (1198-1254), in Roma nel Duecento: l’arte nella città dei papi da Innocenzo III a Bonifacio VIII, a cura di A.M. Romanini, Torino 1991, pp. 237-319; S. de Blaauw, Cultus et decor, II, cit., p. 630; A. Iacobini, s.v. Innocenzo III, in Enciclopedia dell’arte medievale, VIII, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1996, pp. 386-392; Id., «Est haec sacra principis aedes»: la basilica vaticana da Innocenzo III a Gregorio IX (1198-1241), in L’architettura della basilica di San Pietro: storia e costruzione, a cura di G. Spagnesi, Roma 1997, pp. 91-100; A. Paravicini Bagliani, Il trono di Pietro, cit., pp. 180-183; Id., Le chiavi e la tiara, cit., pp. 31, 43-47 e tavv. 4-7, 22-24; A. Ballardini, La distruzione dell’abside dell’antico San Pietro e la tradizione iconografica del mosaico innocenziano tra la fine del XVI e il sec. XVII, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae 11, Città del Vaticano 2004, pp. 1-80; R. Rusconi, Santo padre, cit., pp. 61-66 e tav. V. Nel Duecento i papi si rappresentarono non di rado accanto a Pietro e Paolo, origine della loro autorità, ad esempio negli affreschi del Sancta Sanctorum, allora parte del palazzo lateranense, commissionati da Niccolò III (lì raffigurato mentre offre l’edificio, presentato da Pietro e Paolo) e nel mosaico absidale di S. Maria Maggiore, ove compare Niccolò IV con i due apostoli: G.B. Ladner, Die Papstbildnisse, II, cit., pp. 219-223 e tavv. XLVI-XLVII in allegato; A. Paravicini Bagliani, Le chiavi e la tiara, cit., pp. 31-33; J. Wollesen, Perduto e ritrovato: una riconsiderazione della pittura romana nell’ambiente del papato di Niccolò III (1277-1280), in Roma anno 1300, Atti del Congresso internazionale di storia dell’arte medievale (Roma 19-24 maggio 1980), Roma 1983, pp. 343-354. Connesso al vicariato di Cristo sembra anche il rito della distribuzione di agni di cera il sabato in albis, dal XII secolo fino ancora al XVI, ma anche della rosa d’oro, che simboleggia la natura di Cristo: A. Paravicini Bagliani, Il corpo del papa, cit., pp. 109-117 e tav. 8.
81 D.L. Galbreath, Papal Heraldry. A Treatise on Ecclesial Heraldry, Cambridge 1930, pp. 6-16; C. Erdmann, Das Wappen und die Fahne der römischen Kirche, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, 22 (1930-1931), pp. 244-255; Id., Kaiserliche und päpstliche Fahnen in hohen Mittelalter, in ivi, 25 (1933-1934), pp. 1-48; B.B. Heim, Coutumes et droit héraldiques de l’Eglise, Paris 1949, pp. 65-66, 114-118; A. Paravicini Bagliani, Le chiavi e la tiara, cit., pp. 20-21, 33-34, e tavv. 1, 3, 13-14, 21, 33, 51, 62-63.
82 G. Matthiae, Pittura romana, II, cit., p. 118; A. Paravicini Bagliani, Le chiavi e la tiara, cit., pp. 31, 46 e tavv. 8-9, 16; S. de Blaauw, Cultus et decor, II, cit., pp. 638-39.
83 In Epistolae saeculi XIII ex regestis pontificum Romanorum, hrsg. von K. Rodenberg, (MGH.Ep, 1), Berlin 1883, p. 604 (23 ottobre 1236): «Constantinus […] dignum esse decernens ut sicut principis apostolorum vicario in toto orbe sacerdotii et animarum regebat imperium, sic in universo mundo rerum obtineret et corporum principatum, et existimans illum terrena debere sub habena iustitiiam regere, cui Dominum noverat in terris celestium regimen commisisse, romano pontifici signa et sceptra imperialia, Urbem cum ducatu suo […] nec non imperium cure perpetuo tradidit, et nefarium reputans, ut ubi caput totius christiane religionis ab imperatore celesti disponitur, ibidem terrenus imperator potestate aliqua fungeretur, Italiam apostolice dispositioni relinquens, sibi novam in Greciam mansionem elegit». Esattamente al contrario un Ottone III che, contestando apertamente il Constitutum, oltre due secoli prima aveva fissato la sua dimora sull’Aventino, interpretando la figura di Costantino nel senso di Eusebio più che degli Actus Silvestri e del Constitutum che attacca direttamente in un noto diploma del 1001: G. Gandino, Ruolo dei linguaggi e linguaggio dei ruoli. Ottone III, Silvestro II e un episodio delle relazioni tra impero e papato, in Quaderni storici, 102 (1999), pp. 617-658; A. Marcone, Gli affreschi, cit., pp. 313-315, più in generale P.E. Schramm, Kaiser Rom und Renovatio, cit., pp. 87-187.
84 A. Paravicini Bagliani, Cardinali di curia e ‘familiae’ cardinalizie dal 1227 al 1254, 2 voll., Padova 1972, in partic. pp. 407-433 e ad indicem; W. Maleczek, s.v. Conti Stefano, in Dizionario biografico degli Italiani, XXVIII, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1983, pp. 475-78; Id., Papst und Kardinalskolleg von 1191 bis 1216. Die Kardinäle unter unter Coelestin III. und Innozenz III., Wien 1984, pp. 195-201; A. Sohn, Bilder als Zeichen, cit., pp. 12-14, 40-42.
85 A. Sohn, Bilder als Zeichen, cit., pp. 14-17.
86 Sull’edificio cfr. A. Sohn, Bilder als Zeichen, cit., pp. 9-14; L. Barelli, Il complesso monumentale dei Ss. Quattro Coronati a Roma, Roma 2009, sulla cappella di S. Silvestro ivi, pp. 70-79; G. Matthiae, Pittura romana, II, cit., pp. 135-144; J. Mitchell, St. Sylvester and Constantine at the SS. Quattro Coronati, in Federico II e l’arte del Duecento italiano, a cura di A.M. Romanini, II, Galatina 1980, pp. 15-32; F. Squarciapino, s.v. Costantino il Grande, in Enciclopedia dell’arte medievale, cit., V, Roma 1994, in partic. pp. 376-377; A. Iacobini, La pittura e la arti suntuarie da Innocenzo III, cit., in partic. pp. 276-289; A. Sohn, Bilder als Zeichen, cit.; A. Draghi, Il ciclo, cit.; A. Marcone, Gli affreschi, cit.; R. Quednau, Costantino il grande, cit., pp. 326-328.
87 G. Matthiae, Pittura politica, cit., pp. 80-86; Id., Pittura romana, II, cit., pp. 86-93 (con datazione entro il 1170); S. Epp, Konstantinszyklen, cit., p. 19; H. Lanz, Die romanischen Wandermalereien von San Silvestro in Tivoli. Ein römisches Apsisprogramm der Zeit Innozenz III., Bern-Frankfurt a.M.-New York 1983; A. Sohn, Bilder als Zeichen, cit., p. 28, che osserva come a Tivoli si tratti di singole scene (4) mentre ai Ss. Quattro Coronati vi sia un ciclo completo che non si fonda solo sulla leggenda di Silvestro, ma anche sul Constitutum; A. Marcone, Gli affreschi, cit., pp. 315-16.
88 Il ciclo avrebbe però influenzato quello pisano di San Pietro a Grado. Cfr. S. Epp, Konstantinszyklen, cit., pp. 21-22; I. Hueck, Der Maler der Apostelszenen in Atrium von Alt.-St.-Peter, in Mitteilungen des Kunsthistoriscen Instituts in Florenz, 14 (1969-70), pp. 115-144; J. Wollesen, Die Fresken von San Piero a Grado bei Pisa, Bad Oeynhausen 1977; R. Piccinini, Sui cicli affrescati nel portico dell’antica basilica vaticana, in Federico II e l’arte, II, cit., pp. 33-39; A. Tomei, Le immagini di Pietro e Paolo dal ciclo apostolico del portico vaticano, in Fragmenta picta, cit., pp. 141-146; S. Sodi, La basilica di San Piero a Grado, Pisa 1996, pp. 33-38, 59-66; A. Paravicini Bagliani, Le chiavi e la tiara, cit., pp. 32-33; R. Rusconi, Santo padre, cit., pp. 58-61.
89 A. Sohn, Bilder als Zeichen, cit., pp. 24-27.
90 Ivi, p. 29; R. Rusconi, Santo padre, cit., pp. 57-58.
91 Acta imperii inedita saeculi XIII et XIV, hrsg. von E. Winkelmann, II, Innsbruck 1885, n. 1035, p. 689; P. Herde, Ein Pamphlet der päpstlichen Kurie gegen Kaiser Friedrich II., in Deutsches Archiv für Erforschung des Mittelalters, 23 (1967), pp. 468-538 (l’edizione a pp. 511 segg.), poi in Id., Studien zur Papst- und Reichsgeschichte, zur Geschichte des Mittelmeerraumes und zum kanonischen Recht im Mittelalter, Stuttgart 2002, pp. 217-276; cfr. D. Maffei, La Donazione, cit., p. 79; C. Dolcini, ‚Eger cui lenia’ (1245/46): Innocenzo IV, Tolomeo da Lucca, Guglielmo d’Ockham, in Id., Crisi di poteri e politologia in crisi, Bologna 1988, pp. 119-146; A. Melloni, Innocenzo IV. Il pensiero e l’esperienza della cristianità come regimen unius personae, Genova 1990, pp. 147-148; A. Paravicini Bagliani, Il trono di Pietro, cit., pp. 169-172; J. Miethke in questo volume.
92 A. Sohn, Bilder als Zeichen, cit., pp. 31-32.
93 Cfr. J. Traeger, Der reitende Papst. Ein Beitrag zur Ikonographie des Papsttums, München 1970, passim.
94 H.W. Klewitz, Ausgewählte Aufsätze zur Kirchen- und Geistesgeschichte des Mittelalters, Aalen 1971, pp. 263-297; E. Eichmann, Weihe und Krönung, cit., pp. 33-35; A. Sohn, Bilder als Zeichen, cit., pp. 32, 36-37.
95 Per il cerimoniale di Gregorio X si veda M. Dyckmans, Le cérémonial papal de la fin du Moyen Âge à la Renaissance, I, Rome-Bruxelles 1977-1985, pp. 159-176; sull’uso e il significato dei due colori cfr. B. Sirch, Der Ursprung, cit., pp. 149-151; A. Paravicini Bagliani, Il corpo del papa, cit., pp. 117-130; Id., Il trono di Pietro, cit., pp. 34-35; Id., Le chiavi e la tiara, cit., pp. 47-48, 61-63.
96 Cit. dall’ordo di Basilea (l’unico ad avere l’inciso terminologico sul regnum-frigium): B. Schimmelpfennig, Ein bisher unbekannter, cit., pp. 65-66; sulle feste in cui era usata la tiara nelle cavalcate B. Sirch, Der Ursprung, cit., pp 144-146.
97 M. Dyckmans, Le cérémonial, I, cit., p. 180; B. Sirch, Der Ursprung, cit., pp. 146-149; A. Paravicini Bagliani, Il corpo del papa, cit., p. 33; Id., Le chiavi e la tiara, cit., pp. 72-73.
98 B. Sirch, Der Ursprung, cit., pp. 114-124.
99 Ivi, tavv. 4-30.
100 Ivi, pp. 124-128, 144-146; M. Stroll, Symbols as Power, cit., p. 90 nota 50; A. Paravicini Bagliani, Le chiavi e la tiara, cit., pp. 66-68 e tavv. 26 e 28.
101 Innocentii III Sermones de sanctis, sermo VII, in PL 217, c. 481 e 482: «Solus Petrus assumptus est in plenitudinem potestatis. Fuit ergo beatus Sylvester successor Petri, vicarius Jesu Christi»; cfr. A. Sohn, Bilder als Zeichen, cit., pp. 33-34; A. Marcone, Gli affreschi, cit., p. 304. Affermazioni analoghe nel secondo sermone in PL 217, c. 665.
102 B. Sirch, Der Ursprung, cit., pp. 109-162 e tavv. 39-106; G.B. Ladner, Der Ursprung und die mittelalterliche Entwicklung der päpstlichen Tiara, in Tainia. Roland Hampe zum 70. Geburtstag, hrsg. von H.A. Cahn, E. Simon, I, Mainz 1980, pp. 449-481; J. Gardner, The Tomb and the Tiara. Curial Tomb Sculpture in Rome and Avignon in the Later Middle Ages, Oxford 1992; A. Sohn, Bilder als Zeichen, cit., pp. 33-36; A. Paravicini Bagliani, Le chiavi e la tiara, cit., 69-70.
103 C. Brandi, Giotto recuperato a S. Giovanni in Laterano, in Scritti di storia dell’arte in onore di Lionello Venturi, Roma 1956, pp. 55-85; S. Epp, Konstantinszyklen , cit., pp. 29-31, 66-68; G.B. Ladner, Die Papstbildnisse, II, cit., pp. 285-296 e tavv. LXV-LXVII in allegato; B. Sirch, Der Ursprung, cit., pp. 163-171 e tavv. 84-88; L. Vayer, L’affresco del Giubileo e la tradizione della pittura monumentale romana, in Giotto e il suo tempo, Roma 1971, pp. 35-44; S. Maddalo, Alcune considerazioni sulla topografia del complesso lateranense allo scadere del secolo XIII: il patriarchio nell’anno del Giubileo, in Roma anno 1300, cit., pp. 621-628; Id., Bonifacio VIII e Jacopo Stefaneschi. Ipotesi di lettura dell’affresco della loggia lateranense, in Studi romani, 31 (1983), pp. 129-150; A. Tomei, La decorazione pittorica, cit., pp. 95-97 e F. Pomarici, Medioevo. Scultura, cit., illustrazioni della loggia, pp. 122-123; H. Röttigen, Die Inbesitznahme des Lateran durch Bonifaz VIII. Überlegungen zur Wirklichkeit der Beneditionskanzel in Giottos Fresko und zur alten Benediktionskanzel des Lateran, in Das Andere Wahrnehmen. Beiträge zur europäischen Geschichte. August Nitzschke zum 65. Geburtstag gewidmet, Köln 1991, pp. 140-158 (che propende per un’ubicazione nella sala del concilio); A. Paravicini Bagliani, Il corpo del papa, cit., pp. 324-325; A. Tomei, Giotto a Roma intorno al primo giubileo, in La storia dei giubilei, I, cit., pp. 238-255; A. Paravicini Bagliani, Le chiavi e la tiara, cit., pp. 69-76 e tavv. 6, 25, 30-31, 33-34, 39, 48-49, 51, 54-55, 60-63; F. Gandolfo, Bonifacio VIII, il giubileo del 1300 e la loggia delle benedizioni al Laterano, in Romei e giubilei. Il pellegrinaggio medievale a San Pietro (350-1350), a cura di M. D’Onofrio, Milano 1999, pp. 219-228; A. Tomei, Bonifacio VIII e il giubileo del 1300: la Roma dei Cavallini e Giotto, in Bonifacio VIII e il suo tempo. Anno 1300 il primo giubileo, a cura di M. Righetti Tosti-Croce, Milano 2000, pp. 93-98; A. Paravicini Bagliani, Il potere del papa, cit., pp. 153-214 e tavv. 6-8; R. Quednau, Costantino il grande, cit., pp. 329-330. Tutti gli emblemi ricordati compaiono anche in una miniatura del trattato del cardinale Jacopo Caetani Stefaneschi, nipote di Bonifacio VIII, sull’incoronazione dello zio, raffigurante appunto tale cerimonia, mentre (secondo l’ordo di Gregorio X) inizia la processione da San Pietro al Laterano, in Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, cod. Barb. Lat. 4933, f. 7v; riproduzione in A. Paravicini Bagliani, Le chiavi e la tiara, cit., tav. 48; cfr. S. Maddalo, Bonifacio VIII, cit.; Id., Roma miniata, Roma affrescata. Tracce di un mito fra Trecento e Quattrocento, in La storia dei Giubilei, I, Firenze 1997, pp. 118-133, in partic. 120-122. Una pianta del palazzo pre-sistino di F. Contini (con la loggia di Bonifacio VIII al n. 41) e una veduta del lato nord di M. von Heemskerck, in I. Herklotz, Gli eredi di Costantino, cit., tavv. 2 e 14.
104 P.E. Schramm, Zur Geschichte der päpstlichen Tiara, in Historische Zeitschrift, 152 (1935), pp. 307-312, poi in Id., Kaiser, Könige, IV/1, cit., pp. 107-112 e tavv. 1-7; G.B. Ladner, Die Statue Bonifaz’ VIII. in der Lateranbasilika und die Entstehung der dreifach gekrönte Tiara, in Römische Quartalsschrift, 42 (1934), pp. 35-69, poi in Id., Images and Ideas, II, cit., pp. 393-426 e tavv. 1-17; Id., Die Papstbildnisse, II, cit., pp. 296-317 e tavv. LXLIII-XXVIII in allegato; e III, cit., pp. 64-68; B. Sirch, Der Ursprung, cit., pp 164-165 e tavv. 89-95; M. Maccarrone, Il sepolcro di Bonifacio VIII nella basilica vaticana, in Roma anno 1300, cit., pp. 753-771; N. Rash, Boniface VIII and Honorific Portraiture: observations of the Half-Lenght Image in the Vatican, in Gesta, 26 (1987), pp. 47-58; J. Gardner, Patterns of Papal Patronage circa 1260 – circa 1300, in The Religious Roles of the Papacy: Ideals and Realities 1150-1300, ed. by Ch. Ryan, Toronto-Leiden 1989, pp. 439-456, in partic. 441-442, 454-456 e tavv. 2, 15; A.M. Romanini, Ipotesi ricostruttive per i monumenti sepolcrali di Arnolfo di Cambio, in Skulptur und Grabmal in Rom und Italien, Akten des Kongresses ‘Scultura e monumento sepolcrale del tardo medioevo a Roma e in Italia’, Wien 1990, pp. 107-128; A. Paravicini Bagliani, Il corpo del papa, cit., pp. 319-326 e tavv. 12-15; A.M. D’Achille, La tomba di Bonifacio VIII e le immagini scolpite del pontefice, in La storia dei Giubilei, I, cit., pp. 224-237; soprattutto A. Paravicini Bagliani, Il potere del papa, cit., pp. 115-135, 137-151 e tavv. 1-5, 9-10. Per il mosaico della tomba G. Grimaldi, Descrizione della basilica antica di S. Pietro in Vaticano, codice Barberini latino 2733, a cura di R. Niggl, Città del Vaticano 1972, p. 37. Più in generale A. Tomei, La pittura e le arti suntuarie da Alessandro IV a Bonifacio VIII (1254-1303), in Roma nel Duecento, cit., pp. 321-403.
105 A. Sohn, Bilder als Zeichen, cit., pp. 32, 38-39.
106 Sul rito R. Holtzmann, Der Kaiser als Marschall des Papstes. Eine Untersuchung zur Geschichte der Beziehungen zwischen Kaiser und Papst im Mittelalter, Berlin-Leipzig 1928; E. Eichmann, Das officium stratoris et strepae, in Historische Zeitschrift, 142 (1930), pp. 16-40; R. Holtzmann, Zum Strator- und Marschalldienst. Zugleich eine Erwiderung, in ivi, 145 (1932), pp. 301-350; J. Traeger, Der reitende Papst, cit.
107 Vita Stephani II, cit., pp. 443, 448; cfr. A.Th. Hack, Das Empfangszeremoniell, cit., pp. 436-438; M. Becher, Costantino il Grande, cit., pp. 27-28.
108 R. Elze, I segni del potere ed altre fonti dell’ideologia politica del medioevo recentemente usate, in Fonti medioevali e problematica storiografica, Atti del congresso internazionale tenuto in occasione del 90° anniversario dell’Istituto Storico Italiano (Roma 22-27 ottobre 1973), 2 voll., Roma 1973, pp. 283-300, poi in Id., Päpste-Kaiser-Könige, cit., in partic. p. 287-288; soprattutto A.Th. Hack, Das Empfangszeremoniell, cit., pp. 13-270.
109 A.Th. Hack, Das Empfangszeremoniell, cit., pp. 504-546, in partic. 504-511, 540-46; sul tema M. Stroll, Symbols as Power, cit., pp. 90-91; G. Althoff, Inszenierung verpflichtet. Papst-Kaiser-Begegnungen zwischen Canossa (1077) und Venedig (1177), in Frühmittelalterliche Studien, 35 (2001), pp. 61-84; J. Miethke, Rituelle Symbolik und Rechtswissenschaft im Kampf zwischen Kaiser und Papst, in Ein gefüllter Willkomm. Festschrift für Knut Schulz, hrsg. von F.J. Felten, S. Irrgang, K. Wesoly, Aachen 2002, pp. 91-125; A. Marcone, Gli affreschi, cit., pp. 309-313.
110 Il disegno di Onofrio Panvinio è nel cod. Barb. Lat. 2738, f. 104v-105r; cfr. G.B. Ladner, I mosaici e gli affreschi, cit., ora in Id., Images and Ideas, I, cit., pp. 347-348, 356-366 e tavv. 9, 11; A. Frugoni, A pictura cepit, in Bullettino dell’Istituto storico per il medioevo, 78 (1967), pp. 123-135, fig. a p. 135; G.B. Ladner, Die Papstbildnisse, II, cit., pp. 17-25 e tav. III in allegato; M. Stroll, Symbols as Power, cit., pp. 188-203 e tav. 43; G. Althoff, Die Macht der Rituale, cit., pp. 137-139. La descrizione e la vicenda in O. Panvinius, De praecipuis, cit., p. 177: «Innocentius II papa in penitiori parte Lateranensis patriarchii duo alia cubicula a fundamentis fecit, retro, aedicula S. Nicolai, ea parte quae frontem basilicae Lateranensis respicit (haec adhuc semirupta supersunt) quae variis picturis ornavit; in quorum uno coronationem Lotharii II imperatoris a se in basilica Lateranensi consecrati pinxit. In cuius tabulae prima parte pictus est rex qui ante portas basilicae Lateranensis iurat Romanis se conservaturum consuetudines suas; post a papa suscipitur amplectiturque, deinde coronatur».
111 K. Zeillinger, Kaiseridee, Rom und Rompolitik bei Friedrich I. Barbarossa, in Federico I Barbarossa e l’Italia nell’ottocentesimo anniversario della sua morte, a cura di I. Lori Sanfilippo, Roma 1990, pp. 384-386; M. Stroll, Symbols as Power, cit., pp. 193-195; A.Th. Hack, Das Empfangszeremoniell, cit., pp. 516-527; G. Althoff, Die Macht der Rituale, cit., pp. 140-145; S. Scholz, Symbolik und Zeremoniell bei den Päpsten in der zweiten Hälfte des 12. Jahrhunderts, in Stauferreich im Wandel. Ordnungsvorstellungen und Politik in der Zeit Friedrich Barbarossas, hrsg. von S. Weinfueter, Stuttgart 2002, pp. 131-148.
112 A. Sohn, Bilder als Zeichen, cit., pp. 38-39.
113 M. Maccarrone, L’incoronazione imperiale del Barbarossa a Roma nel 1155, in Studi Romani, 6 (1958), in partic. pp. 33-36; A. Frugoni, A pictura cepit, cit.; J. Traeger, Der reitende Papst, pp. 44-48 (che, p. 46, propende per la commendatio nella seconda scena); D. Unverhau, Approbatio Reprobatio. Studien zum päpstlichen Mitsprachrecht bei Kaiserkrönung und Königswahl vom Investiturstreit bis zum ersten Prozeß Johanns XXII. gegen Ludwig IV., Lübeck 1973, pp. 191-194; A.Th. Hack, Das Empfangszeremoniell, cit., p. 529.
114 Ottonis et Rahewini Gesta Friderici I imperatoris, hrsg. von G. Waitz, (MGH, Scriptores in usum scholarum), Hannover-Leipzig 1912, p. 177: Accrescendo lo sdegno per la lettera ricevuta da papa Adriano, l’atmosfera dinanzi al re si infiamma ulteriormente poiché si riferisce che «a nonnullis Romanorum temere affirmari noverant imperium Urbis et regnum italicum donatione pontificum reges nostros hactenus possedisse, idque non solum dictis, sed et scriptis atque picturis representare et ad posteros transmittere. Unde de imperatore Lothario in palatio Lateranensi super huiusmodi picturam scriptum est “Rex venit ante fores, iurans prius Urbis honoris / Post homo fit pape, sumit quo dante coronam”. Talis pictura talisque superscriptio principi, quando alio anno circa Urbem fuerat, per fideles imperii delata cum vehementer displicuisset, amica prius invectione precedente, laudamentum a papa Adriano accepisse memoratur, ut et scriptura pariter atque pictura talis de medio tolleretur, ne tam vana res summis in orbe viris litigandi et discordandi prebere posset materiam» Tra le altre cose, la lettera, riportata da Ottone di Frisinga, ivi, p. 175, recitava: «Debes enim, gloriosissime fili, ante oculos mentis reducere, quam gratanter et quam iocunde alio anno mater tua sacrosancta Romana ecclesia te susceperit, quanta cordis affectione tractaverit, quantam tibi dignitatis plenitudinem contulerit et honoris, et qualiter imperialis insigne corone libentissime conferens benignissimo gremio suo tue sublimitatis apicem studuerit confovere».
115 Conferma (pur probabilmente senza conoscenza diretta dell’affresco) la Chronica regia Coloniensis, hrsg. von G. Waitz, (MGH, Scriptores in usum scholarum), Hannover 1880, pp. 93-94: (recensio I): «Gravis dissensio inter papam et domnum imperatorem oritur. Nam papa quondam Innocentius Rome in muro pingi fecerat se quasi in throno pontificali sedentem, imperatorem vero Lotharium complicatis manibus coram se inclinatum coranam imperii suscipientem. Fuit et aliud incentivum discordie. [...] Affuerunt ex parte pape duo cardinales litteras apostolici ad eum deferentes, in quibus inter alia hoc continebatur: “Beneficium corone tibi contulimus, neque penitencia moveremur si excellentia tua maiora a nobis beneficia suscepisset” Hoc verbum pro feodo interpres Cesari interpretatus est». (recensio II): «Eodem tempore [1157] inter domnum apostolicum Adrianum atque imperatorem Fridericum graves controversie oriri ceperunt, que huiusmodi causam habuisse feruntur. Papa Innocentius eius nomine secundus Rome quondam in muro pingi fecerat se ipsum quasi in sede pontificali residentem, imperatorem vero Lotharium complicatis manibus coram se inclinatum coronam imperii suscipientem. Accessit ecc. […] «Quod verbum, scilicet beneficium, hii qui circa imperatorem erant usualiter interpretantes, [...])». Sull’‘incidente’ del 1155-1157 si veda A.Th. Hack, Das Empfangszeremoniell, cit., p. 529.
116 Ne dubita A. Frugoni, A pictura cepit, cit., pp. 132-133.
117 MGH.L, 4, Constitutiones, 1, n. 167, p. 234: 117 MGH.L, 4, Constitutiones, 1, n. 167, p. 234: [La questione] Iniziò dalla pittura, passò alla scrittura, e ora si cerca di fare della scrittura un’auctoritas. Non lo permetteremo, non lo sopporteremo, preferiremo deporre la corona piuttosto che consentire che la corona dell’impero venga così degradata insieme a noi. Le pitture siano cancellate, le scritture ritrattate, affinché tra il regno e il sacerdozio non permangano eterni ricordi di inimicizia.
118 Onophrius Panvinius, De praecipuis, cit., p. 177, continuando il passo sopra citato: «Cui picturae hi versus suppositi ferunt: ‘‘Rex stetit ante foras iurans / prius Urbis honores / post homo fit papae sumit quo / dante coronam’’. Quos versus Fridericus Barbarussa imperator tamquam in imperii preiudicium, quod non a papa sed a Deo immediate esse contendebat, eradi iussit, ut tradit Otho Frisingensis in lib. De rebus gestis Friderici imperatoris. Totum porro ipsum patriarchium renovavit».
119 Gerhohi praepositi Reichersbergensis, Libelli selecti, hrsg. von E. Sackur (MGH, Libelli de lite), Hannover 1897, p. 393; cfr. in ultimo A.Th. Hack, Das Empfangszeremoniell, cit., pp. 527-535.
120 A. Frugoni, A pictura cepit, cit., pp. 130-131.
121 Gerhohi praepositi Reichersbergensis, Libelli, cit., pp. 511-512.
122 Gli studiosi semmai ipotizzano, pur senza evidenze archeologiche, l’esistenza di un affresco che rappresentasse come marescalchus Lotario con Innocenzo II: cfr. J. Mitchell, St. Sylvester and Constantine, cit., p. 29 nota 52; A. Sohn, Bilder als Zeichen, cit., p. 32 nota 111; M. Stroll, Symbols as Power, cit., pp. 195-198 (che, p. 197, ritiene improbabile che Adriano IV avesse realizzato una nova pictura con l’officium stratoris prestato dal Barbarossa; non esclude invece che essa potesse essere esistita, ed essere stata poi cancellata, tra quelle di Innocenzo). G.B. Ladner, I mosaici e gli affreschi, cit., poi in Id., Images and Ideas, I, cit., in partic. pp. 358-365 ritiene invece che non vi fosse altro che l’affresco con Innocenzo e Lotario riprodotto dal Panvinio; così A.Th. Hack, Das Empfangszeremoniell, cit., pp. 527-535, che propende per la tesi qui sopra espressa della ‘sovrapposizione’.
123 L. Barroero, Il palazzo apostolico lateranense e il ciclo pittorico sistino, in Il palazzo apostolico, cit., pp. 217-221; A. Marcone, Gli affreschi, cit., p. 318.