Costantino e il potere papale post-gregoriano
Poco prima della morte (intorno al 1150) Bernardo di Chiaravalle dedicava lo speculum papale De consideratione a papa Eugenio III, nel quale indirizzava all’ex monaco cistercense e suo allievo una serie di consigli fondati sulla Bibbia e formulati in modo assai convincente, su come egli si sarebbe dovuto comportare come cristiano e come pontefice nello svolgimento del proprio ufficio e nei confronti del mondo. In una frase piuttosto forte, lo scritto ammonisce che lo sfarzo di un vescovo romano, così come lo si ostentava all’epoca, non corrispondeva all’incarico originario:
Petrus hic est, qui nescitur processisse aliquando vel gemmis ornatus, vel sericis, non tectus auro, non vectus equo albo, nec stipatus milite, nec circumstrepentibus saeptus ministris. Absque his tamen credidit satis posse impleri salutare mandatum: Si amas me, pasce oves meas! [cfr. Gv 21,15] In his successisti, non Petro, sed Constantino1.
Il nome di Costantino è citato in questo unico punto della voluminosa opera. Bernardo critica il pomposo cerimoniale papale e lo confronta con le notizie dei vangeli sulla modesta vita di Pietro. Citando Costantino egli si richiama implicitamente a un testo famoso a quel tempo, che chiunque doveva conoscere: la cosiddetta Donatio Costantini mediante la quale l’imperatore Costantino avrebbe conferito a papa Silvestro la città di Roma assieme a una serie di privilegi. In esso Bernardo era convinto di riconoscere un articolato documento che attestava l’atto di donazione2. Che Costantino I ‘il Grande’, a seguito della vittoria di ponte Milvio contro il suo rivale (312), avesse favorito e beneficiato riccamente la comunità cristiana, è noto. A oggi tuttavia gli storici non concordano sull’esatta misura della generosità imperiale, né tanto meno interpretano in modo univoco la ‘svolta costantiniana’ a ciò connessa. Nel Medioevo si credeva invece di essere in possesso di informazioni alquanto dettagliate. In particolare all’epoca dell’interesse franco per Roma si pensava di conoscere molto bene il grande Costantino: fu allora, tra la metà dell’VIII e la metà del IX secolo3 che fu composto un resoconto di tutto ciò che l’imperatore Costantino, in occasione del proprio battesimo a Roma4, avrebbe donato a papa Silvestro I5.
Il testo è redatto come un atto di donazione6. Esso si rivolge sotto forma di decreto imperiale a Silvestro e a tutti i successori del papa «sino alla fine dei tempi» così come a tutti i vescovi della Chiesa cattolica «nel mondo»7. All’inizio vi si narra con dovizia di particolari e con ricchezza d’immagini come Costantino, per effetto del battesimo somministratogli da papa Silvestro, fosse stato purificato miracolosamente da una lebbra incurabile, la stessa ‘lebbra’ di cui narra con sgomento la Bibbia. Basta ciò ad allontanare nettamente l’imperatore dalla impurità della brutale superstizione pagana, antitetica alla purezza del culto cristiano: tanto più che viene riferito come i sacerdoti pagani avessero consigliato all’imperatore di bagnarsi nel sangue di bambini innocenti per ottenere la guarigione. Solo i lamenti inconsolabili delle madri delle vittime destinate al sacrificio avrebbero distolto l’imperatore dal suo terribile proposito, e inoltre gli apostoli Pietro e Paolo in sogno e poi papa Silvestro in un incontro gli avrebbero proposto il battesimo cristiano come efficace alternativa terapeutica. Una lunga professione di fede dà in seguito prova dell’ortodossia del sovrano.
Infine, nella seconda (e più breve) parte Costantino esordisce manifestando con ricchi doni imperiali al pontefice la propria traboccante gratitudine. L’imperatore gli consegna tutti gli emblemi della dignità imperiale romana, come il diritto di indossare il diadema (diadema) e la corona d’oro, che tuttavia Silvestro per modestia e rispetto verso la propria corona clericale (la tonsura) rifiuta, preferendole un candido berretto frigio (il phrygium, anch’esso in origine riservato al cerimoniale imperiale, un antesignano della successiva tiara papale)8. Contemporaneamente Costantino concede al papa il diritto a un’esaltazione cerimoniale di sé stesso e della sua intera corte mediante vesti, gioielli e insegne. La futura corte papale dovrà essere una fedele rappresentazione della corte imperiale. L’imperatore cede al pontefice anche il palazzo imperiale del Laterano, affinché vi venga costruita una Chiesa e in aggiunta concede «tam palatium nostrum, ut praelatum est, quamque Romae urbis et omnes Italiae seu occidentalium regionum provincias, loca et civitates»9.Costantino intende così trasferire «nostrum imperium et regni potestatem» a oriente ed esercitare il proprio potere imperiale (imperium) a Bisanzio10.
A oggi gli studiosi non hanno potuto chiarire quando, dove, da chi e con quale intenzione sia stato redatto questo testo. Un gruppo maggioritario di storici ne ipotizzano la stesura a Roma, poco prima o durante il pontificato di papa Stefano III, molto probabilmente sotto papa Paolo V11 o anche sotto Adriano I12. Un altro medievista cerca invece di dimostrare che la composizione del Constitutum Constantini vada ricondotta all’opposizione franca contro l’imperatore Ludovico il Pio13 e che la falsificazione non sia avvenuta a Roma, ma in un convento franco (occidentale) nel secondo terzo del IX secolo a difesa del potere imperiale nella Chiesa14. Con ciò viene ripresa l’originaria ipotesi ‘franca’, già più volte avanzata.
Non è intenzione risolvere qui la controversia. Peraltro in nessuna sede si è riusciti a fornire una soluzione sufficientemente sicura. L’atto di donazione non è databile con certezza, in quanto dipende direttamente dai cosiddetti Actus Silvestri15 che a loro volta furono redatti ben nel V secolo. Questo testo tardoantico aveva lo scopo di motivare il battesimo di Costantino a Roma e di presentare papa Silvestro e l’imperatore Costantino nella loro rispettiva funzione ‘romana’16. Quale che sia di preciso l’esatta relazione tra la leggenda di Silvestro e l’atto di donazione, rimane incerto in quali circostanze e quando i redattori del Constitutum Constantini abbiano attinto dagli Atti di Silvestro. Finora la ricerca non è riuscita a concordare neppure sullo scopo e sul carattere del finto atto di donazione. In origine molti storici hanno visto nel Constitutum Constantini un ‘falso diplomatico’, ossia un documento falso, inteso a simulare un trasferimento giuridico per sollecitare altrettanta generosità nel sovrano franco Pipino o nello stesso Carlo Magno. Altri storici, nella maniera più convincente il belga Nicolas Huyghebaert17, hanno interpretato il testo come un falso letterario, un’agiografia romanzata, i cui autori (romani) fornirono nella forma di questo atto di donazione una testimonianza di fondazione a S. Giovanni in Laterano, principale basilica papale della città eterna (o anche a un’altra chiesa)18; in seguito i pellegrini e i visitatori franchi della tomba degli apostoli e delle basiliche romane l’avrebbero portato con sé Oltralpe.
Questa tesi spiegherebbe perché i manoscritti del testo materialmente più antichi esistenti tuttora si trovano non a Roma o in Italia, ma provengono da biblioteche dell’impero franco a nord delle Alpi. La versione più antica del testo, individuata da Horst Fuhrmann con acute argomentazioni filologiche19, si trova inserita fra testimonianze testuali redatte in epoca relativamente recente. I primi manoscritti (che non contengono il testo dimostrabile come più antico) risalgono alla seconda metà del IX secolo. Il documento di Costantino vi è presentato all’interno di una grande raccolta di testi, in relazione alla compilazione di diritto canonico del cosiddetto Pseudo-Isidoro20, una famosa collezione di numerosi brevi testi finalizzata a validare norme di diritto canonico nel contesto di una lite di natura politico-ecclesiastica del IX secolo in seno alla Chiesa imperiale franca21. La compilazione dello Pseudo-Isidoro è anch’essa, come indica il nome, un’abborracciatura eseguita da falsari. Le raccolte nelle quali si articola l’intero complesso consistono in un totale di diecimila documenti, tratti – presumibilmente – come tessere di mosaico da lettere papali e da decisioni conciliari molto antiche, ma essi in parte riproducono gli originali più antichi con false attribuzioni, in parte formulano con frammenti originali nuove affermazioni, in parte li modificano, li completano o li contraffanno creativamente22.
Questa grande composizione ‘pseudoisidoriana’ di innumerevoli frammenti testuali fu eseguita nel monastero franco-occidentale di Corbie dopo l’834/835, probabilmente sotto la direzione dell’abate Pascasio Ratberto (morto dopo l’861), noto anche come fecondo scrittore latino23. Nella seconda parte della raccolta, che registra soprattutto canoni conciliari autentici, falsificati o inventati, fu inserito, all’inizio, anche il Constitutum Constantini. Nonostante questa parte dell’abborracciatura sia stata trascritta solo parzialmente in alcune famiglie di manoscritti, mentre in altre è persino mancante, il testo si diffuse ben presto in tutti i principali centri europei, poiché i falsi pseudoisidoriani a partire dal X secolo iniziarono la loro marcia trionfale in Europa. Nel continente sopravvivono a tutt’oggi più di cento manoscritti della raccolta24. Invero, nonostante la sua imponente diffusione, il successo della donazione costantiniana non fu ancora definitivo. Tuttavia, anche se non sempre era necessario consultare e nemmeno citare il testo, si poteva incontrarlo continuamente e rintracciarlo in caso di necessità. Perciò, per quanto riguarda la sua storia, avremo a che fare soprattutto, anche se non esclusivamente, con gli effetti prodotti dalla raccolta pseudoisidoriana. O il testo veniva inserito in nuove raccolte di diritto, nel momento in cui queste ne avevano necessità, oppure esso o una delle sue derivazioni venivano utilizzate per esigenze particolari.
Entrambe queste vie di diffusione della donazione – l’impiego nelle raccolte giuridiche e le citazioni in altri testi – hanno presto trovato precoci e numerosi riscontri. Ci si limiterà qui alla sua tradizione nelle compilazioni canonistiche. Queste ultime raccolgono principalmente le norme che regolavano la posizione degli ecclesiastici: per quanto riguarda la donazione, la posizione giuridica del papa all’interno della Chiesa. I monaci e i chierici esperti di diritto che visionavano e raccoglievano le fonti del diritto canonico e compilavano sempre nuove collezioni di norme25, non potevano non tenere conto del materiale pseudoisidoriano. I testi che ne facevano parte passavano con naturalezza alle raccolte di diritto canonico via via più recenti, sia parzialmente selezionati e riorganizzati, sia arricchiti con altri materiali. Di norma tuttavia la donazione costituisce sempre una parte importante delle nuove compilazioni. Ci si aspetterebbe che i compilatori avessero costantemente sotto gli occhi anche la donazione, se non altro per la sua presunta e veneranda origine costantiniana. Tuttavia l’interesse per la generosità imperiale che fece seguito alla presunta guarigione miracolosa e al battesimo a Roma in un primo tempo è scarso e aumenta solo gradualmente. Delle diciassette collezioni giuridiche esaminate risalenti al periodo tra il X e la metà dell’XI secolo, solo due riportano almeno parzialmente il testo del falso atto di donazione (e in esso inizialmente l’interesse si concentrava non tanto sul testo della donazione, quanto sulla professione di fede dell’imperatore)26. Solo la ‘rivoluzione’ della ‘formazione della tradizione giuridica occidentale’ nella cosiddetta riforma gregoriana27, con il considerevole aumento dell’attività canonistica, attirerà maggiore attenzione sul Constitutum (e questa volta anche sull’atto di donazione)28: parti dell’atto si trovano in 21 delle 53 raccolte esaminate, ossia nel 40% delle collezioni canoniche redatte entro il primo terzo del XII secolo29. Non si tratta ancora di un risultato eclatante, e anzi sorprende la continuità della relativa disattenzione. Però si evidenzia un interesse crescente da parte degli specialisti.
Al di là della stretta cerchia degli esperti di diritto la donazione di Costantino non viene consultata con troppa frequenza. Citiamo un solo, importante esempio politico: nel XII secolo, all’indomani di un primo incontro non andato a buon fine tra papa Adriano IV e Federico Barbarossa, la curia papale consulterà un manoscritto con il testo della donazione costantiniana per dimostrare all’imperatore tedesco che l’Hohenstaufen era da sempre obbligato a trattare il papa con particolare riverenza (reverentia). Infatti davanti a Sutri nel 1155, durante un incontro preparatorio all’incoronazione a Roma era scoppiato uno scandalo quando il Barbarossa, accogliendo il papa, si era rifiutato maldestramente di prestare il cosiddetto servizio rituale di strator, temendo che tale servizio, al quale normalmente era tenuto il vassallo nei confronti del proprio feudatario, potesse essere interpretato in quest’ultimo senso anche in tale circostanza30. Federico non tenne salda la staffa del papa, cosicché il pontefice aveva potuto scendere da cavallo solo a fatica e con un certo sforzo sportivo. Indignato, il papa era ripartito subito senza ammettere lo Staufer al già concordato bacio di pace. La pianificata incoronazione imperiale minacciò di naufragare, e la spedizione romana dell’esercito tedesco di essere vanificata. Durante le trattative avviate subito dopo, i rappresentanti della curia estraggono platealmente dalle bisacce un esemplare della donazione costantiniana31 per dimostrare che il servizio di strator era la tradizionale reverentia dovuta al papa da parte dell’imperatore32. Una sentenza imperiale del tribunale di corte tedesco confermava al Barbarossa che già due decenni prima un imperatore aveva prestato questo servizio. Si poteva nuovamente giungere a un accordo. Il Barbarossa ripeté correttamente il rituale del servizio di strator; papa e imperatore si scambiarono il bacio di pace. Alcuni giorni dopo ebbe luogo l’incoronazione imperiale a Roma.
Nel XII secolo il Constitutum Constantini trovò negli esperti di diritto una nuova base per la sua futura efficacia. Da allora esso sarà interpretato in un modo radicalmente diverso. Innanzitutto cambiò radicalmente il ‘canale di diffusione’ giuridico del testo: da ciò la donazione costantiniana trasse nuovo impulso. Se prima di allora erano stati soprattutto gli specialisti in senso più stretto a occuparsi dei testi canonici, specialisti che ai sinodi e ai concili, di fronte ai tribunali ecclesiastici e nelle questioni temporali dovevano rappresentare e legittimare gli interessi delle istituzioni ecclesiastiche basandosi sulle norme canoniche, ora la trattazione del diritto canonico si erse a disciplina scientifica autonoma che ben presto venne esercitata e insegnata nelle nascenti università europee con modalità simili e trovò rapidamente una regolare applicazione nella società. Prese allora avvio la spesso citata ‘giuridizzazione’ della politica e della Chiesa. Con ciò inoltre nella società aumentò in misura prima impensabile il bisogno di esperti giuridici. Con il trionfo dei giuristi anche la falsa donazione di Costantino giunse fino ai confini della cristianità. Da allora in poi i volumi che permettevano la consultazione dei testi giuridici fondamentali furono realmente a portata di mano in tutta Europa. Nella città vescovile, nel vicino monastero o nella biblioteca privata di uno studioso poco lontano si poteva trovare tutto quanto era stato inserito in questi testi: la facile reperibilità era un vantaggio assai apprezzabile in un periodo in cui si copiavano i codici a mano33. Una stima almeno approssimativa del numero complessivo dei codici di diritto medievali è già stata tentata. Ai circa diecimila manoscritti contenenti il Corpus Iuris Civilis dell’imperatore Giustiniano, ossia il diritto romano tardoantico e i suoi commentari, chi ha realizzato il calcolo ha contrapposto almeno settantamila manoscritti del Corpus Iuris Canonici34. Si tratta di cifre indubbiamente sorprendenti: anche se ovviamente la donazione costantiniana non era inserita o citata in tutti i codici. Tuttavia il testo della presunta donazione dell’imperatore Costantino rientrava nella parte canonistica di questa immensa massa di manoscritti35. Il Constitutum guadagnò così una nuova occasione di diffusione fin nei più remoti angoli d’Europa. Al termine degli studi, gli studenti portavano con sé i manoscritti, che alla morte dei possessori passavano come legati ad altri privati o a biblioteche monastiche, ecclesiastiche o cittadine: ciò spiega perché i testi giuridici medievali sono attualmente diffusi in tutta Europa. Nella maggior parte dei casi ogni importante raccolta di codici medievali contiene più esemplari di questi testi basilari (e quindi perlomeno un esemplare della donazione costantiniana).
Il fatto che con ciò un singolo testo fosse sempre più facilmente reperibile non implica che automaticamente esso venisse letto fin da subito con maggiore frequenza e intensità. Tuttavia in caso di interesse era possibile entrarne più facilmente in possesso. Con la nuova scienza del diritto canonico le condizioni di ricezione dei testi giuridici non si modificarono di colpo: tuttavia le ‘opportunità passive’ di avere le singole tradizioni aumentarono in una misura, che agli stessi contemporanei non doveva essere necessariamente evidente.
In un primo momento il Constitutum Constantini non poté partecipare direttamente al crescente successo delle auctoritates giuridiche, perché la donazione non era stata inserita nella maggiore compilazione di diritto canonico, il Decretum di Graziano. Tuttavia, grazie a una coincidenza fortunata – nel senso della diffusione del testo – già nel corso del XII secolo il falso documento riuscì ugualmente a collegarsi alle nuove possibilità di maggiore reperibilità. Intorno al 1135-1139 a Bologna Graziano aveva una prima volta riunito le auctoritates del diritto canonico nella sua Concordia discordantium canonum36. L’autore intendeva eliminare le loro discordanze applicando il nuovo metodo dialettico-scientifico della scolastica. Graziano non aveva però inserito nella sua raccolta la donazione costantiniana. Poco più tardi, nello stesso decennio 1140-1150, la sua compilazione fu ampliata e approfondita in una seconda redazione37, ma il Constitutum seguitò a non farne parte. Si tratta di un’assenza significativa, se si considera che verso la metà del XII secolo il Decretum Gratiani comprendeva quasi quattromila autorità38 ordinate secondo criteri logico-dialettici e perlomeno predisposte per un ragionamento coerente, nonché ulteriormente interpretate da brevi indicazioni del compilatore (i cosiddetti dicta Gratiani). Il testo rischiava con ciò di cadere nell’oblio. Tuttavia all’università di Bologna il complesso dell’opera ebbe ancora alcune piccole aggiunte (circa 150 ulteriori frammenti di testo)39. I contemporanei le tramandarono nei manoscritti come ampliamento del testo originale con una definizione tecnica convenzionale: poiché colui che aveva iniziato ad aggiungerle era stato uno degli allievi di Graziano di nome Paucapalea, i successivi manoscritti universitari le designarono come paleae40. Si tratta evidentemente di una forma di ironia colta, poiché questo termine poteva riferirsi al nome di Paucapalea, ma insieme consentiva di essere associato all’aggettivo paleus (di paglia), che suona come una contrapposizione al granum ‘grano’ di Graziano41.
Graziano conosceva indubbiamente il testo del Constitutum, perché nella sua compilazione inserì una considerevole quantità di materiale (circa il 10% dell’intera raccolta) tratto dallo Pseudoisidoro. Non sono noti i motivi dell’esclusione, che fu certamente intenzionale42. A ogni modo, la falsa donazione compare per la prima volta nella (terza) stratificazione testuale delle paleae, compilata da mano diversa. Questo ampliamento del testo di Graziano risale a un periodo successivo agli anni Settanta od Ottanta del XII secolo43. L’originale che fece da modello per il Constitutum pare fosse la raccolta di canoni di Anselmo da Lucca, una delle raccolte canonistiche del periodo della riforma gregoriana44.
In conclusione va ricordato che a partire dal tardo XII secolo il testo della donazione costantiniana fu reso disponibile per l’uso generale in una versione parzialmente incompleta e leggermente revisionata45, costituendo una importante occasione per il testo. Infatti come palea del Decretum Gratiani esso godeva del potenziale vantaggio di una reperibilità immensamente accresciuta. Inoltre, tutto questo andava di pari passo con il sempre più intensivo interesse scientifico per i testi raccolti da Graziano, il cui decreto divenne presto uno dei più importanti testi base delle successive facoltà di diritto canonico. Ciò non assicurava ancora un esame definitivo del testo mediante analisi e commenti, perché le scuole rimasero inizialmente scettiche di fronte alle paleae. Ma poté gradualmente avviarsi una discussione sempre più approfondita sul suo significato. Di conseguenza, in seguito, importanti decisioni sarebbero dipese dall’interpretazione del Constitutum nei pareri dei giuristi.
Una lettura nuova del significato del testo, pur noto ormai da tempo, si sviluppò solo dopo un lungo periodo di discussioni. I cosiddetti ‘decretisti’, ossia coloro che si occupavano del Decretum di Graziano, non sembravano avere alcuna fretta nel dedicarsi all’intero corpus delle paleae. Così, se era migliorata sensibilmente la reperibilità del Constitutum in quasi tutta Europa, e se nel primo secolo dopo Graziano si può cogliere un certo dibattito, non si realizza ancora una comprensione nuova del testo46. A quest’ultimo proposito, sin dall’inizio si individuano due distinte linee argomentative che si riferiscono chiaramente ai due rami della scienza giuridica medievale. I canonisti e i legisti, ossia, da un lato, i giuristi che si occupavano del diritto ecclesiastico e, dall’altro, quelli che si occupavano del diritto romano giustinianeo, trattavano assai diversamente il testo. La Glossa ordinaria, il tardo commentario-standard delle scuole, ha registrato in entrambi gli ambiti gli esiti di queste prime interpretazioni.
Naturalmente gli sforzi di entrambi i gruppi di giuristi non erano orientati in senso ‘storico’. Essi non intendevano affatto risalire a ciò che era accaduto a Roma ai tempi di Costantino: il loro obiettivo era capire il significato giuridico della donazione. Comprensibilmente i legisti cercavano di inquadrare la donazione nelle loro conoscenze del diritto imperiale tardoantico, il quale non poteva fornire alcuna informazione sull’ipotetica decisione di Costantino, poiché il falso era un prodotto molto posteriore alla redazione del Corpus Iuris Civilis. Tuttavia i legisti non dubitarono subito dell’atto. Accursio, all’inizio del XIII secolo (all’incirca tra il 1210 e il 1228) presentò il risultato dei loro sforzi47. Con riferimento a una Novella (Novell. Iust 6pr), in cui Costantino parla del rapporto tra potere spirituale e temporale, il glossatore scrive:
Apparet ergo quod nec papa in temporalibus, nec imperator in spiritualibus se debent immiscere. Numquid habet ergo papa temporalem iurisdictionem in his que sunt imperii, que Constantinus imperator donavit beato Silvestro pape? Videtur quod sic, licet immense fuerit donation, ut infra [Novell. Iust. 7,2,1]. Preterea quod vult princeps, hoc est lex [Dig. I 4,1]. Item sicut patrimonialia, ita imperialia donare potest, cum nulla sit differentia [Cod. VII 37,3,1]. Econtra videtur quod non: quia tunc non esset ‘Augustus’ dictus [Inst. I 1pr.]. Item imperare non potuit pari, idest imperatori venienti post se [Dig. IV 8,4; XXXVI 1,13,4]. Item ne turbetur opus, si clerici intromittunt se in temporalibus [Cod. I 3 (6),17]. Item ne unus duorum officium habeat [Dig. II 14,9(10)pr.]. Sed licet solutio facti ad nos non pertineat, solvimus de iure, quod non valuit talis collatio sive donatio [Cod. I 14 (17),4; Inst. II 17,8 (7)]. Nec obstat [Novell. Iust. 7pr.], quia auxit quantum in eo fuit Constantinus vel in aliis, non autem in iurisdictione, quia sic posset totum imperium perire, ut dictum est. Ac48.
L’enorme donazione imperiale non era dunque ammissibile, perché eliminava le possibilità dei successori e metteva in pericolo l’Impero. Di conseguenza, essa era giuridicamente nulla. Accursio fornì con ciò una pietra miliare ai futuri legisti. Quasi tutti i successivi interpreti del diritto romano49 si sforzarono di non deviare dalla linea stabilita da Accursio, aggiungendo semmai motivazioni a conferma delle sue conclusioni. A loro parve evidente che l’imperatore non fosse in nessun modo legittimato a compiere una donazione tanto eccessiva. Tale tesi, sotto il profilo del suo effetto sulla prassi interpretativa giuridica nelle università e nei tribunali, non differiva nella sostanza da un sospetto di falsificazione. Una volta negata la validità della norma, non era più necessario occuparsi specificamente della questione della sua autenticità.
Al contrario, i canonisti, svilupparono un’interpretazione affatto diversa. Essi si opposero ben presto a coloro che contestavano la validità giuridica della munificenza di Costantino. Intorno al 1216 Giovanni Teutonico50 concludeva a Bologna quell’apparato di glosse al Decretum di Graziano che, come Glossa ordinaria, divenne ben presto in tutta Europa un’integrazione quasi indispensabile di tale testo nei manoscritti e nelle prime edizioni a stampa. Giovanni non trascurò di menzionare la donazione costantiniana51, ma non sottopose il testo della palea a un commento esaustivo. I canonisti non avevano certo bisogno di dimostrare l’autenticità del documento, in quanto i legisti non l’avevano mai messa in dubbio. Il loro problema rimase la validità giuridica dell’atto di donazione imperiale. Così Giovanni Teutonico enfatizzò solo la validità della donazione di Costantino: nec posset imperator illam donationem revocare, nam dicit lex, quod sola immensitas est mensura rerum donatarum in ecclesia (Cod. I 2,(5),14). Immo nec concedit hic, sed concessa confirmat, nam omnia haec et alia plura iam prius fuerant ecclesiae concessa, infra 96 di. Constantinus (D. 96 c.14 = Constitutum). Praeterea quia imperator potest alienare res imperii (Dig. XXX 39,(40),10). Item quia per hanc concessionem non laedit imperium, ex quo res vadit ad primum statum [Dig. II 27,(28),2; D.35 c.2], non obstat [C.12 q.2 c.20], quia ille non poterat legem imponere suo successori, Jo52.
Quasi tutti i canonisti successivi si attengono alla Glossa ordinaria53. Essi però non citano spesso la donazione54.
Significativo di questa situazione è l’uso che Innocenzo III fece del Constitutum. Nelle sue numerose decisioni giuridiche il grande pontefice non fece mai riferimento alla presunta donazione di Costantino. Invece Innocenzo III prese posizione all’inizio del suo pontificato in una predica tenuta il giorno di San Silvestro, il suo predecessore, a favore del quale fu fatta la finta donazione. Le sue opinioni non suscitano certo grande entusiasmo nel lettore moderno: Innocenzo coglie l’occasione per esaltare Silvestro e per ciò elenca anche i doni e le prerogative concessegli dall’imperatore. Dopo aver stabilito con le parole del salmo, importanti anche per lui, che il papa ha il diritto di fregiarsi del titolo di re dei re, signore dei signori, sacerdote eterno secondo l’ordinamento di Melchidesec (ossia al contempo re e sacerdote)55, il predicatore parla anche della donazione costantiniana:
Nam vir Constantinus, egregius imperator, ‹postquam› ex revelatione divina per beatum dignitatibus suis et omne regnum occidentis ei tradidit et dimisit, recedens et ipse Byzantium et regnum sibi retinens orientis. coronam vero capitis sui voluit illi conferre, sed ipse pro reverentia clericalis corone vel magis humilitatis causa noluit illam portare, verumtamen pro diademate regio utitur aurifrygio circulari56.
Da queste frasi formulate in stretta aderenza al testo del Constitutum, Innocenzo non trae tuttavia la conclusione, ovvia per altri autori poco successivi, di rivendicare per i papi, e di conseguenza per se stesso, il dominio sulla parte occidentale dell’Impero. Egli si limita invece a chiarire che Silvestro aveva insediato patriarchi, primati, metropoliti e vescovi basandosi sulla propria auctoritas pontificalis, mentre aveva nominato senatori, prefetti, giudici e notai della città di Roma richiamandosi alla potestas regalis. Con ciò, accanto alla prefigurazione dell’ufficio papale al modo di Melchidesec mediante l’interpretazione del Constitutum – oltre al suo evidente riferimento esclusivo alla città eterna – egli richiama un’ulteriore venerabile formula della Chiesa antica. Innocenzo cita una lettera di Gelasio I all’imperatore bizantino Anastasio I (del 494), nella quale l’auctoritas sacrata dei papi era stata contrapposta alla regalis potestas degli imperatori bizantini57.
Nonostante Innocenzo sfrutti il testo per addurre ragioni alle sue elevate pretese, ne trae conclusioni giuridiche solo per la città di Roma, che considera soggetta al proprio dominio. Riguardo all’intera parte occidentale dell’Impero, di cui si parla nella donazione di Costantino, perlomeno nella versione inserita nel decreto di Graziano, questo punto di riferimento relativamente moderato è documentato in curia anche successivamente nel XIII secolo: ben due generazioni dopo (nel 1278) papa Niccolò III Orsini promulga una decretale in cui fa esplicito riferimento alla donazione costantiniana. Anche questo decreto si limita a definire i diritti papali sulla città di Roma:
Fundamenta militantis ecclesiae, Ne autem ipsa mater ecclesia in congregatione et pastura fidelium temporalibus careret auxiliis, quin potius ipsis adiuta spiritualibus semper proficeret incrementis, non absque miraculo factum esse concipitur, ut occasionaliter Constantinus monarcha a deo provisa, sed curata baptismalibus fomentis infirmitas quandam adiceret ipsi ecclesiae firmitatem, qui quarto die sui baptismatis una cum omnibus satrapis et universo senatu, optimatibus etiam et cuncto populo in persona beati Silvestri sibi Romanam concedendo urbem relinquens ab eo et successoribus eius per pragmaticum constitutum disponendam esse, decernens ut ipsa urbe utriusque potestatis monarchiam Romanis pontificibus declararet: non iustum arbitrans ut ibi sacerdotii principatum et Christiane religionis caput imperator celestis instituit, illic imperator terrenus habeat potestatem, quin magis ipsa Petri sedes in Romano iam proprio solio collocata, libertate plena in suis agendis per omnia potiretur, nec ulli subesset homini, que ore divino cunctis dignoscitur esse prelata58.
Anche Niccolò III non parla di un dominio papale europeo o mondiale. Il papa a quel tempo aveva dei buoni motivi per tanta modestia: la sua dichiarazione era diretta contro gli sforzi dei romani di istituire un comune, ossia un governo cittadino indipendente dal potere papale. E dato che poi sotto Bonifacio VIII, nel corso della redazione della sua raccolta decretali – il cosiddetto Liber Sextus59 – fu inserita anche questa decretale, il testo si assicurò l’attenzione degli studiosi medievali.
Diversamente si era espresso all’inizio del secondo terzo del XIII secolo un predecessore di Niccolò III, Gregorio IX, che nel 1234 aveva fatto redigere il Liber Extra (la prima raccolta ufficiale di decretali papali). Durante la controversia con Federico II di Svevia, Gregorio IX esigette infine, in una lettera del 1236, l’adesione imperiale60. Per motivarla Gregorio parte da lontano, e si collega non esplicitamente, ma chiaramente alla formula gelasiana quando, in un inciso, precisa: «cum regum colla et principum submitti videas genibus sacerdotum, et Christiani imperatores subdere debeant executiones suas non solum Romano pontificii, quin etiam aliis presulibus non preferre»61.
Con ciò egli riprende una metafora immaginosa, che della dignità sacerdotale del papa mette in risalto la parità, o meglio, la supremazia nei confronti dell’imperatore. Così come il basileus era tenuto a ‘chinare umilmente il capo’62 di fronte agli amministratori dei sacramenti divini, così pure Federico II doveva sottomettersi al volere di Gregorio IX. Mentre nella prima parte della lettera il papa fa riferimento alla formula gelasiana, a conclusione di essa si basa invece liberamente, con tutta evidenza, sul Constitutum di Costantino:
Illud autem minime preterimus, toti mundo publice manifestum, quod predictus Constantinus, qui singularem super universa mundi climata monarchiam obtinebat, una cum toto senatu et populo, non solum Urbis set et in toto imperio Romano constituto, unanimi omnium accedente consensu dignum esse decernens, ut sicut principis apostolorum vicarius in toto orbe sacerdotii et animarum regebat imperium, sic in universo mundo rerum obtineret et corporum principatum, et existimans illum terrena debere sub habena iustitie regere, cui Dominus noverat in terris celestium regimen commisisse, Romano pontifici signa et sceptra imperialia, Urbem cum toto comitatu suo […] necnon et imperium cure perpetuo tradidit et nefarium reputans, ut ubi caput totius Christiane religionis ab imperatore celesti disponitur, ibidem terrenus imperator potestate aliqua fungeretur, Italiam apostolice disposicioni relinquens, sibi novam in Grecia mansionem elegit; de qua postmodum in persona prefati magnifici Caroli, qui iugum a Romana ecclesia vix ferendum impositum pia debere docuit devotione portari, sedes apostolica transferens in Germanos, praedecessoribus tuis, sicut et in tua persona recolis esse factum, in consecrationis et inunctionis munere, nichil de substantia sue iurisdictionis imminuens, imperii tribunal supposuit et gladii potestatem in subsecuta coronatione concessit, ex quo iusti apostolice sedis et non minus fidei ac honori tuo derogare convinceris, dum factorem proprium non agnoscis63.
Questa interpretazione radicale, che riconduce l’insieme delle (pretenziose) rivendicazioni papali sul dominio temporale a una lettura assai originale e in ogni caso estrema del significato della falsa donazione64, deve essere parsa problematica persino ai contemporanei. Si cerca palesemente non tanto di giustificare la legittimità della supremazia papale con il sacerdozio spirituale, quanto piuttosto la si fa risalire, almeno indirettamente, a una donazione imperiale: in modo ancora molto ‛medievale’, ciò si evidenzia anche con il consensus costituzionalmente ‘unanime’ del Senato e del popolo di Roma come pure del popolo dell’Impero nel suo complesso. Tutto ciò non poteva costituire una rappresentazione della questione soddisfacente per la curia e per i canonisti. Al contrario dalla più tarda decretale di Niccolò III, questo testo fu ignorato dalla commissione incaricata della redazione del Liber Sextus, e rimase a giacere nell’archivio papale per tutto il successivo periodo medievale.
Come i primi decretisti, anche i canonisti successivi non si interessarono realmente all’interpretazione storica del presunto documento di Costantino. Anche per le sempre più frequenti discussioni sul Constitutum erano importanti non tanto l’oggetto o le modalità della donazione, quanto piuttosto le conseguenze giuridiche dell’atto o le motivazioni che ne costituivano la base e che sarebbero stati fondamentali anche per i contemporanei. Nessuno nel XIII secolo dubitava che Costantino avesse realmente redatto il documento. Ci si chiedeva innanzitutto perché egli avesse potuto farlo (o perché non avrebbe dovuto) e quali conseguenze ne sarebbero derivate per i suoi successori, gli ‘imperatori dei romani’ medievali, ossia i sovrani tedeschi, e quindi per i papi loro contemporanei.
Una tesi introdotta nella discussione da Innocenzo IV nel corso del conflitto tra imperatore e papa a metà del Duecento generò una svolta profonda nella storia dell’esegesi. Secondo questo papa giurista65 – che prima della brillante carriera in curia aveva interpretato decreti e decretali come canonista presso l’università di Bologna e, già papa, continuò nel tempo libero a lavorare al suo commento alle decretali di grande rilevanza giuridica – la difficoltà di una corretta comprensione della donazione costantiniana consisteva nel fatto che il testo riconducesse le elevate ed esagerate rivendicazioni papali alla decisione di un imperatore, ovvero di Costantino il grande. Tale interpretazione fu ora superata da una concezione del tutto nuova. Durante il pontificato di Innocenzo IV a Roma (1246), nella chiesa dei Ss. Quattro Coronati, chiesa titolare di un cardinale allora importante (Stefano Conti, che come vicarius urbis rappresentava il papa nella diocesi romana), fu eseguita a fresco una rappresentazione tutt’ora visibile della leggenda di Silvestro. Le significative invenzioni pittoriche attribuirono notevole importanza anche all’atto di donazione di Costantino66. Nelle singole scene l’imperatore e il papa sono rappresentati l’uno di fronte all’altro a parità di grandezza. La consegna del frygium si svolge come un atto munifico di donazione al papa da parte dell’imperatore sontuosamente vestito. In segno di sovranità un laico del gruppo dei romani porge al papa un parasole, che in seguito un chierico, standogli alle spalle, gli regge sul capo in occasione dell’uscita a cavallo, mentre l’imperatore presta il servizio di strator67. Il pittore fa sì che il papa riceva effettivamente la sovranità temporale dall’imperatore secondo la tradizionale visione del XIII secolo. Evidentemente l’accettazione di questa interpretazione non creava alcun problema al cardinale committente degli affreschi, nonostante essa non si accordasse molto con quella prevalente nell’entourage di Innocenzo IV.
Come poteva la sovranità papale, di fronte a un Federico II, fondarsi su una donazione imperiale che probabilmente – e su ciò si sviluppò una notevole discussione – era revocabile? Quando il conflitto tra il papa e Federico II giunse al culmine e Innocenzo IV decise di tradurre in azione quanto il suo predecessore Gregorio IX aveva progettato, ossia destituire l’imperatore al concilio generale di Lione (1245)68, egli rinunciò a citare il nome di Costantino nella sentenza di destituzione. Tale sentenza fornisce, non tanto nel testo in sé69, quanto piuttosto nel commento a questa decretale da parte del dotto papa70, un preciso fondamento alla competenza papale di destituire l’imperatore71. Il papa agisce – così sostiene Innocenzo IV – quale rappresentante dell’Uomo-Dio Gesù Cristo, essendone legittimato dal proprio vicariato. A lui Cristo conferì le competenze necessarie sulla terra per tutte le situazioni di emergenza. Infatti, come dominus naturalis della propria creazione, Cristo possedeva il diritto (naturale)72 di allontanare dalla loro carica con sentenze di deposizione l’imperatore e tutti gli altri sovrani, poiché Cristo li aveva creati, aveva fatto loro il dono della propria natura e grazia e li aveva mantenuti nella loro esistenza: papa deponit imperatorem [...] et est hoc ‹de› iure, nam cum Christus filius Dei, dum fuit in hoc seculo, et etiam ab aeterno dominus naturalis fuit et de iure naturali in imperatores et quoscumque alios sententias depositionis ferre potuisset et damnationis et quascumque alias utpote in personas, quas creaverat et donis naturalibus et gratuitis donaverat et in esse conservaverat, et eadem ratione et vicarius eius potest hoc. Nam non videretur discretus dominus fuisse, ut cum reverentia eius loquar, nisi unicum post se talem vicarium reliquisset, qui haec omnia posset. Fuit autem iste vicarius Petrus [...] et idem dicendum est de successoribus Petri, cum eadem absurditas sequeretur, si post mortem Petri humanam naturam a se creatam sine regimine unius personae reliquisset73.
Ciò che vale per Pietro, vale anche per i papi suoi successori: anch’essi ricevono il vicariato da Cristo dominus discretus.
L’ingegnoso collegamento dell’idea di dominus naturalis e dell’idea di ius naturale – un diritto naturale di dominio – con le rivendicazioni papali nei confronti dell’imperatore e degli altri sovrani, non necessita in questo commento delle basi giuridiche normalmente usate da Innocenzo IV. L’argomentazione trae la propria forza persuasiva unicamente dal ragionamento teologico e razionale di valore generale. Attraverso la virtù della discretio, il dono della comprensione e del discernimento del Figlio di Dio in terra, l’onnipotenza divina si trasmette, mediante l’idea di successione, all’autorità papale, che di conseguenza si pone automaticamente al di sopra di qualsivoglia autorità umana74.
La donazione di Costantino rimase del tutto estranea a tale interpretazione, non necessitando il vicario di Cristo di alcuna ulteriore dote, tanto meno di una donazione imperiale, per giustificare la propria suprema autorità. Non è certo casuale l’esistenza di un testo proveniente dalla cerchia o addirittura (come ipotizzeremmo) dalla penna dello stesso Innocenzo IV, che inserisce la donazione costantiniana in tale ottica: un ‘pamphlet curiale’, come è stato definito, pervenutoci in diverse versioni, in particolare e per la prima volta nel cosiddetto ‘memoriale’ di Albert Behaima75, e poi in numerosi esemplari posteriori. Tale ‘manifesto’ viene tutt’oggi citato (come già nel Medioevo) mediante l’incipit Eger cui lenia («un malato, al quale non giova una medicina blanda»)76. In esso l’autore, che aveva compreso perfettamente Innocenzo IV, parla in modo significativo del Constitutum Constantini:
Minus igitur acute perspiciunt nescientes rerum investigare primordia, qui apostolicam sedem autumant a Constantino primitus habuisse secularis imperii principatum, qui prius erat naturaliter et potencialiter apud eam. Dominus enim Iesus Chjristus, dei filius, sicut verus homo verusque deus, sic secundum ordinem Melchisedech verus rex ac verus sacerdos existens, quemadmodum patenter ostendit nunc utendo pre hominibus honorificentia regie maiestatis, nunc exequendo pro illis dignitatem pontificii apud patrem, in apostolica sede non solum pontificalem, sed et regalem constituit monarchatum beato Petro eiusque successoribus terreni simul ac celestis imperii commissis habenis. Verum idem Constantinus per fidem Christi catholice incorporatus ecclesie illam inordinatam tyramnidem, qua foris antea illegitime utebatur, humiliter ecclesie resignavit et recepit intus a Christi vicario, successore videlicet Petri, ordinatam divinitus imperii potestatem, qua deinceps ad vindictam malorum, laudem vero bonorum legitime uteretur, et qui prius abutebatur potestate permissa, deinde fungeretur auctoritate concessa77.
Il breve paragrafo contiene, con il suo slancio retorico, una sorprendente affermazione che prima di allora non era facile trovare. Costantino non avrebbe inteso la propria donazione come ‘donazione’; ma, al contrario, avrebbe semplicemente restituito al papa e alla Chiesa – e a Dio – una sovranità (temporale) detenuta in termini usurpatori e illegittimi. In tal modo da quel momento in poi la sua sovranità su Bisanzio non sarebbe stata una semplice prosecuzione del proprio governo imperiale sulla parte occidentale: al contrario, solo ora Costantino avrebbe potuto esercitare il potere come sovrano legittimo, con tutta la legittimità derivata da Dio, mentre prima si era limitato a esercitare una tirannia appena tollerata da Dio, ma priva di qualsiasi vera legittimazione.
Un simile capovolgimento nell’interpretazione della donazione imperiale non trovava alcun riscontro nella tradizione del passato, pur esistendo qualche precedente, in quanto il concetto di gratitudine imperiale manifestato da Costantino mediante la propria donazione veniva ora enormemente esteso78. Sporadicamente, tra le discussioni dei canonisti del XII secolo, si trovano alcuni testi, in cui il concetto di rinuncia di Costantino era stato preparato, anzi quasi formulato, anche se fino ad allora erano noti solo un votum negativo di Bologna79 e una valutazione altrettanto negativa proveniente dalla cerchia dei canonisti francesi80. Nella Glossa ordinaria al decreto di Graziano, Giovanni Teutonico (in modo assai cauto e criptico) aveva più accennato che indicato positivamente quella interpretazione81. Intorno all’anno 1202 il decretalista Alano Anglico, che si era fatto conoscere formulando tesi radicalmente papaliste, aveva – forse per primo – avanzato la tesi che in generale gli infideles (ossia i miscredenti usciti dalla Chiesa) non potevano possedere alcun diritto legittimo di sovranità82. La sua tesi era destinata a generare una robusta tradizione tardomedievale83; tuttavia, doveva passare ancora mezzo secolo, fino a Innocenzo IV, prima che questo concetto fosse applicato alla donazione costantiniana.
Gli accenni dei decretisti alla donazione o alla ‘rinuncia’ furono per così dire eclissati dal mare di glosse e non crearono scalpore. In particolare Uguccione da Pisa84, eminente autorità dell’epoca, aveva rigettato energicamente e con un evidente successo iniziale simili interpretazioni della donazione imperiale. Solo grazie al rifiuto di una simile lettura della donazione da parte di Uguccione e del suo anonimo collega francese siamo a conoscenza della discussione che precedette l’interpretazione di Innocenzo IV. Con lui, quella che nel XII secolo era stata un’opinione minoritaria, proveniva ora dal papa in persona e dal centro della curia.
Una simile lettura della donazione costantiniana generò per il futuro un vero e proprio capovolgimento dell’onere della prova. Di fronte ai sovrani e ai potenti del mondo la Chiesa non doveva più preoccuparsi della ‘scomoda’ provenienza dei propri beni materiali: essa, al contrario, poteva dichiarare tyramnis (‘tirannia’) qualsiasi potere laico non allineato a lei. La ‘tirannide’ era, secondo la convinzione medievale (anche escludendo il diritto canonico), un potere usurpatorio oltre che ‘illegale’ e condannabile: essa anzi autorizzava coloro che le erano soggetti alla disobbedienza e alla resistenza, alla destituzione del sovrano e infine – a partire da Giovanni di Salisbury (morto nel 1180) – al tirannicidio legalizzato85.
Il fatto che Innocenzo IV nella sua politica effettiva non avesse ottenuto alcun successo decisivo sull’imperatore svevo e che alla fine Federico II fosse morto nell’anno 1250 senza essere stato realmente sconfitto86, aveva forse inizialmente relegato in secondo piano la nuova visione curiale dei fatti. Nella seconda metà del XIII secolo le rivendicazioni papali furono formulate con molta maggiore cautela, non essendo più contro l’imperatore (venuto a mancare con la morte di Federico II)87 che il papa doveva ora sostenere la propria posizione appellandosi a Costantino. Ora, a dover essere confutate, erano le aspirazioni autonomiste di Roma o le rivendicazioni sulla città santa di principi laici stranieri88. Nel 1278 papa Niccolò III pubblicò – come visto – la voluminosa decretale, in cui dall’atto di donazione di Costantino, citato con dovizia, trasse conclusioni diverse da quelle già sostenute da Innocenzo IV. L’Orsini insisteva piuttosto sul fatto che Costantino avesse concesso al papa il pieno potere sulla città di Roma e che ciò fosse stato ratificato dal Senato e dal popolo della città89. Si trattava in certo qual modo del programma ‘minimalista’ che il papa e la curia intendevano d’ora in poi proporre con la donatio, anche se, invero, tale ‘umiltà’ non precludeva per il futuro la possibilità di ricorrere all’interpretazione sostenuta da Innocenzo IV. La decretale di Niccolò III divenne a sua volta un locus classicus dell’armamentario canonistico e fu spesso addotta come prova90.
Verso la fine del XIII secolo Bonifacio VIII turbò i contemporanei con una politica impositiva e conflittuale e con una violenta pubblicistica: egli pretendeva di fatto avvalersi della plenitudo potestatis91 già attribuitagli dai teorici92 anche per la conduzione delle questioni ordinarie. I sostenitori papali ripresero a fare riferimento alla donazione di Costantino: tuttavia essa, nel pieno spirito dello schematismo di Innocenzo IV, veniva rifiutata in quanto ‘donazione’, e ne veniva minimizzata quanto possibile l’importanza per la posizione del papa rispetto invece alla plenitudo potestatis concessagli da Dio. Contrariamente a ciò, i critici del papa, o contestavano nuovamente, con le tradizionali argomentazioni dei legisti la facoltà di un imperatore importante come Costantino di concedere una donazione di tale peso, oppure – come avrebbe fatto Marsilio da Padova – sottolineavano quasi compiaciuti come la donazione avesse avuto luogo davvero, in modo da mettere in luce con tutta evidenza l’origine puramente umana, ossia imperiale e statale (e di conseguenza non divina), delle pretese di dominio papali.
Di fatto, solo a poco a poco i difensori della politica papale considerarono più attentamente la donazione costantiniana. Quasi nessuno di questi autori rinunciò a esprimersi con maggiore o minore dettaglio sulla questione della donazione imperiale a papa Silvestro. Ogniqualvolta questo accadeva, gli autori curiali erano portati a interpretare la ‘donazione’ come ‘restituzione’. La scelta del termine già tradisce il significato giuridico che essi attribuivano all’atto imperiale. Si parla di cessio, resignatio, oppure usavano i verbi cedere, resignare, renuntiare e simili, mai donare. Già il canonista Enrico da Cremona, attivo presso la curia di Bonifacio VIII, in un breve trattato93 ‘dimostra’ innanzitutto, con una serie di citazioni bibliche, la posizione papale di dominio sul mondo, per poi contrapporre a ciò la ‘tesi dei giuristi’ secondo cui il dominio papale sarebbe iniziato solo con la ‘donazione’ imperiale. A questa tesi Enrico ribatte con veemenza: a quel tempo la Chiesa possedeva già certamente il diritto di dominio sull’imperatore, ma non aveva la possibilità di esercitarlo perché subiva le persecuzioni anticristiane; queste ultime però – ecco la svolta sorprendente – avevano delegittimato gli imperatori romani. Perciò Dio avrebbe ‘ispirato’ l’imperatore Costantino a rinunciare al proprio potere divenuto illegittimo e a riceverlo poi dalla Chiesa per così dire in feudo. La donazione era tale solo nella sua procedura esteriore: in realtà e dal punto di vista giuridico essa era per il papa l’accettazione di una restituzione94.
Egidio Romano, il più radicale degli ideologi curiali contemporanei, nel suo trattato di poco posteriore, il De ecclesiastica potestate (del 1302 circa)95, cita la donazione di Costantino tra le obiezioni dei suoi avversari, i quali accettavano esclusivamente spiritualiter, non temporaliter la subordinazione dei principi secolari al papa e alla Chiesa. Ciò costituirebbe un grave equivoco: vim argumenti non capiunt. L’ordine del mondo richiede, come si legge nella Lettera ai Romani e nello Pseudo-Dionigi Areopagita, che le autorità siano ripartite ordinatamente e che gli inferiori vengano sottoposti ai superiori attraverso i mediani. Qualora tuttavia la potestas laica del princeps non fosse soggetta alla Chiesa, ciò non corrisponderebbe all’ordine cosmico. Il mondo vivrebbe nel caos96.
Generalmente l’argomento costantiniano non incontrava presso i curiali un rifiuto così netto. Persino Giacomo da Viterbo, allievo di Egidio e suo successore alla facoltà teologica dell’ordine degli eremiti agostiniani di Parigi, trattò i testi con maggiore cautela, nonostante anche lui ritenesse che il reale rapporto tra papa e sovrani laici non dipendesse dalla donazione di Costantino il Grande. Nel suo I. Quodlibet (del 1293) Giacomo già pensava alla competenza papale nelle questioni secolari come a una primaria auctoritas, che egli faceva derivare direttamente da Dio97. Evidentemente non si poteva ricondurla a un dono imperiale. Nel trattato De regimine christiano98, con il quale Giacomo prese parte da Napoli (sempre nel 1302) al dibattito intorno a Bonifacio VIII, egli trattò solo marginalmente l’atto di donazione. Secondo l’opinione del Viterbese, Costantino compì la donazione allo scopo di dimostrare la propria sottomissione e devozione (come subiectionis et venerationis ostensio). Nell’ordinamento secolare tale atto poteva solo confermare l’antica supremazia papale su tutti i sovrani in forza del diritto divino. Giacomo lo riassume lapidariamente con «non auctoritatem contulit, sed reverentiam impendit»99. Ma per questo teologo la donazione diventa solo un rituale cerimoniale attribuibile allo ius humanum. Papa e Chiesa derivano la legittimazione a qualsiasi intromissione negli affari secolari dal diritto divino.
Non sostanzialmente diversa è la trattazione del problema da parte di Tolomeo da Lucca, Agostino da Ancona o Alvaro Pelagio. Tolomeo sia nella sua continuazione del frammento dello speculum principum di Tommaso d’Aquino, intitolato De regimine principum100, sia nella contemporanea Determinatio compendiosa101 si occupò di Costantino102. In entrambe le opere il lucchese si sofferma puntualmente sulla donazione imperiale, alla quale, ricorrendo a Innocenzo IV, nega qualsiasi rilevanza103.
Invece non si riscontra una simile svalutazione dell’atto di donazione imperiale tra coloro che criticavano l’intrusione papale nella politica ‘secolare’. Al contrario, come avvenimento ‘storico’, la donazione venne recepita molto seriamente. Raramente si ritiene che essa fosse opera di un falsario e mai lo si afferma con certezza. Gli interpreti non sono interessati tanto alla relazione strutturale tra papa e imperatore o principe, quanto piuttosto all’effettivo rapporto tra il papa in carica e l’Impero romano contemporaneo, dato che il potere temporale del sovrano doveva apparire nei suoi fondamenti legittimato autonomamente, e in nessun modo soggetto a un’interferenza o a un controllo determinati dal decreto costantiniano. Già la cosiddetta Quaestio in utramque partem104 – presentata anonima come perizia collettiva per la corte francese da un gruppo di docenti dell’università di Parigi – contiene considerazioni assai estesi sulla donazione costantiniana, finalizzati a indebolire le dimostrazioni canonistiche dei curialisti105. Dopo una ricapitolazione della tesi dei legisti (secondo la quale la donazione di Costantino non poteva avere effetto giuridico), viene attribuito un valore determinante all’affermazione che l’imperatore non poteva in alcun modo donare più dell’Impero romano occidentale, di cui la Gallia e la Francia in quel momento evidentemente non facevano parte106. Con la donazione il papa non poteva acquisire alcun diritto sui principi secolari e tanto meno poteva avere una signoria sul re di Francia. Egli poteva semmai derivare dalla donazione imperiale un diritto sulla città di Roma, ma non la sovranità sull’Impero che invece rimase a Costantino.
Nello stesso periodo (1302) Giovanni Quidort persegue un obiettivo del tutto simile con argomentazioni di gran lunga più elaborate nel suo trattato De potestate regia et papali107. Il teologo domenicano esordisce con la seguente questione: «videndum est quid possunt summi pontifices ex dono Constantini Magni imperatoris? […] ut melius videatur quid per donationem illam possit dominus papa praecipue super regem Franciae?»108. Egli esamina le fonti storiche, così come si presentano a Parigi nell’enciclopedia del suo confratello Vincenzo di Beauvais109. Quidort conclude in modo univoco: la donazione riguardava solo una parte (portio) dell’Impero romano, dalla quale la Gallia (ossia la Francia) era allora esclusa; la donazione secondo il parere dei legisti non poteva comunque avere validità giuridica; i franchi, detentori del potere regale, non furono mai sudditi dell’Impero romano; infine, il papa, indipendentemente da ciò, non ha alcuna autorità sul re di Francia, per il solo fatto che un papa non è un imperatore. E anche a volerglielo concedere, i franchi (ossia i francesi) si sono da tempo affrancati dall’imperatore romano in forza della prescrizione e dell’usucapionee lo sono usque ad dies istos110.
Quidort rifiuta le obiezioni a tale concezione avanzate dai giuristi, ovvero che contro il proprio sovrano non sia rivendicabile alcuna usucapione o prescrizione. Egli controbatte argomentando che oltre all’Impero romano esistevano gli antichi regni estinti di Ninive, dei cartaginesi e dei greci. Ciascuno di questi regni era stato legittimato da Dio al pari dell’Impero romano. Tuttavia i romani poterono rivendicare la loro libertà dall’Impero dei greci solo grazie alla prescrizione. Lo stesso varrebbe ora (per i francesi) nei confronti dei romani (e dei tedeschi).
Sulla donazione di Costantino, Quidort dichiara anche che «Deo displicuerit», perché «in donatione illa audita est vox angelorum in aere dicentium: hodie in ecclesia venenum effusum est»111. Qui il teologo scolastico Quidort sfrutta senza esitazione la leggenda delle voci angeliche, citata tra gli altri anche da Dante Alighieri e dai valdesi come arma contro il papa e la curia.
Poco meno di una generazione dopo, il conflitto tra papa Giovanni XXII e Ludovico di Baviera riportò la donazione costantiniana al centro del dibattito. Presso la curia ad Avignone si procedette alla stesura di voluminose compilazioni in cui si parlava anche della donazione di Costantino. Nella Summa de ecclesiastica potestate Agostino da Ancona ritorna più volte sulla donazione imperiale, finendo per considerare sempre la cessio o la resignatio individuata da Innocenzo IV112. In egual modo nemmeno nel giurista francescano Alvaro Pelagio si individuano sensazionali novità, dato che il De statu et planctu ecclesiae menziona ripetutamente come ovvia la lettura ‘curialista’ della donazione di Costantino113. Alvaro si riferisce espressamente all’Eger cui lenia114. In un altro punto il doctor decretorum bolognese e francescano respinge i dubbi dei legisti sulla validità della donazione115.
Dalla parte opposta s’individuano posizioni che avranno importanti conseguenze sul piano teorico. La trattazione della donazione costantiniana non è certo entusiasmante116. Nel suo Defensor pacis (terminato nell’estate del 1324 a Parigi) l’acuto polemista Marsilio da Padova cita la ‘storica’ donazione di Costantino per esporre come le rivendicazioni del papa e della Chiesa di Roma siano riconducibili agli uomini, e perciò anche derogabili dagli stessi. Egli si impegna a descrivere l’atto come irrilevante per il presente: «ex quodam edicto et dono quod quidam dicunt per Constantinum fuisse factum beato Silvestro Romano episcopo»117. La donazione dimostrerebbe che Costantino esercitava come imperatore un’effettiva sovranità sugli ecclesiastici118 (il che suggerirebbe la medesima autorità anche per l’imperatore Ludovico il Bavaro). Marsilio rimanda anche a ulteriori notizie tratte dalle decretali pseudoisidoriane per mettere in risalto la politica di Costantino verso la Chiesa cristiana119; egli cita tuttavia esplicitamente e ripetutamente il testo del Constitutum non da Graziano, ma dallo Pseudoisidoro, la cui raccolta di decretali egli definisce codex Ysidori, per cui con tutta evidenza si basa su un particolare manoscritto parigino120, forse per utilizzare una fonte storica più ‘antica’ rispetto a Graziano. Con ciò Marsilio sembra dimostrare una ‘tendenza storicizzante’121.
Marsilio bilancia le incongruenze tra le sue fonti storiche in modo dialettico o del tutto congetturale con ipotesi che gli paiono calzanti122. Lo evidenziano le notizie contraddittorie sulla concessione al vescovo di Roma del primato sulla Chiesa universale: basandosi sul Constitutum, Marsilio dimostra che Costantino aveva investito il papa di tale primato; tuttavia, secondo Martino Polonio, ciò era stato disposto solo tre secoli dopo dall’imperatore bizantino Foca (602-610). Quindi probabilmente – così Marsilio spiega non senza evidenti secondi fini politici la circostanza –, un imperatore romano aveva nel frattempo revocato la donazione di Costantino123. Esaminando nel dettaglio le notizie storiche dei testi, egli ne relativizza radicalmente l’importanza in relazione al presente: la storia è soggetta al suo intervento deciso. L’‘interesse storico’ dei canonisti trova così un’eco significativa anche in Marsilio. Giovanni XXII nella sua sentenza del 23 ottobre 1327 condannò una lista di cinque eresie di Marsilio124. Il richiamo del pontefice alla donazione imperiale non è particolarmente intenso, e tuttavia il papa individua nell’epoca di Costantino un momento storico significativo per la vicenda della Chiesa: solo a partire da questo imperatore sarebbe cessata la persecuzione della Chiesa. La donazione non autorizzerebbe però a far derivare da essa per l’imperatore alcuna autorità di insediare o di destituire il papa. Con la propria conversione al cristianesimo (e con il battesimo) Costantino era divenuto filius et subiectus del papa125. È evidente che qui si gioca con l’idea altomedievale del padrinato, ma ciò nel complesso non suscitò un’eco particolarmente significativa. La ‘sottomissione’ forniva una spiegazione giuridica molto più diretta, indipendente dal Constitutum o dalla sua interpretazione come ‘rinuncia’. Tuttavia, poiché questa sentenza di Giovanni XXII sulle eresie del Defensor pacis non entrò nelle successive raccolte di diritto canonico, non ebbe modo di influenzare le discussioni future.
Il dibattito ovviamente non terminò con Marsilio, poiché le sue interpretazioni continuarono ad avere risonanza126. Oltre alle discussioni provocate direttamente o indirettamente da lui, anche altri autori attinsero al Constitutum. Nel 1339 il canonista Lupoldo di Bebenburg pubblicò il suo scritto De iuribus regni et imperii127, con cui, fornendo una teoria compiuta fondata su prove storiche, intendeva chiudere le controversie ancora irrisolte tra la curia e la corte tedesca e confutare le rivendicazioni curiali della supremazia papale sull’imperatore romano e sul suo regno. Lupoldo si occupa a fondo della donazione costantiniana dedicandole quasi un intero capitolo del proprio trattato peraltro non particolarmente voluminoso128. La sua analisi si concentra sulle sue diverse interpretazioni. In alternativa all’interpretazione curiale, che parla della cessio dell’Impero a Silvestro da parte di Costantino, egli presenta ben quattro modelli esplicativi: la prima opinione «quorundam theologorum et eciam aliquorum canonistarum» che la donazione non sarebbe stata realmente una donazione «sed pocius quedam cessio et recognicio alieni iuris», indurrebbe alla conclusione che l’imperatore d’Occidente e gli imperatori bizantini e tutti i sovrani orientali e occidentali dalle origini della chiesa primitiva fino all’epoca contemporanea avrebbero esercitato il loro potere in modo illegittimo, a meno di ammettere di avere ottenuto i loro diritti di sovranità dalla Chiesa romana. Tale affermazione sarebbe tuttavia di una gravità palese. Inoltre, la dipendenza diretta della Chiesa romana da Dio significherebbe necessariamente che essa non sarebbe soggetta ad alcuna prescrizione, ma ciò sarebbe un errore.
Lupoldo cita come seconda interpretazione la tesi, difesa da ‘quasi tutti i canonisti’, che la donazione sia giuridicamente valida e irrevocabile. Qualora quest’affermazione risultasse corretta, anche quei sovrani che de facto non intendevano riconoscere l’imperatore come supremo signore, ossia i sovrani della penisola iberica, di Francia e degli altri Stati dell’Europa occidentale, sarebbero stati costretti a far derivare la propria sovranità dal papa. Andrebbe tuttavia ricordato che fino ad allora i papi non si erano immischiati nella politica di quei paesi e avevano quindi di fatto già rinunciato spontaneamente alla loro competenza.
La terza opinione, sostenuta da Accursio, parte dal concetto che la donazione di Costantino non potesse acquisire alcuna validità giuridica. Se ciò fosse esatto l’imperatore non sarebbe obbligato a fare giuramento di fedeltà al papa.
La quarta opinione, infine, sostiene che Costantino nel testo non avesse consegnato alla Chiesa di Roma genericamente tutti i regni e le province d’Occidente, ma avesse piuttosto scelto con pio rispetto il papa come ‘padre’ (spirituale)129 per farsi da lui benedire e raccomandare a Dio con le sue preghiere. Egli gli avrebbe ceduto la sede imperiale a Roma e avrebbe trasferito la propria a Bisanzio. Se questa affermazione è fondata, sostiene Lupoldo, non potremmo in alcun modo considerare il relativo canone contenuto nel decreto di Graziano una norma giuridica valida, ma dovremmo definirlo palea, ossia un testo che merita poco credito130. Lupoldo richiama così velatamente ma chiaramente l’attenzione sul fatto che l’interpretazione papale del Constitutum porterebbe necessariamente alla svalutazione dell’autorità, avvalorando, si potrebbe quasi dire, un sospetto di falsificazione.
Alla fine Lupoldo non intende avvalorare alcuna di queste interpretazioni, ma lo lascia fare a «coloro che sono più grandi di me» (meis maioribus)131. Evidentemente egli non attribuiva grande importanza a quanto era esattamente accaduto a quel tempo a Roma tra l’imperatore e il papa, a meno che quest’ultimo non intendesse derivarne rivendicazioni infondate sul proprio rapporto con il re dei romani e sovrano tedesco, aspirante al titolo di imperatore. Tali pretese possono essere efficacemente respinte utilizzando i modelli esplicativi da lui offerti. Nell’esercitare la propria sovranità, l’imperatore non dipende in alcun modo dal papa e non è obbligato a prestare al pontefice alcun giuramento vassallatico, né il suo dominio sulla Germania è soggetto all’approvazione papale. Qualora ciò sia dimostrato non è necessario alcun ulteriore chiarimento sulla donazione costantiniana, che potrebbe essere lasciata tranquillamente al giudizio degli esperti. Nella propria critica alla donazione questo giurista non giunge a dimostrarne la falsità: non reprime però i suoi dubbi, pur senza senza esporli nel dettaglio.
Nel vivace scambio con Lupoldo di Bebenburg132 il teologo francescano inglese Guglielmo di Ockham, esule assieme a Marsilio alla corte di Ludovico il Bavaro, fornisce un ulteriore esempio di esame della donazione costantiniana in chiave filoimperiale. Ockham si è occupato ripetutamente della Constitutio Constantini dopo aver approfondito le interpretazioni di Marsilio da Padova e di Lupoldo di Bebenburg133. Il testo in cui le attacca con maggiore puntualità è il suo Breviloquium (1342 circa). Purtroppo questo scritto si è conservato solo come frammento e probabilmente non fu mai completato. Sopravvissuto in un unico manoscritto, il testo si interrompe proprio nel mezzo dell’analisi dell’autenticità e della validità della donazione costantiniana, troncando la frase e la pagina del codex unicus. Dopo aver citato letteralmente l’intero Constitutum secondo il decreto di Graziano, Ockham fa una dettagliata presentazione dell’affermazione (assertio) di ‘alcune persone’, secondo le quali questo testo, in base all’insieme delle regole della dottrina aristotelica sulle conclusioni logiche, non avallerebbe in alcun modo l’interpretazione papalista. Infine il francescano inglese si accinge a esporre il sanus intellectus del documento, ma non giunge a esprimersi in modo esauriente. All’inizio dell’interpretazione il testo si interrompe. Tuttavia in altre opere la chiarezza non manca. Nello scritto principale, il Dialogus, dopo una lunga citazione del Constitutum, Ockham fa concludere bruscamente al magister:
Ex his verbis colligitur, quod Constantinus non assignavit pape imperium tanquam non habens potestatem legitimam recipiendi imperium et quod antea non habuisset verum imperium, sed ex devotione et imperiali munificentia concessit ei ea, de quibus in predictis verbis et ab aliis ibidem, ut scilicet de omnibus temporalibus, de quibus mentio fit, papa Silvester nihil habuit, nisi ex dono Constantini, non ex resignatione alicuius prius iniuste detenti. Nec unquam Constantinus fatebatur, quod ante baptismum non habuerit verum imperium134.
Una puntuale negazione delle tesi curialiste. Ockham non riesce certamente a eliminare tutti i dubbi sulla validità legale e sull’autenticità del documento, tuttavia in seguito si adopera a conferire al testo un senso che concili il rapporto di poteri tra imperatore e papa, che lui ha individuato seguendo un percorso affatto diverso. Il francescano inglese si accinge a questo compito mettendo in campo un intenso sforzo interpretativo. Egli legge puntigliosamente e interpreta il testo in modo tanto limitativo da non consentire alcuna deduzione circa la sovranità del papa sui regnanti dell’Europa occidentale, né tanto meno sull’imperatore.
Ockham si mostra impegnato a utilizzare qualsiasi aiuto gli provenga dalle scienze del testo della scolastica. Tutti questi sforzi metodicamente controllati portano alla conclusione che il testo non sia in grado di dimostrare la sottomissione dei sovrani temporali al papa. In un altro punto del suo Dialogus egli rifiuta altresì espressamente quell’interpretazione della donazione che nell’atto di Costantino voleva vedere solo la rinuncia a un’usurpazione tirannica a beneficio di una nuova concessione del potere imperiale da parte del papa su mandato divino135. Poi per diversi capitoli e molte pagine gli interlocutori si accingono a demolire con acutezza e implacabilità la teoria papale-curiale, ma di Costantino e della sua donazione si parla solo marginalmente.
Ockham e Lupoldo di Bebenburg avanzano dubbi sul testo della donazione costantiniana, ma ancora non la condannano definitivamente all’ambiguità del sospetto di falsificazione. I critici delle rivendicazioni papali si erano nel frattempo abituati ad attaccare aspramente non solo il testo dell’atto di donazione, bensì anche il papa che occupava il soglio di Pietro. A tal fine non era necessario riconoscere il falso come tale. Francesco Petrarca ci fornisce di seguito un esempio caratteristico:
O inconsulte princeps ac prodige! Nesciebas quantis laboribus constaret imperium, quod tam facile dispergebas? Solent stulti adulescentes a patribus quesita prodigere, nempe ignari unde vel qualiter parta sint, si quidem indigentie ac laborum recordatio magnum prodigalitati ac lascivie frenum ponit. At tu senex, quid agebas? Ubi eras? Si videri munificum delectabat, de proprio largireris, tuam donasses, imperii hereditatem quam curator acceperas, successoribus integram reliquisses. Nescio quidem an potueris, sed fecisti ut ad has tunc humiles, nunc superbas manus heu longe aliis manibus fundati status administratio perveniret. De quo non illepide iocans quidam ait:
Roma, tibi fuerant servi domini dominorum, servorum servi nunc tibi sunt domini.
Pol, ego tecum multa loqui habeam, si facultas detur. Sed an hec audias ignoro, et certe si audias frustra sit. Fecisti enim quod neque si redeas mutare possis; instaurator fundatori quam eversori similior sit oportet136.
L’invettiva contro Costantino è tratta dal XVII testo della raccolta di lettere Sine nomine137 (compilata definitivamente verso il 1359). Petrarca non nomina espressamente l’imperatore, tuttavia i suoi contemporanei capivano immediatamente chi si nascondeva sotto il princeps tanto duramente biasimato. Un manoscritto italiano che risale al XIV secolo riporta la glossa marginale Invectiva contra Constantinum imperatorem138. I lettori non avevano dubbi su chi venisse tanto criticato. Ovviamente Petrarca non dubitava ancora che la donazione, così come era riportata nel testo del finto atto, fosse realmente avvenuta. Se egli attinge al dibattito intercorso prevalentemente tra i giuristi, tuttavia ben maggiore è l’energia con cui mette in discussione il diritto di Costantino di effettuare una simile ‘donazione’, non solo per motivi giuridici, ma soprattutto per motivi morali. I papi, che a partire da Gregorio Magno si fregiavano nelle loro missive del titolo di servus servorum Dei, vengono ammoniti a evitare di trasformare una tale pia modestia in una pretesa di sovranità prima di allora inconcepibile. Applicando loro un’espressione biblica e capovolgendo le argomentazioni, Petrarca li ammonisce a non elevarsi a ‘signori dei signori’ (cfr. Sal 135,3). Omettendo di citarli, egli si richiama a giuristi della curia avignonese del tempo139. Con piglio ironico ammonisce la città di Roma riprendendo versi maldestri, allora assai diffusi140. Petrarca trasforma in eleganti versi latini l’esametro di un distico (a uso mnemonicoper i giuristi) prosodicamente problematico, con ciò conferendo al testo un accento critico tutto nuovo contro la sete di dominio del papa, non senza rammentare l’antica grandezza ormai tramontata della Roma senza i papi. Il testo da lui perfezionato in senso umanistico vive del confronto di un presente riprovevole con l’antica magnificenza. Invece i giuristi si mantennero ancora nella scia di posizioni critiche: nel XV secolo diversi giuristi scoprirono che l’atto di donazione non poteva essere stato redatto in quella forma: il testo non era quindi una donazione priva di validità, bensì un falso. I primi a riconoscerlo furono i canonisti Raffaele de Fulgosiis (morto nel 1427) e il suo allievo di allora Niccolò Cusano (morto nel 1456)141, così come il teologo inglese Reginald Pecock142, tutti presenti ai grandi concili riformatori del XV secolo. Cusano, ad esempio, nella sua Concordantia catholica (terminata nel 1433)143 documentava con metodo storico-critico l’assenza nelle fonti autentiche coeve alla donazione di notizie su di essa144. Poco più di un decennio dopo tale giudizio, Lorenzo Valla dimostrò in via definitiva con l’utilizzo della critica umanistico-filologica che «il presunto atto dell’imperatore Costantino, ritenuto erroneamente una donazione», era un falso145. Agli inizi del XVI secolo seguì la conferma definitiva di Ulrich von Hutten, di Martin Lutero e della successiva polemica confessionale protestante146, e più tardi, con maggiore o minore indignazione nel XIX e nel XX secolo, della storiografia critica, nonostante in ambiente curiale ci fosse la volontà, ben oltre Lorenzo Valla, di difendere la credibilità della donazione147.
Non ci soffermeremo su tali dibattiti. Abbiamo visto come il tema della donazione costantiniana fosse stato ripreso più volte nel corso dei secoli, e non per chiarire in senso storico-analitico ciò che era realmente accaduto a Roma nel IV secolo. Non si trattava affatto di un ricordo distorto, la cui interpretazione fosse stata faticosa o non automatica. L’intenzione per lo più era quella di interrogare rispetto alla propria situazione una tradizione esistente sia in forma orale come leggenda, sia in forma scritta in compilazioni di frammenti testuali di carattere giuridico. In altri termini: autori molto diversi in tempi diversi volevano chiarire la propria situazione a sé stessi e al loro pubblico basandosi su quel testo. Era possibile così ottenere un parere positivo, negativo o dubitativo in risposta a qualunque domanda sulla veridicità storica delle affermazioni contenute nel presunto atto di donazione e lo si poteva esporre con diverse modalità, gradazioni e obiettivi argomentativi. La lunga storia interpretativa non si nutre della crescente distorsione del ricordo, bensì dell’evoluzione delle problematiche contemporanee, per le quali si consultava il testo tradizionale e si utilizzava l’interpretazione in modo opportuno. Ci troviamo di fronte alla storia di una ricezione – si può riassumere così l’esito della nostra indagine sui testi – che presuppone da parte dei recettori attività e spontaneità sempre nuove, e non di fronte a una semplice sequenza di tradizioni (per quanto singole parti di tali sequenze possano essere divenute efficaci) generate con l’andare del tempo collegandosi a modelli precedenti. La donazione costantiniana ci fornisce in tal senso un esempio di trattazione medievale della tradizione e ci consente di gettare uno sguardo sul rapporto con il passato che può esserci estraneo, ma che per noi ha un valore ricordare.
1 De consideratione ad Eugenium papam, in Sancti Bernardi Opera, III, Tractatus et opuscula, ed. by J. Leclercq, H.M. Talbot, Romae 1963, 4,3,6. Tra gli studi dell’autore sulla donazione costantiniana: J. Miethke, Die Konstantinische Schenkung im Verständnis des Mittelalters, Umrisse einer Wirkungsgeschichte, in Konstantin der Große, Geschichte – Archäologie – Rezeption, hrsg. von A. Demandt, J. Engemann, Trier 2007, pp. 259-272; Id., La donazione di Costantino e la controversia pubblicistica tra papa e imperatore nel XIV secolo, in Costantino il Grande tra medioevo ed età moderna, a cura di G. Bonamente, G. Cracco, K. Rosen, Bologna 2008, pp. 51-79; Id., Die Konstantinische Schenkung in der mittelalterlichen Diskussion, Ausgewählte Kapitel einer verschlungenen Rezeptionsgeschichte, in Konstantin der Große, Das Bild des Kaisers im Wandel der Zeiten, hrsg. von A. Goltz, H. Schlange-Schöningen, Köln-Wien 2008, pp. 35-108; Id., Un debate alemão a respeito do Constitutum Constantini no século XIV: Lupold de Bebenburg e a pretensão papal ao domínio universal, in Idade Média: tempo do mundo, tempo dos homens, tempo de Deus, ed. por J.A. de Camargo Rodrigues de Souza, Porto Alegre 2006, pp. 498-506 (nelle pagine seguenti ci sono riferimenti a questi lavori che non verranno segnalati singolarmente). Ringrazio vivamente Alberto Cadili per la traduzione italiana del mio testo.
2 H. Fuhrmann riporta un’ampia bibliografia in Theologische Realenzyklopädie, VIII, Berlin-New York 1981, pp. 196-202; cfr. Id., Konstantinische Schenkung, in Lexikon des Mittelalters, V, Turnhout 1991, pp. 1385-1387.
3 Tra questi due estremi cronologici si collocano gli attuali tentativi di datazione. Gli studi principali sono: G. Laehr, Die Konstantinische Schenkung in der abendländischen Literatur des Mittelalters bis zur Mitte des 14. Jhs., Berlin 1926; D. Maffei, La donazione di Costantino nei giuristi medievali, Milano 1964; M. Conetti, L’origine del potere legittimo: spunti polemici contro la donazione di Costantino da Graziano a Lorenzo Valla, Parma 2004; infine J. Fried, Die langen Schatten des schwachen Herrschers. Ludwig der Fromme, die Kaiserin Judith, Pseudoisidor und andere Personen in der Perspektive neuer Fragen, Methoden und Erkenntnisse, in Historische Zeitschrift, 284 (2007), pp. 103-136; Id., Donation of Constantine and Constitutum Constantini: the Misinterpretation of a Fiction and ist Original Meaning, Berlin-New York 2007, si rimanda alla recensione di Miethke in http://hsozkult.geschichte. hu-berlin.de/rezensionen/2007-3-159 (25 gen. 2013), e a quella di G. Bowersock, in Church History and Religious Culture, 88 (2008), pp. 623-625. Si veda ora anche J. Fried, Die konstantinische Schenkung, in Die Welt des Mittelalters. Erinnerungsorte eines Jahrtausends, hrsg. von J. Fried, O.B. Rader, München 2011, pp. 295-311, 515-517.
4 La complessa tradizione del battesimo di Costantino è trattata accuratamente da M. Amerise, Il battesimo di Costantino il Grande. Storia di una scomoda eredità, Stuttgart 2005. Su Ottone di Frisinga si veda l’analisi (problematica) di J. Fried, Donation, cit., pp. 12 e 15.
5 L’edizione di riferimento è Constitutum Constantini, hrsg. von H. Fuhrmann, Hannover 1968, consultabile anche in rete www.dmgh.de (25 gen. 2013). Una descrizione critica soprattutto dei manoscritti impiegati a suo tempo da Paul Hinschius per la sua edizione in S. Williams, Codices Pseudo-Isidoriani. A Paleographico-Historical Study, New York 1971 (con una descrizione anche delle stampe prima dell’edizione critica, pp. 97-121).
6 Theologische Realenzyklopädie,VIII, cit., pp. 196-202; H. Fuhrmann, Konstantinische Schenkung, pp. 1385-1387. Ulteriori falsificazioni medievali su Costantino si trovano in W. Maaz, Konstantin der Große, in Enzyklopädie des Märchens, hrsg. von R.W. Benich, VIII, Berlin-New York, 1996, pp. 193-210, in partic. 195 segg.
7 Constitutum Constantini, hrsg. von H. Fuhrmann, cit., §1, pp. 56 segg. e §14, p. 87.
8 Constitutum Constantini, hrsg. von H. Fuhrmann, cit., §14, p. 87, l. 221; §16, pp. 91 segg., ll. 249-261.
9 Constitutum Constantini, hrsg. von H. Fuhrmann, cit., §17, p. 93 segg.
10 Constitutum Constantini, hrsg. von H. Fuhrmann, cit., §18.
11 F. Raspanti, Ipotesi per una cronologia della ‘Donazione di Costantino’ (757-772), in Pensiero politico medievale, 2 (2004), pp. 177-187, in partic. 187. Una datazione analoga si trova anche in E.D. Hehl, 798 – Ein erstes Zitat aus der Konstantinischen Schenkung, in Deutsches Archiv für Erforschung des Mittelalters (DA), 47 (1991), pp. 1-18.
12 F. Hartmann, Hadrian I. (772-795), Stuttgart 2006, in partic. pp. 22, 182-195, 298.
13 J. Fried, Donation, cit.
14 J. Fried, Der Schleier der Erinnerung, Grundzüge einer historischen Memorik, München 2004, p. 365.
15 È classica l’analisi di W. Levison, Konstantinische Schenkung und Silvesterlegende, in Miscellanea Francesco Ehrle II, Città del Vaticano 1924, pp. 159-247, ora in Id., Aus rheinischer und fränkischer Frühzeit, Düsseldorf 1948, pp. 390-465 (cfr. anche ivi, pp. 466-472); si veda W. Pohlkamp, Tradition und Topographie: Papst Silvester I. (314-335) und der Drache vom Forum Romanum, in Römische Quartalschrift, 78 (1983), pp. 1-100; Id., Privilegium ecclesiae Romanae pontifici contulit. Zur Vorgeschichte der Konstantinischen Schenkung, in Fälschungen im Mittelalter, II, Gefälschte Rechtstexte. Der bestrafte Fälscher, Hannover 1988, pp. 413-490; Id., Textfassungen, literarische Formen und geschichtliche Funktionen der römischen Silvester-Akten, in Francia, 19,1 (1992), pp. 115-196.
16 Il testo è disponibile finora solo nell’edizione di un umanista milanese del XV secolo: Boninus Mombritius, Sanctuarium seu Vitae Sanctorum, s.l., s.d. (Milano 1479/1480 circa), di cui è stata utilizzata qui l’edizione Boninus Mombritius, Sanctuarium seu Vitae Sanctorum, a cura di H. Quentin, A. Brunet, II, Paris 1910 (rist. 1978), pp. 508-531. Si è tentata più volte l’edizione critica senza arrivare a oggi a risultati definitivi. Per la storicità del battesimo di Costantino si veda M. Amerise, Il battesimo, cit.
17 N. Huygebaert, La Donation de Constantin ramené à ses véritables dimensions, in Revue d’histoire ecclésiastique, 71 (1976), pp. 45-69; Id., Une légende de fondation. Le Constitutum Constantini, in Le Moyen Age, 85 (1979), pp. 177-209.
18 P. de Leo, Il Constitutum Constantini: compilazione agiografica del secolo VIII. Note e documenti per una nuova lettura, Reggio Calabria 1974.
19 La più antica versione del testo di Fuhrmann è quella da lui definita ‘versione franca’: Constitutum Constantini, hrsg. von H. Fuhrmann, cit., pp. 20-22.
20 Un’edizione datata è di P. Hinschius, Decretales Pseudo-Isidorianae et Capitula Angilrami, Leipzig 1863, il Constitutum Constantini a pp. 249-254 (sui manoscritti usati cfr. S. Williams, Codices Pseudo-Isidoriani, cit.); K.-G. Schon in collaborazione con K. Zechiel Eckes hanno messo in linea il Projekt Pseudoisidor – www.pseudoisidor.mgh.de/html/068.htm (25 gen. 2013) – che tuttavia non è ancora in edizione definitiva.
21 Si veda l’opera monumentale di H. Fuhrmann, Einfluß und Verbreitung der pseudoisidorischen Fälschungen, 3 voll., Hannover 1972-1974, una sintesi si trova ora anche nella ‘introduzione’ di K.-G. Schon in Projekt Pseudoisidor, cit., http://www.pseudoisidor.mgh.de/html/uberblick_uber_die_falschungen.htm (25 gen. 2012).
22 Per una breve rassegna dello stato delle ricerche si veda H. Fuhrmann, Pseudoisidorische Dekretalen, in Lexikon des Mittelalters, V, cit., pp. 307-309. Maggiori dettagli in Id., The Pseudo-Isidorian Forgeries, in History of Medieval Canon Law, hrsg. von W. Hartmann, K. Pennington, II, Papal Letters in the Early Middle Ages, Washington 2001, pp. 135-195, in partic. 163 segg.; cfr. P. Landau, Gefälschte Rechtstexte. Der bestrafte Fälscher, in Fälschungen, II, cit., pp. 11-49, in partic. 20-22.
23 K. Zechiel Eckes, Ein Blick in Pseudoisidors Werkstatt, in Francia, 28 (2001), pp. 37-90.
24 Per un elenco provvisorio e puramente indicativo (di 105 manoscritti) cfr. G. Sohn, Projekt Pseudoisidor, in www.pseudoisidor.mgh.de/html/Handschriftenverzeichnis.html (25 gen. 2013).
25 Classica l’esposizione di P. Fournier, G. Le Bras, Histoire des collections canoniques en occident, Paris 1931. Cfr. le sintesi di L. Kéry, Dekretalenrecht zwischen Zentrale und Peripherie, in Römisches Zentrum und kirchliche Peripherie. Das universale Papsttum als Bezugspunkt der Kirchen von den Reformpäpsten bis Innozenz III., hrsg. von J. Jorendt, H. Müller, Berlin-New York 2008, pp. 19-45; Id., Canonical collections of the early Middle Ages (ca. 400-1140). A Bibliographical Guide to the Manuscripts and Literature, Washington 1999; si veda anche l’edizione con CD-ROM di L. Fowler-Magerl, Kanones. Ausgewählte Kanones-Sammlungen außerhalb Italiens zwischen 1000 und 1140, Piesenkofen 1998.
26 Per una ricostruzione affidabile si veda J. Petersmann, Die kanonistische Überlieferung des Constitutum Constantini bis zum Dekret Gratians, in Deutsches Archiv für Erforschung des Mittelalters, 30 (1974), pp. 356-449, in partic. 360-367.
27 H.J. Berman, Law and Revolution, I, The Formation of the Western Legal Tradition, Cambridge (MA) 1983.
28 Si veda l’elegante sintesi di H. Fuhrmann, Das Reformpapsttum und die Rechtswissenschaft, in Investiturstreit und Reichsverfassung, hrsg. von J. Fleckenstein, Sigmaringen 1973, pp. 175-203.
29 Dettagli in J. Petersmann, Überlieferung, cit., pp. 361-362, 368-389.
30 J. Miethke, Rituelle Symbolik und Rechtswissenschaft im Kampf zwischen Kaiser und Papst, in Ein gefüllter Willkomm. Festschrift für Knut Schulz, hrsg. von F.J. Felten, S. Irrgang, K. Wesoly, Aachen 2002, pp. 91-125, in partic. 105-106 e 111-112.
31 Su questo punto concorda R. Deutinger, Sutri 1155, Mißverständnisse um ein Mißverständnis, in Deutsches Archiv für Erforschung des Mittelalters, 40 (2004), pp. 97-133, in partic. 121-122 e nota 69. Nell’archivio papale non è comunque mai esistito un ‘esemplare’ del Constitutum. I curiali verosimilmente estrassero dalla bisaccia una raccolta che comunque conteneva anche il Constitutum: forse le decretali pseudoisidoriane, certamente non un esemplare del Decretum di Graziano, che allora non conteneva ancora le paleae D.96 cc.13-14.
32 Constitutum Constantini, hrsg. von H. Fuhrmann, cit., §16, pp. 92-93, ll. 253-260.
33 J. Miethke, Wissenschaftliche Politikberatung im Spätmittelalter, in Theoretische Reflexion in der Welt des späten Mittelalters, hrsg. von M. Kaufhold, Leiden-Boston 2004, pp. 337-357, in partic. 340-343.
34 G. Dolezalek, La pecia e la preparazione dei libri giuridici nei secoli XII-XIII, in Luoghi e metodi di insegnamento nell’Italia medioevale (secoli XII-XIV), a cura di L. Gargang, O. Limone, Galatina 1989, pp. 201-217, in partic. 205.
35 Un solo esempio in merito: nel suo Specchio sassone terminato nel 1226 l’autore (Eike von Repgow) deriva sicuramente la propria conoscenza della donazione costantiniana dal decreto di Graziano: P. Landau, Der Entstehungsort des Sachsenspiegels. Eike von Repgow, Altzelle und die anglo-normannische Kanonistik, in Deutsches Archiv für Erforschung des Mittelalters, 61 (2005), pp. 73-101, in partic. 90.
36 Per la vicenda redazionale del Decretum Gratiani con datazioni nuove e la dimostrazione di una doppia redazione cfr. A. Winroth, The Making of Gratian’s Decretum, Cambridge 2000. Anteriormente, per le fonti e per l’orientamento della raccolta (una sintesi datata dello stato delle ricerche), cfr. P. Landau, Gratian von Bologna, in Theologische Realenzyklopädie, cit., XIV, pp. 124-130.
37 Non ci si sofferma qui sul problema se la seconda redazione sia effettivamente opera di Graziano o di un redattore a noi sconosciuto, come ipotizza Winroth. La soluzione, a nostro parere più semplice, è credere alla tradizione scolastica medievale, che Graziano stesso abbia completato il Decretum. Non esiste alcuna fonte che lo confuti.
38 Il conteggio in J. Rambaud-Buhot, Le legs de l’ancien droit: Gratien, in G. Le Bras, C. Lefèbvre, J. Rambaud, L’Âge classique, 1140-1378, Paris 1965, p. 51 e nota 1 (i frammenti di testo sarebbero esattamente 3823, «si nos calculs sont exacts»).
39 In base alla cifra iniziale (le quasi quattromila autorità) l’integrazione si aggira intorno al 4%.
40 Per le paleae cfr. la definizione in Charles Du Fresne sire Du Cange, Glossarium mediae et infimae Latinitatis, bearb. von G.A.L. Henschel, editio nova L. Favre, Paris 1883-1887, VI, c. 107: «Palea, vox quae praeponitur ut titulus quibusdam capitibus Decretorum Gratiani, ut notetur additicia esse nec a Gratiano primitus illi libro inserta […], aiunt Paleam fuisse discipulum Gratiani, cui capita haec adjecerit» (con rimando ai commenti della Editio Romana del XVI secolo del Corpus Iuris Canonici). Si veda A. Vetulani, Über die Distinktioneneinteilung und die Paleae im Dekret, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte: Kanonistische Abteilung, 22 (1933), pp. 346-369; J. Rambaud-Buhot, Les paleae dans le Décret de Gratien, in Proceedings of the Second International Congress of Medieval Canon Law, (Boston 12-16 August 1963), Città del Vaticano 1965, pp. 23-44; H. Zapp, Paleae-Listen des 14. und 15. Jhs., in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte: Kanonistische Abteilung, 59 (1973), pp. 83-111. Una lista di non meno di 149 paleae (del XII secolo) si trova in J. Rambaud, Le legs de l’ancien droit, cit., p. 109 (Constitutum §§59-60); ora una lista aggiornata in R. Weigand, Versuch einer neuen, differenzierten Liste der Paleae und Dubletten im Dekret Gratians, in Life, Law and Letters, Historical Studies in Honour of Antonio García y García, ed. by P. Linehan, II, Rom 1998, pp. 883-893 (Constitutum §§60-61).
41 Le parti corrispondenti tratte dalla Summa del Decreto di Uguccione (non completata prima del 1188) furono raccolte da F. Gillmann, Paucapalea und paleae bei Huguccio, in Archiv für katholisches Kirchenrecht, 88 (1908), pp. 466-479, in partic. 467 (ora in edizione aggiornata con le opere postume dell’autore in Id., Gesammelte Schriften zur klassischen Kanonistik, hrsg. von R. Wiegand, I, Würzburg 1988, n. 7). Si tratta della Summa di Uguccione al C.11 q.3 c.34, s.v. presbiteri, e al C.27 q.2 c.51, s.v. duobus (ms. Monac. 10247, ff. 214vA e 236rA). Anche il canonista francescano portoghese Alvaro Pelagio (morto nel 1350) gioca con tale espressione: Alvarus Pelagius, De statu et planctu ecclesiae, I 13, (nell’edizione di Lione del 1519 di Iohannes Clein, f. 3rA F) citato dalla ristampa di M. Pinto de Meneses, I, Lisbona 1988, p. 358: «Facit optimum argumentum XCVI dist., Constantinus [= D.96 c.13 e 14, ossia il Constitutum] quae palea est, sed ecclesia habet pro grano».
42 Alcune riflessioni in J. Petersmann, Kanonistische Überlieferung, cit., pp. 391-392.
43 D. Maffei, Donazione, cit., pp. 33 segg., e J. Petersmann, Kanonistische Überlieferung, cit., pp. 393 segg., hanno osservato che le prime summe di decretali di Rufino o di Stefano di Tournai (e quella dello stesso Paucapalea intorno al 1160-1170) non utilizzarono (ancora) il Constitutum. Anche la ‘rielaborazione’ del Decretum Gratiani da parte del cardinale Laborans, iniziata nel 1162 e conclusasi nel 1182, non contiene il Constitutum Constantini, cfr. N. Martin, Die Compilatio Decretorum des Kardinal Laborans, Eine Umarbeitung des gratianischen Dekrets aus dem 12. Jh., in Proceedings of the Sixth International Congress of Medieval Canon Law (Berkeley California 28 July-2 August 1980), ed. by S. Kuttner, K. Pennington, Rom 1985, I, pp. 11-12, 144-156; II, p. 68. Quindi nell’esemplare del Decretum Gratiani utilizzato dal Laborans (che già conteneva almeno 45 delle 149 paleae della lista di Rambaud: cfr. N. Martin, Die Compilatio, I, cit., p. 154) mancava ancora il Constitutum. Di regola il ‘culmine’ delle paleae è fissato intorno al 1180, cfr. H. Zapp, Paleae, in Lexikon des Mittelalters, cit., VI, p. 1635.
44 J. Petersmann, Kanonistische Überlieferung, cit., p. 390. Un’edizione critica della ‛famiglia di testi giuridico-canonistici’ in ivi, pp. 418-445.
45 Ciò fornì l’occasione agli eruditi della prima era moderna di lodare un’edizione del Constitutum indipendente dalla versione della palea, cfr. Constantini Magni Imperatoris donatio Sylvestro papae Romano scripta, non ut a Gratiano truncatim, sed integre edita, cum versione Graeca duplici, Theodori Balsamonis, Patriarchae Antiocheni, & Matthaei Blastaris iurisconsulti Graeci commentariis amplissimis illustrata, ed. by M. Freher, Heidelbergae 1612.
46 Cfr. in particolare D. Maffei, Donazione, cit. e M. Conetti, L’origine del potere legittimo, cit.
47 Cfr. P. Fiorelli, s.v. Accursio, in Dizionario Biografico degli Italiani, I, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1960, pp. 121-122; inoltre P. Weimar, s.v. Accursius, in Juristen. Ein biographisches Lexikon, hrsg. von M. Stolleis, München 2001, pp. 18-19.
48 Glossa ordinaria a Novell. Iust. 6 pr., citata da D. Maffei, Donazione, cit., pp. 66-67.
49 Una famosa eccezione è quella di Baldo degli Ubaldi, che non considera la donazione nulla, ma la definisce miraculosa (forse per andare incontro all’argomento dell’‘enormità’ della stessa). Nel dettaglio si veda D. Maffei, Donazione, cit., pp. 193-207, e J. Canning, The Political Thought of Baldus de Ubaldis, Cambridge 1987, pp. 47-55.
50 Si veda la sintesi di S. Kuttner, Johannes Teutonicus, in Neue Deutsche Biographie, 10 (1974), pp. 571-573; in breve J. Müller, s.v. Johannes Teutonicus, in Juristen, cit., pp. 339-340.
51 Cfr. in particolare D. Maffei, Donazione, cit., pp. 56-58.
52 Glos. a D.63 c.30 [Ego Ludovicus] s.v. viculis: «nec posset imperator illam donationem revocare, nam dicit lex, quod sola immensitas est mensura rerum donatarum in ecclesia [Cod. I 2 (5),14]. Immo nec concedit hic, sed concessa confirmat, nam omnia haec et alia plura iam prius fuerant ecclesiae concessa, infra 96 di. Constantinus [D.96 c14 = Constitutum Constantini]. Praeterea quia imperator potest alienare res imperii [Dig. XXX 39,(40),10]. Item quia per hanc concessionem non laedit imperium, ex quo res vadit ad primum statum [Dig. II 27,(28),2; D.35 c.2], non obstat [C.12 q.2 c.20], quia ille non poterat legem imponere suo successori, Jo».
53 Cfr., solo ad esempio, Johannes de Deo (cfr. D. Maffei, Donazione, cit., pp. 82-88), l’Ostiense (Ivi, pp. 88-90), Giovanni da Imola (morto nel 1436) o Antonio da Budrio (morto nel 1408) citato da M. Conetti, L’origine del potere legittimo, cit., pp. 188-190. Successivamente il doctor decretorum Niccolò Cusano accennerà con la massima cautela alla ‘insolubilità’ della questione della facoltà da parte dell’imperatore di concedere una simile donazione, della quale si mostra altrettanto convinto, prima di smascherare l’atto come un ‘falso’, cfr. Nicolai de Cusa, De concordantia catholica libri tres, III, ed. G. Kallen, Hamburg 1963, p. 329, §295: «praesupponens hoc etiam indubitatum esse Constantinum talem donationem facere potuisse, quae tamen quaestio nec soluta hactenus nec solvetur verisimiliter umquam».
54 La versione definitiva della Glossa ordinaria stabilisce lapidariamente nel Casus a D.96 c.13: «Palea ista non legitur in scholis» (qui citato dall’edizione di Venezia 1584, p. 623); questo spiega esaurientemente l’assenza di una glossatura più precisa. Ancora la compilazione riassuntiva di Guido de Baysio (morto nel 1311), che nell’anno 1300 raccoglieva sotto il titolo poetico Rosarium Decreti numerosi lavori delle scuole bolognesi del XII e del XIII secolo, trattava la Distinctio 96 del Decretum solo per selezione e non riprende la donazione costantiniana nel suo commento: cfr. l’edizione Venetiis (arte et industria Raynaldi de Novimagio ex Germania, pp. non numerate) 1480. Per le citazioni del Constitutum nel Rosarium si veda D. Maffei, Donazione, cit., pp. 99-100; cfr. anche M. Conetti, L’origine del potere legittimo, cit.,p. 134.
55 PL 217, cc. 481B-482A; cfr. F. Kempf, Papsttum und Kaisertum bei Innozenz III., Roma 1954, pp. 291-293.
56 PL, 217, c. 481BC. Cfr. inoltre Constitutum Constantini, hrsg. von H. Fuhrmann, cit., §16, pp. 91-92, ll. 249-261. Un aurifrigium è un bordo dorato o un cerchio d’argento dorato sul berretto frigio (il phrygium): cfr. Charles Du Fresne sire Du Cange, Glossarium, cit., I, p. 487B.
57 Citata secondo Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum, editio XXXIIa, ed. H. Denzinger, A. Schönmetzer, Barcelona-Freiburg 1963, n. 347. È significativo che Innocenzo III citi la versione abbreviata e radicalizzata di questo testo che Graziano aveva inserito nel suo Decretum (D.96 c.10: E. Friedberg, Corpus Iuris Canonici, I, Leipzig 1879, cc. 340 segg., d’ora in poi Friedberg) traendola dalla famosa lettera giustificatoria di Gregorio VII a Ermanno di Metz (dell’anno 1084).
58 Fundamenta militantis ecclesiae, emanata il 18 luglio 1278 (Potthast n. 21 p. 362). Per la storia e la genesi del testo si veda P. Linehan, A Papal Constitution in the Making: Fundamenta militantis ecclesie, in Life, Law and Letters, II, cit., pp. 575-591.
59 Liber Sextus VI 1.6.17, ed. Friedberg, II, cc. 957-959. Per la storia redazionale della raccolta si veda il recente lavoro di T. Schmidt, Palinsesto del ‘Liber Sextus’, in Le culture di Bonifacio VIII, Roma 2006, pp. 47-62 (con ulteriore bibliografia).
60 23 ottobre 1236, ed. C. Rodenberg, in MGH.Ep I, n. 703, pp. 600-605. Cfr. G. Laehr, Schenkung, cit., pp. 89-91; E. Kantorowicz, Kaiser Friedrich II., I, Berlin 1927, pp. 393-394.
61 MGH.Ep I, n. 703, p. 602, l. 42-p. 603, l. 2: «cum regum colla et principum submitti videas genibus sacerdotum, et Christiani imperatores subdere debeant executiones suas non solum Romano pontfici, quin etiam aliis presulibus non preferre».
62 Qui citato secondo l’Enchiridion symbolorum, cit., n. 347: «Nosti etenim, fili clementissime, quoniam licet praesedeas humano generi dignitate, rerum tamen praesulibus divinarum devotus colla submittis atque ab eis causas tuae salutis expetis […] Et si cunctis generaliter sacerdotibus recte divina tractantibus fidelium convenit corda submitti, quanto potius sedis illius praesuli consensus est adhibendus, quem cunctis sacerdotibus et divinitas summa voluit praeminere». Nella versione abbreviata e radicalizzata di Gregorio VII i corda fidelium (p. 553s) si sono tuttavia trasformati in colla, perché Gregorio VII aveva aggiunto ulteriori testi alla citazione tratta dalla lettera di Gelasio, tra i quali Ambrogio, De dignitate sacerdotali, c. 2 (PL 17, p. 569). In seguito Graziano trasse dalla lettera giustificativa di Gregorio VII l’intero ‘agglomerato’ inserendolo nel Decretum (D. 96, c. 10) e fu indubbiamente da quest’ultimo che la cancelleria di Gregorio IX derivò la propria versione sopra citata.
63 Ed. C. Rodenberg, Epistulae, cit., p. 604, ll. 23-43.
64 Ciò risulta da una comparazione del testo, si veda Constitutum Constantini, hrsg. von H. Fuhrmann, cit., in partic. ll. 261-276.
65 A. Melloni, Innocenzo IV, La concezione e l’esperienza della cristianità, Genova 1990; Per una sintesi B. Roberg, in Lexikon des Mittelalters, V, cit., pp. 437 e 437; J. Müller, s.v. Johannes Teutonicus, cit., pp. 323-324.
66 J. Mitchell, St. Silvester and Constantine at the SS. Quattro Coronati, in Federico II e l’arte del Duecento italiano, a cura di A.M. Romanini, Galatina 1980, II, pp. 15-32; A. Sohn, Bilder als Zeichen der Herrschaft, Die Silvesterkapelle in SS. Quattro Coronati, in Archivum Historiae Pontificiae, 35 (1997), pp. 7-47.
67 Sul servizio di strator si veda la sintesi di J. Miethke, Rituelle Symbolik, cit.
68 Nel dettaglio W. Stürner, Friedrich II, II, Der Kaiser, Darmstadt 2000, pp. 518-592, in partic. 533-538.
69 Constitutio Ad Apostolicae dignitatis, in Conciliorum oecumenicorum decreta, curantibus J. Alberigo, J.A. Dossetti, P.-P. Joannou et al., consultante H. Jedin, Bologna 1973, pp. 278-283 (in preparazione in Conciliorum Oecumenicorum Generaliumque Decreta, II/1, in corso di stampa); inserita nel Liber Sextus: VI 2,14,2 (ed. Friedberg, II, cc. 1008-1011).
70 Nel suo commento alle decretali, al Liber Extra il papa inserì anche commenti ad alcuni propri importanti decreti, tra cui l’Ad apostolicae, stampato ad esempio in Innocentius IV, Apparatus in quinque libros decretalium, Frankfurt a.M. 1570, 2,27,27 (ff. 316v-317v).
71 Classico F. Kempf, La deposizione di Federico II alla luce della dottrina canonistica, in Archivio della Società Romana di Storia Patria, 3,11 (1968), pp. 1-16. Cfr. J. Miethke, Kaiser und Papst im Konflikt. Zum Verhältnis von Staat und Kirche im späten Mittelalter, Düsseldorf 1988, pp. 30-33.
72 Sulla figura politica del dominus naturalis si veda W. Berges, Die Fürstenspiegel des hohen und späteren Mittelalters, Leipzig 1938, pp. 14, 246-247.
73 Innocentius IV, Apparatus, cit., privamus, f. 317vB.
74 Nel commento al Liber Extra il papa procede in modo analogo; tuttavia gli infideles mantengono, senza mediazione papale, un diritto di proprietà derivabile dal potere supremo di Dio, cfr. X 3.34.8, in Innocentius IV, Apparatus, cit., ff. 429v-430v, nn. 1-11.
75 Secondo la tradizione più antica (databile all’inizio del 1246) cfr. Das Brief- und Memorialbuch des Albert Behaim, hrsg. von T. Frenz, P. Herde, München 2000, in partic. pp. 102-110 (n. 32).
76 Per l’edizione critica sinottica di tutte le redazioni P. Herde, Ein Pamphlet der päpstlichen Kurie gegen Kaiser Friedrich II., in Deutsches Archiv für Erforschung des Mittelalters, 23 (1967), pp. 468-538 (testo a pp. 511 segg.). Il testo esiste in tre differenti forme redazionali. Herde rileva puntualmente che il testo non uscì mai dalla cancelleria papale in forma di lettera papale o di decretale. Tuttavia ciò non depone affatto contro l’ipotesi che esso sia opera dello stesso Innocenzo IV, come fu ripetutamente asserito anche in seguito in epoca medievale: a tal riguardo C. Dolcini, ‘Eger cui lenia’ (1245/46): Innozenzo IV, Tolomeo da Lucca, Guglielmo d’Ockham, in Id., Crisi di poteri e politologia in crisi, Bologna 1988, pp. 119-146. Cauto in tal senso A. Melloni, Innocenzo IV, cit., pp. 147-148.
77 Das Brief- und Memorialbuch (Frenz/ Herde), pp. 105,22-106,14; P. Herde, Ein Pamphlet, cit., p. 521. Il corsivo nella citazione è nostro.
78 In una lettera di papa Leone IX a Michele Cerulario la donazione è interpretata come ‘grata restituzione’, PL 143, c. 752C: «Et tamen imperialis celsitudo hoc totum quod potuit effecit, quando tota devotione quidquid a domino acceperat, eidem in ministris suis reddidit». Tuttavia ciò non corrisponde nemmeno lontanamente alla convinzione di Innocenzo IV, per il quale la legittimità della sovranità di Costantino è confermata solo da tale ‘restituzione’.
79 Uguccione da Pisa (morto nel 1210) nella Summa decretalis (D.22 c.1, s.v. celestis) rifiutò la seguente argomentazione (assumendo una posizione contraria ‘dualista’): «et secundum hoc oportet concedere nullum imperatorem rite exercuisse gladium, qui illum non acceperit a Romana ecclesia, presertim postquam Christus Petro concessit iura utriusque imperii. Quod intelligens Constantinus in resignatione regalium resignavit beato Silvestro gladium ostendens non legitime se usum fuisse gladii potestate nec legitime habuisse, cum ab ecclesia non receperit. Set in hac questione ego aliter sentio», cit. da F. Kempf, Papsttum und Kaisertum, cit., pp. 207-208 nota 37, che a sua volta si è basato su A.M. Stickler, Der Schwerterbegriff bei Huguccio, in Ephemerides Juris Canonici, 3 (1947), pp. 201-241 (citazione a p. 209 nota 2). Il corsivo nella citazione è nostro.
80 L’anonima Summa decretalis Reverentia sacrorum canonum, redatta probabilmente in Francia, secondo S. Kuttner, Repertorium der Kanonistik, Città del Vaticano 1937, pp. 194-195 databile ‘allo stesso periodo’ di Uguccione, ossia al 1183-1184/1192, respinge (palea D.96 c.14, s.v. a quo) simili interpretazioni: «cum nec legatur beato Silvestro imperii resignasse potestatem et ab eo eam recepisse, cum tamen primum ecclesiam Dei egregie dotavit», cit. da A.M. Stickler, Imperator vicarius papae, in Mitteilungen des Instituts für Österreichische Geschichtsforschung, 62 (1954), pp. 165-212, in partic. 181 nota 41.
81 Johannes Teutonicus, Glossa a D.63 c.30, s.v. in viculis (come nella nota 52), dove l’obiezione contro i legisti è formulata in forma relativamente criptica: «Item quia per hanc concessionem non laedit imperium, ex quo res vadit ad primum statum».
82 Alanus Anglicus, Glossa a D.96 c.6, s.v. cursu: «Non obviat huic opinioni quod ante fuerunt imperatores quam pape, quia tantum de facto fuerunt et ius gladii non habuerunt, nisi illi tantum qui in verum deum crediderunt. Nec etiam hodie habent infideles principes, ut supra ostensum est, ut xxiiii q.1 Set illud [= C.24 q.1 c.39]», cit. da A.M. Stickler, Alanus Anglicus als Verteidiger des monarchischen Papsttums, in Salesianum, 31 (1959), pp. 361-362.
83 La questione della legittimità della proprietà e del dominio politico tra gli infedeli susciterà ancora accese discussioni, in particolare nella Spagna del XVI secolo: K. Pennington, Bartolomé de Las Casas and the Tradition of Medieval Law, in Church History, 39 (1970), e Id., An Earlier Recension of Hostiensi’s Lectura on the Decretals, in Bulletin of Medieval Canon Law, 17 (1987), entrambi ora aggiornati in Id., Popes, Canonists and Texts, 1150-1550, Aldershot 1993, nn. XIII e XVII. Cfr. anche J. Miethke, Heiliger Heidenkrieg? Theoretische Kontroversen zwischen Deutschem Orden und dem Königreich Polen, in Heilige Kriege, hrsg. von K. Schreiner, München 2008, pp. 109-125.
84 Su di lui W. Müller, Huguccio, The Life, Works, and Thought, Washington 1994 (che tuttavia non tratta nel dettaglio la concezione ‘dualista’ di Uguccione sul rapporto tra Stato e Chiesa). In sintesi anche R.Weigand in Lexikon des Mittelalters, V, cit., pp. 181-182; o J. Müller, s.v. Johannes Teutonicus, cit., pp. 314-315.
85 J. Miethke, Der Tyrannenmord im späteren Mittelalter. Theorien über das Widerstandsrecht, in Friedensethik im Spätmittelalter, hrsg. von G. Beestermöller, H.G. Justenhoven, Stuttgart 1999, pp. 24-48; Id., Gehorsam und Widerstand, Herrschaft und Freiheit in mittelalterlicher Politiktheorie, in Habitus – Norm und Transgression in Bild und Text, hrsg. von T. Frese, A. Hoffmann, Berlin 2011, pp. 131-150; in sintesi Id., Widerstand, Widerstandsrecht, I, in Theologische Realenzyklopädie, cit., XXXV, 2003, pp. 739-750.
86 Si veda la descrizione di W. Stürner, Friedrich II, cit.
87 Per il cosiddetto ‘interregnum’, con nuove considerazioni, M. Kaufhold, Deutsches Interregnum und europäische Politik, Hannover 2000.
88 Per gli antefatti di tali sforzi si veda in particolare W. Maleczek, Rombeherrschung und Romerneuerung, in Rom im hohen Mittelalter, hrsg. von B. Schimmelpfennig, L. Schmugge, Sigmaringen 1992, pp. 15-27.
89 Fundamenta militantis ecclesiae, cit. Si pone qui l’accento sulla città di Roma, mentre la sottomissione dell’imperatore al papa rimane sullo sfondo.
90 La decretale è citata in quasi tutti i pareri (naturalmente dal Liber Sextus) da Guido de Baysio, Oldrado de Ponte, Lupoldo di Bebenburg, Alberico de Rosciate, ecc.
91 Si veda in particolare J. Miethke, De potestate papae: die päpstliche Amtskompetenz im Widerstreit der politischen Theorie von Thomas von Aquin bis Wilhelm von Ockham, Tübingen 2000, passim. Per la storia del concetto, si veda in particolare R.L. Benson, Plenitudo potestatis, Evolution of a Formula, in Studia Gratiana, 14 (1967), pp. 196-217.
92 Su Bonifacio VIII: A. Paravicini Bagliani, Boniface VIII, un pape hérétique?, Paris 2003. Cfr. T.S.R. Boase, Boniface VIII, London 1933; in sintesi J. Miethke, De potestate, cit., pp. 57-82. Cfr. la miscellanea Bonifacio VIII, Atti del XXXIX Convegno storico internazionale (Todi 13-16 ottobre 2002), Spoleto 2003. Un problema importante è trattato da K. Ubl, Die Genese der Bulle Unam Sanctam, Anlaß, Vorlagen, Intention, in Theoretische Reflexion, cit., pp. 129-149.
93 Henricus de Cremona, De potestate papae, ed. R. Scholz; Die Publizistik zur Zeit Philipps des Schönen und Bonifaz VIII., Stuttgart 1903, pp. 459-471 e E.J.J. Kocken, Ter dateering van Dante’s Monarchia, Nijmegen-Utrecht 1927, pp. 32-47. In generale J. Miethke, Das Konsistorialmemorandum‚ De potestate papae des Heinrich von Cremona, in Studi sul XIV secolo in memoria di Anneliese Maier, a cura di A. Maier, A. Paravicini Bagliani, Roma 1981, pp. 421-445; Id., De potestate, cit., pp. 85-86, 313-314.
94 Henricus de Cremona, De potestate, 42 (ed. Kocken), e cfr. pp. 467-468. (ed. Scholz): «Preterea opponunt iuriste: talia [scil. quod papa habet dominium super imperium] non fiebant ante Constantinum, et Constantinus primo dotavit ecclesiam, que ante nil habebat. Sed dico, quod ecclesia ante non faciebat talia, non erat deffectus iuris, sed potencie, et ideo quod eciam malos non corrigebat et ei non obediebant, summi pontifices occidebantur, et tamen hoc de iure non fiebat. Et ideo dominus voluit fidei subvenire, et hoc aliter bene fieri non poterat – humano modo loquor – nisi potestatem ecclesie dando. Quare inspiravit Constantinum, ut renunciaret imperio et confiteretur se ab ecclesia illud tenere, nec tunc, ut quidam dicunt, fuit dotata primo de iure, sed de facto, sicut quia satis manifestum est, quod imperator ecclesie dare non potuit licenciam habendi proprium, nec eciam potuit bona imperii alienare. Unde non dedit, sed recognovit ab ecclesia se tenere». Su ciò già G. Laehr, Konstantinische Schenkung, cit., pp. 114-115. Il corsivo nella citazione è nostro.
95 Per la biografia e gli scritti si veda in particolare F. del Punta, S. Donati, C. Luna, s.v. Egidio Romano, in Dizionario Biografico, cit., XLII, Roma 1993, pp. 319-341.
96 Aegidius Romanus, De ecclesiastica potestate, I 4, ed. R. Scholz, Leipzig 1929 (rist. 1961), p. 13: «Sed temporalia ipsa, diceret aliquis, ecclesia recognoscit ex dominio temporali, ut patuit ex donatione et collacione quam fecit ecclesie Constantinus. Sed sic dicentes vim argumenti non capiunt. Nam si solum spiritualiter reges et principes subessent ecclesie, non esset gladius sub gladio, non essent temporalia sub spiritualibus, non esset ordo in potestatibus, non reducerentur infima in suprema per media. Si igitur hec ordinata sunt, oportet gladium temporalem sub spirituali, oportet sub vicario christi regna existere; et de iure, licet aliqui de facto contrarie agant, oportet Christi vicarium super ipsis temporalibus habere dominium. [...] Quod si aliqui timore secularium principum aliter notaverunt, non est eorum auctoritas admittenda».
97 Quodlibet I 17, ed. E. Ypma, in Jacobi de Viterbio O.E.S.A., Disputatio prima de Quolibet, Roma 1968, pp. 207-215.
98 Le plus ancien traité de l’Église, Jacques de Viterbe, De regimine Christiano, éd. par H.-X. Arquillière, Paris 1926; una nuova edizione è in R. Dyson, James of Viterbo, De regimine Christiano. A Critical Edition and Translation, Leiden-Boston 2009 (si veda a proposito la recensione di J. Miethke in Church History and Religious Culture, 90 (2010), pp. 682-687); M.S. Kempshall, The Common Good in Late Medieval Political Thought, Oxford 1999, pp. 271-282; J. Miethke, De potestate, cit., pp. 101-108. Il testo, riordinato e completato con citazioni canonistiche, fu inserito completo nella compilazione di Alvaro Pelagio: I 51-59 (corrispondente al De regimine II 1-10), I 61-63 (corrispondente al De regimine I 1-6), nella ristampa di Pinto de Meneses: II, 1990, pp. 306-620; III, 1991, pp. 24-186 (in Alvarus, I 62 sono inserite anche larghe parti [I cap. 6-7] del trattato di Tommaso d’Aquino, De regno, cfr. III, pp. 78-79, rist. di Pinto de Meneses).
99 De regimine christiano, II 8, ed. H.X. Arquillière, p. 256 (ed. R. Dyson, p. 244); con il termine reverentia Giacomo sembra richiamarsi direttamente al documento di donazione, cfr. Constitutum Constantini, hrsg. von H. Fuhrmann, §16, p. 92, l. 258. Egli ritorna ancora su questo argomento in II 10 (p. 305) e radicalizza ancora la propria interpretazione. Si veda G. Laehr, Schenkung, cit., pp. 115-116; soprattutto M. Maccarrone, Il libro terzo della Monarchia, in Studi danteschi, 33 (1955), pp. 5-142, in partic. 71-73; infine M. Conetti, L’origine del potere legittimo, cit., pp. 119-120.
100 L’originale di Tommaso d’Aquino portava verosimilmente il titolo De regno ad regem Cypri, ed. H.F. Dondaine, Roma 1979, pp. 421-471. La continuazione di Tolomeo di Lucca non è stata ancora oggetto di un’edizione critica; fu stampata (come continuazione del trattato De regno ad regem Cypri dell’Aquinate), III 16, ed. J. Mathis, Torino 19482, pp. 23-101; qui 57B-58A: «Opportuno igitur tempore, ut manifestaretur mundo regnum Christi compositum, virtus principis nostri Iesu Christi principem mundi sollicitavit, Constantinum videlicet, percutiens eum lepra, ac ipsum curans supra humanam virtutem. Qua probata in dominio cessit vicario Christi, beato videlicet Sylvestro, cui de iure debebatur ex causis et rationibus superius assignatis: in qua quidem cessione spirituali Christo regno adiunctum est temporale, spirituale manente in suo vigore». Il corsivo nella citazione è nostro. In generale si veda soprattutto W. Berges, Die Fürstenspiegel des hohen und späten Mittelalters, Leipzig 1938, pp. 317-319, ora anche J.M. Blythe, The Life and Works of Tolomeo Fiadoni (Ptolemy of Lucca); Id., The Worldview and Thought of Tolomeo Fiadoni (Ptolemy of Lucca), Turnhout 2009 (si veda a tal proposito la recensione di J. Miethke, consulatbile in rete, www.perspectivia.net/content/publikationen/francia/francia-recensio/2010-3/MA/blythe_miethke/?searchterm=miethke (26 gen. 2013).
101 Determinacio compendiosa de iurisdictione imperii auctore anonymo, ut videtur Tholomeo Lucensi O.P., ed. M. Krammer, Leipzig 1907, capp. 2, 25, e in partic. 26, pp. 6-8, 47-51. Cfr. J. Miethke, De potestate, cit., pp. 86-94. L’importante trattato fu ripreso e ampliato presso la curia da un anonimo con l’aggiunta di capitoli in cui svolge un ruolo anche la donazione di Costantino: R. Scholz, Unbekannte kirchenpolitische Streitschriften aus der Zeit Ludwig des Bayern, 2 voll., Rom 1911-1914, I, pp. 243-248, II, p. 545.
102 G. Laehr, Konstantinische Schenkung, pp. 106-107, che a nostro avviso data erroneamente il testo.
103 Si veda in Determinacio, c. 26 (ed. M. Krammer, p. 51) la frase significativa: «Quod ergo imperium Constantinus Silvestro dimisit, non fuit per viam collationis, sed potius per viam cessionis tamquam vicario veri et proprii domini, et hec est responsio Innocentii IIII ad Fredericum imperatorem (d.i. Eger cui leniam!)». Il corsivo nella citazione è nostro.
104 In ultimo in Three Royalist Tracts, 1296-1302, ed. by R.W. Dyson, Bristol-Sterling 1999 (e la recensione di J. Miethke, in Cristianesimo nella storia, 23 (2002), pp. 525-526). Cfr. Id., De potestate, cit., pp. 112-114.
105 J. Miethke, De potestate, cit., pp. 102-106 (§§13-14). Nella sequenza di trattazione: VI 1,6,17 (Fundamenta); D. 96 c.14 (Constantinus).
106 Quaestio in utramque partem (Three Royalist Tracts, cit., p. 106): «Dico quod dato, quod dicta donatio valuerit, tamen ecclesia non fuit in possessione nisi illius portionis terrae, quae dicitur ‘patrimonium Petri’. Item non potuit valere quantum ad illos qui non erant subiecti imperio, quia non potuit dare quod suum non erat. Franci autem non erant ei subiecti».
107 Johannes Quidort von Paris, Über königliche und päpstliche Gewalt (De regia potestate et papali), ed. Bleienstein, Stuttgart 1969, in partic. cap. 21, pp. 185-191. Su Quidort si veda K. Ubl, L. Vinx, Kirche, Arbeit und Eigentum bei Johannes Quidort von Paris O.P., in Quellenkundliche Arbeiten aus dem Institut für Österreichische Geschichtsforschung, Wien-München 2000, pp. 304-344; J. Miethke, De potestate, cit., pp. 116-126; K. Ubl, Johannes Quidorts Weg zur Sozialphilosophie, in Francia, 30,1 (2003), pp. 43-72.
108 Johannes Quidort von Paris, Über königliche und päpstliche Gewalt (De regia potestate et papali), ed. Bleienstein, Stuttgart 1969, p. 185-191.
109 Cfr. Vincentius Bellovacensis, Bibliotheca mundi seu speculi maioris Vincentii Burgundi praesulis Bellovacensis, IV, Speculum historiale, Douai 1624 (rist. 1964-1965).
110 Johannes Quidort von Paris, De regia potestate et papali, cit., cap. 21, p. 189.
111 Ivi, p. 187. Sulla leggenda assai diffusa della voce angelica si veda in generale W.F. Schäufele, Defecit ecclesia. Studien zur Verfallsidee in der Kirchengeschichtsanschauung des Mittelalters, Mainz 2006, si veda la recensione di J. Miethke in www.hsozkult.geschichte.hu-berlin.de/rezensionen/ 2007-2-141 (26 gen. 2013). Quidort riferisce (secondo Girolamo) in tono palesemente critico che Costantino dopo il battesimo operato da papa Silvestro abbia agito spietatamente contro i suoi parenti e al termine della propria vita sia stato battezzato una seconda volta dal vescovo (ariano) Eusebio di Nicomedia; i dati storici in M. Amerise, Il battesimo di Costantino, cit.
112 Qui secondo l’edizione stampata a Roma nel 1479. Si veda in partic. G. Laehr, Schenkung, cit., pp. 146 segg.; M. Wilks, The Problem of Sovereignty in the Later Middle Ages, Cambridge 1963, in partic. 440, 543-544; W. Kölmel, Einheit und Zweiheit der Gewalt im corpus mysticum, in Historisches Jahrbuch, 82 (1963), pp. 103-147; W.D. Mc Cready, The Problem of the Empire in Augustinus Triumphus and Late Medieval Papal Hierocratic Theory, in Traditio, 30 (1974), pp. 325-349; Id., The Papal Sovereign in the Ecclesiology of Augustinus Triumphus, in Medieval Studies, 39 (1977), pp. 177-205; E.L. Saak, Highway to Heaven: the Augustinian Platform Between Reform and Reformation, Leiden-Boston-Köln 2002, in partic. pp. 89-94.
113 Alvarus Pelagius, De statu et planctu ecclesiae, secondo l’edizione di Lione del 1517, ora ristampata in Álvaro Païs, Estado e Pranto da Igreja, II, Lisboa 1988-1998): cfr. in partic. I 43 (§D; f. 17v, nella ristampa, II, p. 70): «Constantinus ergo hac consideratione permotus post baptismum suum a Christo inspiratus quem viderat in baptismate suo, ut ipse testificatus est, cessit Sylvestro vicario Christi imperium in occidente et ab eo recepit imperium orientis, ut XCVI di. Constantinus [c.14]; e I 56 [§N; f. 45v, nella ristampa, II, p. 520]: Haec enim Constantini concessio fuit subiectionis et venerationis ostensio ad spiritualem potestatem. Et in eo quod Constantinus beato Sylvestro eiusque successoribus regnum terrenum et imperialia insignia et officia concessit, non autoritatem contulit, sed reverentiam impendit, et regnum terrenum subiectum esse debere monstravit XCVI di. Si imperator [c.11], quod non dubium est dei providentia esse factum, in cuius manu est cor regum [...], ut pontificalis apex non vilesceret». Il corsivo nella citazione è nostro. Su Alvaro cfr. in particolare J. Morais Barbosa, . ‘De statu et planctu ecclesiae’. Estudio crítico, Lisboa 1982; M. Damiata, Alvaro Pelagio, teocratico scontento, Firenze 1984; si veda anche l’introduzione di J. Morais Barbosa, in Álvaro Païs, Estado e Pranto da Igreja, cit., I, Lisboa 1988, pp. 15-65; J. Miethke, Alvaro Pelagio e la Chiesa del suo tempo, in Santi e santità nel secolo XIV, Assisi-Napoli 1989, pp. 253-293; in sintesi anche J. Miethke, De potestate, cit., pp. 177-182.
114 Alvarus Pelagius, De statu et planctu, cit., I 43 (§E, f. 18r; nella ristampa, II, p. 72): «Collatio autem Constantini potius fuit cessio quam collatio. Sic etiam fertur Innocentium IV dixisse imperatori Frederico, quem deposuit».
115 Alvarus Pelagius, De statu et planctu, II 29 (§C; f. 136r; nella ristampa, V, p. 264).
116 Cfr. in particolare F. Bertelloni, Constitutum Constantini y ‘Romgedanke’. La donaciòn constantiniana en el pensamento de tres defensores del derecho imperial de Roma, in Patristica et Mediaevalia, 3 (1982), pp. 21-46; 4-5 (1983/1984), pp. 617-699; 6 (1985), pp. 57-79; Id., Marsilio de Padua y la historicidad de la Donatio Constantini, in Estudios en homenaje a Don Claudio Sanchez Albornoz en sus 90 años, IV, Buenos Aires-Madrid 1986, pp. 3-24; G. Garnett, Marsilius and ‘the Truth of History’, Oxford 2006, passim, in partic. pp. 107-125.
117 Marsilius von Padua, Defensor pacis, I.xix.8, hrsg. von R. Scholz, Leipzig 1932/1933, p. 131. Marsilio non rifugge certo dal tentativo di mettere in dubbio anche l’autenticità del Constitutum, lasciandolo nell’incertezza, Defensor pacis, I.xix.8 (p. 131): «huius quamvis secundum veritatem dominii seu coactive iurisdiccionis in hunc principem expressio singularis faciem et exordium primum sumpsisse videatur ex quodam edicto et dono, quod quidem dicunt per Constatntinum fuisse factum beato Silvestro Romano pontifici».
118 Defensor pacis, II.xii.8 (p. 262). Marsilio cita in questo punto le (già riportate) frasi di Bernardo di Chiaravalle.
119 Defensor pacis, II.xviii.7; cfr. anche II.xxii.19 (pp. 380-381, 437-438).
120 Cfr. l’indice delle citazioni nell’edizione di R. Scholz, p. 634A.
121 Per la trattazione degli argomenti storici da parte di Marsilio si veda J. Miethke, Parteistandpunkt und historisches Argument in der spätmittelalterlichen Publizistik, in Objektivität und Parteilichkeit in der Geschichtswissenschaft, hrsg. von R. Koselleck, W.J. Mommsen, J. Rüsen, München 1977, pp. 47-62, in partic. 55-57. Cfr. ora G. Garnett, Marsilius, cit., in partic. pp. 186-190.
122 Lo fa anche nel suo scritto De translatione imperii, ed. C. Jeudy, Marsile de Padoue, Oeuvres mineurs, Paris 1979, pp. 372-432.
123 Defensor pacis II.xxii.10 (pp. 429 seg.).
124 Licet iuxta doctrinam: i cinque ‘errori’ condannati sono elencati in Enchiridion Symbolorum,cit., nn. 941-946. Il testo completo si trova ad esempio in Charles Duplessis d’Argentré, Collectio judiciorum de novis erroribus, I/1, Paris 1728 (rist. 1963), pp. 304A-311B; in Cesare Baronio, Odorico Rinaldi, Giacomo Laderchi et al., Annales ecclesiastici, ed. A. Theiner, XXIV, Bar-le-Duc 1872, ad annum 1327, n. 28-35 (pp. 322B-329A); in E. Martène, U. Durand, Thesaurus novus anecdotorum, II, Paris 1717, pp. 704-716 (qui citato secondo l’edizione di d’Argentré).
125 C. Duplessis D’Argentré, Collectio judiciorum, cit., pp. 306B-307A.
126 Se ne occupa in particolare il maitre des requêtes Évrart de Trémaugon, promosso all’università di Bologna doctor utriusque iuris, nel suo Somnium viridarii, o nella traduzione francese Songe du Vergier, opera dall’autore stesso, un’ampia compilazione di testi politici in forma di dialogo tradotta dal 1374 al 1378 presso la corte francese: Somnium viridarii, éd. M. Schnerb-Lièvre, II, Paris 1993-1995. Cfr. la (non del tutto esaustiva) panoramica dei prestiti dal Defensor Pacis al II volume, pp. 535-536, e le Concordances con il Songe du Vergier, éd. par M. Schnerb-Lièvre, 2 voll., Paris 1982, in Somnium, I, pp. XXXVII-XLI. Si veda ora l’introduzione sull’autore in Évrart de Trémaugon, Trois leçons sur les Décrétales, éd. par M. Schnerb-Lièvre, G. Giordanengo, Paris 1998, pp. 7-18; cfr. anche J. Miethke, Politische Theorie in lateinischen und volkssprachlichen Dialogen des 14. Jhs. Publikum und Funktion der Texte, in Mittellateinisches Jahrbuch 48/1 (2013), in corso di stampa.
127 Lupold von Bebenburg, De iuribus regni et imperii, cit. da Politische Schriften des Lupold von Bebenburg, hrsg. von J. Miethke, C. Flüeler, Hannover 2004 (editio maior), in partic. pp. 1-148, con un’introduzione (una editio minor, hrsg. von J. Miethke, A. Sauter, München 2005). Una panoramica anche in J. Miethke, Mittelalterliche Politiktheorie, 4 Entwürfe des Hoch- und Spätmittelalters, Baden-Baden 2006, pp. 33-40.
128 Nella prima parte del cap. 13, pp. 366-374 dell’editio maior.
129 Nell’indice della propria edizione Fuhrmann conta non meno di sedici passi in cui Silvestro è definito pater; inoltre egli compare una volta come pater patrum: cfr. Constitutum Constantini, hrsg. von H. Fuhrmann, cit., p. 103B.
130 Lupold, De iuribus, cap. 13 (p. 370 ed. maior, p. 220 ed. minor): «Et secundum hanc opinionem haberemus dicere, quod predictum c. Constantinus, quod est palea, non esset pro canone habendum et tenendum». Lupoldo utilizza parole chiave del Constitutum (accanto a reverencia, in particolare pater), ma le utilizza in senso nuovo e giuridicamente preciso.
131 Per una breve descrizione di queste quattro interpretazioni cfr. G. Laehr, Schenkung, cit., pp. 150-153, il quale tuttavia valuta erroneamente le intenzioni di Lupoldo e sopravvaluta Corrado di Megenberg; per Corrado si veda J. Miethke, Konrads von Megenberg Kampf mit dem Drachen, in Konrad von Megenberg (1309-1374) und sein Werk, hrsg. von C. Märtl, G. Drossbach, M. Kintzinger, München 2007, pp. 73-97. A Laehr sfugge anche che Lupoldo organizza le diverse teorie in modo che, in ultima analisi, risulti chiaro che nessuna di queste interpretazioni giustifica la dipendenza della sovranità imperiale dal papa; Lupoldo non lascia dubbi su quale interpretazione egli consideri la più corretta (ossia l’ultima).
132 E.L. Wittneben, Lupold von Bebenburg und Wilhelm von Ockham im Dialog über die Rechte am Römischen Reich, in Deutsches Archiv für Erforschung des Mittelalters, 53 (1997), pp. 567-586.
133 III Dialogus I.iv.1, ed. J. Kilcullen, J. Scott, in William of Ockham, Dialogus Part 2, part 3, Tract 1, Oxford 2011, pp. 303-304; qui si trova (in III Dialogus I.iv.1-4) una dettagliata esposizione letterale del Defensor Pacis, II.xvi e 27; cfr. Octo Quaestiones I.12; IV.9; la quaestio IV è riferita a Lupoldo di Bebenburg; VIII.2; VIII.7 (Guillelmi de Ockham, Opera politica, ed. H.S. Offler, I, Manchester 19732, pp. 52-53, 149, 178-179, 205); Breviloquium VI 3-5, ed. H.S. Offler, in Opera politica, IV, pp. 254-260; III Dialogus II.i.27 (Edizione di J. Trechsel, Lyon 1494, f. 245vA); III Dialogus II.ii.5 (f. 249rA).
134 III Dialogus II.i.cap. 27, nell’edizione di J. Trechsel, f. 245rB.
135 III Dialogus II.i.cap. 18. Cfr. Octo Quaestiones I.2, pp. 10, 12; II.1; III.13; V.4 (Guillelmi de Ockham, Opera politica, I2, pp. 19 segg., 42, 52, 69, 121, 157); si veda C. Dolcini, Eger cui lenia (1245/46): Innocenzo IV, Tolomeo da Lucca, Guglielmo d’Ockham, in Rivista di storia della Chiesa in Italia, 29 (1975), ora in Id., Crisi di potere e politologia in crisi, Bologna 1988, pp. 119-146, in partic. 140 segg.; A. Melloni, William of Ockham’s critique of Innocent IV, in Franciscan Studies, 46 (1986), pp. 161-203.
136 Francesco Petrarca, Sine nomine, n. 17, citato dall’edizione di P. Piur, Petrarcas ‘Buch ohne Namen’ und die päpstliche Kurie, Halle 1925, p. 222 (anche in Francesco Petrarca, Sine nomine. Lettere polemiche e politiche, a cura di U. Dotti, Bari 1974, pp. 169-195, in partic. 178).
137 Edizione autorevole è quella di P. Piur, Petrarcas‚ Buch ohne Namen’, cit., pp. 219-228, in partic. 222, per la donazione costantiniana si veda l’introduzione, pp. 66-68; G. Laehr, Die Konstantinische Schenkung in der abendländischen Literatur des ausgehenden Mittelalters, in Quellen und Foschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, 23 (1931-1932), pp. 120-181, in partic. 121-122.
138 P. Piur, Petrarcas‚ Buch ohne Namen’, cit., p. 222 nota; breve descrizione del ms. a pp. 285-286 (n. 30).
139 Ivi, nota alla riga 17. Piur aveva già segnalato la fonte di questa citazione in Alvaro Pelagio, De statu et planctu ecclesiae, II.13 [H], nell’edizione di Lione 1517, f. 114v, qui tratta dalla ristampa Á. Païs, Estado e Pranto, cit., IV, p. 490: «Iste Gregorius humillimus fuit primus que ex humilitate servum servorum dei in suis literis se vocavit, et post eum ad exemplum eius sic se alii Romani pontifices vocaverunt, ut habetur in Chronica Martiniana. Quae clausula nedum ponitur in iuribus novis […] in principio prohemii Gregorii et VI. Lib. et Clement., sed et in veteribus […] Servum autem se vocat papa servorum dei, quia papa est servus beati Petri et Pauli. Unde versus: Servierant tibi, Roma, prius domini dominorum servorum servi nunc tibi sunt domini». Alvaro indica anche la fonte mancante a Piur: «Sic notatur I 7 Quotiens [C.1 q.7 c.9], in glossa, Argumentum contra, et notat Archidiaconus in prohemio Sexti libri in glossa In chronica». Alvaro si richiama al suo maestro Guido de Baysio, Prologo al Liber Sextus e alla Glossa ordinaria di Giovanni Teutonico di C.1 q.7 c.9, s.v. et per te, dove i versi sono riportati (nell’edizione di Venezia 1584, 795).
140 I versi zoppicanti nell’originale non contengono né l’eleganza prosodica del Petrarca né la sua dura critica del poeta nei confronti del papa.
141 Il canonista bolognese Raffaele de Fulgosiis, che partecipò al concilio di Costanza (si veda C. Bukowska Gorgoni, s.v. Raffaele Fulgosio, in Dizionario Biografico, cit., L, Roma 1998, pp. 699-702), nelle sue lezioni sul Corpus Iuris Civilis precisava già fortiter che con tutta evidenza la donazione di Costantino non aveva avuto luogo. Egli aveva motivato questa sua affermazione con il silenzio delle altre fonti, si veda G. Laehr, Schenkung des ausgehenden Mittelalters, cit., pp. 153-154; D. Maffei, Donazione, cit., in partic. pp. 261-276; M. Conetti, L’origine del potere legittimo, cit., pp. 208-211; cfr. anche G. Piaia, Tra il Fulgosio e il Valla. La critica del Cusano alla Donatio, in Nicolaus Cusanus zwischen Deutschland und Italien, hrsg. von M. Thurner, Berlin 2002, pp. 115-128.
142 Per una sintesi si veda H. Weinstock, in Lexikon des Mittelalters, VI, cit., pp. 1849-1850.
143 La sua complessa genesi è ricapitolata puntualmente in Acta Cusana, Quellen zur Lebensgeschichte des Nikolaus von Kues, hrsg. von E. Meuthen, I/1, Hamburg 1976, pp. 219-220 (n. 202).
144 De Concordantia catholica, III.ii, ed. G. Kallen, Hamburg 1964-1968, pp. 328-337 (§§294-312), in partic. 329 (§ 295): «in veritate supra modum admiror […] eo quod in authenticis libris et historiis approbatis non invenitur. Relegi omnes, quas potui, historias, gestas imperialia ac Romanorum pontificum, historias sancti Hieronymi, qui ad cuncta colligendum diligentissimus fuit, Augustini, Ambrosii ac aliorum opuscula peritissimorum, revolvi gesta sanctorum conciliorum, quae post Nicaenum fuere, et nullam invenio concordantiam ad ea, quae de illa donatione leguntur». Infine cfr. la protesta, p. 337 (§311): «Ego solum, que diligenti inquisitione, quam pro veritate scienda reperire potui, scribo salvo in omnibus iudicio sacrae synodi».
145 Lorenzo Valla, De falso credita et ementita Constantini donatione, hrsg. von W. Setz, Weimar 1976. Cfr. W. Setz, Lorenzo Vallas Schrift gegen die Konstantinische Schenkung, Tübingen 1975, passim; R. Fubini, Contestazioni quattrocentesche della Donazione di Costantino, Niccolò Cusano, Lorenzo Valla, in Costantino il Grande, dall’Antichità all’Umanesimo, a cura di G. Bonamente, F. Fusco, Macerata 1992, I, pp. 385-431; R. Fubini, Humanism and Truth: Valla Writes against the Donation of Constantine, in Journal of the History of Ideas, 57 (1996), pp. 79-86.
146 G. Laehr, Schenkung des ausgehenden Mittelalters, cit., p. 170-171; V. Leppin, Die Konstantinische Schenkung als Mittel der Papstkritik in Spätmittelalter, Renaissance und Reformation, in Konstantin der Große, Der Kaiser und die Christen – Die Christen und der Kaiser, hrsg. von M. Fiedrowicz, G. Krieger, W. Weber, Trier 2006, pp. 237-265.
147 G. Antonazzi, Lorenzo Valla e la polemica sulla Donazione di Costantino, con testi inediti dei secoli XV-XVII, Roma 1985; D. Henderson, Si non est vera donatio, Die Konstantinische Schenkung im ekklesiologischen Diskurs nach dem Fälschungsnachweis, in Nach dem Basler Konzil, hrsg. von J. Dendorfer, C. Märtl, Münster 2008, pp. 283-305; S. Zen, Cesare Baronio sulla Donazione di Costantino tra critica storica e autocensura (1590-1607), in Censura, riscrittura, restauro, Pisa 2010, pp. 179-219; D. Henderson, Historisierung und historische Kritik an kirchlichen Rechtstexten, in Autorität und Wahrheit. Kirchliche Vorstellungen, Normen und Verfahren, hrsg. von G.L. Potestà, München 2012, pp. 179-198.