Costantino e i vescovi di Roma
Momenti di un problematico incontro
Dopo la vittoria su Massenzio alle porte di Roma, il 28 ottobre del 312 – vittoria favorita, ritenne Costantino, dalla benevolenza del Dio dei cristiani che gli aveva inviato un segno –, l’imperatore inizia una politica di ampie concessioni a favore dei cristiani, con chiara consapevolezza, però, delle tensioni e delle divisioni che esistevano all’interno di quella comunità. Egli dunque deve affrontare questi problemi nell’esigenza primaria di assicurare l’ordine all’interno dello Stato, ma con già chiara l’idea del carattere che la Chiesa deve assumere. Proprio in questo contesto egli viene a contatto con alcuni dei vescovi di Roma (Milziade dal 311 al 314, Silvestro dal 314 al 335 e Marco nel 336). L’Urbe era una delle più antiche e prestigiose sedi episcopali (le altre erano Antiochia, Alessandria e Cartagine); inoltre, a motivo della fondazione apostolica e del ruolo civile della città, capitale dell’Impero, la sede romana ambiva da tempo a esercitare un ruolo primaziale sulle altre Chiese. Costantino, che non si fermerà a lungo a Roma (in maniera non continuativa dal 312 al 315 e poi per una breve parentesi nel 326), avrà con i vescovi della città rapporti problematici: soprattutto con Silvestro – guida della comunità cristiana di Roma per un trentennio –, il cui ruolo è difficile da definire per la quasi totale assenza di notizie storiche sulla sua vicenda. Accanto a Costantino, altre sono le presenze significative, come quella del vescovo Ossio di Cordova, che fin da subito sembra influenzare in maniera determinante le scelte costantiniane1 o quantomeno collabora alla attuazione di quelle scelte.
L’ingresso di Costantino a Roma, il 29 ottobre 312, è marcato dall’entusiasmo del Senato e del popolo romano, liberati dall’oppressione del tiranno Massenzio:
Tutti insieme, i senatori e gli altri personaggi nobili e illustri della città, come se fossero stati liberati da un carcere, lo accolsero unitamente a tutto il popolo romano con volti raggianti, levando grida di acclamazione ed esprimendo una gioia infinita che nasceva spontanea dall’intimo dei loro animi; nello stesso tempo uomini, donne e bambini e una quantità enorme di servi lo proclamavano liberatore, salvatore, benefattore, con espressioni di incontenibile contentezza2.
In realtà una tale descrizione accoglie un tema elaborato dalla propaganda costantiniana che, fra l’altro, doveva giustificare quella che era stata una guerra civile3.
Le condizioni di vita in città sotto Massenzio furono, di fatto, meno terribili di quanto la propaganda costantiniana cerchi di accreditare. Egli, infatti, aveva mantenuto inalterato il prestigio dell’aristocrazia senatoria, che aveva continuato a svolgere un ruolo significativo nell’apparato amministrativo statale e cittadino4; inoltre, ed è quello che qui interessa, fin dall’ascesa al potere nell’ottobre del 306, Massenzio aveva sospeso la politica persecutoria decisa da Diocleziano e anzi aveva messo in atto numerosi provvedimenti a favore dei cristiani5.
Proprio il vescovo di Roma Milziade è infatti il destinatario di un provvedimento di restituzione dei beni confiscati durante la persecuzione6. Egli, secondo l’autorevole testimonianza del Catalogus Liberianus (un elenco dei vescovi di Roma da Pietro a Liberio, dunque sino al 352, contenuto nel cosiddetto Chronographus ad ann. CCCLIV7), sarebbe stato eletto vescovo dell’Urbe il 2 luglio 3118, e dunque la comunicazione dell’imperatore Massenzio deve essergli giunta dopo quella data, pochi mesi prima dell’arrivo di Costantino a Roma.
L’esistenza di buoni rapporti con l’imperatore, tuttavia, non significa che i cristiani a Roma vivessero una situazione del tutto tranquilla; proprio le circostanze relative all’elezione di Milziade offrono alcuni elementi per meglio comprendere il contesto nel quale si svolgerà poi l’azione di Costantino.
Milziade fu eletto a distanza di almeno un anno (se non due) dalla morte del predecessore Eusebio. Quest’ultimo era stato vescovo per pochi mesi, forse nel 309 o nel 3109, dopo Marcello, che a sua volta – presumibilmente solo da presbitero – era stato guida della comunità di Roma per un periodo che ci è ignoto, tra il 305 e il 309-31010. Gli anni successivi alla fine della persecuzione, a Roma dunque dall’ottobre del 306, furono certamente difficili. Analogamente a quanto sarebbe accaduto presso altre comunità (Cartagine in primo luogo, come si vedrà), nella comunità cristiana della città si pose drammaticamente il problema dei lapsi, di quanti, cioè, nel corso della persecuzione avevano abiurato per salvarsi; fra questi si trovavano in una posizione molto difficile i cosiddetti traditores, coloro che avevano consegnato arredi e libri sacri11. Il problema era quello della loro riammissione nella comunità dei cristiani, nel confronto spesso vivace, talvolta violento, fra quanti ne volevano l’immediato e incondizionato rientro e quanti, invece, pretendevano che si sottoponessero a un’impegnativa prassi penitenziale; non mancavano poi quanti, come i novaziani, si opponevano decisamente al loro reintegro12. Tutto ciò provocò una frattura nella comunità, che ebbe come esito anche una violenta contrapposizione nell’elezione del vescovo; così infatti sarebbe accaduto con Marcello e poi con Eusebio, al quale fu contrapposto Eraclio. Il confronto si tradusse anche in disordini importanti (scinditur in partes populus gliscente furore, avrebbe poi annotato Damaso13), a fronte dei quali Massenzio, presumibilmente per ragioni di ordine pubblico, esiliò prima Marcello e successivamente sia Eusebio sia il suo avversario Eraclio14.
Proprio il lasso di tempo intercorso tra Eusebio e Milziade è stato appunto interpretato come il perdurare di tali tensioni ed è immaginabile che sotto la guida di quest’ultimo le tensioni non siano del tutto scomparse15. Questa è dunque la situazione della comunità cristiana di Roma che Costantino trova quando, nel tardo autunno del 312, prende possesso dell’Urbe.
Appena entrato in città, Costantino, che si muove lungo un percorso di avvicinamento alla fede cristiana già iniziato da qualche tempo16, non sembra avere contatti diretti con Milziade. Lo si può dedurre dal fatto che i suoi primi provvedimenti nei confronti dei cristiani vedono il contributo importante di altri personaggi, che evidentemente facevano parte del suo seguito. Il primo di questi provvedimenti, probabilmente preso già nel dicembre del 312 (non è chiaro in che situazione di accordo con gli altri imperatori, Licinio e Massimino, che reggevano i territori orientali17), si ritiene sia la cosiddetta «legge perfettissima», come la definisce Eusebio18, con cui viene concessa la libertà di culto non genericamente ai cristiani ma a un determinato gruppo di comunità cristiane, nell’idea di una Chiesa che deve essere catholica, unitaria, in altre parole costituita dall’insieme di quelle Chiese che erano in communicatio fra loro19: una posizione che esprime una chiara consapevolezza (non si sa in che misura indotta) di Costantino nell’affrontare e risolvere le tensioni interne al mondo cristiano20. Si tratta di una decisione importante, che pone le basi di quegli accordi che saranno poi presi (se lo furono) a Milano nel febbraio del 313; una decisione sulla base della quale saranno modellate tutte le azioni successive.
Il primo contatto di Costantino con il vescovo Milziade avviene dopo circa sei/sette mesi di attività febbrile, e cioè nel maggio del 313, nel contesto di quello che sarà poi definito il conflitto donatista21. La cessazione delle persecuzioni, probabilmente già nel 306 con Massenzio, come si è detto, aveva determinato anche in Africa una situazione di conflittualità a proposito dei lapsi, con la conseguenza di una profonda divisione all’interno della comunità cristiana, in relazione anche al problema, da tempo dibattuto nella Chiesa africana, della validità dei sacramenti amministrati da quanti si erano macchiati del crimine di apostasia. Divisioni e conflittualità notevolmente acuitesi anche in rapporto alla restituzione dei beni e specialmente per la necessità di identificare quale fosse la vera Chiesa cattolica, alla quale soprattutto le decisioni di Costantino si indirizzavano.
Il conflitto deflagra tra il 311 e il 312 con l’elezione, in un clima di forte contrapposizione, di Ceciliano al seggio episcopale di Cartagine; un’elezione non condivisa da una parte della comunità cartaginese, che accusa Ceciliano di essere stato consacrato da Felice vescovo di Aptungi, incolpato di essere traditor: ciò appunto avrebbe reso nulla la consacrazione e invalidato l’elezione. Ceciliano è dichiarato decaduto da una parte del clero africano (circa settanta vescovi provenienti dalla Numidia) nel corso di una sinodo svoltasi nel 312, a Cartagine, a favore di Maiorino22.
La ricostruzione degli avvenimenti successivi, grazie anche ad alcuni documenti conservati da Agostino, che li utilizza nel corso della polemica antidonatista dei primi decenni del V secolo23, vede, tra la fine del 312 e i primi mesi del 313, un’azione legale intrapresa dai sostenitori di Maiorino contro Ceciliano davanti al giudice naturale, il proconsole di Cartagine Anullino, su chi rappresenti la ‘legittima Chiesa’ e dunque abbia titolo a vedersi attribuire i benefici decisi da Costantino24.
Questi, infatti, tra la fine del 312 e l’inizio del 313 aveva disposto che venissero restituiti i beni confiscati dallo Stato nel corso delle persecuzioni alle comunità cristiane dell’Africa (presumibilmente, però, si trattava di provvedimenti estesi anche agli altri territori controllati dall’imperatore, in pratica tutto l’Occidente25), comunità appartenenti però, ed è questa la novità rispetto alla precedente iniziativa di Massenzio, alla «Chiesa cattolica»26. Sempre nei primi mesi del 313, facendo seguito a disposizioni dello stesso tenore date a voce al proconsole Anullino e al vicario Patrizio nei primi giorni del dicembre del 312 (segno dunque della precoce consapevolezza dell’imperatore su che cosa stesse accadendo in Africa), sono concesse somme di denaro ai clerici «del legale e santissimo culto cattolico»27. Infine, tra il marzo e l’aprile del 313, modificando probabilmente una più estensiva norma precedente28, è stabilita l’esenzione da ogni tipo di prestazione obbligatoria nei confronti dello Stato o delle città (munera) solo per i clerici che prestano il loro servizio nella «Chiesa cattolica»29. L’applicazione di queste decisioni nel territorio della Proconsolare, e a Cartagine in particolare, dove entrambe le fazioni in cui è divisa la comunità cristiana reclamano il diritto di potersi definire ‘cattoliche’30 – e dunque di vedersi attribuire quei benefici –, è il momento in cui il confronto dottrinale esce dall’ambito strettamente ecclesiastico ed entra in quello statale, coinvolgendo così il potere politico.
Il proconsole Anullino, dando corso all’azione giudiziaria intrapresa dai sostenitori di Maiorino, secondo la consueta prassi della consultatio chiede un parere all’imperatore, che risponde con un rescriptum (datato al febbraio del 313) di fatto contrario a Maiorino, in quanto attribuisce l’esenzione dai munera solo ai membri della comunità guidata da Ceciliano31. Contro questa decisione la fazione di Maiorino presenta appello all’imperatore e il proconsole Anullino trasmette gli atti processuali a Costantino con una relatio (15 aprile 313)32. I seguaci di Maiorino, nello stesso aprile del 313, presentano all’imperatore la richiesta di esporre le proprie ragioni dinanzi a iudices (da intendersi presumibilmente come funzionari statali) provenienti dalla Gallia, regione rimasta incontaminata dalle persecuzioni (e quindi, si potrebbe dire, dalla piaga dei traditores e dai problemi che erano nati dal loro rientro nella Chiesa33).
Costantino, che ha lasciato Roma da febbraio e che adesso si trova in Gallia34, appare in un primo momento irritato dalla richiesta della fazione di Maiorino35, tuttavia acconsente e prende la decisione di affidare al vescovo di Roma Milziade (assieme a un ignoto Marco36) e a un collegio di vescovi (Reticio di Autun, Materno di Colonia e Marino di Arles) l’esame del caso.
Sulle ragioni di questa decisione, cui forse contribuì Ossio37, e sulla natura dell’incontro si discute da tempo: alcuni studiosi ritengono che si sia trattato di una vera sinodo, con poteri giudiziari, come spesso accadeva, convocata però dal detentore del potere politico che così interveniva, certamente per la prima volta in questa forma, in una questione interna della Chiesa38. Altri hanno invece ritenuto di attribuire all’imperatore solo una sollecitazione nei confronti di Milziade, che autonomamente avrebbe deciso la convocazione della sinodo39. Certo, il fatto che Costantino convochi assemblee di vescovi diventerà prassi negli anni successivi, anzi già nei mesi successivi40; e così faranno i suoi successori, in tal modo contribuendo a porre le basi per il conflitto, secolare, fra Chiesa e Stato. Tuttavia anticipare tutto ciò all’incontro di Roma non appare giustificato dalle fonti a disposizione.
Una più convincente ipotesi è che l’incarico affidato a Milziade sia di altra natura, più semplicemente la risposta alla richiesta del partito di Maiorino che si configura, nella prassi della cognitio extra ordinem, come richiesta di un giudizio di secondo grado avanzata dalla parte soccombente nel primo giudizio; la novità è rappresentata dal fatto che l’imperatore delega lo svolgimento della causa non a un alto funzionario, come da prassi (in questo contesto sarebbe stato chiamato in causa il prefetto al pretorio41), ma a colui che ritiene maggiormente esperto nelle questioni ecclesiastiche in quella che sarebbe diventata la praefectura Italiae. Si predispone così un vero e proprio iudicium42: sono queste le parole che utilizza, come è noto, Agostino, episcopale iudicium43. Un iudicium da svolgersi a Roma probabilmente alla luce anche di altri fattori, di cui l’imperatore doveva avere consapevolezza, funzionali al progetto di una Chiesa unitaria che egli andava perseguendo: l’esistenza di un ‘primato’ ancora ideale del vescovo della città e gli orientamenti del vescovo Milziade, da una parte favorevole alla riammissione dei lapsi e dall’altra alla tradizione callistiana della validità oggettiva dei sacramenti, in questo caso della consacrazione episcopale. Si tratta dunque di elementi che dovevano rassicurare l’imperatore sull’esito del iudicium44. I fatti tuttavia, come si vedrà, andranno oltre quelle che erano le intenzioni di Costantino.
Eusebio nella sua Storia ecclesiastica riproduce la lettera di incarico che l’imperatore invia a Milziade nel maggio-giugno del 313, lettera nella quale appare chiara la paternità tutta costantiniana dell’iniziativa e il suo carattere eminentemente giudiziario:
Al vescovo della città di Cartagine Ceciliano sono state rivolte molte accuse da parte di alcuni suoi colleghi africani. Poiché mi pare molto grave che in quelle province che la divina Provvidenza per sua designazione ha affidato alla mia devozione, e dove la popolazione è molto numerosa, la gente come divisa in due, si trovi ora a essere traviata e vi siano divergenze anche tra i vescovi, mi è parso bene che Ceciliano stesso si imbarchi alla volta di Roma insieme con dieci vescovi di quelli che sembra lo accusino, e dieci degli altri che egli stesso ritenga necessari alla propria causa, perché possa essere ascoltato in presenza vostra, come pure dei vostri colleghi Reticio, Materno e Marino, ai quali ho ordinato di accorrere a Roma per questo motivo, così che possiate sapere se si attiene alla legge sacrosanta […]. La vostra fermezza esaminerà in quale modo si debba accuratamente esaminare la causa suddetta e risolverla secondo il diritto, poiché alla vostra attenzione non sfugge che il rispetto che ho per la legittima Chiesa cattolica è tanto grande, da non volere che lasciate sussistere in nessun luogo uno scisma o un dissidio45.
Si tratta di parole importanti. Se la prassi della cognitio appare chiaramente rispettata, emerge netta l’irritazione dell’imperatore per le divisioni esistenti tra i cristiani d’Africa; il compito affidato a questo tribunale è dunque quello di verificare se le accuse rivolte a Ceciliano siano fondate, con l’auspicio che la causa sia risolta secondo il diritto, sulla base del dossier già raccolto dal proconsole Anullino, ma soprattutto in maniera che non ci siano più dissidi all’interno della ‘legittima’ Chiesa cattolica in terra d’Africa. Questo auspicio è particolarmente importante. Costantino non poteva non essere conscio che una sentenza di condanna della fazione opposta a Ceciliano, che egli certo auspicava, doveva essere seguita da una riappacificazione: in altre parole la fazione di Maiorino doveva rientrare, superati i contrasti, nella Chiesa catholica, altrimenti i dissidi non sarebbero cessati. Forse questa è una delle ragioni della convocazione dei vescovi provenienti dalla Gallia: la loro presenza poteva apparire ai dissidenti cartaginesi una risposta positiva alla loro precisa richiesta46, e dunque essi potevano nutrire la speranza di non trovare un ambiente ostile. Ciò avrebbe sicuramente avuto un effetto positivo anche sul processo di recupero del dissenso, che era l’obiettivo principale dell’imperatore.
Tuttavia Costantino si cautela anche in questa scelta. Dei tre vescovi galli, caratterizzati, secondo Ottato, da integrità morale e rigore dottrinario47, il più noto è Reticio di Autun48. Questi è ricordato da Agostino come dotato di grande autorevolezza49, e Girolamo nel De viris illustribus50 annota che fu famoso in Gallia al tempo di Costantino e gli attribuisce una poderosa opera, l’Adversum Novatianum, che farebbe supporre un atteggiamento di apertura verso i lapsi, contro i quali, appunto, Novaziano e i suoi seguaci si erano mostrati radicalmente ostili. Persona dunque di grande autorevolezza in Gallia, dove presumibilmente l’imperatore lo aveva conosciuto, comunque vicino alle posizioni di Milziade e che dunque doveva rappresentare una ulteriore garanzia che le decisioni da prendere a Roma sarebbero andate nella direzione voluta dall’imperatore. Su Materno di Colonia (ma, secondo alcune tradizioni, di Treviri) non si hanno altre notizie51: si può solo osservare che anche nel suo caso, come in quello di Marino di Arles, si tratta di un vescovo con il quale Costantino potrebbe aver avuto contatti ben prima dell’arrivo in Italia, da quando cioè i territori da cui egli proveniva erano passati sotto il suo controllo.
Il iudicium romano si svolge dal 2 al 4 ottobre 313 presso una domus Faustae52 e vede la fazione di Maiorino soccombere già nella fase preliminare del dibattimento, per una serie di eccezioni procedurali, fra le quali fondamentalmente l’essere venuta meno la parte attrice. Infatti Maiorino era morto non molto tempo dopo l’aprile del 31353 (ne prende subito il posto, come guida del movimento, Donato): secondo la procedura, l’accusa a Ceciliano non poteva dunque essere legittimamente sostenuta da altri esponenti della sua parte. In tal modo la posizione di Ceciliano è tutelata senza neppure entrare nel merito delle accuse54; a ragione i donatisti lamenteranno che di fatto la causa non si era svolta55.
Ma quel iudicium, nato come tribunale di appello per giudicare la posizione di Ceciliano, così abilmente condotto dal vescovo di Roma – al punto da non mettere neppure in discussione la legittimità di Ceciliano –, diviene nelle sue mani qualcosa di altro: diviene, cioè, una vera e propria sinodo. Intanto la composizione del tribunale non rispettava le disposizioni costantiniane (si ricordi: dieci vescovi della parte donatista, dieci cecilianisti, i tre vescovi dalla Gallia e Milziade), in quanto altri furono presenti: lo ricorda Ottato56 e implicitamente lo conferma lo stesso Costantino in un documento ufficiale del 31457, dove si fa riferimento alla presenza di Urbis Romae episcopi e di alii qui cum hisdem cognoscerent. L’elenco è fornito sempre da Ottato: sono sette vescovi provenienti dalle regioni dell’Italia settentrionale (Milano, Sinna, Labicum, Rimini, Florentia, Pisa, Faenza), due dalle regioni a sud di Roma (Capua e Benevento) e sei vescovi provenienti dall’area suburbicaria, quella di competenza del praefectus Urbi: Terracina, Preneste, Tres Tabernae (Cisterna), Ostia, Ursinum (Bolsena), Forum Claudii (Bracciano)58: una discreta presenza di vescovi italiani, dunque, in qualche modo subordinati al vescovo di Roma; una ampia partecipazione che l’imperatore non aveva previsto e che dunque si può ritenere sia frutto di una precisa volontà del vescovo di Roma.
Non appare difficile comprendere come queste presenze, alla luce soprattutto delle decisioni che dopo il vero e proprio iudicium sono prese, assumano un significato estremamente importante. In primo luogo Donato, che nell’azione giudiziaria romana non era in alcun modo indagato (era Ceciliano a essere sotto giudizio), è dichiarato totius mali princeps, isolandolo così dai suoi seguaci, ai quali è peraltro offerta la possibilità di ravvedersi; inoltre si delibera la possibilità per i vescovi ordinati da Maiorino di essere accolti all’interno della Chiesa catholica, stabilendo, peraltro, che, ove fossero sorte contrapposizioni nella elezione del vescovo, dovesse essere confermato quello ordinato in precedenza, mentre all’altro sarebbe stata assegnata la guida di un’altra comunità59.
Tutto ciò naturalmente non aveva nulla a che fare con il processo d’appello vero e proprio: è appunto questo che giustifica il contrasto fra quanti vedono nella riunione romana solo un processo e quanti invece la considerano una sinodo60. In realtà sono presenti entrambi i momenti61, il primo costituito dal giudizio civile e il secondo segnato dalle decisioni di carattere disciplinare e organizzativo.
Appare possibile che proprio questa seconda fase possa aver suscitato in Costantino una qualche irritazione. Nella lettera inviata a Milziade nel maggio-giugno del 313, con la quale gli affidava l’incarico di sovrintendere al iudicium romano, l’imperatore indicava chiaramente l’obiettivo del giudizio: sanare la divisione che si era creata a Cartagine a causa della contrapposizione fra due vescovi.
Le decisioni prese nei confronti di Donato dopo il giudizio su Ceciliano rischiavano invece di suscitare, come sarebbe poi accaduto, ulteriori tensioni, ciò che l’imperatore voleva assolutamente evitare. Insomma la legittima esigenza avvertita da Milziade e dai vescovi di esprimersi in maniera netta con una condanna esemplare di Donato, necessaria nella autonoma prospettiva della Chiesa a disciplinare i comportamenti che si allontanavano dall’ortodossia, si scontrava con la volontà costantiniana di una pacificazione degli animi e, così, di una soluzione del conflitto.
Si potrebbe forse vedere in questa decisione una reazione del vescovo di Roma, e con lui di un nutrito gruppo di vescovi del suburbio romano, dell’Italia e della Gallia, tesa ad affermare la loro autonomia dal potere politico, dunque il diritto a esprimere la loro autorevole interpretazione degli avvenimenti al di là dell’incarico ricevuto dall’imperatore, al quale non volevano apparire sottomessi62. In altre parole, Milziade e gli altri vescovi potrebbero già in questi momenti aver maturato il sospetto che la libertà che derivava dalle decisioni di Costantino (ma già di Massenzio), e che veniva a sanare le ferite inferte ai cristiani nel corso di tre secoli, rischiava paradossalmente di aprire la strada a intromissioni nelle questioni interne della Chiesa da parte del potere politico, che non rinunciava a svolgere le proprie funzioni anche in materia religiosa. Certo, il conflitto scoppierà in maniera evidente qualche decennio dopo, con Costanzo II figlio di Costantino, su premesse però che presumibilmente cominciano a maturare in questi anni63.
In realtà a Milziade e agli altri vescovi saranno mosse forti critiche sia da parte donatista sia da parte cattolica, a causa di quella che è ritenuta una commistione troppo stretta con il potere politico64. Tuttavia un tale giudizio tiene esclusivamente conto della identità di intenti fra Costantino e il vescovo di Roma (contrastare il dissidio religioso in Africa), ma non della diversità degli strumenti da adottare, un’accorta opera di convincimento da parte dell’imperatore, una netta condanna da parte di Milziade. Diversità di strumenti che, come vedremo, l’imperatore imparerà presto a tenere nel debito conto.
Una possibile affermazione di autonomia, quella di Milziade, che andrebbe vista anche alla luce di un problema interno alla Chiesa cristiana, quello del processo di sviluppo del primato romano65. Un dibattito, questo, che emerge chiaramente nella polemica donatista della seconda metà del IV secolo66, ma che non può non aver origine anche in questo contesto.
La coscienza di essere quella romana la principale comunità cristiana tra le diverse ecclesiae sparse nell’Impero si era infatti già manifestata almeno a partire da Clemente, vescovo di Roma in età domizianea, quando questi era intervenuto nelle questioni sorte all’interno della comunità di Corinto; una preminenza che Ignazio di Antiochia, all’inizio del II secolo, in qualche modo riconosceva. E se Tertulliano parlava di principalitas della sede romana come pure delle sedi di Corinto, Filippi ed Efeso, Ireneo di Lione senza difficoltà affermava la superiorità morale della sede romana. Così faceva il vescovo Callisto nella prima metà del III secolo, quando interveniva su problemi importanti come il matrimonio o la prassi penitenziale, nella consapevolezza del potere della propria ecclesia in quanto Petri propinqua, ponendosi in contrasto con le altre Chiese: una qualche forma di primato che l’imperatore Aureliano avrebbe riconosciuto quando, come si è già ricordato, affidò ai vescovi di Roma e dell’Italia la soluzione del problema relativo all’elezione episcopale ad Antiochia67.
Milziade, nel momento in cui trasforma il processo contro Ceciliano in una sinodo nella quale affrontare il problema donatista, si muove nell’ambito di questa linea. Non è un caso, infatti, che la tradizione attribuisca proprio a Milziade una lettera nella quale si afferma che nessun vescovo può essere giudicato in cause importanti se non dalla Chiesa romana e dal suo vescovo, privilegio questo che sarebbe stato accordato alla sede romana sin dai tempi apostolici68.
Non sappiamo quanto Costantino fosse pienamente consapevole di tutto ciò nel momento in cui affidava a Milziade il processo. Egli, nella questione donatista, stava operando su sollecitazione degli stessi donatisti, nella consapevolezza però che essi minavano l’unità della Chiesa cristiana, fortemente sostenuta dall’imperatore: in questa direzione si muove infatti anche il provvedimento del 31 ottobre 313, con il quale erano ribadite le immunità a favore dei soli ecclesiae catholicae clerici69.
Obiettivo, questo dell’unità, che Costantino, nei primi mesi di governo della pars occidentis dell’Impero, intendeva perseguire attraverso il tentativo di recuperare i seguaci di Donato, ma anche e soprattutto lo stesso Donato, alla communicatio con le altre Chiese. La netta condanna di Donato espressa a Roma da Milziade rischiava invece di inasprire la situazione: l’apertura verso i vescovi donatisti deliberata a Roma evidentemente non poteva essere sufficiente a separare costoro dalla loro guida, alla quale erano fortemente legati, come i fatti precedenti avevano dimostrato. E ciò non poteva non turbare l’imperatore.
Le decisioni prese a Roma lasciano ovviamente del tutto insoddisfatti i donatisti: un esito in qualche misura preannunciato, se non altro per il fatto che a presiedere il iudicium era il vescovo di Roma Milziade, vicino alle posizioni di Ceciliano. Così, forse già prima del giudizio, o più probabilmente dopo il suo esito, è avanzata nei confronti di Milziade l’accusa di essere stato egli stesso traditor: accusa che emerge ai tempi di Agostino70, nell’atmosfera infuocata della conferenza antidonatista di Cartagine del 41171, ma che doveva essere ben più antica e risalire alla prima metà del IV secolo; essa inoltre coinvolgeva anche i predecessori di Milziade, Marcellino72 e Marcello73, nonché il ben più noto successore Silvestro, che avrebbe preso il posto di Milziade nel gennaio del 314.
Formulata in quel contesto, l’accusa chiaramente è il frutto del risentimento dei donatisti nei confronti dell’imperatore, al quale si erano rivolti fiduciosi. Si spiegano così le parole riportate da Ottato, Quid Christianis cum regibus? aut quid episcopis cum palatio?, con le quali i donatisti avrebbero accusato i cattolici di essersi serviti dello Stato per contrastarli: accusa alla quale Ottato può facilmente ribattere sostenendo che erano stati proprio i seguaci di Maiorino a rivolgersi all’imperatore74.
Nei giorni successivi al iudicium romano i donatisti, lamentando appunto che a Roma la causa non era stata discussa nel merito, intraprendono una nuova azione, non più diretta contro Ceciliano, che nel frattempo è tornato a Cartagine (mentre i vescovi donatisti sono trattenuti in Italia per qualche tempo, creando in Africa notevoli malumori), ma spostando l’accusa su Felice di Apthungi75.
Costantino, che dalla metà del 313 si trova quasi sempre a Treviri76, consapevole, dopo le vicende romane, delle istanze autonomistiche della Chiesa (e di quella romana in particolare) nei confronti dei problemi interni, consapevole altresì della necessità che qualsiasi decisione, per esser veramente efficace, debba passare attraverso il consenso del maggior numero possibile di vescovi e dunque attraverso l’istituto sinodale, resta tuttavia convinto della necessità che lo Stato, e dunque l’imperatore, eserciti su quell’istituto un deciso controllo: in gioco è il bene fondamentale dell’unità dello Stato.
Il 313 è anche anno di tensioni politiche. Nonostante l’accordo con l’imperatore Licinio, che controlla le province orientali, Costantino continua a perseguire il proprio progetto di assunzione di tutto il potere nelle proprie mani. Le decisioni del iudicium romano sono dei primi giorni dell’ottobre del 313; il 13 giugno Licinio aveva emanato il proprio decreto a favore dei cristiani, andando ben oltre gli atti costantiniani ed estendendo la libertà a tutti i cristiani, senza alcuna distinzione di appartenenza a sette o gruppi. Egli si era così garantito, almeno in un primo momento (le cose poi sembrano cambiare), il sostegno di una parte consistente dei propri sudditi (la presenza cristiana era molto più ampia in quei territori) evitando nel contempo scontri e animosi confronti, come stava accadendo in Occidente77; Costantino deve dunque trovare un uguale consenso, senza rinunciare tuttavia a modificare la propria idea sull’unità dei cristiani.
Il rapporto con Licinio, dunque, appare essere centrale in questa vicenda. Non è un caso infatti che, dopo l’inizio del primo scontro con Licinio78, Costantino abbandoni ogni cautela diplomatica e condanni in maniera severa i donatisti con l’esilio e la confisca dei beni79. Per poi tornare a una certa tolleranza nel 32180, prima dello scontro finale con Licinio del 324.
Torniamo agli ultimi mesi del 313. La prima fase della risposta di Costantino alla richiesta donatista di un nuovo processo81 (risposta ancora una volta in qualche modo irritata per il fatto che un vescovo presentasse appello come un qualsiasi cittadino)82 vede l’avvio di una indagine in Africa affidata al vicarius Vero83 (e poi al proconsole Eliano84) sull’accusa di traditio nei confronti di Felice di Apthungi.
Anche questa è una decisione significativa. Costantino doveva essere consapevole del fatto che acconsentendo a una nuova inchiesta, questa volta incentrata sulla degnità di Felice, avrebbe suscitato l’irritazione del vescovo di Roma e dei vescovi occidentali in genere: infatti, al di là dell’esito dell’inchiesta, significava mettere in discussione il valore oggettivo delle ordinazioni, principio al quale Milziade e gran parte dei vescovi almeno occidentali erano legati85.
In ogni caso il 15 febbraio 314 dinanzi a Eliano si svolge l’udienza, che vede l’assoluzione di Felice, seppure sulla base di testimonianze non del tutto limpide86; la relazione di Eliano raggiunge Costantino a Treviri tra il febbraio e il marzo del 31487. In attesa che l’imperatore si pronunci in prima persona (cosa che accadrà a Milano nel 315), date le premesse prima ricordate occorre, però, che un organo ecclesiastico faccia propri quei risultati. L’imperatore convoca così una sinodo per il 1° agosto di quel 314 ad Arelate88.
Non si tratta tuttavia di un nuovo processo simile al iudicium romano, improponibile dopo il giudizio di primo grado presso Anullino, quello di secondo grado a Roma e l’appello presso Eliano; nella lettera inviata al vicarius Elafio, con la quale lo invita a provvedere a che i vescovi africani raggiungano Arelate attraverso la Spagna89, appare abbastanza esplicito il carattere della sinodo: un’occasione nella quale ai donatisti, sconfitti nelle varie sedi giudiziarie, tocca ora consensum debere, devono cioè convincersi o essere convinti a recedere dalle proprie posizioni e recuperare la communicatio con gli altri vescovi90.
Interpretazione, questa, confermata anche dalle lettere di convocazione che l’imperatore invia ai singoli vescovi: si possiede, conservata da Eusebio, quella inviata a Cresto, vescovo di Siracusa91. In essa l’imperatore ricostruisce i precedenti del conflitto, ricorda la sinodo romana del 312 e la reazione di Donato per il fatto che «senza che sia stato prima esaminato con precisione tutto ciò che si doveva ricercare, hanno proceduto a emettere il giudizio con troppa fretta e precipitazione». Per questo l’imperatore ordina a un gran numero di vescovi di riunirsi nella città di Arles affinché «questa controversia […], dopo che si sarà ascoltato tutto ciò che deve essere detto dalle parti tra loro dissidenti […] possa ricomporsi, anche se tardi, nella religione dovuta». Non quindi un nuovo tribunale, nel quale inevitabilmente a una parte vincitrice si sarebbe contrapposta una parte soccombente, bensì una occasione di confronto per giungere alla ricomposizione del dissidio.
Questa di Arles è la prima sinodo a svolgersi dopo la svolta costantiniana, la prima di una Chiesa cristiana non solo ormai libera, ma anche ampiamente favorita dal potere imperiale. Ma è una assemblea di vescovi che, per la prima volta, sono stati convocati da colui che detiene quel potere – fatto questo ovviamente di grande rilievo e gravido di conseguenze importanti –, la cui politica religiosa si muove nella direzione del riconoscimento delle gerarchie della catholica ecclesia come organismo statale92.
Altrettanto importante è il fatto che alla sinodo, presieduta da Marino, vescovo di Arles (già incontrato in occasione del iudicium romano del 31393) partecipi lo stesso imperatore94, quasi a volersi assicurare che la riunione si incanali esattamente lungo la via che egli aveva deciso, quella di essere, come è stato detto, «braccio ecclesiastico» dello Stato95, o per usare un’altra definizione un «Reichskonzil»96. Fu riaffermata la legittimità della posizione di Ceciliano, ma non si giunse alla riconciliazione auspicata da Costantino, anche se alcune delle decisioni prese, come la condanna dei traditores, sembravano andare incontro alle istanze dei donatisti; la condanna tuttavia era attenuata dalla necessità di prove certe97.
La sinodo comunque, ancora una volta, avrebbe superato il mandato costantiniano per affrontare una lunga serie di problemi dottrinali e disciplinari, che nulla avevano a che fare con l’intento originario: un modo di procedere che avrebbe nuovamente irritato l’imperatore, che a un certo punto, annoiatosi, avrebbe ordinato che tutti tornassero alle proprie sedi98. Infatti, molte delle decisioni prese (come quelle relative al controllo morale da parte dell’autorità ecclesiastica di quanti rivestono cariche pubbliche, i quali potrebbero essere scomunicati in caso agiscano contra disciplinam99) divengono segno tangibile di un conflitto fra Stato e Chiesa che, passato più di un anno da ponte Milvio, continua a manifestarsi con sempre maggiore evidenza100.
Alla sinodo, nella quale sono rappresentati quasi tutti i territori sottoposti a Costantino e che si configura dunque come una sorta di concilio generale delle chiese occidentali, non partecipa, ed è questo il fatto significativo, il nuovo vescovo di Roma, Silvestro, che il 31 gennaio del 314 prende il posto di Milziade101. Egli, infatti, invia al suo posto due presbiteri (Claudiano e Vito) e due diaconi (Eugenio e Ciriaco). Un’assenza, questa, che ha fatto molto discutere, e che è stata variamente giustificata: alcuni hanno ritenuto che fosse motivata dalla volontà di non sminuire l’autorità del vescovo di Roma partecipando a una sinodo convocata dall’imperatore102, mentre maggiori consensi ha ottenuto l’ipotesi di una consuetudine per la quale il vescovo di Roma partecipava direttamente solo ai concili che si svolgevano nella città103. Tuttavia, anche in questo caso si tratta di una spiegazione che anticipa troppo una prassi che verrà a instaurarsi in epoche successive, quando peraltro si affermerà il primato romano.
All’assente Silvestro, i vescovi riuniti ad Arles inviano però una lettera con la quale comunicano l’esito della sinodo e i relativi canoni104. Tra le dichiarazioni di deferenza, una merita particolare attenzione, quella nella quale i vescovi lamentano l’assenza di Silvestro e sostengono che la sua presenza avrebbe reso ancora più severa la condanna di Donato e dei suoi seguaci («in eos severior fuisset sententia»).
È questa un’affermazione che ha suscitato molte perplessità fra gli studiosi, al punto che alcuni hanno espresso dubbi sull’autenticità della lettera così come oggi la si legge nella sua redazione più ampia105. Tuttavia, se bisogna prestare fede alla sostanza della lettera – e non c’è motivo per non farlo – l’affermazione va interpretata.
«In eos severior fuisset sententia», scrive dunque, a nome dei vescovi di Arles, probabilmente lo stesso Ossio106. Il senso della frase appare chiaro: Silvestro, nell’opinione di quei vescovi (ma, è indubbio, anche dell’imperatore), avrebbe assunto un atteggiamento molto severo nei confronti dei donatisti. In altre parole, la lettera sembrerebbe sostenere che, se il nuovo vescovo di Roma, in carica dal gennaio di quel 314, avesse partecipato alla sinodo arelatense, probabilmente non sarebbe stato possibile giungere alla pacificazione auspicata da Costantino.
Su Silvestro, come si è visto, probabilmente già pesava l’accusa di traditio rivoltagli dai donatisti: una accusa la cui eco si trova già nell’età di Damaso, ben prima dunque della strumentalizzazione fattane dai donatisti dell’età di Agostino107.
In altre parole, in un contesto ancora più difficile di quello romano del 313 e nel quale Costantino voleva ottenere la riconciliazione delle parti, il vescovo di Roma, Silvestro, accusato dai donatisti di traditio (come il predecessore Milziade) avrebbe potuto seriamente compromettere il raggiungimento di quell’obiettivo. Peraltro raggiunto, perché la sinodo Arelatense, pur ribadendo l’innocenza di Felice di Apthungi dichiarata dal processo africano, finiva con l’andare incontro ad alcune richieste dei donatisti, ad esempio con il canone 13, che stabiliva la rimozione per un vescovo riconosciuto, su base certa, colpevole di traditio, annullando di fatto la disposizione callistiana della indeponibilità del vescovo108.
Proprio la volontà conciliante di Costantino segna la distanza da quelle che dovevano essere le posizioni di Silvestro: questa potrebbe essere così una delle ragioni dell’isolamento nel quale il vescovo di Roma verrà a trovarsi per il prosieguo del suo episcopato109: un isolamento che potrebbe anche dipendere dall’aver Costantino preso coscienza del fatto che al primato del vescovo di Roma, sviluppatosi nel corso dei secoli e che Milziade aveva in qualche modo affermato, lo stesso Silvestro potrebbe essersi in qualche modo richiamato nel corso della vicenda donatista (nella lettera sinodale inviatagli lo si definisce colui che detiene maioris diocheseos partes110). Tutto ciò andava contro la politica costantiniana così come si stava venendo a delineare, per la quale all’imperatore era riservata l’autorità su ogni aspetto dello Stato e dunque non era tollerabile all’interno di quello stesso Stato la presenza di un’altra diversa autorità111.
Non si conosce il pensiero di Silvestro: nulla è giunto dei suoi scritti. E tuttavia non è difficile ipotizzare un disagio forse maggiore di quello provato da Milziade poco tempo prima. Milziade, infatti, aveva mantenuto una propria autonomia nel procedere contro i donatisti, mentre proprio l’assenza di Silvestro ad Arles aveva impedito che il giudizio su Donato fosse particolarmente severo, come si è visto.
Costantino, tuttavia, non è ancora soddisfatto112: i risultati di Arles sono certo importanti, ma il dissidio fra cattolici e donatisti non è ancora risolto. Fa condurre a Treviri quanti fra i donatisti si erano rifiutati di riconciliarsi con Ceciliano (fra questi Donato) per poi inviarli a Roma nel luglio del 315. Qui convoca anche Ceciliano; questi però non arriva in tempo e raggiunge l’imperatore a Milano, dove Costantino era giunto nei primi giorni di ottobre113 e dove viene svolta la cognitio definitiva del lungo processo cominciato a Roma nel 312114. I due avversari sono quindi trattenuti a Brescia, mentre due vescovi, Eunomio e Olimpio, si recano a Cartagine per applicare la sentenza emessa dal iudicium romano, tentando inutilmente di insediare un vescovo cecilianista: Donato infatti riesce a tornare in Africa, seguito però da Ceciliano. Costantino progetta dunque di recarsi egli stesso in Africa per mettere in campo direttamente il proprio prestigio115. Si tratta dell’ennesimo tentativo di mediazione, in altri termini, con l’obiettivo del raggiungimento dell’unità dei cristiani.
Una posizione rigida verrà presa da Costantino solo nel novembre del 316, come si è già ricordato, quando nel corso della guerra contro Licinio, forse anche nel timore che le controversie possano alienargli la benevolenza del Dio dei cristiani che lo aveva assistito contro Massenzio116, stabilisce quale sia la vera religio.
Non si conosce il ruolo del vescovo di Roma, Silvestro, nel corso di questi ultimi avvenimenti. Così come non si sa nulla del suo operato per gli anni successivi, quando peraltro l’imperatore in realtà non sarà più a Roma se non per un breve periodo nella seconda metà del luglio del 326. Si possiede una sola notizia, relativa all’assenza di Silvestro in occasione della prima assemblea ecumenica della Chiesa cristiana, quella convocata da Costantino a Nicea del 325 per affrontare il problema ariano117. In tale occasione, come è noto, l’imperatore affidò la presidenza della sinodo a Ossio di Cordova118, l’uomo che almeno a partire dal 312 aveva collaborato in maniera fondamentale al dispiegarsi della sua politica religiosa, e che aveva seguito direttamente le fasi iniziali della crisi ariana119; ancora una volta, come già ad Arles, Costantino presenzierà ai lavori conciliari, facendo in modo che le decisioni prese siano in linea con la sua politica di unità attraverso la mediazione.
Un’assenza importante quella del vescovo di Roma, che pure, prima del 325, era stato informato da Alessandro vescovo di Alessandria della pericolosità dei seguaci di Ario120. A Nicea si farà rappresentare da due presbiteri, Vito e Vincenzo (solo due rispetto ai quattro presenti ad Arles), che non avranno alcun ruolo nel corso dei lavori121. Assenza così importante, tuttavia, che Eusebio, nella Vita di Costantino, avverte la necessità di giustificarla, attribuendone le ragioni all’età del vescovo: «A causa dell’età avanzata mancava il vescovo della città regina, ma erano presenti suoi presbiteri che ne facevano le veci»122: giustificazione certamente di comodo, perché, se Silvestro doveva certo essere anziano, nel 325 Ossio aveva almeno settant’anni123.
Silvestro dunque, per quello che si sa, vive nell’ombra: un isolamento al quale si verrà a contrapporre però una ricca tradizione agiografica, quella degli Actus Silvestri, che, nata alla fine del IV secolo nel suo nucleo essenziale (Costantino pagano, malato di lebbra, guarisce attraverso il battesimo cristiano), prenderà poi forma nei primi decenni del V secolo per essere usata contro quanti, dopo il sacco alariciano, accusavano i cristiani e Costantino di essere stati la causa della rovina di Roma a motivo dell’abbandono dei culti tradizionali124. Al Silvestro della storia, che non sembra aver esercitato alcuna influenza su Costantino, si contrappone il Silvestro di questa tradizione, nella quale il vescovo assume il ruolo di colui che guida Costantino alla conversione e lo battezza, acquistando così un prestigio che manterrà inalterato per secoli.
La possibilità dell’esistenza di una difficoltà dei rapporti fra Costantino e i vescovi di Roma va riscontrata anche in un altro contesto, quello dell’assetto urbanistico della città, che vedrebbe un numero straordinario di edifici di culto cristiani, la cui costruzione l’imperatore avrebbe promosso da subito.
L’elenco è impressionante e, nel silenzio delle fonti contemporanee, lo fornisce esclusivamente la Vita Sylvestri contenuta nel Liber Pontificalis, redatta, sulla base di materiali certo più antichi, alla metà del VI secolo125: la basilica detta costantiniana del Laterano, l’annesso battistero lateranense e la basilica sessoriana (Santa Croce in Gerusalemme), e poi le basiliche cimiteriali come quella dei Ss. Pietro e Marcellino, la basilica Apostolorum, S. Paolo fuori le Mura, S. Lorenzo fuori le Mura, e su tutte S. Pietro in Vaticano126. Tutto ciò, una monumentalizzazione cristiana della città e addirittura la realizzazione di una prestigiosa sede episcopale (il palazzo lateranense127), contraddirebbe naturalmente l’ipotesi di un conflitto, seppure allo stato embrionale, tra l’imperatore e i vescovi della città.
Negli ultimi anni, in realtà, l’attribuzione a Costantino di tutti questi edifici è stata messa in dubbio. Per alcuni di essi (come la basilica Apostolorum) è stata proposta una attribuzione massenziana, cancellata nelle fonti cristiane per la necessità di contrapporre a Costantino un Massenzio crudele persecutore dei cristiani128; per altri edifici (come S. Agnese) la fondazione è stata spostata a un periodo successivo alla morte di Costantino129. Un ampio dibattito di revisione che ha coinvolto, suscitando vivaci reazioni, anche la basilica di S. Pietro, la cui realizzazione è stata posticipata all’età di Costanzo II130.
Ridimensionato comunque l’impegno urbanistico di Costantino a Roma, appare ancora più plausibile una problematicità dei rapporti fra Costantino e i vescovi di Roma (Milziade prima e soprattutto Silvestro), sviluppatasi nel contesto della questione donatista prima e di quella ariana poi: una conflittualità che, partita in sordina da Roma, coinvolgerà importanti esponenti del radicalismo niceno e sarà alla base del conflitto fra autorità religiosa e potere politico che, esploso nell’età di Costanzo II, proseguirà per tutto il IV secolo131, sino a quando Ambrogio a Milano nel 386 affermerà che «l’imperatore è nella Chiesa, non sopra la Chiesa»132, con un totale capovolgimento dell’impianto costantiniano. Un conflitto, come è noto, destinato in altre forme a segnare tutta l’età medievale.
1 I rapporti di Costantino con i vescovi di Roma non sono stati oggetto di specifici approfondimenti. Cenni a questo tema si trovano negli studi sulla Chiesa romana del IV secolo (si vedano Ch. Pietri, Roma Christiana. Recherches sur l’Église de Rome, son organisation, sa politique, son idéologie de Miltiade à Sixte III [311-440], Rome 1976, pp. 159-187; S. Pricoco, Da Costantino a Gregorio Magno, in Storia del Cristianesimo. L’antichità, a cura di G. Filoramo, D. Menozzi, Roma-Bari 1997, pp. 273-452, in partic. 283-301) oppure in quelli sui rapporti dell’imperatore con il clero cristiano (cfr. R. Leeb, Konstantin und Christus, Berlin-New York 1992; E. Lehmeier, G. Gottlieb, Kaiser Konstantin und die Kirche. Zur Anfänglichkeit eines Verhältnisses, in E fontibus Haurire. Beiträge zur römischen Geschichte und zu ihren Hilfswissenschaften. Heinrich Chantraine zum 65. Geburtstag, hrsg. von R. Günther, S. Rebenich, Paderborn 1994, pp. 163-183; H.A. Drake, Constantine and the Bishops. The Politics of Intolerance, Baltimore-London 2000; Id., The Impact of Constantine on Christianity, in The Cambridge Companion to the Age of Constantine, ed. by N. Lenski, Cambridge 2006, pp. 111-136; K.M. Girardet, Der Kaiser und sein Gott, Berlin-New York 2010) o ancora, con vari livelli di approfondimento, negli studi di carattere generale sulla vicenda costantiniana, particolarmente a proposito del conflitto donatista (fra gli ultimi A. Marcone, Pagano e cristiano. Vita e mito di Costantino, Roma-Bari 2002, pp. 99-129; K.M. Girardet, Konstantin und das Christentum: Die Jahre der Entscheidung. 310 bis 314, in Konstantin der Grosse. Geschichte, Archäologie, Rezeption, internationales Kolloquium (Trier 10.-15. Oktober 2005), hrsg. von A. Demandt, J. Engemann, Trier 2005, pp. 69-80; R. Turcan, Constantin en son temps. Le baptême ou la porpure?, Dijon 2006, pp. 191-194 e 235-248; E. Herrmann-Otto, Konstantin der Grosse, Darmstadt 2007, pp. 80-93 e 118-135; T.D. Barnes, Constantine. Dynasty, Religion and Power in the Later Roman Empire, Chichester 2011, pp. 83-89). Da parte di alcuni si ritiene che Costantino sia stato del tutto sottomesso ai vescovi dell’Urbe (cfr. C.M. Odahl, Constantine and the Christian Empire, London-New York 2004, pp. 121-161), mentre altri lo presentano come abile manipolatore alla ricerca di un più ampio consenso (B. Leadbetter, Constantine and the Bishop: The Roman Church in the Early Fourth Century, in The Journal of Religious History, 26 (2002), pp. 1-14). Per quanto riguarda Milziade si veda A. Di Berardino, Milziade, santo, in Enciclopedia dei Papi, Roma 2000, I, pp. 317-321. Su Silvestro cfr. F. Scorza Barcellona, Silvestro I, santo, in Enciclopedia dei Papi, cit., I, pp. 321-333, e sull’ampia tradizione agiografica che lo riguarda cfr. W. Pohlkamp, Tradition und Topographie: Papst Silvester I. (314-335) und der Drache vom Forum Romanum, in Römische Quartalschrift für christliche Altertumskunde und für Kirchengeschichte, 78 (1983), pp. 1-100; V. Aiello, Costantino, la lebbra e il battesimo di Silvestro, in Costantino il Grande dall’antichità all’umanesimo. Atti del Convegno internazionale (Macerata 18-20 dicembre 1990), a cura di G. Bonamente, F. Fusco, Macerata 1992, I, pp. 17-58; M. Amerise, Il battesimo di Costantino il Grande. Storia di una scomoda eredità, Stuttgart 2005, in partic. 93-119; T. Canella, Gli Actus Silvestri. Genesi di una leggenda su Costantino imperatore, Spoleto 2006. Sul breve (e oscuro) pontificato di Marco, cfr. G.M. Vian, Marco, santo, in Enciclopedia dei Papi, cit., pp. 333-334.
2 Sono queste le espressioni usate da Eus., v.C. I 39 (trad. it. Eusebio di Cesarea, Sulla vita di Costantino, a cura di L. Tartaglia, Napoli 2001, p. 67). Di tono analogo le parole dell’anonimo retore pagano autore di un panegirico pronunciato a Treviri nel 313 in onore di Costantino (Paneg. 9(12),19-20).
3 Cfr. Paneg. 9(12),20,3: O tandem felix civili, Roma, victoria («O Roma, felice infine per la vittoria in una guerra civile»). Massenzio, figlio di Massimiano Erculio, collega di Diocleziano nella prima tetrarchia, era cognato di Costantino: l’imperatore infatti ne aveva sposato la sorella Fausta nel marzo del 307 (cfr. PLRE I, s.v. Fausta, pp. 325-326; s.v. Maxentius, p. 571).
4 Cfr. le osservazioni di A. Marcone, Pagano e cristiano, cit., pp. 78-79.
5 Così testimoniano Eus., h.e. VIII 14,1; m.P. 13,12 segg.; Optat., I 18. Cfr. S. Calderone, Costantino e il cattolicesimo, Firenze 1962, pp. 138 nota 4 e 156. Cfr. più ampiamente M. Cullhed, Conservator Urbis Suae: Studies in the Politics and Propaganda of the Emperor Maxentius, Stockholm 1994, pp. 90-115, e O. Hekster, The City of Rome in Late Imperial Ideology: The Tetrarchs, Maxentius and Constantine, in Mediterraneo Antico, 2 (1999), pp. 719-748.
6 Aug., coll. c. Don. 18,34; adv.Don. 13,17. Il provvedimento riguardava Roma; forse venne esteso anche agli altri territori controllati da Massenzio, come l’Africa, ma non si possiede alcuna testimonianza in tal senso. Ottato di Milevi, che, come si è già detto, conosce l’azione di Massenzio in Africa nei confronti dei cristiani, non vi fa alcun cenno.
7 Su questo testo cfr. R.M. Salzman, On Roman Time: The Codex-Calendar of 354 and the Rhythms of Urban Life in Late Antiquity, Berkeley 1990.
8 MGH CM I, 76.
9 Cfr. A. Di Berardino, Eusebio, santo, in Enciclopedia dei papi, cit., I, pp. 313-315.
10 Su questa vicenda si vedano le osservazioni di A. Di Berardino, Marcello I, santo, in Enciclopedia dei Papi, cit., I, pp. 307-312.
11 A. Beugnet, Apostasie, in Dictionnaire de Théologie Catholique I (1931), cc. 1602-1612.
12 Su Novaziano cfr. P. Mattei, Novaziano, in Letteratura patristica, a cura di A. Di Berardino, G. Fedalto, M. Simonetti, Cinisello Balsamo 2007, pp. 899-902.
13 Damaso, Carmina 18,3.
14 Su questi avvenimenti cfr. A. Di Berardino, Marcello, cit., pp. 309-311; Id., Eusebio, cit., pp. 314-315.
15 Cfr. A. Di Berardino, Milziade, cit., p. 317.
16 Di incerta interpretazione appare la notizia offerta da Lattanzio (mort. pers. 24,9) secondo cui Costantino già nel maggio del 306, dopo essere stato acclamato dalle truppe del padre, avrebbe concesso ai cristiani la libertà di culto.
17 Un buon accordo secondo A. Marcone, Pagano e cristiano, cit., pp. 81-82.
18 Eus., h.e. IX 9,12. Sui rapporti fra questa disposizione e quella di Licinio, solitamente identificata come l’editto di Milano (Eus., h.e. X 5,2-12; Lact., mort. pers. 48) in quanto successiva agli accordi presi a Milano nel febbraio del 313, cfr. S. Calderone, Costantino, cit., pp. 150-204. Per una disamina delle moderne posizioni su questo tema cfr. T.D. Barnes, Constantine, cit., pp. 93-97.
19 Così riteneva S. Calderone, Costantino, cit., pp. 150 segg. (per la data p. 163).
20 Non tutta la critica moderna riconosce all’imperatore questa consapevolezza; fra gli altri cfr. M. Simonetti, Costantino e la chiesa, in Costantino il Grande. La civiltà antica al bivio tra Occidente e Oriente (catal.), Cinisello Balsamo 2005, pp. 56-63, in partic. 60, che ritiene l’imperatore del tutto dipendente dai suoi consiglieri religiosi.
21 Il conflitto può essere definito così solo dopo che Donato (sul personaggio, nell’ipotesi della coincidenza fra il Donato di Casae Nigrae e il Donato di Cartagine, cfr. A. Mandouze, Prosopographie de l’Afrique chrétienne (303-533), I, s.v. Donatus 5, pp. 292-303, in Prosopographie chrétienne du Bas-Empire, éd. par Ch. Pietri, L. Pietri et al., 3 voll., Paris 1982-2008) diviene la guida del movimento e questo avviene dopo l’aprile del 313, come si vedrà. Sulla vicenda donatista, oltre al classico lavoro di W.H.C. Frend, The Donatist Church: a Movement of Protest in Roman North Africa, Oxford 1952, cfr. anche E. Tengström, Donatisten und Katholiken: soziale, wirtschaftliche und politische Aspekten einer nordafrikanischen Kirkenspaltung, Göteborg 1964; E.L. Grasmück, Coercitio: Staat und Kirche in Donatistenstreit, Bonn 1964, e le sempre limpide pagine di J.R. Palanque, Lo scisma donatista, in Storia della Chiesa, a cura di A. Fliche, V. Martin, III, 2, Torino 1972, pp. 47-61; più recentemente S. Gherro, Stato e chiesa di fronte alla controversia donatista nei primi anni dell’età costantiniana, in Studia et Documenta Historiae et Iuris, 36 (1970), pp. 359-409; K.M. Girardet, Kaisergericht und Bischofsgericht. Studien zu den Anfänge des Donatistenstreits (313-315) und zum Prozess des Athanasius von Alexandrien (328-346), Bonn 1975; B. Kriegbaum, Kirche der Traditoren oder Kirche der Märtyrer: Die Vorgeschichte des Donatismus, Innsbruck-Wien 1986; J.-L. Maier, Le Dossier du Donatisme, 2 voll., Berlin 1987-1989; H.A. Drake, Constantine and the Bishops, cit., pp. 212-231; Ch. Pietri, Il fallimento dell’unità «imperiale» in Africa. La resistenza donatista (fino al 361), in Storia del Cristianesimo, II, La nascita di una Cristianità (250-430), a cura di Ch. Pietri, L. Pietri, Roma 2000, pp. 224-242; E. Zocca, L’identità cristiana nel dibattito fra cattolici e donatisti, in Annali di Storia dell’Esegesi, 21 (2004), pp. 109-130; J. Roldanus, The Church into the Age of Contantine. The Theological Challanges, London-New York 2006, pp. 37-40; E. Hermann-Otto, Konstantin der Grosse, cit., pp. 80-93; C. Revel-Barreteau, La fin des persécutions? Le tournant constantinien vu par les Donatistes, in Le païen, le chrétien, le profane. Recherches sur l’antiquité tardive, éd. par B. Goldlust, F. Ploton-Nicollet, Paris 2009, pp. 95-118.
22 Su Ceciliano cfr. A. Mandouze, Prosopographie, cit., s.v. Caecilianus 1, pp. 165-175, e su Maiorino si veda Id., Prosopographie, cit., s.v. Maiorinus 1, pp. 666-667. Su questa prima fase cfr. T.D. Barnes, The Beginnings of Donatism, in Journal of Theological Studies, 26 (1975), pp. 13-22, e Id., The New Empire of Diocletian and Constantine, Cambridge (MA)-London 1982, pp. 238-247.
23 Su questa ricostruzione cfr. S. Calderone, Costantino, cit., pp. 171-173.
24 Sul complesso di queste iniziative cfr. soprattutto S. Calderone, Costantino, cit., pp. 135-164. Si vedano anche, per alcuni aspetti particolari, fra gli altri, T.G. Elliott, The Tax Exemptions Granted to Clerics by Constantine and Constantius II, in Phoenix, 32 (1978), pp. 326-336; B. Leadbetter, Constantine and the Bishop, cit.; R. Lizzi Testa, Chiesa e Impero, in Letteratura patristica, cit., pp. 263-281, in partic. 274-275; B. Bellomo, Le immunità ecclesiastiche. Dinamiche sociali, religiose ed economiche da Costantino a Teodosio II, Roma 2006, pp. 45-79; J. Roldanus, The Church, cit., pp. 35-36; K.M. Girardet, Der Kaiser und sein Gott, cit., pp. 105-106 e 124-128.
25 Cfr. S. Calderone, Costantino, cit., pp. 136, 141-142.
26 Eus., h.e. X 5,15-17. Cfr. S. Calderone, Costantino, cit., pp. 136-138, e per la cronologia p. 335; A. Marcone, Pagano e cristiano, cit., pp. 97 segg.; K.M. Girardet, Der Kaiser und sein Gott, cit., pp. 125-128.
27 Eus., h.e. X 6,1-4: si tratta della comunicazione inviata al vescovo di Cartagine Ceciliano. Cfr. S. Calderone, Costantino, cit., pp. 137 e 140-150 (per la cronologia, p. 335; sulle direttive date ‘a voce’ già a Roma subito dopo ponte Milvio, pp. 136-137). Cfr. K.M. Girardet, Der Kaiser und sein Gott, cit., pp. 125-128.
28 Tale norma precedente, che concedeva l’esenzione indistintamente a tutti i clerici, è stata identificata in Cod. Theod. XVI 2,2, datata erroneamente al 319, mentre dovrebbe risalire al 313. Su quest’ultima cfr. S. Calderone, Costantino, cit., pp. 148-149 nota 1 e p. 171 nota 2.
29 Eus., h.e. X 7,1-2. Cfr. S. Calderone, Costantino, cit., pp. 144-150; A. Marcone, Pagano e cristiano, cit., pp. 97-99. Si veda anche T.G. Elliott, The Tax Exemptions, cit.
30 Anche i donatisti si definivano catholici. Cfr. il Libellus ecclesiae catholicae che essi inviano a Costantino contro Ceciliano (S. Calderone, Costantino, cit., p. 142 nota 5).
31 Eus., h.e. X 7,1-2.
32 Aug., epist. 88.
33 Optat., II 22: petimus ut de Gallia nobis iudices dari praecipiat pietas tua. Una tale richiesta si potrebbe spiegare col fatto che funzionari provenienti dalla Gallia, meno toccata dalla persecuzione dioclezianea, potevano non aver preso parte a inchieste contro i cristiani, e dunque non essere pregiudizialmente favorevoli ai traditores, come invece poteva accadere a quanti, avendoli costretti a consegnare i libri sacri o a sacrificare, in qualche modo li consideravano buoni cittadini. Lo stesso Anullino, ad esempio, era presumibilmente figlio dell’africano C. Annio Anullino, proconsole in Africa negli anni 303-304 (cfr. PLRE I, s.v. C. Annius Anullinus 3, p. 79), coinvolto nelle inchieste contro i cristiani (Optat., III 8, lo definisce impius iudex). Cfr. anche, per il problema della data, S. Calderone, Costantino, cit., pp. 173 segg. e in partic. 174 nota 1; K.M. Girardet, Die Petition der Donatisten an Kaiser Konstantin (Frühjahr 313). Historische Voraussetzungen und Folgen, in Chiron, 19 (1989), pp. 185-206.
34 T.D. Barnes, The New Empire, cit., p. 71.
35 Optat., II 23: l’imperatore lamenta che la pars Maiorini abbia voluto un processo civile, in saeculo iudicium; una irritazione da intendersi, presumibilmente, come determinata dal fatto che non era stato sufficiente il giudizio di primo grado a ricomporre gli attriti fra le due fazioni e a ricostituire l’unità della Chiesa cartaginese. Cfr. anche le osservazioni di S. Calderone, Costantino, cit., p. 232.
36 Forse Merocle di Milano o Massimo di Ostia (S. Calderone, Costantino, cit., p. 239 nota 4); incerta appare la sua identificazione con il Marco futuro vescovo della città nel 336 (G.M. Vian, Marco, santo, cit., p. 333): in questa ipotesi, infatti, non se ne comprenderebbe il ruolo accanto al vescovo Milziade.
37 Ne è prova infatti l’attacco che, nella testimonianza di Agostino, i donatisti avrebbero portato al vescovo anche in occasione del iudicium romano, accusandolo di essersi apertamente schierato dalla parte di Ceciliano (Aug., c.Parm. I 4,7; 5,10; 8,13).
38 Su questa interpretazione cfr., fra gli altri, K. Baus, Le origini, in Storia della chiesa, a cura di H. Jedin, Milano 1972, pp. 528-529. Un precedente solitamente richiamato è quello di Aureliano, che sarebbe intervenuto a favore di Paolo di Samosata, vescovo di Antiochia, deposto da una sinodo cittadina (cfr. A. Marcone, Pagano e cristiano, cit., p. 101). Anche in quel caso, tuttavia, si era trattato della difesa dell’unità dell’Impero minacciata dalla potenza sasanide (così S. Calderone, Costantino, cit., pp. 130-132).
39 Cfr. G. Filoramo, La croce e il potere. I cristiani da martiri a persecutori, Roma-Bari 2011, pp. 125-126.
40 Cfr. C. Castello, Sui concili della Chiesa convocati da Costantino, in Centralismo e autonomie nella tarda antichità, atti del XIII Convegno internazionale in memoria di André Chastagnol (Perugia 1-4 ottobre 1997), Napoli 2001, pp. 365-371.
41 Su questo cfr. R. Orestano, L’appello civile in diritto romano, Genova 1952; P. De Francisci, Sintesi storica del diritto romano, Roma 1968, pp. 531-532; Storia giuridica di Roma. Principato e dominato, a cura di N. Palazzolo, Perugia 1998, pp. 259-270. In particolare per l’età costantiniana, in un contesto normativo che non appare ancora ben chiaro, cfr. Amministrazione della giustizia ed esperienze processuali nella tarda antichità, atti dell’XI Convegno internazionale in onore di Félix B.J. Wubbe (Perugia-Spello-Gubbio 11-14 ottobre 1993), Napoli 1996: N. Hayashi, L’appello e altri mezzi processuali sotto l’imperatore Costantino I, pp. 69-78; F. Pergami, In tema di “appellatio” nella legislazione tardo imperiale, pp. 117-148. Cfr. inoltre F. Pergami, L’appello nella legislazione del tardo impero, Milano 2000; Id., Appellatio more consultationis, in Studia et Documenta Historiae et Iuris, 69 (2003), pp.165-183; Id., Amministrazione della giustizia e interventi imperiali nel sistema processuale della tarda Antichità, Milano 2007; L. De Giovanni, Istituzioni, scienza giuridica, codici nel mondo tardoantico. Alle radici di una nuova storia, Roma 2007, pp. 298-301. Specificatamente si vedano inoltre le osservazioni di F. Pergami, La competenza giurisdizionale dell’imperatore nel processo di età tardoimperiale, lezione tenuta a Napoli presso l’Associazione di Studi Tardoantichi il 29 aprile 2008, in www.studitardoantichi.org (18 luglio 2012).
42 Questa interpretazione, originariamente proposta da H.U. Instinsky, Bischofssthul und Kaiserthron, München 1955, 59-82, è stata poi ripresa e ampliata da S. Calderone, Costantino, cit., pp. 171-182 e 230-249. Di parere opposto K.M. Girardet, Das Reichskonzil von Rom (313). Urteil, Einspruch, Folgen, in Historia, 41 (1992), pp. 104-116, e Id., Der Kaiser und sein Gott, cit., pp. 139-143, che considera il giudizio romano una vera e propria sinodo. In realtà le due interpretazioni, come si vedrà, possono ben conciliarsi. Sul tema della interpretazione giuridica dei vari momenti della vicenda donatista, cfr. ora A. Banfi, Habent illi iudices suos. Studi sull’esclusività della giurisdizione ecclesiastica e sulle origini del privilegium fori in diritto romano e bizantino, Milano 2005, pp. 22-35; T. Spagnuolo Vigorita, La legislazione antidonatista e cronologia agostiniana, in Fides, humanitas, ius. Studi in onore di Luigi Labruna, a cura di C. Cascione, C. Masi Doria, Napoli 2007, pp. 5351-5370; F. Guizzi, Costantino, la Chiesa e il clero, in Fides, humanitas, ius, cit., pp. 2375-2384. Più in generale E. Dovere, Diritto romano e prassi conciliare ecclesiastica, in Studia et Documenta Historiae et Iuris, 69 (2003), pp. 149-164.
43 Aug., epist. 88,3.
44 Cfr. S. Calderone, Costantino, cit., pp. 174-175 nota 1 e pp. 177-178.
45 Eus., h.e. X 5,18-20 (trad. it. M. Ceva, Milano 1979). Cfr. S. Calderone, Costantino, cit., pp. 178-181 e 231-232.
46 Cfr. S. Calderone, Costantino, cit., p. 237.
47 Optat., app. III.
48 Cfr. C. Boillon, Reticio, in Bibliotheca Sanctorum, 11 (1968), c. 140.
49 Aug., c.Iul. I 3,17; c.Iul. op. imperf. I 55.
50 Hier., vir. ill. 82.
51 L. Falkenstein, Materno, in Bibliotheca Sanctorum, 9 (1967), cc. 85-89.
52 Optat., I 23. Problematica è l’identificazione di questo luogo, molto enfatizzata da quanti hanno voluto vedervi la residenza della moglie dell’imperatore, domus che sarebbe stata donata al vescovo di Roma e che avrebbe costituito il primo nucleo del futuro Patriarchio. Su questo cfr. E. Nash, Convenerunt in domum Faustae in Laterano. S. Optati Milevitani I, 23, in Römische Quartalsschrift für christliche Altertumskunde, 71 (1976), pp. 1-21; P. Liverani, L’area lateranense in età tardoantica e le origini del Patriarchio, in Giornata di studio tematica dedicata al Patriarchio lateranense, Atti della giornata tematica dei seminari di archeologia cristiana (Rome 10 maggio 2001), a cura di P. Liverani, in Mélanges de l’École Française de Rome. Archéologie, 116 (2004), pp. 17-49.
53 Cfr. A. Mandouze, Prosopographia, cit., s.v. Maiorinus I, p. 666.
54 Optat., I 24. Sullo svolgimento del processo si veda l’accurata ricostruzione di S. Calderone, Costantino, cit., pp. 241-246.
55 Optat., app. III.
56 Optat., I 23.
57 Optat., app. III. L’apparente contraddizione tra questa lettera e quella inviata da Costantino a Milziade (dove appunto non si parla dei vescovi italiciani), al di là di una presunta interpolazione, è stata spiegata da Calderone (S. Calderone, Costantino, cit., pp. 234-241) come dipendente dalla diversità dei destinatari: l’imperatore poteva essere più vago rivolgendosi al vescovo e più dettagliato nei confronti del funzionario. Tuttavia, anche la lettera a Milziade è una lettera ufficiale, anzi una vera e propria lettera di incarico, che contiene un’esatta composizione della commissione giudicante e delle parti presenti. Il contenuto della lettera a Elafio, senza metterne in discussione l’attendibilità, è semplicemente una presa d’atto, da parte dell’imperatore, di quanto accaduto.
58 Su questo elenco cfr. S. Calderone, Costantino, cit., pp. 238-241.
59 Aug., epist. 43,5; 16.
60 Fra questi K.M. Girardet, Das Reichkonzil von Rom, cit., e Ch. Pietri, Il fallimento, cit., pp. 229-230.
61 Così S. Calderone, Costantino, cit., p. 248, con discussione delle tesi precedenti.
62 All’esistenza di una ‘tensione’ tra Chiesa romana e potere statale accenna S. Calderone, Costantino, cit., pp. 233-234 e 249-252, che la risolve nell’acquisita consapevolezza da parte dell’imperatore dell’importanza delle decisioni sinodali nella risoluzione di questioni dottrinali, che dunque utilizza ai propri fini; consapevolezza che sarà poi messa a frutto ad Arles e a Nicea. Dell’insorgenza di un vero conflitto era invece convinto Erich Caspar (E. Caspar, Geschichte des Papsttums, I, Tübingen 1930, p. 112), troppo anticipando fatti successivi (cfr. S. Calderone, Costantino, cit., p. 233-234). Si potrebbe più correttamente parlare di una affermazione di autonomia di Milziade: così M. Simonetti, Il concilio, il papa e l’imperatore, in I concili della cristianità occidentale: secoli III-V, Roma 2002, pp. 25-34, in partic. 28; Id., L’imperatore arbitro nelle controversie teologiche, in Mediterraneo Antico, 5 (2002), pp. 445-459, il quale vede una opposizione alla volontà di supremazia che l’imperatore aveva assunto nei confronti della Chiesa. Così anche Ch. Pietri, Il fallimento, cit., p. 229.
63 Su questi temi si vedano le osservazioni di R. Lizzi Testa, Chiesa e Impero, in Letteratura patristica, cit., pp. 263-281.
64 Della reazione donatista, giustificata certo dall’esito del iudicium, si è detto supra, alla nota 21. Critiche in qualche modo analoghe verranno però anche da parte cattolica, come testimoniato da Agostino (Aug., epist. 13,5,14) sul fatto che era stata messa in discussione una decisione sinodale, quella cartaginese del 312, che aveva dichiarato decaduto Ceciliano (cfr. S. Calderone, Costantino, cit., pp. 176-177); Agostino però giustificava Milziade in quanto era stato Costantino a convocare il iudicium romano (e dunque il vescovo di Roma non aveva responsabilità diretta) e in ogni caso contrapponeva alla ‘numerosità’ dei 70 vescovi di quella sinodo cartaginese il ‘peso’ dei 19 presenti a Roma (S. Calderone, Costantino, cit., pp. 249 e 253).
65 Sul primato, che troverà esplicitamente affermazione nell’età di Damaso, cfr. M. Maccarrone, La dottrina del primato papale dal IV all’VIII secolo nelle relazioni con le Chiese occidentali, in Le Chiese nei regni dell’Europa occidentale e i loro rapporti con Roma sino all’800, VII Settimana di Studi del Centro italiano di studi sull’Alto Medioevo (Spoleto 7-13 aprile 1959), Spoleto 1960, pp. 633-742 (cfr. anche i saggi raccolti in Id., Romana Ecclesia Cathedra Petri, Roma 1991); J. Gaudemet, L’Église dans l’Empire romain (IVe-Ve siècles), Paris 1958, pp. 408-451; Ch. Pietri, Roma christiana, cit., pp. 130-145; G. Falbo, Il primato della Chiesa di Roma alla luce dei primi quattro secoli, Roma 1989. Si vedano anche Il primato del vescovo di Roma nel primo millennio. Ricerche e testimonianze, Atti del Symposium storico-teologico (Roma 9-13 ottobre 1989), a cura di M. Maccarrone, Città del Vaticano 1991; S. Vacca, Prima sedes a nemine iudicatur. Genesi e sviluppo dell’assioma fino al Decreto di Graziano, Roma 1993, e la ricca rassegna di P. A. Gramaglia, Episcopato monarchico e primato romano, in Rivista di Storia e Letteratura Religiosa, 31 (1995), pp. 73-99.
66 V. Monachino, Il primato nello scisma donatista, in Archivum Historiae Pontificiae, 2 (1964), pp. 7-44; R.B. Eno, The Significance of the List of Roman Bishops in the Anti-Donatist Polemic, in Vigiliae Christianae, 47 (1993), pp. 158-169.
67 Sul complesso di questi avvenimenti cfr. S. Calderone, Costantino, cit., pp. 99-132.
68 Cfr. A. Di Berardino, Milziade, cit., p. 320.
69 Cod. Theod. XVI 2,1. Cfr. S. Calderone, Costantino, cit., p. 250; L. De Giovanni, Chiesa e Stato nel Codice Teodosiano, Napoli 1980, pp. 65-66; Id., Istituzioni, cit., pp. 180-182.
70 Aug., c.Parm. I 3,4; 4,7; 5,10; 8,13; un. bapt. 16,27; coll. c. Don. 3,18,34; adv. Don.13,17; c.Petil. II 92,202. Su queste accuse cfr. A. Di Berardino, Milziade, cit., pp. 319-320.
71 Sulla polemica antidonatista di Agostino cfr. G.G. Willis, St. Augustine and the Donatist Controversy, London 1950; J.P. Keleher, St. Augustine’s Notion of Schism in the Donatist Controversy, Mundelein (IL) 1961; Y.M.-J. Congar, Introduction aux oeuvres de Saint Augustin, 28, Traités anti-donatistes, Paris 1963, pp. 7-133; G.R. Evans, Augustine on Evil, Oxford 1982; E.H. Pagels, Adam, Eve and the Serpent, New York 1987. Cfr. anche F. Dolbau, Nouveaux sermons de saint Augustin pour la conversion des païens et des donatistes, I-II, in Revue des Études Augustiniennes, 37 (1991), pp. 37-78 e 261-306; III, in Revue des Études Augustiniennes, 38 (1992), pp. 50-79; IV, in Recherches Augustiniennes, 26 (1992), pp. 69-141; C. Revel-Barretreu, La fin des persécutions?, cit., pp. 110-118.
72 A. Agostino, Il preteso “lapsus” di papa Marcellino, in Antonianum, 32 (1957), pp. 411-426; A. Di Berardino, Marcellino, cit.
73 A. Di Berardino, Marcello I, cit.
74 Optat., I 22. Cfr. S. Calderone, Costantino, p. 176. Sull’atteggiamento dei donatisti nei confronti di Costantino cfr. C. Revel-Barretreu, La fin des persécutions?, cit.
75 Cfr. S. Calderone, Costantino, cit., pp. 252-262.
76 Cfr. T.D. Barnes, The New Empire, cit., p. 71.
77 Su questo, oltre a M. Fortina, La politica religiosa dell’imperatore Licinio, in Rivista di Studi Classici, 7 (1959), pp. 245-265; 8 (1960), pp. 3-23, e S. Calderone, Costantino, cit., pp. 205-230, si veda S. Corcoran, Hidden from History: the Legislation of Licinius, in The Theodosian Code. Studies in the Imperial Law of Late Antique Rome, ed. by J. Harries, I. Wood, London 1993, pp. 97-119.
78 Per questa guerra, si segue la datazione del 316-317. Sulla problematica cfr. H.A. Pohlsander, The Date of the bellum Cibalense. A Re-examination, in Ancient World, 27 (1995), pp. 89-101, e per un orientamento T.D. Barnes, Constantine, cit., pp. 97-103.
79 Aug., c. Cresc. III 71; c.Petil. II 92,205; epist. 88,3; 93,4,14; 105,2,9. Cfr. S. Calderone, Costantino, cit., pp. 280-281.
80 Optat., app. IX.
81 La richiesta donatista si potrebbe configurare come richiesta di un giudizio di appello alla sentenza di secondo grado emessa su delega dell’imperatore nel corso della prima parte del iudicium romano. Su questo cfr. i testi citati supra alla nota 21 e ancora F. Pergami, Centralismo e decentramento nell’attività giurisdizionale della tarda antichità, in Centralismo e autonomie, cit., pp. 175-190, in partic. 188-190, su questo terzo grado di giurisdizione di competenza imperiale (che in questo caso avverrà a Milano nel 315), le cui modalità di realizzazione non sono però del tutto chiare.
82 Optat., I, 25 e app. V. Su quest’ultimo testo cfr. C. Odhal, Constantine’s Epistle to the Bishops at the Council of Arles: a Defense of Imperial Authorship, in The Journal of Religious History, 17 (1993), pp. 274-289.
83 PLRE I, p. 952.
84 PLRE I, p. 17.
85 Secondo S. Calderone, Costantino, cit., p. 255, l’imperatore sarebbe stato, almeno in apparenza, incline ad accettare il principio del valore soggettivo dell’ordinazione così come formulato dai donatisti, facendo dunque affidamento su un esito negativo dell’inchiesta su Felice. In ogni caso questo dimostrerebbe da un lato la volontà di Costantino di ricomporre il dissidio e riavvicinare le posizioni fra donatisti e cattolici, accettando il principio donatista, ma facendo in modo che non vi fosse occasione di applicarlo; dall’altro lato, tuttavia, l’imperatore comunque si pone contro una antica tradizione alla quale le Chiese occidentali erano legate.
86 Optat., I 27. Cfr. S. Calderone, Costantino, cit., pp. 254-260.
87 Aug. coll. c. Don. 3,42. Cfr. S. Calderone, Costantino, cit., p. 260.
88 Sulla sinodo di Arles cfr. C.J. Hefele, H. Leclerq, Histoire des conciles, I, 1, Paris 1909, pp. 275-298; J.M. O’Donnell, The Canons of the First Council of Arles 314 AD, Washington 1961; J. Gaudemet, Conciles gaulois du IVe siècle (SC 241), Paris 1977, pp. 27-42; K.M. Girardet, Die Petition der Donatisten an Kaiser Konstantin (Frühjahr 313). Historische Voraussetzungen und Folgen, in Chiron, 19 (1989), pp. 185-206; Id., Konstantin der Grosse und das Reichskonzil von Arles (314). Historisches Problem und methodologische Aspekte, in Oecumenica et patristica. Festschrift für W. Schneemelcher zum 75. Geburtstag, hrsg. von D. Papandreu, Stuttgart 1989, pp. 151-174; J.L. Maier, Le Dossier, cit., pp. 160-171; C.M. Odahl, Constantine’s Epistle cit.; Id., Constantine, cit., pp. 134-140; H. A. Drake, Constantine and the Bishop, cit., pp. 219-221.
89 Optat., app. III. Sul personaggio cfr. PLRE I, p. 16.
90 S. Calderone, Costantino, cit., pp. 262-269. Lo studioso notava come Ottato, che segue con cura le vicende giudiziarie che contrappongono donatisti e cattolici, trascuri completamente la sinodo arelatense, segno che a suo giudizio non si trattava di un ulteriore grado di giudizio.
91 Eus., h.e. X 5,21-23 (trad. it. M. Ceva, cit.).
92 Così S. Calderone, Costantino, cit., pp. 331-332.
93 Si veda supra.
94 A questo sembrerebbe alludere Eus., v.C. I 44. Cfr. C. Habicht, Zur Geschichte des Kaisers Konstantin, in Hermes, 86 (1958), pp. 360-378; S. Calderone, Costantino, cit., p. 270. Si vedano anche T.D. Barnes, The New Empire, cit., p. 72; R. Cristofoli, Costantino e l’Oratio ad Sanctorum coetum, Napoli 2006, p. 99. A conferma vi sarebbe anche un passo della lettera sinodale inviata al vescovo di Roma Silvestro (su questa si veda infra nota 111) conservata da Ottato (Optat., app. IV). Non crede a questa presenza K.M. Girardet, Konstantin der Grosse und das Reichkonzil von Arles, cit. Sul problema, ampiamente, A. Pinzone, Quaestiunculae eusebiane: Costantino e il concilio di Arles, in V. Aiello, L. De Salvo, Salvatore Calderone (1915-2000). La personalità scientifica. Atti del Convegno internazionale di studi (Messina-Taormina 19-21 febbraio 2002), Messina 2010, pp. 139-150.
95 La definizione è in S. Calderone, Costantino, p. 265. Si tratta di un giudizio che va contro la communis opinio, ribadita anche recentemente (cfr. M. Simonetti, L’imperatore arbitro, cit.).
96 K.M. Girardet, Konstantin der Grosse und das Reichkonzil von Arles, cit.; Ch. Pietri, Il fallimento, cit., pp. 230-231.
97 Can. 14.
98 Optat., app. IV. Cfr. S. Calderone, Costantino, cit., p. 270.
99 Can. 7. Sui canoni cfr. C.J. Hefele, H. Leclercq, Historie, cit., pp. 275-298; J. Gaudemet, Conciles gaulois, cit., pp. 56-63.
100 Così S. Calderone, Costantino, cit., p. 275.
101 Non sono molti, come si è già detto, gli studi sulla vicenda storica di Silvestro: cfr. E. Caspar, Geschichte, cit., pp. 103-130; É. Amann, Silvestre Ier (Saint), in Dictionnaire de Théologie Catholique, XIV, 2 (1941), coll. 2068-2075; Ch. Pietri, Roma Christiana, cit., pp. 168-187; E. Paoli, Silvestro I, in Dizionario storico del Papato, a cura di Ph. Le Villain, II, Milano 1996, pp. 1380-1381; F. Scorza Barcellona, Silvestro I, cit.
102 V. Monachino, Il primato, cit., pp. 16-21, rintracciava in questa assenza una qualche polemica con l’imperatore, in quanto il rifiuto di Silvestro dipendeva dal fatto che la sinodo arelatense era stata convocata dall’imperatore Costantino, atto che veniva giudicato come una grave forma di ingerenza dell’autorità politica in questioni interne alla Chiesa. Interpretazione questa che non ha incontrato il favore di molti (cfr. F. Scorza Barcellona, Silvestro, cit., p. 322), da tenere tuttavia in considerazione alla luce dell’uso strumentale che Costantino intese fare della sinodo di Arles.
103 Così S. Calderone, Costantino, cit., p. 269; Ch. Pietri, Roma Christiana, cit., p. 168.
104 Optat., app. IV.
105 I. Mazzini, Lettera del Concilio di Arles (314) a papa Silvestro tradita dal codex Parisinus Latinus 1711. Dubbi intorno alla sua autenticità, in Vigiliae Christianae, 27 (1973), pp. 282-300.
106 S. Calderone, Costantino, cit., p. 269.
107 Relatio Romani Concili ad Gratianum et Valentinianum imperatores directa, CSEL 82, 3, pp. 191-197: Nam et Silvester papa a sacrilegis accusatus, apud parentem vestrum Constantinum causam propriam prosecutus est.
108 C.J. Hefele, H. Leclercq, Histoire, cit., p. 290. Cfr. S. Calderone, Costantino, cit. pp. 271-272.
109 Su questo isolamento cfr. V. Aiello, Cronaca di una eclisse. Osservazioni sulla vicenda di Silvestro I vescovo di Roma, in Il Tardoantico alle soglie del Duemila, Atti del V Convegno dell’Associazione di Studi Tardoantichi (Genova 3-5 giugno 1999), a cura di G. Lanata, Genova 2000, pp. 229-248.
110 Optat., app. IV. Cfr. S. Calderone, Costantino, cit., p. 269.
111 A una forte limitazione dell’autorità di Milziade prima e di Silvestro dopo, determinata da un atteggiamento assolutistico di Costantino, pensavano P. Battifol, Le catholicisme des origines à Saint Léon, II, La paix constantinienne, Paris 1924, p. 355; E. Caspar, Geschichte, cit., pp. 122-123; J.-R. Palanque, La pace costantiniana, in Storia della Chiesa, a cura di A. Fliche, V. Martin, cit., pp. 17-46, in partic. 43. Jones (A.H.M. Jones, Il tardo impero romano [284-602 d.C.], Milano 1973, pp. 132-133) non crede, sulla base di una nutrita serie di testimonianze, a una opposizione della Chiesa alle interferenze da parte di Costantino: una valutazione che tuttavia non tiene conto della molteplicità di posizioni all’interno della Chiesa.
112 Cfr. Optat., app. V.
113 Su questi spostamenti dell’imperatore cfr. T.D. Barnes, The New Empire, cit., pp.72-73.
114 Su questo iudicium mediolanense e sulla data della sentenza definitiva cfr. S. Calderone, Costantino, cit., pp. 294-296.
115 Su questi avvenimenti, qui necessariamente sintetizzati, cfr. J.R. Palanque, Lo scisma donatista, cit., pp. 56-58; S. Calderone, Costantino, cit., pp. 275-296, con ampia disamina dei problemi cronologici relativi ai vari momenti.
116 Così S. Calderone, Costantino, cit., p. 281.
117 Su Nicea cfr., oltre a M. Simonetti, La crisi ariana nel IV secolo, Roma 1975, anche K.M. Girardet, Der Vorsitzende des Konzils of Nicaea (325). Kaiser Konstantin der Gr., in Klassisches Altertum, Spätantike und frühes Christentum Adolf Lippold zum 65. Geburtstag gewidmet, Würzburg 1993, pp. 331-360; Ch. Pietri, Lo sviluppo del dibattito teologico e le controversie nell’età di Costantino: Ario e il concilio di Nicea, in Storia del cristianesimo, 2, cit., pp. 243-280; H.A. Drake, Constantine, cit., pp. 250-272; C.M. Odhal, Constantine, cit., pp. 189-201; T.D. Barnes, Constantine, cit., pp. 120-126 e 140-142.
118 Sul suo ruolo in quell’occasione cfr. la sempre valida ricerca di V.C. De Clercq, Ossius of Cordova. A Contribution to the History of the Constantinian Period, Washington 1954, pp. 218-289.
119 Cfr. Ch. Pietri, Lo sviluppo del dibattito teologico, cit., pp. 256-257.
120 F. Scorza Barcellona, Silvestro, cit., p. 322.
121 Ibidem.
122 Eus., v.C. III 7,1-2 (trad. it. L. Tartaglia).
123 V.C. De Clercq, Ossius, cit., p. 225.
124 Si vedano i testi citati supra, alla nota 1.
125 Liber Pontificalis 34. Cfr. per un orientamento O. Bertolini, Il «Liber Pontificalis», in La storiografia altomedievale, XVII Settimana di Studi del Centro italiano di studi sull’Alto Medioevo (Spoleto 10-16 aprile 1968), Spoleto 1970, pp. 387-455; C. Vogel, Le Liber pontificalis dans l’édition de Louis Duchesne, in Monseigneur Duchesne et son temps, Actes du Colloque (Rome 23-25 mai 1973), Rome 1975, pp. 101-127; M. Abrun, Le livre des Papes. Liber pontificalis, Turnhout 2007, pp. 5-15; H. Geertman, More veterum. Il Liber Pontificalis e gli edifici ecclesiastici di Roma nella tarda antichità e nell’alto medioevo, Groningen 1975; Id., Documenti, redattori e la formazione del testo del Liber Pontificalis, in Il Liber Pontificalis e la storia materiale, Atti del Colloquio internazionale (Roma 21-22 febbraio 2002), Roma 2003, pp. 267-284; D. Vera, Osservazioni economiche sulla Vita Sylvestri del Liber Pontificalis, in Consuetudinis amor. Fragments d’histoire romaine (IIe-VIe siècles) offerts à Jean Pierre Callu, éd. par F. Chausson, É. Wolff, Roma 2003, pp. 419-430; M. Maiuro, Archivi, amministrazione del patrimonio e proprietà imperiali nel Liber Pontificalis: la redazione del libellus imperiale copiato nella Vita Sylvestri, in Le proprietà imperiali nell’Italia romana: economia, produzione, amministrazione, Atti del Convegno (Ferrara-Voghiera 3-4 giugno 2005), a cura di D. Pupillo, Firenze 2007, pp. 235-258.
126 Sulla politica costantiniana relativa alla costruzione di edifici religiosi, soprattutto in riferimento a Roma, cfr. il classico G. Bovini, Edifici cristiani di culto d’età costantiniana a Roma, Bologna 1968; i lavori di R. Krautheimer, Architettura paleocristiana e bizantina, Torino 1986, pp. 33-73; Id., Constantine’s Church Foundations, in Akten des VII. internationalen Kongresses für christliche Archäologie (Trier 5-11 September 1965), Città del Vaticano-Berlino 1969, pp. 237-255; Id., The ecclesiastical Building Policy of Constantine, in Costantino il Grande, cit., pp. 509-552; Id., Roma. Profilo di una città, Roma 1983, pp. 13-43, e di S.S. Alexander, Studies in Constantinian Church Architecture, in Rivista di Archeologia Cristiana, 47 (1971), pp. 281-330; l’ampia e documentata disamina di Ch. Pietri, Roma Christiana, cit., pp. 3-96, e più recentemente R. Leeb, Konstantin und Christus, cit., pp. 71-92; J. Guyon, Roma. Emerge la città cristiana, in Storia di Roma, a cura di A. Carandini, L. Cracco Ruggini, A. Giardina, III, 2, Torino 1993, pp. 53-68; J. Curran, Pagan City and Christian Capital: Rome in the Fourth century, Oxford 2000, pp. 90-115; H. Brandenburg, Ancient Churches of Rome from the Fourth to the Seventh Century, Turnhout 2004, pp. 16-114; R. Ross Holloway, Constantine and Rome, New Haven-London 2004, pp. 57-119; P. Liverani, L’edilizia costantiniana a Roma: il Laterano, il Vaticano, Santa Croce in Gerusalemme, in Costantino il Grande. La civiltà antica al bivio tra Occidente e Oriente (catal.), Milano 2005, pp. 73-81; Id., L’architettura costantiniana, tra committenza imperiale e contributo delle élites locali, in Konstantin der Grosse, cit., pp. 235-244; F. Bisconti, Basilicam fecit. Tipologie e caratteri degli edifici di culto al tempo dei Costantinidi, in Costantino il Grande. La civiltà antica al bivio, cit., pp. 83-91.
127 Cfr., a titolo puramente esemplificativo, R. Krautheimer, Architettura paleocristiana, cit., p. 44; Ch. Pietri, Roma Christiana, cit., pp. 4-5; V.S.M. Scrinari, Contributo all’urbanistica tardo antica sul campo Laterano, in Actes du XIe Congrès internationale d’Archéologie chrétienne (Lyon, Vienne, Grenoble, Genève et Aoste 21-28 septembre 1986), Roma 1989, pp. 2201-2220, in partic. 2208; M. Guarducci, La Domus Faustae in Laterano e la cattedra di S. Pietro in Vaticano, in Studien zur spätantike und Byzantinischen Kunst F.W. Deichmann gewidmet, 1, Bonn 1986, pp. 249-263; Christiana loca. Lo spazio cristiano nella Roma del primo millennio, a cura di L. Pani Ermini, Roma 2000: Id., Lo ‘spazio cristiano’ nella Roma del primo millennio, pp. 15-37, in partic. 25-26; R. Luciani, Il complesso episcopale, pp. 107-122, in partic. 108-109; Giornata di studio tematica dedicata al Patriarchio lateranense, cit.: U. Real, La residenza lateranense dall’età di Giustiniano all’inizio dell’epoca carolingia, pp. 95-115, in partic. 100; M. D’Onofrio, Il Patriarchio nascosto, cit., pp. 141-178, in partic. 141-144.
128 Cfr. E. Jastrzebowska, La basilique des Apôtres à Rome, fondation de Constantin ou de Maxence?, in Mosaïque. Recueil d’Hommages à Henri Stern, Paris 1983, pp. 223-229; J. Guyon, Roma, cit., p. 56; O. Hekster, The City of Rome, cit. Più ampiamente M.V. Escribano, Constantino y la rescissio actorum del tirano-usurpador, in Geriòn, 16 (1998), pp. 307-338, e E. Marlowe, Liberator Urbis suae. Constantine and the Ghost of Maxentius, in The Emperor and Rome. Representation and Ritual, ed. by C.E. Björn, F. Noreña, Berkeley 2010, pp. 199-219.
129 Cfr. O. Hekster, The City of Rome, cit., p. 747.
130 Si veda la recente indagine di G.W. Bowersock, Peter and Constantine, in Humana Sapit. Mélanges en l’honneur de Lellia Cracco Ruggini, éd. par J.-M. Carrié, R. Lizzi Testa, Turnhout 2002, pp. 209-217, lavoro al quale sono state rivolte pesanti critiche, fra altri da parte di P. Liverani, L’edilizia costantiniana, cit., p. 81 nota 10; Id., L’architettura costantiniana, cit., pp. 238-242; Id., Saint Peter’s, Leo the Great and the Leprosy of Constantine, in Papers of the British School at Rome, 76 (2008), pp. 155-172. Un ridimensionamento anche in A.H. Logan, Constantine, the Liber Pontificalis and the Christian Basilicas of Rome, in Studia Patristica, 50 (2010), pp. 31-53, e T.D. Barnes, Constantine, cit., pp. 85-89. Su questo tema cfr. anche V. Aiello, Edilizia religiosa e finanziamento imperiale al tempo dei Costantinidi, in Cristianesimo nella Storia, 33 (2012), pp. 425-448.
131 Cfr. V. Aiello, Costantino ‘eretico’. Difesa della ‘ortodossia’ e anticostantinianesimo in età teodosiana, in Il tardo impero. Aspetti e significati nei suoi riflessi giuridici, atti del X Convegno internazionale in onore di Arnaldo Biscardi (Spello-Perugia-Gubbio 7-10 ottobre 1991), Napoli 1995, pp. 55-83. Può essere utile ricordare che già in occasione del Concilio di Antiochia, svoltosi poco dopo il 325 (convocato dall’imperatore per risolvere le contrapposizioni in merito all’elezione del vescovo della città), uno dei canoni allora deliberati condannava vescovi e preti che, per questioni interne alla Chiesa, si rivolgevano direttamente all’imperatore (cfr. A.H.M. Jones, Il tardo impero, cit., pp. 132-133).
132 Ambr., c. Aux, 37.