Costantino e i barbari
Nei trentuno anni del suo regno non vi è mai stato un momento nel quale Costantino non abbia dovuto occuparsi, in un modo o nell’altro, dei ‘barbari’ – così i romani chiamano persone o gruppi la cui origine familiare o i cui legami sociali sono da rintracciarsi principalmente al di fuori dei confini dell’Impero romano. Costantino ha combattuto contro i barbari, con loro ha concluso armistizi e trattati di pace, ha ricevuto i loro tributi e doni, ha avviato commerci, li ha insediati in territorio romano, li ha arruolati nel suo esercito e assunti nell’amministrazione civile. Le vittorie di Costantino contro i barbari assumono costantemente un ruolo di primo piano nell’ambito dell’autorappresentazione imperiale, e nella politica di cristianizzazione costantiniana i popoli e i regnanti barbari sono oggetto di attenzione. Nel presente contributo i diversi aspetti della relazione fra Costantino e i barbari daranno forma a un quadro complessivo che tiene conto dei tratti fondamentali e dello sviluppo di questo complesso rapporto. Le fonti disponibili rappresentano quasi esclusivamente il punto di vista romano rispetto ai barbari. Per la prospettiva dei popoli ‘altri’ disponiamo soltanto di una ridotta quantità di testimonianze, principalmente archeologiche, la cui valutazione rispetto alle problematiche di storia sociale e culturale è possibile solo in parte. La percezione del fenomeno da parte romana può essere analizzata, in compenso, grazie a un ampio numero di fonti differenti, tra le quali spiccano testimonianze numismatiche, epigrafiche e letterarie (soprattutto panegirici). Grazie a queste scoperte può essere dettagliatamente ricostruito il modo in cui Costantino si occupa dei barbari, e come egli sappia utilizzare questo rapporto ai fini della propria autorappresentazione. La ricerca procederà cronologicamente per sezioni tematiche, dall’inizio del regno di Costantino fino alla sua morte.
Le circostanze dell’inizio del regno di Costantino, il 25 luglio 306, mostrano già chiaramente la grande importanza che lo scontro tra i romani e i barbari ha assunto nei quattro secoli precedenti. Costantino, infatti, non è proclamato imperatore a Roma, ma nell’accampamento militare di Eburacum (oggi York), all’estremità settentrionale dell’Impero romano, luogo dal quale suo padre, l’allora tetrarca di più alto grado, aveva condotto una spedizione militare contro i pitti poco prima della sua morte. Per un sovrano dell’epoca tetrarchico-costantiniana la conduzione in prima persona di una spedizione militare contro nemici esterni non è nulla di straordinario. Al contrario: poiché i confini rappresentano un focolaio di assidui conflitti, la presenza pressoché costante dell’imperatore ai limiti dell’Impero è difficilmente evitabile, e diviene quindi una vistosa caratteristica della dominazione romana alla fine del III secolo d.C. e in tutto il IV: presso il confine renano-danubiano, nel nord dell’Inghilterra e nel Nordafrica, piccoli gruppi armati di guerrieri barbari sono soliti attraversare i confini per portare a termine i loro saccheggi, il che rende necessaria una reazione militare. Inoltre, presso il confine orientale dell’Impero, si arriva regolarmente a vasti conflitti militari con l’Impero persiano dei sasanidi.
Tuttavia i guerrieri barbari non affrontano le legioni romane in modo esclusivamente ostile. Come testimoniato dall’Epitome de Caesaribus, all’incoronazione di Costantino è presente Croco, re degli alamanni, presumibilmente al comando di un’unità militare ausiliaria germanica, la quale già da molto tempo presti servizio nell’esercito del padre di Costantino1. Il fatto che in Britannia già un decennio prima, sotto gli usurpatori Carausio e Alletto, fossero stati arruolati guerrieri germanici proprio fra le truppe che successivamente Costanzo Cloro e poi Costantino avrebbero comandato, è testimoniato dal panegirico dell’anno 2972. Quando l’oratore parla della vittoria contro Alletto ottenuta dal padre di Costantino nella guerra civile dell’anno precedente, afferma che «quasi nessun romano ha trovato la morte in questa vittoria dell’impero»3. I caduti di questa guerra sono principalmente soldati delle unità ausiliarie germaniche, sulle quali Alletto basa il suo regno. L’argomento serve senza dubbio all’oratore per mitigare la complessità della guerra civile, permettendogli di parlare della vittoria come di un successo militare contro nemici esterni. L’oratore prima diffama le truppe scelte romane agli ordini di Alletto, affermando che «recentemente hanno cominciato a vestirsi come barbari»; poi, una volta che esse sono state annientate dai soldati di Costanzo, non le reputa più neppure romane: tale informazione deve essere considerata con riserva, come un tentativo, facile da smascherare, di smussare la gravità di una guerra civile4. In ogni caso la guerra civile contro Alletto da una parte e le circostanze dell’incoronazione di Costantino dall’altra mostrano chiaramente che i barbari prestano servizio a diversi livelli nell’Impero romano tra la fine del III secolo d.C. e l’inizio del IV, e sono regolarmente impegnati sia nelle campagne militari contro i nemici esterni sia come truppe di supporto nelle guerre civili.
Per i barbari appartenenti alle classi medie e a quelle meno abbienti della società, il servizio nell’esercito romano rappresenta un’opzione spesso utilizzata per tentare la scalata sociale e il raggiungimento di una certa agiatezza, tenendo presente che anni di onorato servizio possono significare a breve termine il primo passo della famiglia verso il raggiungimento della piena cittadinanza romana, mentre a lungo termine possono portare all’ingresso tra i ranghi più elevati della società romana del tempo5. Per i comandanti di alto rango di origine barbarica, la cooperazione con i romani porta con sé sia la possibilità di consolidare la propria posizione sotto l’egida dell’amministrazione romana sia quella di assumere compiti che richiedono grande responsabilità – oppure, come dimostra l’esempio di Croco, il raggiungimento di una posizione di spicco alla corte del sovrano. L’esercito di Roma risulta dunque fortemente attraente per le persone di origine straniera, in quanto motore dell’integrazione nella società.
Il passo dell’oratore citato in precedenza lascia allo stesso tempo intendere che l’arruolamento dei barbari nei ranghi dell’esercito ha delle ripercussioni sulla stessa istituzione. Il passaggio, redatto con intento polemico, nel quale si denuncia come i legionari avessero assunto usi e costumi dei propri commilitoni barbari è in fin dei conti credibile, e confermato inoltre da successive scoperte6. Tuttavia, l’incorporamento dei barbari nelle istituzioni di Roma ha anche rafforzato, in modo decisivo, quelle tendenze allo sviluppo che nel tempo muteranno inesorabilmente l’aspetto dell’esercito romano: attraverso un corposo reclutamento regionale, la costruzione di roccaforti ai confini – che negli anni diverranno sempre più importanti sul piano economico e sociale nell’ambito dei rapporti con gli insediamenti circostanti –, e con la possibilità da parte dei soldati, a partire dal II secolo d.C., di sposarsi e fondare una famiglia durante il servizio militare, le identità regionali cominciano a formarsi in senso prettamente militare, mentre la cittadinanza romana diviene via via meno attrattiva.
Un passo decisivo in questo senso è rappresentato dalla Constitutio Antoniniana, tramite la quale Caracalla concede, nel 212, la cittadinanza a tutti i liberi cittadini all’interno dell’Impero romano. In ogni caso, questo particolare sviluppo è favorito anche dalla sempre maggiore presenza di barbari tra i ranghi dell’esercito7. Ciò significa, inoltre, che le vittorie nelle guerre civili perdono in misura crescente il loro potere propagandistico, e non possono più essere utilizzate ai fini dell’autorappresentazione imperiale8. Sui fregi dell’arco di Costantino – inaugurato a Roma nel 315 per festeggiare la vittoria dell’imperatore nella guerra civile contro Massenzio –, nell’armata di Costantino sono rappresentati sia soldati germanici, che già in Gallia avevano fedelmente prestato servizio nell’esercito, sia guerrieri nordafricani, arruolati da Massenzio per difendere le città del Norditalia, che combattono poi dalla parte di Costantino9. Nella guerra civile tra Costantino e Massenzio si nota dunque, in entrambi gli schieramenti, accanto a una maggioranza di soldati dotati di cittadinanza romana, anche un ampio numero di barbari germanici e africani – una quantità tale da rendere il loro coinvolgimento evidente anche sui fregi della colonna celebrativa. La crescente importanza dei barbari all’interno dell’esercito romano ha dunque modificato questa istituzione in modo evidente, e questi cambiamenti si possono osservare chiaramente già in epoca tetrarchica.
Sebbene all’inizio del regno di Costantino i barbari prestino servizio nell’esercito romano e possano essere rintracciati tra i più alti ranghi della società del tempo, gli imperatori romani non hanno rinunciato a manifestare la propria abilità di condottieri utilizzando le proprie vittorie contro i barbari. A questo proposito, Costantino non rappresenta un’eccezione; al contrario, egli sa già come impugnare ai fini della propria autorappresentazione la sua prima vittoria contro i franchi, all’inizio del 30710. Acclamato dai suoi soldati per la vittoria, l’imperatore conduce un corteo trionfale tra le vie della sua città di residenza, Treviri, e nell’ambito dei festeggiamenti fa giustiziare in pubblico due sovrani germanici11. Un encomiatore parla ancora dell’impressionante vittoria nel 321, quattordici anni dopo: un chiaro indizio di quanto questo successo militare sia importante per l’autorappresentazione di Costantino12. Questa impressione è rafforzata da scoperte epigrafiche e numismatiche: Costantino fa arricchire la sua titolatura con la dicitura Germanicus maximus e conia un’ampia serie di monete celebrative, nelle quali il dio della guerra, Marte, rappresenta la sua abilità militare13. Gli abitanti delle zone sottoposte al suo dominio, in particolare quelli di Treviri, sono dunque invitati a considerare Costantino un condottiero vittorioso, che poco tempo dopo la sua presa del potere lascia intendere di avere un futuro di gloria e successi davanti a sé. L’autore dell’encomio citato in precedenza, nel quale la vittoria viene tematizzata, spende tuttavia poche parole per spiegare le circostanze in cui essa è stata raggiunta. Costantino avrebbe punito i sovrani dei franchi per le loro passate nefandezze, conquistando infine la volubile fedeltà dei popoli nemici attraverso la paura e il terrore14. Non si parla né dei retroscena che hanno caratterizzato l’evento, né dell’effettivo svolgimento della campagna militare, e l’oratore non spende nemmeno una parola sui festeggiamenti ufficiali e sui supplizi inflitti ai sovrani nemici; gli stessi nomi dei reges non compaiono mai all’interno dell’encomio. Questo significa che l’uditorio è ben informato rispetto agli ultimi avvenimenti, e conseguentemente l’oratore non è obbligato a entrare nei dettagli per elogiare Costantino in nome della sua importante vittoria. Due orazioni panegiriche successive espongono dettagliatamente il significato che la vittoria contro i franchi assume per Costantino. Nella prima, quella del 310, gli avvenimenti sono descritti con tale impressionante espressività per lodare l’imperatore, che ancora Georg Friedrich Teuthorn, nella sua Ausführliche Geschichte der Hessen pubblicata nel 1770, si rammaricava di quei re che «ebbero il terribile destino di cadere nelle sue [di Costantino] mani crudeli» e non si poterono «meravigliare abbastanza del fatto che un uomo così assennato potesse mostrare una crudeltà simile, davanti alla quale la natura stessa inorridisce»15. Nel secondo caso l’oratore Nazario pronuncia il panegirico davanti al Senato romano nel 321 e anch’egli, per celebrare la grandezza dell’imperatore, si dilunga in un dettagliato excursus a proposito della prima vittoria di Costantino contro i germani. Nazario utilizza la vittoria contro i due sovrani nemici come prova della forza erculea di Costantino: come Ercole strangolò due serpenti con le mani quando ancora si trovava nella culla, così l’imperatore può rallegrarsi della trionfante sottomissione operata ai danni dei due sovrani barbari all’inizio del suo regno – quasi come se avesse ucciso due draghi gemelli16. Il passaggio del panegirico del 310 mostra, tuttavia, ancor più chiaramente il modo in cui Costantino vuole che la vittoria sia tramandata. Il forte accento sul furore marziale, grazie al quale Costantino sconfigge i barbari, è oltremodo evidente:
Una ignobile banda di barbari, credo, che con repentino assalto e imprevedibile atto di brigantaggio aveva messo alla prova gli inizi della tua ascesa, fu da te punita per la sua temerarietà. Gli stessi re della Francia, che in assenza di tuo padre avevano violato la pace, non esitasti a colpirli con gli estremi supplizi, senza affatto temere l’eterno odio e l’implacabile ira di quella gente. Perché, infatti, dovrebbe preoccuparsi di qualche reazione alla sua giusta severità un imperatore in grado di difendere il proprio operato? Senza pericoli è quella clemenza che risparmia i nemici, ma lo fa più perché preoccupata per sé che non perché vuole perdonare: quanto a te, Costantino, ti abbiano pure in odio i nemici, purché di te abbiano timore. Di qui si vede, infatti, la vera forza: se chi non ti ama se ne sta quieto. Sarà forse anche più prudente chi tiene i nemici legati col perdono; certo è, però, più forte chi, per quanto essi siano pieni d’ira, li tiene sotto i propri piedi17.
L’oratore è chiaramente orientato verso l’interpretazione ufficiosa dell’evento. Il passo mostra inoltre che Costantino vuole tramandare la sua prima vittoria militare contro i nemici esterni soprattutto come prova grandiosa della propria abilità di condottiero. Un compromesso con i barbari, magari sotto forma di trattato di pace, è esplicitamente evitato: Costantino ha consapevolmente rinunciato alla clementia, come l’oratore ribadisce. Questi concentra invece i suoi elogi esclusivamente sulla fortitudo dell’imperatore, affiancata dalla forza bellica del giovane condottiero. Per capire le modalità marziali attraverso le quali Costantino viene qui rappresentato come un eroe di guerra, occorre tenere presente il gruppo di persone che l’imperatore intende impressionare. Non si riesce a comprendere l’impeto dell’autorappresentazione militare di Costantino nei confronti della sua vittoria sui franchi se si considera quale suo pubblico esclusivamente la popolazione di Treviri. Costantino vuole piuttosto rafforzare la propria posizione all’interno della tetrarchia, contrapponendo ai successi degli altri sovrani – Galerio ottiene infatti, pochi anni prima, una grandiosa vittoria contro i persiani e dispone già di dieci titoli di vittoria – imprese che siano all’altezza. All’inizio del 307 (la vittoria può essere fatta risalire a questo momento grazie alle scoperte numismatiche18), ad esempio, Costantino ha una ragione ben precisa per porre l’accento sulle proprie vittorie nei confronti dell’Augusto Galerio. Poco tempo prima Severo, che formalmente è un sottoposto di Costantino, fallisce nel tentativo di contrastare l’usurpazione portata in atto da Massenzio. Davanti all’esercito in marcia, Massenzio nomina comandante suo padre Massimiano, dotato di un ascendente maggiore sui soldati rispetto a quello di Severo, la cui posizione era ben lungi dall’essere consolidata. Le truppe si sottraggono effettivamente al comando di Severo, che viene catturato e imprigionato. Sebbene non sia subito giustiziato, è evidente che dopo questo vergognoso fallimento egli non avrebbe potuto in alcun modo riconquistare l’autorità necessaria a comandare l’esercito e una parte dell’Impero. Costantino a questo punto comprende che può essere nominato Augusto da Galerio, come successore di Severo, ma ciò non accade, come è testimoniato dallo sviluppo della titolatura costantiniana nelle epigrafi e sulle incisioni numismatiche: Costantino è a questo punto nominato Caesar. Il motivo per il quale Galerio non proclama Costantino subito Augusto nel momento in cui Severo viene catturato non è testimoniato direttamente; è probabile che egli non voglia dare l’impressione di avere già abbandonato Severo al suo destino. Anche un errore di costruzione nella struttura formale della tetrarchia forse assume un ruolo importante: la promozione di Costantino ad Augusto è probabilmente ostacolata dal fatto che egli possiede una tribunicia potestas inferiore a quella di Massimino Daia, e cioè di colui che era al potere da meno tempo, e quindi non può essere nominato Augusto finché quest’ultimo ricopre la carica di Cesare. A questo proposito è interessante osservare come Costantino attribuisca maggior potere alla sua tribunicia potestas nell’estate del 30719: è probabilmente un tentativo di ottenere i requisiti necessari per raggiungere un rango più elevato. Poiché le sue manovre non vanno a buon fine, lasciando intatto il cuore del problema e rischiando di creare un conflitto con Massimino Daia, Costantino è costretto a addurre ulteriori argomenti in grado di far apparire più potente la posizione.
In questo contesto si comprende chiaramente il motivo che spinge Costantino a mettere bene in mostra il suo trionfo nella campagna contro i franchi e a fare sì che esso sia salutato come segno inequivocabile della sua abilità di condottiero. Mentre Massimino Daia, a quel tempo, non può ancora esibire nessuna conquista militare, Costantino si impegna in modo così evidente a incrementare il proprio carisma militare da indurre Rudolf Leeb a parlarne nei termini di una «inusitata e penetrante ideologia della vittoria»20. Come vincitore sui franchi, Costantino può conferire nuovo vigore alle sue aspirazioni politiche e, al tempo stesso, formulare la sua posizione in maniera autosufficiente e consapevole del proprio valore. Non appena comprende che Galerio gli impedirà di assumere il titolo di Augusto, Costantino stringe in autunno un’alleanza con Massimiano, che gli conferisce l’ambito titolo – e mette così in discussione il potere decisionale – di Galerio all’interno della tetrarchia.
Anche successivamente Costantino continua a rafforzare, nella sua autorappresentazione, la propria fama di vincitore sui barbari. Nel 308 celebra una vittoria nella guerra contro i bructeri, grazie alla quale riesce, per la seconda volta, ad assumere il titolo di Germanicus maximus, fa coniare una nuova serie di monete e medaglioni, ed è generosamente elogiato nel panegirico del 31021. Alcuni conii costantiniani presentano le legende gavdivm rei pvblicae con un tropaeum tra la personificazione dell’Alemannia e della Francia prigioniere, victor omnivm gentivm, victoria constantini avg e gavdivm romanorvm, con rispettivamente la personificazione di Alemannia e Francia nell’esergo, in riferimento a queste vittorie militari22. Il panegirista pone nuovamente l’abilità nel comando e il carisma militare di Costantino in primo piano, come testimoniato chiaramente dal seguente passo:
Per spezzare, tuttavia, in ogni modo la ferocia dei barbari e far sì che i nemici non dovessero piangere solo per i supplizi inflitti ai loro re, hai anche portato la devastazione tra i brutteri, o imperatore invitto. In questa azione il tuo primo intento fu di assalirli quando non se l’aspettavano, con un improvviso passaggio del fiume; e non perché non avessi fiducia in un combattimento aperto, tu che, invece, avresti preferito proprio uno scontro diretto, ma perché quella gente non avesse il tempo di darsi alla fuga e di eludere così il combattimento rifugiandosi, come era solita fare, nelle foreste e nelle paludi. Tanti ne furono uccisi, tantissimi catturati; tutto il bestiame fu portato via o sterminato; tutti i villaggi furono dati alle fiamme; gli uomini validi caduti nelle nostre mani, che erano o troppo inaffidabili per diventare soldati o troppo riottosi per vivere in schiavitù, furono destinati per loro castigo ai pubblici spettacoli, in tal numero da stancare persino la crudeltà delle belve. Così si dimostra, o imperatore, la fiducia che si ripone nel proprio valore e nella propria fortuna. Così si dimostra non come si compra la pace risparmiando i nemici, ma come si ottiene la vittoria sfidandoli23.
Anche questo brano si concentra principalmente sulla fortitudo dell’imperatore, cioè sulla sua capacità militare. La citazione fornisce inoltre una dettagliata analisi sull’esito della campagna militare dal punto di vista economico, relativamente al bottino (sebbene solo il bestiame sia esplicitamente nominato) e al trattamento dei prigionieri.
Il panegirico del 310 mostra chiaramente come la politica di Costantino nei confronti dei barbari non consista solo in celebrazioni della fortitudo dell’imperatore, ma punti anche a mettere in risalto la sua providentia, cioè la sua vastissima ampiezza di vedute, fondata sull’ordine. Questo è messo in evidenza soprattutto in un passo che si riferisce alla costruzione del ponte voluto da Costantino sul fiume Reno:
Inoltre, con la costruzione del ponte Agrippino continui a tenere sotto controllo ciò che resta di quella gente già prostrata, perché non deponga mai il timore, anzi sia sempre nella paura, sempre tenda supplice le mani. In realtà tu vuoi la costruzione di questo ponte più per la gloria del tuo impero e per ornamento della frontiera, che per avere la possibilità di passare, tutte le volte che lo desideri, in territorio nemico. Lungo tutto il Reno, infatti, navi armate sono già disposte e lungo tutte le rive fino all’Oceano i soldati sono schierati minacciosi. [...] La natura stessa, o Costantino, è sottomessa alla tua divinità, quando in quei gorghi profondi si gettano le fondamenta di tanta mole, che certo avranno una solidità sicura e stabile […]. Sta di fatto che la costruzione di questo ponte ha determinato già al suo avvio atti di sottomissione da parte dei nemici: hanno chiesto supplici la pace, hanno offerto come ostaggi i più nobili dei loro. Nessuno può, perciò, avere dubbi su quello che sarà il loro comportamento una volta terminato il ponte, dato che fanno atto di sottomissione già ora che è stato appena cominciato24.
Il brano si adatta presumibilmente al lessico ufficiale solitamente utilizzato per questo tipo di eventi. Il ponte è dunque considerato un’abile trovata strategica, oltre a essere celebrato come medium infrastrutturale del terror militare che Costantino voleva, anche in questa occasione, diffondere tra i barbari. La costruzione del ponte permette a Costantino di irrompere in territorio nemico in qualsiasi momento e mettere a ferro e fuoco i resti delle popolazioni scampate alle precedenti campagne militari facendo così in modo che i barbari – in uno stato permanente di paura – siano costantemente assoggettati all’autorità rappresentata dal sovrano. Secondo l’oratore, tuttavia, tale trovata non sarebbe effettivamente necessaria, poiché il Reno è già controllato lungo tutto il suo corso dalle navi da guerra romane, e lungo tutte le sue sponde stazionano numerose unità militari. La costruzione del ponte serve dunque secondo l’autore dell’encomio come esaltazione della fama del sovrano e ornamento del confine («ad gloriam imperii tui et ornatum limitis»), più che a scopi prettamente militari. La gloria del progetto di costruzione è proprio ciò su cui l’oratore si concentra maggiormente nel corso della digressione. Essa è volta a mostrare la magnificenza delle caratteristiche tecniche e dell’organizzazione messa in atto, testimoniate dal progetto stesso. Per rendere il fiume attraversabile a piedi in quell’ampio punto, il nume che protegge Costantino ha dovuto rendere docile la natura stessa; solo grazie a questo si è riusciti a calare negli impetuosi vortici del fiume i giganteschi pilastri delle fondamenta, necessari per garantire alla struttura una stabilità completamente affidabile.
L’impressionante dominio esercitato sulle forze della natura è celebrato anche nei conii monetali costantiniani, come punta di diamante dell’ingegneria al servizio del sovrano. La sezione numismatica del Museo statale di Berlino possiede un medaglione d’oro da due solidi proveniente da Treviri, risalente al 313 e presumibilmente coniato proprio nell’ambito delle celebrazioni riferite all’inaugurazione del ponte. Il verso mostra il castrum al quale la struttura del ponte conduce. All’interno delle mura è riconoscibile una statua dell’imperatore, mentre a destra e a sinistra giacciono le personificazioni di Francia e Alamannia, la cui sottomissione è ampiamente richiamata dalle incisioni presenti sulle monete di Treviri25. La legenda riporta avgg gloria, enfatizzando così l’esaltazione delle costruzioni imperiali in nome di un concetto di opulenza che anche l’oratore del 310 ha fatto proprio nella celebrazione della costruzione dell’opera. Le personificazioni rannicchiate delle popolazioni barbariche rappresentano, al contempo, che il ponte è da intendersi come un simbolo del trionfo dell’Impero sui nemici esterni di Roma.
Come dimostra l’emissione delle monete già citate, la costruzione del ponte fa parte di un progetto importante non solo secondo l’oratore, ma anche agli occhi dello stesso Costantino. L’infrastruttura serve a facilitare l’accesso militare alle zone al di là del Reno e, al tempo stesso, a rendere evidente l’azione ordinatrice della politica di sicurezza messa in atto da Costantino nelle province di confine che giacciono lungo il corso del fiume. Per la costruzione del ponte è distaccata la legio XXII primigenia, che dà inizio ai lavori nel 308 d.C. con la costruzione della testa di ponte, cioè del castrum di Divitia, eretto presso Colonia Agrippinensis (oggi Colonia) sul versante orientale del Reno. Da un’epigrafe presente sul ponte è possibile far risalire la sua ultimazione al 31026. Leggendo la digressione dell’oratore relativa all’argomento, si apprende inoltre che i lavori erano a uno stadio avanzato già nell’estate di quell’anno. Il ponte sarebbe stato ufficialmente inaugurato nel 313 con grandi festeggiamenti e alla presenza dell’imperatore27. Oltre che per scopi militari e come contributo all’autorappresentazione imperiale, il nuovo ponte, in tempi meno turbolenti, risulta utile per il commercio e la mobilità28. Michael Kulikowski, inoltre, vede in esso un fattore decisivo sia per il miglioramento delle relazioni diplomatiche tra Costantino e le tribù germaniche stabilitesi sulla riva orientale del Reno sia per quanto riguarda il crescente reclutamento di franchi nell’esercito imperiale29.
Costantino dà il via alla costruzione del ponte prima dei conflitti militari con Massenzio, suo avversario nella guerra civile. Quando l’opera viene completata, egli ha già ottenuto un’importante vittoria sul rivale, e comanda ora in tutta la parte occidentale dell’Impero. Se all’inizio dei lavori ben cinque diversi pretendenti si contendono l’egemonia sull’Impero romano (Costantino, Massenzio, Licinio, Galerio e Massimino Daia), nel momento in cui il ponte è ufficialmente inaugurato ne sono rimasti solamente due (Costantino e Licinio). Nell’ambito della delicata situazione della politica interna, il significato dei successi militari ottenuti da Costantino contro i barbari presso il Reno è ora mutato grazie alla vittoria conseguita contro Massenzio. La vittoria nella guerra civile contro Massenzio, grazie alla quale Costantino raddoppia l’estensione dei territori sottoposti al suo dominio e ottiene il controllo di Roma, capitale ideale dell’Impero, rappresenta, tuttavia, solo in parte un esempio della sua abilità di comandante e della sua fama di imperatore30. Quelle ottenute nei confronti dei barbari possiedono, per contro, una minore potenza fascinatrice, almeno al di fuori della Gallia: essa non ha portato a un ampliamento dei confini dell’Impero, non ha spostato in maniera significativa gli equilibri della politica interna e non ha contribuito a rimpinguare le casse imperiali.
Costantino utilizza quindi ogni opportunità che gli si offre di presentarsi al pubblico come vittorioso oppressore di barbari. Questo avviene al suo ritorno dalla guerra civile, nella primavera del 313. Nella speranza che la campagna militare condotta in territorio italico contro Massenzio abbia fiaccato le forze di Costantino, bande di guerrieri franchi attraversano il Reno, organizzando diverse spedizioni volte a saccheggiare i territori circostanti. Costantino, tuttavia, riesce velocemente a respingere i barbari devastando i villaggi dai quali erano partite le scorribande. La vittoria contro l’alleanza di tribù germaniche, che nelle fonti sono descritte come principalmente composte da franchi, non solo conferisce a Costantino una nuova acclamazione come imperatore, ma gli permette anche di avvalersi per la terza volta del titolo di Germanicus maximus – un’ottima occasione per organizzare un triumphus in grande stile nella sua più importante città di residenza. I prigionieri sono deportati a Treviri, dove sono prima mostrati alla folla in una pompa munerum e infine sbranati da alcune fiere esotiche, nell’ambito di una grande celebrazione che dura diversi giorni, i ludi Franci31.
Lo schema richiama inequivocabilmente quello già adottato per le celebrazioni dei successi militari ottenuti in precedenza contro i barbari. Il fatto che simili messinscene non abbiano perso – almeno provvisoriamente – il proprio significato principale agli occhi di Costantino si evince chiaramente dalle orazioni panegiriche del 313 e del 321. Gli oratori parlano ancora delle vittorie dell’imperatore contro i barbari, sebbene la parte più estesa dei loro discorsi sia dedicata al successo contro Massenzio, poiché quest’ultimo mette chiaramente in luce la grande abilità di condottiero che Costantino ha dimostrato di possedere. Particolarmente degna di nota è la discrepanza, osservabile nel panegirico del 313, tra la celebrazione della vittoria contro i nemici esterni, da una parte, e l’elogio del successo ottenuto nella guerra civile dall’altra: il discorso viene infatti pronunciato nell’ambito dei festeggiamenti tenutisi a Treviri di cui si è detto, con i quali Costantino celebra la vittoria contro i franchi32. Ciononostante l’oratore spende poche parole sulla sconfitta dei barbari, dilungandosi al contrario nella celebrazione della vittoria ottenuta da Costantino ai danni di Massenzio – sebbene questa sia stata conseguita tempo addietro, in un territorio lontano come l’Italia e (come l’oratore stesso afferma) abbia già avuto modo di essere celebrata in numerosi elogi antecedenti33. Nel 315, in occasione del suo decimo anniversario di regno, Costantino viaggia addirittura fino a Roma con l’intento di celebrare nuovamente la sua vittoria contro Massenzio, ribadendo al tempo stesso il suo diritto all’egemonia sull’intero Impero romano. Licinio, il suo corrispettivo orientale e rivale, è profondamente impressionato da questo magniloquente richiamo a successi noti in tutto il regno, che assumono un’importanza ben maggiore rispetto alle scaramucce con i barbari sul Reno. Il successo nella guerra civile ha contribuito in modo decisivo a porre in secondo piano le vittorie ottenute da Costantino lungo il Reno. La situazione tuttavia muta nuovamente dopo la prima guerra civile tra Costantino e Licinio del 316/317. I motivi per cui i successi militari ottenuti contro i barbari tornano ad assumere un ruolo importante ai fini dell’autorappresentazione costantiniana, alla luce della nuova situazione, saranno discussi in seguito.
Il 1° marzo 317 la pace di Serdica conclude formalmente la prima guerra civile tra Licinio e Costantino. Poiché quest’ultimo ha ottenuto una vittoria parziale, è in grado di imporre al suo rivale le condizioni dell’armistizio. Il trattato stabilisce i confini territoriali delle reciproche zone d’influenza, ponendo al tempo stesso le basi per una nuova intesa tra Costantino e Licinio. I due si riconoscono nuovamente a vicenda come Augusti; Crispo, Licinio iunior e Costantino iunior sono nominati Cesari. Licinio è tuttavia costretto a cedere al rivale una grande parte delle sue province nell’Illiria e nella Pannonia, ritirandosi di fatto dall’Europa. Solamente le province sul Mar Nero delle diocesi di Tracia restano sotto il suo diretto controllo. Costantino si aggiudica inoltre un’ampia sezione del confine sul Danubio, con i rispettivi contingenti militari. Secondo la Notitia Dignitatum, di inizio V secolo, quattordici legioni sono distaccate in questa zona: un dato che coincide grosso modo con quello riferito ai quattro secoli precedenti34. Questa nuova distribuzione dei territori porta dunque a un notevole spostamento degli equilibri politici e militari dalla parte di Costantino.
Poiché la guerra civile si è risolta in una nuova intesa tra i due imperatori, Costantino non può celebrare pubblicamente il successo militare ottenuto nei confronti di Licinio. Molti indizi, nell’autorappresentazione imperiale costantiniana negli anni successivi al 317, mostrano che Costantino si è assolutamente sforzato di manifestare in tutti i modi possibili la propria posizione di preminenza all’interno della nuova alleanza. Tuttavia in questo caso egli non può dimostrare la sua abilità di condottiero celebrando le vittorie ottenute nell’ambito della guerra civile – a differenza di quanto avvenuto qualche anno prima dopo il successo ai danni di Massenzio –, ed è costretto ad affrontare la questione in modo indiretto. A questo proposito, si può osservare un chiaro rafforzamento della rappresentazione dinastica, attraverso la quale viene per la prima volta diffusa l’idea di una dinastia prettamente costantiniana, alla quale Licinio non può opporne una che sia effettivamente equivalente35. Al tempo stesso Costantino è soprattutto impegnato nel consolidamento del suo dominio nella provincia del Danubio, che ha appena sottratto a Licinio. Negli anni immediatamente successivi alla pace di Serdica non avviene nulla nelle regioni attorno alla parte centrale e finale del corso del Danubio che possa fungere da valido motivo per intraprendere una campagna militare nei confronti di nemici esterni. Solamente Crispo, che risiede a Treviri come Cesare più anziano ed è responsabile della difesa del confine lungo il Reno, riesce a conseguire una prima vittoria contro i franchi nel 320, seguita da un’altra nel 322/323. Già il primo successo gli garantisce un certo prestigio personale, come è testimoniato dal panegirico di Nazario e dai carmina di Optaziano36. Nella città di Treviri vengono coniati alcuni tipi di monete, che celebrano la vittoria di Crispo con le legende secvritas rei pvblicae e gavdivm romanorvm, mentre nel verso del tipo del γαωδιωμ si riconosce come alemannia e francia grazie a un tratto nell’esergo relativo, una loro personificazione, accovacciata innanzi al tropaeum 37.
Anche per lo stesso Costantino il confronto militare con i barbari assume nuovamente una notevole importanza, quando l’alleanza con Licinio è infranta, all’inizio del 321. Costantino può ora schierarsi apertamente contro il suo rivale politico e opporgli pubblicamente la propria autorappresentazione. Questo appare chiaramente in relazione alle spedizioni militari contro i goti e i sarmati, nel 322 e nel 323. Costantino utilizza la vittoria conseguita nel 322 ai danni dei sarmati per dimostrare la propria abilità di condottiero nei confronti di Licinio, allo stesso modo in cui ha sfruttato la sconfitta dei franchi nel 307 per opporre il proprio prestigio militare a quello di Galerio, suo rivale a quel tempo. L’anno successivo, nel frangente della campagna contro i goti, Costantino infligge degli evidenti colpi mirati all’integrità territoriale delle zone orientali che giacciono sotto l’influenza diretta del rivale, con il fine di provocare la decisiva guerra civile contro Licinio. Quest’ultimo raccoglie il guanto di sfida gettatogli dal rivale: nel 324 si giunge dunque all’ultimo scontro tra i due nemici di lunga data, dal quale Costantino esce vincitore e unico sovrano di tutto l’Impero romano. Poiché le guerre contro i goti e i sarmati svolgono un decisivo ruolo strategico alla vigilia della guerra civile e mostrano chiaramente il motivo per cui il confronto militare con i barbari viene nuovamente ad assumere una notevole importanza strategica, è necessario soffermarsi dettagliatamente su entrambi i conflitti.
Come è riportato da Optaziano nel suo sesto carmen, i sarmati hanno fatto irruzione in Pannonia e tengono sotto assedio il fortino romano di Campona, nella provincia Valeria38. Costantino si stabilisce subito nella vicina Sirmio e reagisce tempestivamente. Prima respinge i sarmati oltre il Danubio, poi li insegue nell’ambito di una spedizione transdanubiana verso sud, oltre gli insediamenti degli iazigi, fino alla provincia della Mesia Superiore, dove riconquista la città di Margo, caduta per mano dei sarmati. Da lì si spinge a sud seguendo il Danubio fino alla località portuale di Bononia, nella provincia della Dacia Ripense, presso il quale ottiene una vittoria decisiva e si dedica alla divisione del bottino39. Qui l’imperatore viene acclamato dai suoi soldati, e assume per la prima volta il titolo di Sarmaticus maximus40. Il calendario di Filocalo segnala nel periodo tra il 25 novembre e il 1° dicembre i ludi Sarmatici, presumibilmente le festività pubbliche della vittoria contro i sarmati, indette in occasione del ritorno di Costantino a Sirmio per festeggiare la trionfale conclusione della campagna militare41. La vittoria è celebrata anche tramite l’incisione di numerose monete e medaglioni, sui quali si tornerà a breve.
Verso la fine del 322, non molto tempo dopo la conclusione dei festeggiamenti pubblici, Costantino si mette in marcia da Sirmio in direzione di Tessalonica, con l’intento di costruire una flotta e dare inizio a ulteriori preparativi militari in vista dell’imminente guerra contro Licinio42. Come è testimoniato dall’Origo Constantini, l’imperatore è tuttavia costretto a interrompere queste attività e a ritirarsi da Tessalonica, per respingere gli attacchi portati dai goti. Si tratta chiaramente di bande composte da tervingi al comando di re Rausimodo, le quali hanno attraversato i confini sguarniti non appena Costantino si è stabilito a Tessalonica, riuscendo a penetrare all’interno dell’Impero e a devastare la Tracia e la Mesia, ottenendo un ricco bottino43. La data di inizio degli scontri può essere fatta risalire con una buona approssimazione tra la fine di aprile e l’inizio di maggio del 32344. Si è giunti al parziale tracollo delle postazioni di difesa sul Reno a causa dello spostamento delle truppe messo in atto sia da Costantino sia da Licinio, in vista del conflitto imminente. Giovanni Lido scrive, nella sua opera de Magistratibus, che Costantino sposta le sue truppe dall’Istria e dal Danubio e le ammassa a sud, «per paura del tiranno» (τυραννίδος διασκεδασάμενος)45. Questa azione ha come effetto l’immediata cessazione del pagamento dei tributi (φόροι) da parte dei barbari che abitano a nord del Danubio, i quali successivamente «hanno invaso l’Europa, poiché nessuno si era opposto a loro»46. Nell’ambito delle azioni di difesa contro i goti, Costantino sconfina nel territorio di competenza di Licinio. Egli riesce infine a sconfiggere gli invasori in Valacchia, a nord del fiume. Licinio non interviene contro i goti, avendo già ritirato le sue truppe dal confine del Danubio in vista dei preparativi di guerra contro Costantino47. Questa situazione fornisce a Costantino un’ottima occasione per violare i confini di Licinio, accelerando la crisi diplomatica con il suo rivale. Tuttavia a questo punto l’imperatore rientra vittorioso all’interno della propria zona d’influenza, senza che sia avvenuto un confronto diretto con Licinio.
Le fonti disponibili affermano chiaramente che il conflitto tra i goti e Costantino ha un’importanza strategica non trascurabile per quanto riguarda l’imminente guerra civile. In questa circostanza Costantino dimostra di essere fortemente interessato a rinforzare il suo esercito. Il trattato di pace con i goti prevede, infatti, la consegna dei cittadini dell’Impero catturati, e forse sancisce già i dettagli dell’appoggio militare che i barbari sono tenuti a fornire a Costantino48. Questi ottiene inoltre un vantaggio tattico, riuscendo a bloccare una parte dell’approvvigionamento di Licinio presso i goti, i quali erano soliti servire nel suo esercito come truppe ausiliarie49. In ogni caso Costantino non riesce a portare la totalità del confine basso del Danubio sotto il suo controllo, come è testimoniato dal fatto che nel 324 non attacca Bisanzio dal Mar Nero, e dall’Origo Constantini, dove si afferma che Licinio può contare sul sostegno militare di un contingente di goti sotto Alica50. Nel 323 emerge ancor più chiaramente di quanto non avvenisse nelle guerre civili tra Costanzo, Cloro e Alletto del 296 o tra Costantino e Massenzio nel 312 il valore del ricorso a campagne di reclutamento oltre i confini dell’Impero, così come il sostegno di truppe ausiliarie barbare per gli scontri militari di fazioni opposte contro l’Impero.
Nell’ambito di questi momenti carichi di tensione, Costantino si propone nuovamente come oppressore dei barbari, al fine di destituire la concorrenza in una maniera costruttiva e di presentarsi come lecito e speranzoso pretendente all’egemonia su tutto l’Impero. Così l’imperatore fa coniare a Sirmio una serie di monete di bronzo con la legenda sarmatia devicta, che sono state prodotte per lungo tempo e distribuite in grande quantità, probabilmente come ricompensa dei soldati per il servizio prestato tra le file dell’esercito imperiale51. Il verso dei conii bronzei mostra la dea Vittoria con un tropaeum e un ramo di palma, nell’atto di calpestare un prigioniero in catene: il tema ricorrente della calcatio. Anche a Treviri sono elaborate delle incisioni in oro, nelle quali si celebra la vittoria.
Oltre che a Costantino vincitore glorioso di fronte alle sue truppe, i conii di vittoria si rivolgono direttamente anche a Licinio e ai suoi sostenitori: la vittoria di Costantino contro i sarmati, la successiva acclamazione imperiale, l’assunzione del titolo di Sarmaticus maximus, l’organizzazione dei ludi Sarmatici e la produzione in massa dei rispettivi conii trionfali sono le tracce tangibili di una complessa autorappresentazione di Costantino come possente difensore e vittorioso custode dell’Impero romano. Proprio in quei territori che è riuscito a strappare a Licinio poco prima del suo intervento, Costantino ha conseguito un importante successo in politica estera, che egli valorizza abilmente e sa utilizzare per rafforzare la propria posizione nel conflitto di politica interna contro Licinio.
Grazie alla loro diffusione, le monete riescono a raggiungere in grande quantità anche le zone controllate da Licinio, portando il loro eloquente messaggio in pieno territorio nemico. Quando le emissioni sarmatia sono poi, in seguito alla guerra contro i goti del 323, distribuite come pagamento all’esercito di Costantino anche all’interno dei possedimenti di Licinio, è facilmente ipotizzabile che esse comincino a circolare in grande quantità sotto gli occhi di quest’ultimo, grazie al commercio. Il fatto che il messaggio sia recepito, scatenando inoltre un’adeguata reazione politica, è confermato da un’interessante osservazione a proposito della politica monetaria di Licinio, tramandata in un frammento dell’anonimo Post Dionem. Secondo quest’ultimo, il rivale di Costantino vieta la diffusione delle monete recanti le incisioni sarmatiche tramite un apposito editto, arrivando addirittura a fondere quelle che riesce a recuperare. Licinio non può in effetti contrapporre alcun successo equivalente alla celebrazione della propria abilità di condottiero messa in atto dal rivale, e si sente dunque costretto a reagire con forza alla celebrazione militare di Costantino nei propri territori, specialmente laddove le incisioni si riferiscono allo scomodo successo contro i sarmati52.
Grazie alla vittoria ottenuta contro Licinio, Costantino diventa poco dopo l’unico sovrano di tutto l’Impero romano, e unifica la totalità dei territori sotto l’egida di un unico potere centrale divenendo il primo imperatore capace di porre fine a un periodo di divisione delle reggenze durato più di quarant’anni. Per la prima volta non c’è nessuna alternativa credibile a Costantino ed egli può ora dare una svolta al significato della sua autorappresentazione imperiale. L’attenzione di Costantino si rivolge d’ora in poi in misura minore a quell’élite imperiale rappresentata dai militari, ai quali, fino al trionfo nello scontro decisivo contro Licinio, doveva mostrare con massima priorità le proprie virtù di combattente. Gli sforzi del sovrano sono ora principalmente dedicati all’integrazione delle élite orientali, alla costruzione di un sistema dinastico che sia stabile, all’allestimento di una rappresentazione del sovrano che si adatti alla nuova conformazione dell’Impero e a una riforma religiosa che riesca a essere al tempo stesso unitaria e condivisa53: trasformazione della concreta prassi imperiale, in seguito alla quale anche la rappresentazione militare dell’imperatore è adattata alle nuove condizioni, e la stessa politica nei confronti dei barbari subisce dei profondi cambiamenti, come si vedrà in seguito.
Aspetti tradizionali della politica costantiniana nei confronti dei barbari dopo il 324
In primo luogo è necessario notare come, nonostante il mutare del contesto, Costantino abbia utilizzato le proprie vittorie sui barbari in maniera convenzionale anche nel momento in cui si è trovato a essere l’unico imperatore, con il fine di rinforzare il suo carisma militare. In generale, specialmente nell’ambito dell’acquisizione del titolo di vittoria citato in precedenza, Costantino non ha battuto alcuna nuova strada per quanto riguarda la rappresentazione militare: i titoli di vittoria sono meramente accumulati, così come già avvenuto nel corso dei primi anni del regno costantiniano. Costantino è inoltre ulteriormente coinvolto in conflitti militari contro i barbari, nei quali risulta vittorioso: in particolare, vanno ricordati gli scontri con i goti e i sarmati. In questo modo egli può vantare, alla fine del suo regno, ben nove titoli di vittoria ufficiali, i quali lo celebrano come Germanicus maximus IV (quattro volte massimo vincitore dei germani), Sarmaticus maximus II (due volte massimo vincitore dei sarmati), Gothicus maximus II (due volte massimo vincitore dei goti) e Dacicus maximus (massimo vincitore dei daci)54.
Osservando i conflitti contro i goti tra il 328 e il 332, si può notare chiaramente come la caratterizzazione convenzionale delle vittorie costantiniane contro i barbari rimanga pressoché immutata anche dopo il 324. Nell’ambito dell’inaugurazione di una nuova residenza imperiale presso il Bosforo – in cui la città di Bisanzio viene trasformata, con un ingente impiego di fondi e mezzi, nella prestigiosa Costantinopoli – l’imperatore rinforza anche le difese dei confini lungo la sezione meridionale del Danubio, oltre a condurre alcune operazioni militari a nord del fiume55. L’ampliamento delle infrastrutture militari raggiunge il suo apice nel 328, con la costruzione di un ponte sul Danubio tra Oescus e Sucidava: il secondo e ultimo grande ponte voluto da Costantino; l’opera era forse già completata nel 328, o comunque subito dopo56. In concomitanza con la costruzione del ponte, l’imperatore fa erigere anche il castrum di Dafne presso Olteniţa, sull’estuario del fiume Marisca, collegato all’altra riva mediante una chiatta. Nello stesso contesto vengono ampliate e rinnovate anche numerose strade, fortificazioni e accampamenti57.
Il compimento del ponte sul Danubio – così come già avvenuto nel caso del ponte sul Reno – viene celebrato mediante il conio di oggetti, che permettono di fare alcune considerazioni rispetto al significato della costruzione per la rappresentazione costantiniana del potere. Si tratta in particolare di un medaglione di bronzo, distribuito a Costantinopoli tra il 327 e il 333, che è tramandato solo grazie ad alcune illustrazioni successive, le quali si trovano a Parigi nel Cabinet des Médailles e a Vienna, nella sezione numismatica del museo di storia dell’arte58. Nella legenda salus rei p il verso mostra le tre arcate portanti della costruzione, i cui pilastri hanno fondamento nel Danubio. Il fiume è alimentato grazie alle acque del dio del fiume Danubio, il quale è rappresentato all’estremità sinistra del ponte e può essere identificato con certezza grazie all’iscrizione danubios. L’imperatore è raffigurato sul ponte, in veste militare e armato di giavellotto e scudo. Avanza verso destra dietro alla dea Vittoria, la quale volge il capo verso di lui e rimanda chiaramente agli avvenimenti militari mediante un tropaeum. Un barbaro, situato nell’estremità destra del ponte e rivolto verso il gruppo, si genuflette in segno di sottomissione verso l’imperatore e la dea. Anche in questo caso sono messe in diretta relazione le prestazioni organizzative e tecniche, che hanno reso possibile la costruzione del ponte, e le virtù militari dell’imperatore, specialmente la supremazia nei confronti dei nemici esterni. La salvezza dell’Impero romano, tematizzata in modo evidente nella legenda, si realizza concretamente nel poter annientare i barbari senza fatica, ogni volta che avranno l’ardire di ribellarsi alla volontà di Roma. Il dominio operato sulle forze della natura è fortemente caratterizzato in questo contesto, in particolare mediante l’inserimento dell’impetuosa corrente fluviale nei testi e nelle raffigurazioni. Anche nella costruzione del secondo ponte si manifesta dunque il celebre agire ordinatore e pacificatore dell’imperatore, a servizio dell’interesse generale.
L’edificazione del ponte è quindi, senza ombra di dubbio, celebrata come vittoria sui barbari. Questo si evince anche notando come a Roma siano introdotti, proprio in concomitanza con la costruzione dell’opera, i ludi Gothici, i quali continueranno a essere celebrati anche nei decenni successivi, dal 5 al 9 febbraio59. Se la datazione fornita rispetto all’inizio dei giochi è corretta, ciò significa che i festeggiamenti sono inaugurati ancor prima che il ponte assuma un’effettiva rilevanza strategica, nell’ambito degli scontri militari tra l’Impero e i goti. Come è stato dettagliatamente dimostrato da Bruno Bleckmann, già la semplice edificazione del ponte è celebrata nell’ambito di una riconquista della Dacia, provincia creata da Traiano e perduta in seguito60. Un effettivo ampliamento dei confini dell’Impero e una nuova istituzione della provincia, così come una vera e propria propagatio imperii, non sono mai stati pianificati sotto Costantino, anche se alcune strade sono estese a nord del Danubio, come è testimoniato da alcune pietre miliari romane risalenti a un periodo compreso tra il 328 e il 33361.
Sebbene, dunque, probabilmente nessuna nuova provincia sia creata in Dacia, Costantino si fregia del prestigioso titolo di Dacicus maximus in seguito al suo successo nella messa in sicurezza del confine meridionale lungo il Danubio. Si intende così creare un parallelo tra le imprese di Costantino e i grandiosi successi militari di Traiano. I tardi critici di Costantino – in particolare Giuliano – commenteranno con sarcasmo la discrepanza tra le pretese e la realtà dei fatti nella politica estera di questo imperatore. Nel suo componimento satirico Symposion (Caes. 328D-329D), Giuliano ci presenta un Costantino caratterizzato dalla pretenziosa volontà di sovrastare Traiano, quasi come se la riconquista di un territorio perduto fosse più importante della sua originaria annessione. Il Costantino fittizio è infine costretto ad ammettere che le proprie conquiste militari sono di breve durata – proprio come i giardini di Adone, «sbocciati in poco tempo e sfioriti subito dopo»62. Questa lettura non rispecchia certamente la vera essenza dell’autorappresentazione costantiniana del potere, ma testimonia il fatto che il riferimento al celebre optimus princeps Traiano non fosse universalmente accettato nelle trattazioni contemporanee dell’aetas Constantini. Probabilmente esso discende – in un’accezione positiva – dallo stesso ambiente di Costantino.
Il ponte sul Danubio tuttavia non contribuisce solo a dare forma all’immagine del potere costantiniano e a stabilire paragoni con i successi militari degli imperatori precedenti. La funzione strategica del ponte ha anche delle importanti conseguenze sull’atteggiamento dei romani nei confronti delle popolazioni barbariche insediate a nord della parte bassa del Danubio: essa porta innanzitutto a un confronto diretto tra goti e sarmati, e in secondo luogo a un intervento militare dei romani nei confronti dei primi. Il ponte conduce nel territorio dei taifali, un raggruppamento di facile gestione che durante il regno di Costantino si trova in rapporti non del tutto chiari con tervingi e sarmati63. La costruzione tuttavia è edificata primariamente contro i sarmati, non contro i taifali; il ponte viene costruito a Oescus proprio perché da quella posizione risulta più facile controllare l’altopiano della Transilvania. Per quanto si è in grado di ricostruire gli avvenimenti successivi, in seguito alla costruzione del ponte sia i taifali sia i tervingi vengono respinti a causa della rafforzata presenza romana al di sotto del Danubio. Queste popolazioni cercano quindi fortuna (verosimilmente al comando del re dei goti, Vidigoia) più a ovest, entrando così in conflitto con i sarmati, i quali si rivolgono ai loro protettori romani in cerca di aiuto. A questo punto, Costantino forma un esercito e lo invia contro i goti, affidando il comando militare al figlio e Cesare Costantino iunior. Gli scontri raggiungono una dimensione considerevole. Secondo quanto affermato dall’Anonimo Valesiano, «quasi 100.000 uomini sono stati sterminati»64 dalla guerra, dalla fame e dal freddo. L’imperatore non prende attivamente parte alla spedizione, stabilendosi a Marcianopoli durante gli scontri65. Si tratterà in seguito l’interpretazione della passività mostrata da Costantino nel corso di questo conflitto.
Senza fornire una chiara collocazione all’interno del contesto storico, Zosimo parla di una disfatta romana per mano dei taifali, che è di norma messa in relazione dagli studiosi con la guerra intrapresa contri i goti: se non si tratta interamente di un’invenzione della storiografia successiva, ostile a Costantino, potrebbe trattarsi semplicemente di un’efficace azione di ritirata dei taifali66. In ogni caso, attorno al 330, Costantino amplia ulteriormente la propria titolatura mediante l’epiteto triumphator, che fa pensare a un successo militare nella campagna contro i goti più che a una disfatta. Nel complesso sono note ben 57 iscrizioni latine che si riferiscono a Costantino come triumphator o che rimandano ai suoi triumphi67. La maggior parte di queste testimonianze riflette il menzionato ampliamento della titolatura, che recita ora maximus victor ac triumphator semper augustus68. Qui Costantino fa in modo che il titolo victor, introdotto in precedenza nella titolatura imperiale con un chiaro riferimento alla vittoria nella guerra civile contro Licinio69, sia combinato con quello di triumphator, chiaramente ricollegato alla politica estera. La locuzione victor ac triumphator si basa anzitutto su una differenziazione concettuale tra le vittorie conseguite in politica interna e quelle in politica estera, unendo tuttavia le due semantiche separate, riferite dalla tradizione romana a questi concetti complementari, a un quadro generale di indiscussa fama militare dell’imperatore. Il fatto che Costantino riproponga qui una distinzione così evidente tra le vittorie interne e quelle esterne è particolarmente degno di nota, soprattutto nel momento in cui questa differenza viene eliminata dopo la vittoria contro Massenzio, al fine di porre il successo militare nella guerra civile sullo stesso piano delle conquiste ottenute dal suo illustre predecessore in politica estera. In questo modo Costantino può far valere quel prestigio che gli è assolutamente necessario per una formulazione convincente della propria rivendicazione di potere, nell’ambito della guerra di posizione che si sta consumando all’ombra della tetrarchia agonizzante. Costantino si ritaglia dunque l’epiteto victor ac triumphator a propria misura: le epigrafi costantiniane limitano il titolo all’Augusto, mentre le qualità militari del Cesare vengono espresse con la dicitura fortissimus ac nobilissimus70.
Thomas Grünewald nota giustamente come l’introduzione del termine triumphator sia «l’unico cambiamento della titolazione imperiale nel corso dei quasi tredici anni della monarchia costantiniana», suggerendo di attribuire a questa locuzione l’elevato significato che merita71. Tuttavia gli scontri militari con i goti non si sono ancora conclusi nel momento in cui il titolo viene adottato, se si considera che il foedus tra i romani e i barbari può essere datato al’incirca al 332. Ciononostante il nuovo titolo di triumphator si riferisce senza alcun dubbio alla guerra contro i goti, come dimostra un’importante lettera dell’imperatore, datata 30 giugno 331, conservata nella documentazione epistolare di Orcisto. Qui Costantino è denominato maximus Goth[icus] victor ac triumphator Augustus, mettendo esplicitamente in relazione il nuovo titolo di triumphator con la vittoria conseguita ai danni dei goti. Il fatto che nell’iscrizione sia enfatizzata unicamente quest’ultima, mentre gli altri titoli di Costantino sono messi da parte, è un chiaro indizio dell’importanza che la vittoria sui goti assume agli stessi occhi dell’imperatore72. Tuttavia non è dato di sapere se nel 331 Costantino abbia già ottenuto un successo decisivo nella campagna militare. Grünewald e Bleckmann sono scettici al riguardo, proponendo che le modifiche della rappresentazione politica si riferissero all’inaugurazione della nuova città di Costantinopoli73. In ogni caso, il conflitto con i goti si conclude definitivamente nel 332, con la stipulazione di un foedus tra Costantino e il sovrano Ariarico74. L’accordo contempla, in luogo dei pagamenti annuali (annonae foederaticae), un obbligo militare da parte dei barbari nei confronti dell’imperatore: la creazione coatta di una determinata quantità di truppe ausiliarie75. In questo contesto, si insediano in territorio romano anche delle popolazioni barbare. L’Origo Constantini riporta l’insediamento di un totale di trecentomila persone tra Macedonia, Scizia, Italia e Tracia76. Questa manovra ha un triplice obiettivo: punta ad alleggerire la pressione militare ai confini dell’Impero, fornisce nuova forza-lavoro a regioni storicamente deboli dal punto vista economico e garantisce all’esercito una maggiore possibilità di reclutamento.
Gli avvenimenti del periodo compreso tra il 328 e il 332, e il modo in cui Costantino utilizza i propri successi militari nella guerra contro i barbari ai fini della propria rappresentazione imperiale, potrebbero suggerire che non sia cambiato molto relativamente al ruolo di Costantino come trionfatore sui barbari, anche dopo la sua ascesa a unico imperatore. Tuttavia quest’apparenza inganna. In seguito sia all’affermazione di una dinastia costantiniana autonoma a partire dal 317 (ancor più forte a partire dal 321), sia, soprattutto, alla completa conquista del potere a opera di Costantino nel 324, si giunge a un cambiamento radicale della rappresentazione del potere imperiale che modifica fortemente anche il ruolo di Costantino quale vincitore sui barbari. Semplificando, mentre l’imperatore in un primo momento si presenta come condottiero vittorioso, ora trasforma siffatta immagine in quella di auratico e imponente dominatore del mondo intero, il quale decide le sorti dell’enorme Impero, pur lasciando il concreto comando delle operazioni militari in mano ai suoi Cesari.
Questo cambiamento si può osservare specialmente nel conio costantiniano di monete: fino al 324, i ritratti di Costantino sono fortemente caratterizzati da attributi spiccatamente militareschi (giavellotto, scudo, cavallo, corazza, mantello, etc.). Dopo la vittoria su Licinio, questo genere di attribuzioni è notevolmente ridotto. Il caso più impressionante è quello dell’elmo: nell’ambito del conio costantiniano, l’uso dell’elmo come inequivocabile attributo militare viene tanto improvvisamente quanto completamente abbandonato rispetto a un’importante quota, vicina al 30%, di rappresentazioni con l’elmo osservabile negli anni tra il 318 e il 32477. Ora Costantino non è più raffigurato principalmente nelle vesti del guerriero invincibile, apparendo piuttosto come una sorta di ultraterreno ‘re Sole’, il quale ormai ha ampiamente incorporato in sé le caratteristiche divine dei numi difensori che lo hanno preceduto, e governa con bontà e temperanza un Impero unito e pacifico, la cui fama risplende ben oltre i confini del regno78. Questo non si mostra solamente nell’evidente riduzione degli attributi militarmente connotati che caratterizza i ritratti imperiali sulle monete, ma si mostra nell’ambito di un ampio processo di riorganizzazione concernente l’immagine dell’imperatore.
Così Costantino scambia l’epiteto invictus (l’invincibile) con il titolo victor (vincitore) e abbandona la corona triumphalis (ovvero la corona di alloro), che per più di tre secoli ha rappresentato allegoricamente la gloria dell’imperatore79: ciononostante egli lascia che il diadema sia posto sul suo capo il 25 luglio 325, in occasione dei vicennalia incipientia. Per l’imperatore viene introdotto anzitutto un semplice diadema circolare, che tuttavia è sostituito in misura crescente da diademi arricchiti da perle laboriosamente plasmate e rosette. La corona di alloro passa ora ai Cesari – altro segno di come sia stato loro assegnato il ruolo di condottieri carismatici, mentre Costantino incarna il quiescente centro dell’Impero80. Egli non è più raffigurato come un guerriero, ma nelle vesti di un imperatore del mondo, il quale vuole essere concepito come una sorta di ‘trionfatore eterno’: intento che traspare dall’assunzione di locuzioni provenienti dal campo semantico legato al concetto di eternità, come ad esempio aeternitas, sempiternitas e perpetuitas. Invece di celebrare una vittoria in particolare, vengono ora distribuiti alcuni medaglioni con la legenda innvmeri trivmfi avg n, per mezzo dei quali si celebrano «gli innumerevoli trionfi del nostro Augusto»81. Ora Costantino non è più un attivo guerriero, ma un pacifico dominatore delle terre note, mite grazie al duraturo successo delle sue vittorie.
Nell’ambito del conio costantiniano di monete, la raffigurazione dell’imperatore è ulteriormente rafforzata mediante l’introduzione dell’aureola, un attributo che rappresenta il disco solare e identifica Costantino con re solare, compenetrata da una forza divina e ultraterrena82. Anche Optaziano pone l’imperatore nelle sfere celesti: così lo denomina mitis rector Olympi (carm. 3,10), «mite sovrano dell’Olimpo». Qui ci troviamo di fronte a una parafrasi poetica dei versi di Virgilio superi regnator Olympi (Aen. II 779), summi regnator Olympi (Aen. VII 558) e magni regnator Olympi (Aen. X 437). Queste locuzioni sono tratte dall’Eneide, e si riferiscono a Giove. Sempre in Optaziano, Costantino viene poi uguagliato alle più alte divinità del pantheon romano. Ma il carmen 3 non è il solo luogo in cui è rintracciabile questo interessante paragone tra l’imperatore e Giove. La poesia viene fatta risalire con buona approssimazione al 326, ed è stata composta in occasione dei festeggiamenti per i vicennalia a Roma. Nello stesso anno e per il medesimo motivo, a Roma viene prodotto un medaglione che raffigura allo stesso modo Costantino nelle vesti di Giove, e dove l’imperatore è posto tra le schiere degli dei, mentre ai Cesari viene assegnato il ruolo di condottieri83: sul verso si possono osservare gli stessi Cesari nell’atto di porgere all’imperatore la statuetta di una fenice, posata sul globo terrestre. Costantino troneggia a torso nudo, tenendo uno scettro nella propria mano sinistra. Il Cesare è rappresentato in vesti militari e paludamentum, e porta un trofeo. Ai suoi piedi, una pantera è raffigurata nell’atto di inchinarsi. La corrispettiva legenda recita gloria saecvli virvs caess. Lo scopo del testo e delle immagini è particolarmente complesso. La differenza di status tra l’imperatore e i suoi Cesari è tratteggiata allo stesso modo in cui in precedenza è stato rappresentato il rapporto tra le più alte divinità e l’imperatore stesso. Al contempo, tuttavia, i successi militari dei Cesari sono concepiti come fondamento della nuova epoca felice, caratterizzazione che si esprime attraverso la simbologia e la leggenda della fenice. La pantera, belva consacrata a Dioniso, rappresenta l’incondizionato dominio di Costantino anche nella parte orientale dell’Impero: l’influsso della sua potenza giunge oltre i limiti geografici del regno. L’imperatore pare una sorta di motore immobile, invia i suoi Cesari sui campi di battaglia, i quali consegnano a lui i trofei delle loro vittorie una volta ritornati in patria vittoriosi.
In questo modo si spiega anche il motivo per il quale Costantino – come già tematizzato in precedenza – non conduce in prima persona la campagna militare contro i goti, affidando invece il comando a suo figlio Costantino iunior. Il fatto che l’imperatore abbia rinunciato alla conduzione attiva della campagna di Dacia84 mostra come questo nuovo modo di intendere la gloria imperiale non risponda solo a un bisogno inerente alla mera rappresentazione del potere. Questa rinuncia testimonia come il nuovo modello di suddivisione dei compiti tra l’Augusto e i Cesari abbia plasmato anche la prassi imperiale. Costantino cerca evidentemente di tradurre anche materialmente il nuovo concetto di di;stribuzione delle competenze del collegio imperiale. La rappresentazione costantiniana dopo il 324 suggerisce dunque, nel suo complesso, un nuovo modo d’intendere il ruolo militare dell’imperatore romano e una rigorosa divisione dei compiti tra l’Augusto e i suoi Cesari, nella quale la passività dell’imperatore diventa una qualità programmatica.
Questo cambiamento nella rappresentazione politica si nota in modo particolarmente chiaro nei carmina di Optaziano, finora completamente ignorati dalla ricerca su Costantino, tra le fonti letterarie del periodo compreso fra il 320 e il 32685. Soprattutto quei carmina, la cui composizione può essere fatta risalire al periodo della vittoria nella guerra contro Licinio, pongono ancora l’accento su quel potere militare di Costantino e del suo esercito, che si è già manifestato nel corso delle vittorie conseguite dall’imperatore contro i popoli germanici presso il Reno e al confine illirico contro i sarmati. Nel carmen 16 – composto tra il 321 e il 323 – sono celebrate in particolar modo le virtù e la fedeltà delle unità galliche, le quali hanno svolto un ruolo decisivo nella vittoria conseguita da Costantino nei confronti degli alamanni e dei franchi presso il Reno:
Ogni regione fin dai territori del Nord, orrida
per il maestrale, ama i candidi e perenni diritti
della pace, ora che li ha conosciuti, e, a te fedele, milita sempre bene per le tue armi, e con valore compie azioni in tuo nome, e respinge e distrugge popoli feroci, rispettando quanto ti deve; e la tua fortuna li accoglie vincitori. Di qui le coorti forti e invincibili sotto il tuo comando alzano per te le insegne86.
Anche il sesto carmen, composto tra il 322 e il 323, si occupa dettagliatamente della guerra contro i sarmati del 322. La struttura del testo ricalca la formazione di battaglia di una legione romana. Chi legge o ascolta il canto, viene dunque virtualmente trasportato nella battaglia stessa, grazie alla conformazione dei battaglioni dell’armata di Costantino, composti da singole lettere87. Così facendo, Optaziano offre ai lettori il diletto di rivivere integralmente il «massacro dei sarmati» (Sarmaticas strages, carm. 6,15), come lo definisce l’autore, attraverso la semplice fruizione del canto. Optaziano illustra dettagliatamente anche il modo in cui questo vittorioso sterminio di barbari si è effettivamente svolto, presso le città di Campona, Margus e Bononia:
Campona, vincitrice, bagnata di sangue nemico dopo le guerre, guardi stupita i corpi fittissimi stesi su tutto il suolo e le torme e la schiera feroce sommerse nel fiume da esse riempito. Godendo del canto di Febo, tenterei di narrare le moltissime imprese divine del forte Margense, l’invasione e le guerre percosse dalle rovine, che hanno sconfitto a pieno e fanno giacere una gente destinata a morire per il duro Marte. La vicina Bononia, testimone delle grandi imprese, ottenga sul suo territorio ciò che sperava, e vedendo le schiere annientate imponga il giogo ai prigionieri e prenda il resto come bottino88.
In entrambi i casi, l’esposizione è ancora fortemente caratterizzata dai classici topoi che si riferiscono alle conquiste militari nell’ambito delle guerre contro nemici esterni. Nel carmen 6 viene concretamente descritto l’annientamento a cui i guerrieri nemici vanno incontro; i loro corpi disseminati sul campo sono silenziosi testimoni delle molteplici virtutes e della providentia del vincitore. Coloro i quali riescono a sopravvivere a questa carneficina divengono parte del già ricco bottino come prigionieri di guerra, sottomessi agli interessi economici della forza militare imperiale.
Nei carmina che sono datati al 324, il rapporto tra Costantino e le popolazioni barbariche viene tuttavia descritto con toni e modalità ben diversi da quelli appena trattati. Il vincitore non è più un guerriero materiale che annienta e distrugge le armate barbariche, vende i prigionieri di guerra come schiavi o li dà in pasto alle fiere. Costantino è ora dipinto come un benevolo imperatore del mondo intero, il cui regno risulta così appetibile da convincere anche le popolazioni che si trovano al di fuori dei confini dell’Impero romano a sottoporsi volontariamente al suo dominio. Per questo motivo Optaziano pone in secondo piano le virtù guerriere dell’imperatore, mentre al tempo stesso celebra con grande enfasi i meriti civili che caratterizzano il regno di Costantino. La sua reggenza come unico imperatore è salutata come un nuovo aureum saeculum, l’imperatore stesso è raffigurato come un divino salvatore, il quale supera i criteri di valutazione terreni. Optaziano, dunque, non celebra più l’assoggettamento militare dei barbari a opera di Costantino, ma la volontaria sottomissione dei popoli stranieri sotto il suo scettro. Nel carmen 14, composto subito dopo la decisiva vittoria ottenuta da Costantino contro Licinio, questa dinamica si nota chiaramente:
Siene, supplice […] chiede a te le leggi e brama per sé le gioie della nostra luce, le desidera, le ama. Ecco il Parto ingannatore ha deposto le perfide frecce delle sue fughe; si precipita in gara d’affetto il Medo […], poi tutti gli Arabi desiderano lodare i lustri del tuo sereno volto e ai tuoi veri trofei […] danno […] che tu vinca in pietà […]. Lindo e il soldato dell’Aurora […] pregando ti chiederanno pie leggi; gli Etiopi […] ti obbediranno tutti […]. Ecco, supplici i Persiani […] preferiscono te per signore, prostrati adorano sempre il tuo volto e desiderano ritirarsi da tutti i loro possedimenti89.
Il fatto che Optaziano descriva così dettagliatamente la spontanea sottomissione dei popoli stranieri alla supremazia di Costantino possiede un sicuro fundamentum in re. Tramite la vittoria conseguita ai danni di Licinio e l’assunzione del ruolo di unico imperatore, infatti, Costantino diventa per la prima volta il diretto interlocutore di un’intera serie di vassalli e clienti orientali, e di vari Stati che collaborano a diversi livelli con l’Impero romano. Gli alleati stranieri dichiareranno la loro fedeltà al nuovo imperatore unico mediante l’utilizzo di apposite ambascerie. Anche in occasione di particolari festeggiamenti – ad esempio il ventesimo anniversario del regno, commemorato da Costantino il 25 luglio 325 a Nicomedia, o il trentesimo giubileo, festeggiato nell’estate del 336 a Costantinopoli – giungono numerose ambascerie straniere alla corte del sovrano. Il vescovo Eusebio di Cesarea, il quale soggiorna nella nuova città di residenza dell’imperatore presso il Bosforo in occasione delle festività per i tricennalia, ha la possibilità di osservare gli avvenimenti di persona, e inserisce nella sua Vita Constantini un colorito resoconto dei numerosi ospiti stranieri, del loro seguito e dei doni che hanno portato dalla loro terra per l’imperatore:
Pertanto gli ambasciatori portavano ininterrottamente, da ogni parte dell’impero, i doni più sontuosi delle loro terre e noi stessi ci trovammo davanti alle soglie del palazzo imperiale dove si potevano vedere, disposte in fila, figure di barbari dagli abbigliamenti più disparati, differenti nei tratti somatici e diversissimi nell’acconciatura dei capelli e della barba, l’aspetto dei loro volti truci era barbarico e terribile e l’altezza dei loro corpi era smisurata; alcuni avevano i volti di un colore tendente al rosso, altri erano più bianchi della neve, altri più scuri dell’ebano e della pece, altri ancora di una sfumatura intermedia i due toni, poiché nel novero di costoro si potevano vedere le popolazioni dei Blemmi, degli Indiani e degli Etiopi che «ultimi fra gli uomini, sono divisi alle due estremità della terra». Ciascuno di essi, quando arrivava il proprio turno, come nella raffigurazione di un quadro, recava all’imperatore quanto esisteva di più pregiato nella propria patria, chi corone d’oro, chi diademi di pietre preziose, chi schiavi dai capelli biondi, chi vesti barbariche intessute d’oro e ricamate di fiori, chi cavalli, chi scudi e lunghe lance, frecce e archi per mostrare all’imperatore, attraverso questi doni, che desideravano offrirgli la propria alleanza e la propria sottomissione, se egli l’avesse desiderata. L’imperatore, accettando e accogliendo queste offerte da coloro che gliele recavano, contraccambiava con doni talmente cospicui da rendere in un attimo ricchissimi quanti gli porgevano quelle offerte, e inoltre onorava i più insigni tra essi con le cariche romane, al punto tale che molti preferivano trattenersi lì, dimenticandosi di ritornare in patria90.
Come già si evince da questo passo, un imperatore romano non poteva limitarsi, nell’ambito delle relazioni diplomatiche con gli alleati, a prendersi cura esclusivamente degli aspetti formali, rafforzando o rinnovando le relazioni bilaterali esistenti con gli altri popoli. L’affluenza degli ambasciatori alla corte del sovrano, i seguiti stranieri e gli esotici doni esercitano inoltre una forte impressione sugli abitanti dell’Impero, che possono ammirare con i loro stessi occhi quanto la fama del loro imperatore sia vasta, tale da raggiungere anche i confini estremi del mondo conosciuto, e in quali esotiche terre il dominio romano sia noto e rispettato: un effetto che non è in alcun modo casuale. Senza alcun bisogno di allargare materialmente i confini dell’Impero romano, si vuole diffondere abilmente l’immagine di un imperium sine fine, le cui zone d’influenza comprendono l’intera estensione del mondo conosciuto. Se poi si pensa ai tributi che gli Stati alleati pagano a Roma, si comprende come l’Impero riesca ad approfittare della situazione anche da un punto di vista finanziario, senza essere costretto a impegnarsi in pericolose e dispendiose spedizioni militari.
Costantino mostra di aver precocemente capito i possibili vantaggi provenienti da un compromesso diplomatico con i popoli orientali. In primo luogo, vuole evitare a tutti i costi il rischio di un confronto militare con i persiani – egli si trova già sufficientemente impegnato a consolidare la sua autorità nella parte orientale dell’Impero e a mettere in sicurezza del confine a nord del Reno –, evitando quindi ogni intervento militare nelle zone degli Stati cuscinetto per non danneggiare le sfere di influenza e di interesse dell’Impero. Egli è ben consapevole del fatto che una guerra contro i persiani celerebbe rischi molto più elevati rispetto sia alle spedizioni contro i barbari, tutto sommato poco impegnative, sia alle scaramucce degli ultimi anni con goti e sarmati. In ogni caso, la prudenza mostrata da Costantino nei confronti dei persiani è particolarmente evidente nel momento in cui egli avrebbe delle ottime ragioni per intervenire militarmente nei loro confronti, subito dopo la vittoria ai danni di Licinio: nel periodo tra il 324 e il 325, infatti, il re persiano Shabur II adotta una politica estera molto aggressiva, e suo fratello maggiore (nonché rivale) Ormisda fugge nel 324 dalla sua prigione in Persia e si rifugia alla corte dell’imperatore, chiedendo un appoggio nella lotta intestina per il potere contro Shabur II. Il fatto che Costantino decida per un accomodamento diplomatico con il re persiano indica piuttosto lo spostamento verso una raffigurazione imbelle dell’imperatore – che si può notare (come si è mostrato) all’interno di un’ampia gamma di mezzi di comunicazione volti all’autorappresentazione imperiale –, rimandando al tempo stesso al cuore della politica costantiniana nei confronti dei barbari dopo il 325.
Anche l’autorappresentazione di Costantino come novus Alexander, che si può ampiamente osservare nel conio imperiale successivo al 324, non può essere interpretata come indizio di una politica estera aggressiva da parte dell’imperatore romano, anche se i rispettivi ritratti raffigurano effettivamente Costantino come una sorta di reincarnazione del glorioso conquistatore macedone: con il diadema e lo sguardo rivolto al cielo. Questo tipo di iconografia risale a modelli tipicamente ellenistici, assimilando un tipo di ritratto che è tipico della particolare raffigurazione di Alessandro Magno91. Gli schemi del conio dei medaglioni e delle monete in questione, in ogni caso, non permette un riconoscimento concreto di alcune modalità che potrebbero essere messe in relazione con la nuova prassi raffigurativa; già la distribuzione geografica e temporale dei reperti funge da ostacolo per individuarne una chiara e distinta politica semantica: il periodo di conio dura dal 325 fino al 337, e comprende la totalità delle zecche costantiniane, anche se occorre notare che la maggior parte dei conii a noi noti proviene dall’Illiria e dalla parte orientale dell’Impero. Da notare è il carattere particolarmente cerimoniale delle incisioni, e, almeno per quanto riguarda il 325 e il 326, si può individuare una connessione tra i conii di Costantinopoli e quelle di Nicomedia. In esse non vi è solamente un riferimento alle festività vicennali di Costantino, ma si nota chiaramente la volontà dell’imperatore di mettere in relazione la fondazione della propria città trionfale con la tradizione legata ad Alessandro92. Il riferimento a Costantinopoli presente nelle incisioni di gusto ellenistico viste in precedenza è evidente anche se si nota come esse siano state accuratamente concentrate proprio in concomitanza con l’inaugurazione della nuova residenza imperiale: in una pregiata serie di medaglioni d’argento distribuita in occasione delle elargizioni, la zecca di Costantinopoli adotta la prassi raffigurativa di una tetradracma di Lisimaco; alla legenda dn constantini max trivmf avg la dea protettrice di Costantinopoli troneggia al posto dell’Atena Nicefora93. Il dritto del medaglione mostra, alla maniera tradizionale ellenistica, il capo dell’imperatore coronato da un diadema (in questo caso di foglie d’alloro), senza trascrizione. Un collegamento concreto tra i riferimenti ellenistici e il conio costantiniano di monete e medaglioni, riguardo alla spedizione in territorio persiano che l’imperatore sta pianificando poco prima della morte, non può comunque essere riconosciuto con certezza, anche se generalmente si tende a evidenziare questo tipo di discendenza in nome dei riferimenti ad Alessandro visti in precedenza. Costantino dimostra piuttosto di aver compiuto il tentativo di sganciare i richiami alessandrini dal loro riferimento classico ai successi ottenuti in politica estera, volgendoli ai propri successi all’interno dell’Impero – specialmente per quanto riguarda il fatto di aver assunto il ruolo di imperatore unico e di aver inglobato la parte orientale dell’Impero.
Al tempo stesso si può anche notare un cambiamento significativo per quanto riguarda il modo in cui Costantino si presenta al di fuori dei confini dell’Impero. In contraddizione con la sua rappresentazione ellenistica, l’imperatore non intraprese alcuna politica espansionistica rivolta verso Oriente (almeno fino all’inizio concreto dei preparativi per una spedizione militare contro i persiani nel 337). Questo risulta evidente se si pensa che Costantino, nel lungo periodo intercorso tra la vittoria su Licinio nel 324 e la sua morte nel 337, viaggia in Oriente forse una sola volta, peraltro per un lasso di tempo molto breve: nell’inverno 324/325 si trova ad Antiochia, anche se questo soggiorno non può essere dimostrato94. Invece di una politica aggressiva nei confronti dell’Oriente, Costantino adotta un approccio, nei rapporti con i popoli al di fuori dei confini imperiali, che presenta dei tratti innovativi: sotto il suo regno, infatti, la pietas (pietà, timore di Dio) diventa il fulcro su cui ruota la politica estera romana. Nella sua Vita Constantini, Eusebio presenta esplicitamente l’agire del primo imperatore cristiano in quest’ottica, come chiaramente mostrato in Eus., v.C. I 8.
Il fatto che Eusebio associ esplicitamente le azioni di Costantino con il concetto di εὐσέβεια (pietas) non può essere erroneamente inteso come la bizzarra interpretazione di un osservatore cristiano, ma si evince, al di là di ogni ragionevole dubbio, dalle modalità dell’autorappresentazione costantiniana. Il che si manifesta in particolar modo in una lettera che l’imperatore spedisce a Shabur II, di cui possediamo una traduzione in greco (Eus., v.C. IV 9-13). Costantino esorta Shabur a garantire l’incolumità ai cristiani che vivono all’interno del regno persiano. Il messaggio implicito è che Costantino, in quanto imperatore cristiano, si assume la responsabilità rispetto a ogni abitante cristiano della terra. Poiché lo scritto è di datazione incerta, non è possibile stabilire un rapporto diretto con la spedizione militare contro i persiani. Risulta comunque evidente come la premura dell’imperatore nei confronti dei cristiani che si trovano oltre i confini era rivolta primieramente ai suoi sudditi cristiani e poteva essere letta anche come motivazione per i soldati cristiani dell’esercito costantiniano per un attacco militare in Oriente. Afraate testimonia (Demonstratio 5) anche una ricezione da parte persiana dell’escalation che caratterizza la politica religiosa tra Costantino e Shabur. Il fatto che nel regno dei sasanidi si faccia molta attenzione agli sviluppi dell’Impero romano sotto la reggenza di Costantino è in relazione con le strategie da lui intraprese: già dal 330 la casa reale iberica viene cristianizzata a opera dell’imperatore, e di conseguenza legata ancor più fortemente all’Impero romano; Costantino inoltre muove un passo decisivo verso il controllo degli Stati cuscinetto, quando nel 335 nomina Annibaliano, figlio del fratellastro Flavio Dalmazio, rex regum et Ponticarum gentium, affidandogli così il controllo sugli Stati alleati a Oriente del regno95. La rivendicazione costantiniana di essere responsabile, in quanto imperatore cristiano, anche nei confronti dei cristiani che si trovano al di fuori dei confini imperiali è una maniera completamente inedita di concettualizzare l’imperium sine fine. Egli mostra l’intento di armonizzare, almeno su un piano discorsivo, l’orbis Romanus con l’orbis Christianus, con il fine ultimo di rendere plausibile la sua posizione di imperatore romano come sommo dominatore cosmico. In questo modo si comprende il motivo dell’invito, rivolto a vescovi residenti al di fuori dell’Impero, a presenziare al concilio di Nicea96. Tuttavia, neppure simili accorgimenti di carattere politico e simbolico possono cambiare la natura di questi concetti: l’orbis Christianus è sconfinato e onnicomprensivo, mentre l’orbis Romanus dell’autorappresentazione imperiale resta relegato in angusti confini.
Probabilmente anche a causa di questo nuovo corso della politica estera, si acuisce il conflitto tra l’Impero romano e quello persiano. Sembra che il pomo della discordia sia l’Armenia, diventata cristiana già a partire dal 314 sotto il regno di Tiridate III, che intensifica fortemente i rapporti con l’Impero romano subito dopo la presa del potere da parte di Costantino97. La Persia si sforza, in seguito alla morte di Tiridate, di imporre il proprio dominio in Armenia e in Mesopotamia, anche mediante l’utilizzo dell’esercito. Costantino reagisce in primo luogo mandando suo figlio Costanzo in Oriente e nominando Annibaliano rex regum con competenza anche sull’Armenia; in seguito intraprende veri e propri preparativi di guerra. A questo punto l’imperatore è venuto a capo del conflitto lungo la parte bassa del Danubio, il che gli conferisce la possibilità di avviare un’imponente spedizione militare. Essa, tuttavia, non è portata a compimento a causa della morte che coglie Costantino nel pieno dei preparativi. Il fatto che l’impresa sia chiaramente concepita come una guerra fra truppe cristiane e orde di barbari miscredenti si evince dal costante collegamento istituito da parte romana con la simbologia cristiana, sulla quale si tornerà in seguito. Anzitutto si deve considerare quali difficoltà di fondo presenti l’ambita unione tra cristianesimo ed esercito di Roma, alla luce degli scritti di Eusebio di Cesarea.
Non tutti i cristiani sanno sfruttare i successi di Costantino nei confronti dei barbari, come fa Optaziano. Questo emerge chiaramente dalle opere del vescovo Eusebio di Cesarea. Egli ha un grande interesse a che si instauri una virtuosa cooperazione tra Stato e Chiesa, e in questo senso si mostra di;sponibile a portare avanti l’adeguamento che le mutate condizioni impongono all’istituzione a cui appartiene. Al tempo stesso, tuttavia, fa capire chiaramente che, per rendere questa alleanza effettivamente realizzabile, è necessario uno sforzo anche da parte dell’Impero romano, che riguarda principalmente la revisione della posizione occupata dall’esercito nella società del tempo, così come il ruolo militare dell’imperatore. Sebbene Eusebio lodi nella sua Vita Constantini anche i successi che l’imperatore consegue nei confronti dei barbari, egli dedica a questa importante tematica uno spazio considerevolmente ridotto98. Nel discorso tenuto in occasione dei tricennalia viene alla luce il motivo per il quale il vescovo di Cesarea si confronta in modo così distante dal classico ruolo assunto dall’imperatore, e si capisce quale importanza attribuisca all’esercito. Questa orazione – pronunciata dal vescovo in occasione del trentesimo anniversario del regno, tenutosi nel palazzo imperiale di Costantinopoli nel 336 – rappresenta il primo encomio tramandato di un imperatore romano da parte di un officiante cristiano99. Essa ricopre dunque un ruolo particolarmente rilevante come testimonianza storica della aetas Constantini, perché è pronunciata nell’ambito di una celebrazione ufficiale, al cospetto dell’imperatore e di un pubblico raffinato, e fa parte di un importante cerimoniale di cui rappresenta una delle forme più elevate. In questa sede Eusebio fornisce un’immagine di Costantino che si discosta chiaramente e in diversi punti rispetto alle regole convenzionali dei panegirici tradizionali. Le divergenze si possono notare in modo particolare nei passaggi in cui si tratta il ruolo di Costantino come condottiero, l’esercito di Roma e gli scontri con le popolazioni barbariche, come si intende mostrare qui di seguito.
La prima vera «guerra» (πόλεμος) che viene menzionata nel discorso dei tricennalia è la persecuzione dei cristiani messa in atto da Diocleziano100. I perseguitati vengono designati come «soldati di Dio» (θεοῦ στρατιῶται), i quali sono costretti a fronteggiare le «armate del politeismo» composte dai «nemici di Dio»101. In questo contesto i cristiani vengono anche denominati «la sua [di Dio] armata personale»102. Questo conflitto, che Eusebio descrive consapevolmente come una violenta guerra senza quartiere103, viene rappresentato in modo particolarmente drastico. In questo scontro i nemici – «peggio dei barbari selvaggi»104 – rivolgono la loro spada contro gli alfieri della Verità, che non sono nemici provenienti dall’esterno ma commilitoni, amici e fratelli105. Essi sono passati a fil di spada, crocefissi, annegati o dati in pasto alle fiere, mutilati e irrisi, sono loro cavati gli occhi106. Tuttavia, prosegue Eusebio, i soldati di Dio sopportano di buon grado tutti questi supplizi, piuttosto che assoggettarsi alle armate del politeismo, e combattono fermi contro i nemici di Dio e antagonisti della salvezza e della redenzione107.
Alla stessa maniera in cui gli oratori romani erano soliti lodare i successi ottenuti dall’imperatore nella lotta contro i barbari, Eusebio si concentra sulla guerra contro i persecutori dei cristiani, che designa esplicitamente come barbari (βάρβαροι). Rispetto a questo punto è interessante notare come Eusebio non ascriva a Costantino alcun ruolo attivo nella cessazione delle persecuzioni messe in atto da Diocleziano. Gli unici attori che il vescovo inserisce nella propria narrazione dell’epoca, che arriva fino al 311, anno in cui le vessazioni si concludono, sono da una parte i persecutori dei cristiani, descritti come posseduti da demoni malvagi, dall’altra i tenaci cristiani e il loro μέγας βασιλεύς, cioè Dio, che li protegge. La sconfitta dei persecutori e la citata cessazione del conflitto sono state ottenute solo grazie al Grande Re: il μέγας βασιλεύς «li [i persecutori] ha annientati con un solo cenno del suo capo, vendicandosi su di loro con una pioggia di proiettili celesti, e li ha costretti a smentire i loro crimini con le loro stesse bocche, contro la loro volontà»108.
Qui ci si riferisce al cosiddetto editto di tolleranza, tramite il quale Galerio pone fine alle persecuzioni il 30 aprile 311. Eusebio riflette nel suo discorso sul fatto che Galerio abbia a un certo punto deciso di far cessare le vessazioni perpetrate nei confronti dei cristiani, mentre Costantino non ha ancora adottato alcuna misura volta a garantire un trattamento paritario ed equo alle vittime delle persecuzioni109. Tuttavia, nell’anno in cui l’orazione di Eusebio viene pronunciata, il 336, esiste già da lungo tempo una tradizione cristiana che individua nei momenti immediatamente successivi alla presa del potere da parte di Costantino un nuovo corso per quanto riguarda le politiche religiose, vedendo in lui un alfiere antitetrarchico opposto alla discriminazione e alla persecuzione dei cristiani. Questo topos compare per la prima volta tra il 313 e il 314 in Lattanzio, secondo il quale il primo e più importante passo in questo senso compiuto da Costantino subito dopo la sua presa del potere sarebbe stato quello di «garantire ai cristiani la libertà di professare nuovamente la propria religione. Il ripristino del sacro culto è stato il suo primo editto»110. Eusebio pone una logica diversa alla base della propria esposizione. In Eusebio Costantino diventa innanzitutto un miles Christi tramite la rivelazione del segno divino. Egli lo inserisce nell’orazione per i tricennalia dell’imperatore, subito dopo il passaggio a proposito della fine delle persecuzioni volute da Diocleziano, come figura connotata militarmente e importante dal punto di vista storico111. Costantino viene in questo ambito designato come ὁπλίτης ἄμαχος, soldato invincibile, a cui Eusebio si riferisce nei termini di un difensore dell’ordine cristiano del mondo nei successivi conflitti contro demoni e tiranni, cioè le guerre civili contro Massenzio e Licinio.
Nella logica dell’orazione Costantino diventa un oplita di Dio, schierato nella battaglia dalla parte del «Grande Re»112. In quanto soldato agli ordini del sommo Dio, nell’ambito dei tricennalia egli viene ad assumere un ruolo specifico nella battaglia contro i nemici di Dio. Eusebio distingue tre tipologie differenti di nemici, nella lotta contro i quali Costantino esplica il suo ruolo di campione di Dio: i nemici atei (ἄθεοι πολέμιοι), i barbari (βάρβαροι), i demoni (δαίμονες)113. Come concessione all’autorappresentazione dell’imperatore, Eusebio si sofferma brevemente sugli sconvolgimenti causati da «barbari visibili» (οἱ ὁρατοὶ βάρβαροι), riferendosi dunque concretamente agli scontri militari con le popolazioni barbariche114. Tuttavia il vescovo concentra maggiormente la propria attenzione sulle altre due categorie, identificando i principali nemici di Dio nei tiranni atei da una parte e nei demoni dall’altra. In questo senso, i demoni vengono esplicitamente equiparati ai barbari. Eusebio li descrive, in diretta contrapposizione ai «barbari visibili», come «nemici invisibili», e si riferisce a loro direttamente come a «un altro tipo di barbari»115.
Questa costruzione mira chiaramente a creare un dualismo, costitutivo della trionfale ideologia imperiale della tradizione tetrarchico-costantiniana: le battaglie contro coloro che, da un lato, sono i tiranni intesi come oppositori politico militari, all’interno dell’Impero, vengono mescolate con quelle che, dall’altro, sono i nemici esterni intesi come barbari, al fine di rappresentare l’imperatore come condottiero vittorioso in ogni circostanza. Dato che i principali avversari politici di Costantino hanno preso parte, in misura più o meno estesa, alle persecuzioni di cui i cristiani sono stati vittime (in realtà Massenzio rappresenta un’eccezione evidente, ma il vescovo di Cesarea non presta molta attenzione a questo particolare), a Eusebio non risulta in alcun modo difficile descriverli come nemici atei dell’imperatore cristiano e, in generale, dell’ordine cristiano del mondo. Il vescovo sposta poi il discorso sull’importanza della vittoria nell’ambito dell’eterna lotta cosmica tra forze del bene e forze del male, riuscendo in questo modo a mantenere i due classici campi dell’impegno militare sotto cristiani auspici. Secondo questa logica, tutti i nemici dell’imperatore sono innanzitutto nemici di Dio, il quale ha rivestito il suo invicibile alfiere (Costantino) del compito di sterminarli senza alcuna pietà. Questo annientamento non è tuttavia inteso da Eusebio in senso strettamente militare. L’esercito di Costantino non assume nell’orazione alcun ruolo attivo, e la sua importanza storica non è nemmeno presa in considerazione. Laddove il vescovo parla dell’esercito, si distinguono tre piani diversi di significato.
In primo luogo, vengono definite «esercito di Dio» quelle forze cosmiche che emanano direttamente da Dio e formano un’aura luminosa che si dispiega attorno alla divinità stessa116. Per descrivere queste armate celesti, che circondano e celebrano con canti di lode il troneggiante Signore di tutte le genti, Eusebio ricorre ai topoi classici del panegirico romano dell’imperatore. La suddivisione delle armate celesti che circondano Dio viene disegnata sul modello della composizione gerarchica dell’esercito di Roma: esse non comprendono solamente un Signore dalla grandezza incommensurabile e sovrumana, ma anche schiere di angeli al servizio di Dio che hanno caratteristiche simili a quelle dei tribuni, così come spiriti invisibili che tengono sotto controllo l’ordine dell’intero universo e che presentano importanti somiglianze con i più elevati apparati amministrativi dell’organizzazione militare. Al di sopra di tutto sta il Logos regale (Cristo), descritto esplicitamente come «una sorta di prefetto (ὕπαρχος) del Grande Re»117.
In secondo luogo, Eusebio definisce anche i cristiani «soldati di Dio» (θεοῦ στρατιῶται), in tre momenti diversi della settima sezione del suo discorso118. Poiché questa «armata» viene presentata nell’orazione come già coinvolta nella guerra contro i persecutori, ancor prima che Costantino sia messo in campo da Dio come ὁπλίτης contro gli atei tiranni e demoni, questo esercito di tenaci cristiani è chiaramente concepito da Eusebio come un corpo a sé stante, che agisce in modo indipendente rispetto all’imperatore.
In terzo luogo, anche gli eserciti terrestri sono citati in cinque diverse occasioni: in quattro si tratta dell’esercito di Costantino, in una dell’esercito composto dai persecutori dei cristiani119. Eusebio tuttavia rinuncia consapevolmente a rappresentare le armate dell’imperatore come fattore rilevante dal punto di vista della storia della salvezza. L’unico punto nel quale i soldati di Costantino sono descritti in azione si riferisce a una piccola delegazione militare, coinvolta nella chiusura di un santuario dedicato alla dea Afrodite nell’entroterra fenicio120. In tre delle quattro occasioni nelle quali si nomina l’esercito, le forze in campo sono chiamate in causa solo incidentalmente: in primo luogo, nella prima sezione dell’orazione, nell’ambito di una rassegna di tutte le persone e istituzioni che venerano il Signore; poi nuovamente nella quinta sezione, all’interno dell’elenco di tutti i beni e mezzi terrestri, alla cui tentazione Costantino rinuncia; in terzo luogo, nell’ottava sezione di cui si compone il discorso, dove si fa poi menzione della truppa che è stata inviata in territorio fenicio per procedere alla chiusura del santuario di Afrodite. Solo nella quarta e ultima occasione, rintracciabile all’interno della nona sezione, Eusebio parla in modo esauriente dell’esercito di Costantino. Qui l’esercito è menzionato come oggetto dell’indottrinamento religioso operato dall’imperatore, beneficiario dei segni divini di vittoria e destinatario di una riforma culturale. Nella battaglia contro i nemici di Dio le armate di Costantino non giocano dunque alcun ruolo. In occasione della quarta menzione, Eusebio ci spiega anche il perché: «Questo insegnò a tutti gli uomini, soprattutto ai soldati, che essi non possono riporre le loro speranze nelle lance e nelle armature, e neppure nella forza fisica, ma devono riconoscere Dio sopra ogni cosa, l’unico in grado di concedere la vittoria e tutti i beni»121.
Per Eusebio la funzione militare dell’esercito è di conseguenza irrilevante. A questo proposito è eloquente il fatto che nell’unico momento in cui, nell’orazione, si parla di un esercito belligerante, ci si riferisca alla descrizione dell’impressionante potenza militare delle schiere che i persecutori dei cristiani oppongono ai soldati di Dio122. Questo separa marcatamente l’orazione dei tricennalia dalla consuetudine dell’autorappresentazione costantiniana, almeno rispetto alle raffigurazioni incise sulle monete e sui medaglioni che si è avuto modo di analizzare in precedenza. Sebbene si possa infatti osservare un importante rafforzamento delle connotazioni civili, almeno a partire dal 324, nell’apparato di testi e immagini attraverso cui è costruita l’immagine di Costantino, anche nel periodo del suo regno come unico reggente dell’Impero i trionfi in politica estera (in particolar modo le già citate vittorie ai danni di goti e sarmati conseguite tra il 328 e il 336) sono celebrati secondo il canone tradizionale123. Al contrario, l’unico aspetto dell’esercito di Costantino che interessa veramente al vescovo sono le condizioni religiose e politiche all’interno delle quali i soldati agiscono. La vittoria decisiva conseguita contro le forze atee, in particolare contro i tiranni e i demoni descritti come «barbari invisibili», è in effetti ottenuta senza l’aiuto dell’esercito, ma solo grazie al timore di Dio che caratterizza l’agire dell’imperatore.
Costantino è di conseguenza presentato da Eusebio come invincibile campione di Dio, venendo al tempo stesso caratterizzato in una maniera che secondo la tradizione tetrarchica e militaresca antecedente mostra dei forti legami con gli avvenimenti bellici. Il fatto che Eusebio si riferisca esplicitamente ai nemici dell’imperatore mediante il termine «barbari» rafforza il richiamo a topoi tipici della rappresentazione del potere militare. Secondo quanto si legge nell’orazione per i tricennalia, tuttavia, la guerra di Costantino contro i nemici di Dio non si svolge sul campo di battaglia, e l’arma di cui egli dispone non è l’esercito di Roma. I mezzi attraverso i quali l’imperatore ottiene la vittoria sono, secondo Eusebio, solamente il timore di Dio e gli auspici divini che lo accompagnano124. Laddove nell’orazione si afferma che una vittoria è stata raggiunta, si dice che essa non è perciò da attribuirsi «solo a lui [a Costantino]» (μόνος αὐτός), o, come Eusebio precisa, «certo non del tutto solo perché con lui e assieme a lui c’era l’Unico»125. Il potente attore storico in campo contro i tiranni atei e le potenze anticristiane denominate come «barbariche» va rintracciato nell’alleanza cosmica tra Dio e Costantino, suo campione. Le potenze celesti che sono all’opera si manifestano negli auspici della vittoria dell’imperatore. Essi testimoniano senza dubbio che le forze celesti sono schierate al fianco di Costantino, portandolo alla vittoria. Secondo Eusebio dunque il segno – che Costantino tuttavia fa collocare in occasione di scontri terreni di politica sia estera sia interna – è il marchio più importante del carisma, al tempo stesso militare e cristianamente ispirato, posseduto da un imperatore descritto come miles Christi. Stando a quanto afferma Eusebio, tutto questo non ha nulla a che fare con l’esercito, e la sconfitta di quelli che sono i barbari nel senso proprio del termine non trova posto nella sua concezione dell’Impero romano.
Anche se il significato dell’apparato militare all’interno della rappresentazione costantiniana non subisce un cambiamento così marcato, come invece Eusebio vorrebbe far credere, tuttavia nel corso degli ultimi anni del regno di Costantino si possono chiaramente notare – specialmente riguardo alla pianificata spedizione contro i persiani – alcuni provvedimenti, per mezzo dei quali l’esercito risulta ulteriormente cristianizzato nella riforma del culto del 321, e le azioni militari vengono caricate in misura sempre maggiore di un significato religiosamente orientato126. Sembra che i sacerdoti cristiani impegnati nell’esercito abbiano assunto in questo senso un’importanza crescente127; inoltre Eusebio attesta che alcuni vescovi si sarebbero dichiarati disponibili ad accompagnare la spedizione militare in terra persiana, in seguito a una precisa richiesta di Costantino128; lo stesso imperatore si sarebbe inoltre fatto battezzare nel Giordano ancora prima dell’inizio delle operazioni militari contro i persiani129. Il vescovo riferisce infine che Costantino avrebbe progettato di portare con sé una sorta di oratorio da campo, nel quale i divini uffizi avrebbero potuto essere espletati, e avrebbero festeggiato la Pasqua durante i preparativi della spedizione130. La svolta politica e religiosa di Costantino ha dunque lasciato le proprie tracce in maniera manifesta anche in campo militare, anche se le conseguenze strutturali sul ruolo occupato dall’esercito all’interno della società romana e sulla funzione stabilizzatrice nei confronti della monarchia, inizialmente, sembrano essersi mantenute solo in parte. Ciononostante, le tendenze inaugurate da Costantino mostrano di possedere un’importanza epocale (e questo riguarda non in ultimo luogo i rapporti tra barbari e romani), che sarà riassunta nuovamente nel prossimo paragrafo.
La crescente integrazione dei barbari tra le file dell’esercito di Roma e nell’amministrazione imperiale cambia la conformazione della monarchia tardoromana in maniera molto concreta. A distanza di pochi decenni dalla morte di Costantino, figure di origini barbariche occupano una quota considerevole anche tra il personale di più alto rango preposto alla gestione dell’Impero – e tra la fine del IV e l’inizio del V secolo i magistri militum assumono un ruolo decisivo nelle politiche imperiali. Attraverso i caratteristici sviluppi della rappresentazione imperiale del potere sotto Costantino, anche il ruolo dell’imperatore come vincitore dei barbari è mutato: il sovrano è raffigurato, ora più che mai, come rappresentante terreno del Sovrano di ogni cosa. Come una sorta di motore immobile, egli governa i destini del regno non dal suo cavallo, ma dall’alto del suo trono. Già sotto Costantino, modelli di discorsi cristiani penetrano anche nelle relazioni diplomatiche con i popoli situati all’esterno dell’Impero. Di fatto, le concrete modifiche del ruolo militare dell’imperatore non sono così marcate, come l’autorappresentazione imperiale e l’immagine ideale cristiana vorrebbero far credere: l’imperatore seguita a presentarsi sul campo di battaglia con frequenza regolare, e dimostra mediante discorsi e generose elargizioni il suo stretto legame con l’esercito. La rappresentazione militare del potere si modifica sostanzialmente tra la fine del IV secolo e l’inizio del V, nel momento in cui si costituisce un nuovo Impero metropolitano. In quel periodo il comando militare viene quasi completamente assorbito dai magistri militum e la cristianizzazione raggiunge anche la maggior parte delle élite amministrative131. Anche sotto questi auspici, comunque, il tratteggiamento della gloria dell’imperatore attraverso il favore divino e un forte spirito naturale fornisce una rappresentazione della monarchia colma di preziosi riferimenti. Da questo momento in poi, l’imperatore di norma non partecipa più in prima persona alla guerra, ma fino all’epoca bizantina le vittorie militari, anche quelle ottenute contro i barbari, sono celebrate tramite processioni di ringraziamento, costruzione di monumenti trionfali, diffusione in tutto il regno di bollettini delle vittorie e, di tanto in tanto, mediante l’organizzazione di veri e propri cortei festanti132.
Le trasformazioni che si riveleranno essere maggiormente significative nel lungo periodo sono probabilmente quelle osservate nel processo di cristianizzazione della monarchia romana ispirato da Costantino: l’imperatore si trova ora a dover dimostrare anche ai suoi sudditi cristiani di essere un buon soldato – questo concetto va inteso nel senso metaforico di miles Christi, ovvero un guerriero capace di proteggere la religione cristiana dall’eresia, dalla miscredenza e dalle persecuzioni. I concreti scontri militari contro i barbari non possiedono, agli occhi dei cristiani contemporanei, alcuna rilevanza per quanto riguarda la storia della Salvezza. Già sotto Costantino, si possono cogliere i primi accorgimenti volti ad armonizzare il ruolo militare dell’imperatore con le necessità cristiane. Ciò avviene mediante l’introduzione di insegne recanti simboli cristiani, l’arruolamento di sacerdoti cristiani nell’esercito e gli opportuni adattamenti delle pratiche di culto nell’esercito. Durante il regno di Costantino tali adattamenti sono sporadici ma tuttavia fungono da punto di partenza per quelli che saranno i veri cambiamenti radicali, attraverso i quali l’esercito tardoromano e bizantino verrà cristianizzato in maniera crescente. Le vittorie conseguite dalle armate imperiali contro i nemici esterni, tuttavia, assumeranno un’importanza sempre minore per quanto concerne la legittimazione del potere imperiale.
1 epit. de Caes. 41,3: «Quo mortuo cunctis, qui aderant, annitentibus, sed praecipue Croco, Alamannorum rege, auxilii gratia Constantium comitato imperium capit». Dal fatto che Croco abbia avuto un ruolo importante nell’ascesa al potere di Costantino si evince che fosse stato uno stretto confidente del padre dell’imperatore.
2 L’arruolamento di barbari all’interno dell’esercito di Roma così come i motivi del loro reclutamento attraverso l’amministrazione romana sono discussi in J.H.W.G. Liebeschuetz, Barbarians and Bishops. Army, Church, and State in the Age of Arcadius and Chrysostom, Oxford 1990, pp. 7-25.
3 Paneg. 4(8),16,3: «ut nemo fere Romanus occiderit imperio vincente Romano».
4 Paneg. 4(8),16,4: «I cadaveri di quei barbari o di altri che, seguendo la moda dei barbari, un tempo ne portavano l’abbigliamento e i capelli lunghi e rossicci, insozzati di polvere e di sangue, giacevano allora nelle posizioni diverse determinate dal dolore delle ferite; tra di loro giaceva anche il portabandiera dei briganti: non aveva più, per sua volontà, il manto regale che da vivo aveva dissacrato, e fu riconosciuto a malapena grazie all’unico indizio di una sopravveste».
5 Riguardo al processo di acculturazione e integrazione si veda Ethnicity and Culture in Late Antiquity, ed. by S. Mitchell, G. Greatrex, London 2000.
6 A questo proposito si veda P. von Rummel, Habitus barbarus. Kleidung und Repräsentation spätantiker Eliten im 4. und 5. Jahrhundert, Berlin-New York 2007. Sul concetto di acculturazione cfr. U. Gotter, Akkulturation als Methodenproblem der historischen Wissenschaften, in Wir/ihr/sie. Identität und Alterität in Theorie und Methode, hrsg. von W. Eßbach, Würzburg 2000, pp. 373-406.
7 Si veda T.D. Barnes, Constantine. Dynasty, Religion, and Power in the Later Roman Empire, Chichester 2011, p. 155; cfr. anche Lib., Or. 30,6; Zos., II 15.
8 Si veda a questo proposito J. Wienand, Der blutbefleckte Kaiser. Constantin und die martialische Inszenierung eines prekären Sieges, in Inszenierung des Sieges – Sieg der Inszenierung. Interdisziplinäre Perspektiven, hrsg. von M. Fahlenbock, I. Schnei;der, L. Madersbacher, Innsbruck 2011, pp. 237-254.
9 Per quanto riguarda i fregi dell’arco di Costantino si veda H.P. L’Orange, A. von Gerkan, Der spätantike Bildschmuck des Konstantinsbogens, Berlin 1939; G.M. Koeppel, Die historischen Reliefs der römischen Kaiserzeit VII. Die spätantiken Friese am Konstantinsbogen, in Bonner Jahrbücher, 190 (1990), pp. 38-64.
10 Per una storia dei franchi si veda E. Zöllner, Geschichte der Franken bis zur Mitte des sechsten Jahr;hunderts, München 1970.
11 I festeggiamenti sono definiti triumphus in Paneg. 12(9)23,3. Eutr., X 3,2 riporta che in occasione della vittoria Costantino organizza delle battaglie di gladiatori e dà i sovrani barbari in pasto alle belve feroci. Ulteriori testimonianze saranno discusse in seguito.
12 Paneg. 4(10)16,4-6.
13 Un compendio delle testimonianze scritte recanti il nuovo titolo si può reperire in Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus. Herrschaftspropaganda in der zeitgenössischen Überlieferung, Stuttgart 1990, p. 272. A Londra e Treviri vengono incise in questo periodo grandi quantità di monete recanti differenti versi con tema il dio Marte: RIC VI, Londinium, 92-95; Treveri, 724-732, 739-742. Nello stesso periodo RIC riporta solamente due tipi di verso a tema Marte, in monete distribuite da Galerio ma recanti un ritratto di Costantino: RIC VI, Nicomedia, 42, 45.
14 Paneg. 6(7)4,2.
15 Paneg. 6(7)10,1-12,1. Cfr. G.F. Teuthorn, Ausführliche Geschichte der Hessen, von ihrem ersten Ursprunge an bis auf gegenwärtige Zeiten, Berlenburg 1770, pp. 565-566; in riferimento al panegirico del 310 si veda anche J. Engemann, “Dich aber, Konstantin, sollen die Feinde hassen!”. Konstantin und die Barbaren, in Konstantin der Grosse. Geschichte, Archäologie, Rezeption, Internationales Kolloquium (Trier 10-15 Oktober 2005), hrsg. von A. Demandt, J. Engemann, Trier 2006, p. 179.
16 Paneg. 4(10)16,4-6.
17 Paneg. 7(6)10,1-4: «Ignobilem, credo, aliquam barbarorum manum, quae repentino impetu et improviso latrocinio ortus tui auspicia temptasset, adfecisti poena temeritatis. Reges ipsos Franciae, qui per absentiam patris tui pacem violaverant, non dubitasti ultimis punire cruciatibus, nihil veritus gentis illius odia perpetua et inexpiabiles iras. Cur enim ullam reputet iustae severitatis offensam imperator qui quod fecit tueri potest? Tuta clementia est quae parcit inimicis et sibi magis prospicit quam ignoscit; te vero, Constantine, quantumlibet oderint hostes, dum perhorrescant. Haec est enim vera virtus, ut non ament et quiescant. Cautior licet sit qui devinctos habet venia perduelles, fortior tamen est qui calcat iratos».
18 Secondo Paneg. 6(7)10,2 l’invasione dei franchi avviene dopo la morte di Costanzo I, cioè tra l’autunno e l’inverno del 306. Poiché la datazione dei conii di vittoria è tuttavia fatta risalire all’inizio del 307 (si veda a tale proposito P. Bastien, Le monnayage de l’atelier de Lyon. De la réforme monétaire de Dioclétien à la fermeture temporaire de l’atelier en 316 (294-316), Wetteren 1980), Costantino ha dunque reagito solo più tardi, pur ricorrendo alla precedente rottura del contratto, per giustificare l’attacco e la particolare durezza del suo intervento militare.
19 D. Kienast, Römische Kaisertabelle. Grundzüge einer römischen Kaiserchronologie, Darmstadt 1990, pp. 35-36, 297; Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus, cit., pp. 163-170; H. Brandt, Geschichte der römischen Kaiserzeit von Diokletian und Konstantin bis zum Ende der konstantinischen Dynastie (284-363), Berlin 1998, pp. 110-111.
20 R. Leeb, Konstantin und Christus. Die Verchristlichung der imperialen Repräsentation unter Konstantin dem Großen als Spiegel seiner Kirchenpolitik und seines Selbstverständnisses als christlicher Kaiser, Berlin 1992, p. 9.
21 Si trova un rimando a questa vittoria in Paneg. 6(7)12,1; per la datazione si veda T.D. Barnes, Imperial Campaigns, A.D. 285-311, in Phoenix, 30 (1976), pp. 192-193. C.E.V. Nixon, B.S. Rodgers, In Praise of Later Roman Emperors. The Panegyrici Latini, Berkeley-Los Angeles-Oxford 1994, p. 235 nota 55 mettono in risalto l’importanza della vittoria per quanto riguarda la stabilità del confine sul Reno: «Constantine’s military success was not inconsiderable: there appears to have been a lasting peace on the Rhine until the mid-fourth century, punctuated only by intermittent hostilities». Sulla vittoria contro i franchi, gli alamanni e i brutteri si vedano T.D. Barnes, Imperial Campaigns, cit.; Id., The Victories of Constantine, in Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik, 20 (1976), pp. 149-156; Id., Constantine and Eusebius, Cambridge (MA) 1981, pp. 29, 34; W. Kuhoff, Diokletian und die Epoche der Tetrarchie. Das römische Reich zwischen Krisenbewältigung und Neuaufbau (284-313 n. Chr.), Berne-Berlin-Brussels-Frankfurt a.M.-New York-Vien 2001, pp. 841-846.
22 In ordine di citazione: RIC VI, Treveri, 811; RIC VI, Treveri, p. 818; rispettivamente RIC VII, Treveri, 27; RIC VI, Treveri, 819; RIC VI, Treveri, 823-824.
23 Paneg. 7(6)12,1-4: «Ut tamen omnibus modis barbarorum immanitas frangeretur nec sola hostes regum suorum supplicia maererent, etiam immissa Bructeris vastatione fecisti, imperator invicte. In quo prima consilii tui fuit ratio quod exercitu repente traiecto inopinantes adortus es, non quo aperto Marte diffideres ut qui palam congredi maluisses, sed ut illa natio perfugiis silvarum et paludum bellum solita frustrari fugae tempus amitteret. Caesi igitur innumerabiles, capti plurimi; quidquid fuerit pecoris, raptum aut trucidatum est; vici omnes igne consumpti; puberes qui in manus venerunt, quorum nec perfidia erat apta militiae nec ferocia servituti, ad poenas spectaculo dati saevientes bestias multitudine sua fatigarunt. Hoc est, imperator, fretum esse virtute sua atque fortuna, hoc est non pacem emere parcendo, sed victoriam quaerere provocando».
24 Paneg. 7(6)13,1-5: «Insuper etiam Agrippinensi ponte faciundo reliquiis adflictae gentis insultas, ne umquam metus ponat, semper horreat semper supplices manus tendat, cum tamen hoc tu magis ad gloriam imperii tui et ornatum limitis facias quam ad facultatem, quotiens velis, in hosticum transeundi, quippe cum totus armatis navibus Rhenus instructus sit et ripis omnibus usque ad Oceanum dispositus miles immineat. [...] Servit profecto, Constantine, ipsa rerum natura numini tuo, cum in illa gurgitum altitudine tantarum molium fundamenta iaciuntur fidam et stabilem firmitatem habitura. [...] Certe quidem iam tibi in exordio sui hostium movit obsequia, qui pacem supplices petiverunt, nobilissimos obsides obtulerunt. Ex quo nemo dubitat quid perfecto ponte facturi sint qui iam serviunt inchoato».
25 Il multiplo di Berlino: RIC VII, Treveri, 1 (l’immagine sul verso viene qui descritta come «Gate of Trier»; cfr. M. Radnoti-Alföldi, Das Trierer Stadtbild auf Constantins Goldmultiplum: ein Jahrhundertirrtum, in Trierer Zeitschrift, 54 [1991], pp. 239-248). Le incisioni citate in precedenza: RIC VI, Treveri 823 (alemannia), 824 (francia); cfr. anche RIC VI, Treveri 811.
26 Si vedano O. Kraus, Die römische Rheinbrücke zu Köln und die Stadtmauer der Südseite, in Bonner Jahrbücher, 130 (1925), pp. 232-253; H. von Petrikovits, Das römische Rheinland, Köln 1960, pp. 77 segg.; E. Zöllner, Geschichte der Franken, cit., p. 15; Th. Grünewald, Ein epigraphisches Zeugnis zur Germanenpolitik Konstantins des Großen: Die Bauinschrift des Deutzer Kastells (CIL XIII 8502), in Labor omnibus unus. Gerold Walser zum 70. Geburtstag, hrsg. von E.H. von Herzig, R. Frei-Stolba, Stuttgart 1989, pp. 171-185.
27 L’emissione dei medaglioni giocava a sostegno di questa tesi.
28 Per quanto riguarda i confini dell’Impero romano come zone di scambio e interazione, cfr. A.D. Lee, Information and Frontiers. Roman Foreign Relations in Late Antiquity, Cambridge 1993; C.R. Whittaker, Frontiers of the Roman Empire. A Social and Economic Study, Baltimore 1994; H. Elton, Frontiers of the Roman Empire, London 1996; C.R. Whittaker, Rome and Its Frontiers. The Dynamics of Empire, London 2004.
29 M. Kulikowski, Constantine and the Northern Barbarians, in The Cambridge Companion to the Age of Constantine, ed. by N. Lenski, Cambridge 2006, pp. 347-376, in partic. 357.
30 Si veda J. Wienand, Der blutbefleckte Kaiser, cit.
31 Il panegirico del 313 accenna all’esistenza di trattati di non belligeranza tra Costantino e i barbari, i quali furono siglati presumibilmente prima della spedizione militare contro Massenzio (Paneg. 12(9)22,3). I dettagli della guerra contro i franchi e dei festeggiamenti conseguenti si possono trovare in Paneg. 12(9)22,3-23,4 e Paneg. 4(10)18,1-6. Paneg. 4(10)18,1 parla di un’alleanza fra diverse tribù («Hi omnes singillatim, dein pariter armati conspiratione foederatae societatis exarserant»); anche Eus., v.C. I 46 si riferisce a questa guerra. In Paneg. 12(9)23,3 l’oratore si riferisce ai festeggiamenti di Treviri con il termine di triumphus. Il titolo Germanicus maximus III si trova nell’iscrizione ILS 696 = CIL VIII 8412, che Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus, cit., p. 194, n. 87, fa risalire al periodo tra il 25 luglio e il 31 dicembre 318. T.D. Barnes, The Victories of Constantine, cit., p. 151, e Id., The New Empire of Diocletian and Constantine, Cambridge 1982, p. 258, data l’acclamazione imperiale e il titolo annesso al 314; si veda anche C.E.V. Nixon, B.S. Rodgers, In Praise of Later Roman Emperors, cit., pp. 328-329, nota 145 (con ulteriore bibliografia). Il calendario di Filocalo (CIL I2 268) riporta tra il 15 e il 20 luglio i ludi Francici, che sono riconducibili ai festeggiamenti di Treviri. L’attribuzione di quelli che nel calendario di Filocalo sono indicati come ludi a determinate vittorie è stata operata da A. Degrassi, Inscriptiones Italiae, XIII, Fasti et elogia, fasc. 2, Fasti Anni Numani et Iuliani. Accedunt ferialia, menologia rustica, parapegmata, Roma 1963, pp. 406, 454, 510-511, 517, 537; si veda anche M.R. Salzman, On Roman Time. The Codex-Calendar of 354 and the Rhythms of Urban Life in Late Antiquity, Berkeley 1990, pp. 116-189. J. Engemann, “Dich aber, Konstantin, sollen die Feinde hassen!”, cit., nota giustamente come le rappresentazioni delle vittorie costantiniane seguite ai successi militari contro i barbari contengano interessanti elementi di crudeltà, che nel corso delle ricerche su Costantino sono stati spesso ignorati. Joseph Engemann intende la crudeltà come una parte della personalità dell’imperatore (questa la formulazione a p. 174; cfr. anche il discorso sulla costantiniana «predilezione per la damnatio ad bestias», p. 183 nota 85) e vede in questo una chiara difficoltà «a rappresentare l’imperatore come devotamente cristiano subito dopo la vittoria di ponte Milvio» (pp. 182-183). Per la rappresentazione del sovrano di un impero così fortemente connotato dal punto di vista militare come la monarchia romana tra il III e il IV secolo, le rappresentazioni di supremazia e dominazione fungono del resto da importante espressione del carisma imperiale. Il fatto che i contenuti di questa rappresentazione possano essere letti in contraddizione con il processo di cristianizzazione necessita di una dimostrazione. La creazione di un effettivo campo di tensione tra la rivendicazione cristiana e l’autorappresentazione imperiale viene per la prima volta tratteggiata da Eusebio nell’orazione per i tricennalia.
32 Per un’analisi esauriente delle orazioni si vedano C. Ronning, Herrscherpanegyrik unter Trajan und Konstantin. Studien zur symbolischen Kommunikation in der römischen Kaiserzeit, Tübingen 2007, pp. 291-379 e J. Wienand, Der Kaiser als Sieger. Metamorphosen triumphaler Herrschaft unter Constantin I., Berlin 2012, pp. 199-280. Per quanto riguarda il contesto generale in cui inserire l’orazione si veda anche C.E.V. Nixon, B.S. Rodgers, In Praise of Later Roman Emperors, cit., pp. 211-217.
33 Paneg. 12(9)1,1: «post tot homines disertissimos, quos et in Urbe sacra et hic rursus audisti». Nella formulazione di C.E.V. Nixon, Latin Panegyric in the Tetrarchic and Constantinian Period, in History and Historians in Late Antiquity, ed. by B. Croke, A.M. Emmett, Sydney 1983, pp. 88-99, in partic. 93: «panegyrics on the defeat of Maxentius were already ‘old hat’. Even at Trier, their news value or impact as political messages must have been slight»; cfr. C.E.V. Nixon, Constantinus Oriens Imperator: Propaganda and Panegyric. On Reading Panegyric 7 (307), in Historia, 42 (1993), pp. 229-246, in partic. 233: «The campaign against Maxentius was by now thoroughly familiar even to audiences at Trier».
34 Cfr. A.H.M. Jones, The Later Roman Empire, 284-602: A Social Economic and Administrative Survey, III, Oxford 1964, pp. 368-375 (tav. ix).
35 Si veda a questo proposito il contributo di J. Wienand, La famiglia e la politica dinastica di Costantino, nella presente opera.
36 La datazione della prima vittoria risulta dal fatto che Crispo solo tra il 320 e il 321 può recarsi da Treviri a Serdica (Paneg. 4(10)36,4-37,3: «cruda adhuc hieme inter gelu intractabile, immensum spatio, nivibus infestum incredibili celeritate confecit»; cfr. C.E.V. Nixon, B.S. Rodgers, In Praise of Later Roman Emperors, cit., p. 382 nota 165), dove il congiunto processus consularis dei due Cesari Crispo e Costantino iunior può essere effettuato solo il 1° marzo 321, e non il 1° gennaio. Le azioni di Crispo sono lodate in Paneg. 4(10)3,5 e 36,3 così come in Opt. Porf., carm. 10,20-35.
37 RIC VII, Treveri, 237-241, 243, 362-363, 365-366. I tipi 362-363 e 366 furono da Patrick Bruun erroneamente datati al 322; per la corretta attribuzione si veda P. Bastien, Monnaie et donativa au Bas-Empire, Wetteren 1988, p. 76 nota 8.
38 Opt. Porf., carm. 6,18-21: «Campona cruore / hostili post bella madens artissima toto / corpora fusa solo, submersas amne repleto / victrix miretur turbas aciemque ferocem». Secondo Zosimo (II 21) gli aggressori sono da identificarsi con i sarmati provenienti dal Mar d’Azov. E. von Wietersheim, Geschichte der Völkerwanderung, I, Leipzig 1880, p. 375, nota come, a proposito di questa informazione, «Zosimo [...] confonde tutti i dati, a causa della sua nota ignoranza in campo etnologico e geografico». In realtà gli aggressori sono, infatti, da rintracciarsi tra gli iagizi, una turbolenta tribù sarmatica contro la quale i romani avevano combattuto già in passato; cfr. ivi, pp. 376-377.
39 Opt. Porf., carm. 6. C. Patsch, Beiträge zur Völkerkunde von Südosteuropa, III, Die Völkerbewegung an der unteren Donau in der Zeit von Diokletian bis Heraklius, 1, Bis zur Abwanderung der Goten und Taifalen aus Transdanivien, Wien 1928, p. 18, e ulteriori studiosi in seguito evincono erroneamente che con «Bononia» si intenda un porto che si trova a nord di Sirmio. La giusta collocazione si trova invece in P. Barceló, Constantins Visionen zwischen Apollo und Christus, in Humanitas – Beiträge zur antiken Kulturgeschichte. Festschrift für Gunther Gottlieb zum 65. Geburtstag, hrsg. von P. Barceló, V. Rosenberger, V. Dotterweich, München 2001, pp. 45-61. P. Barceló, Roms auswärtige Beziehungen unter der Constantinischen Dynastie (306-363), Regensburg 1981, p. 51, localizza la città a partire da Margo «verso Sud, seguendo il corso del fiume».
40 AE 1934, 158; cfr. T.D. Barnes, The Victories of Constantine, cit., pp. 151-153.
41 Per la datazione delle vittorie contro i sarmati si veda J. Wienand, Der Kaiser als Sieger, cit., pp. 336 segg. La durata dei ludi potrebbe spiegarsi con il fatto che, in seguito alla seconda vittoria conseguita nel 334, essi siano stati prolungati di un giorno. Sulla storia dei sarmati e sul rapporto con Roma si veda U.B. Dittrich, Die Beziehungen Roms zu den Sarmaten und Quaden im vierten Jahrhundert n. Chr. (nach der Darstellung des Ammianus Marcellinus), Bonn 1984; I. Lebedynsky, Les Sarmates. Amazones et lanciers cuirassés entre Oural et Danube, VIIe siècle av. J.-C. – VIe siècle apr. J.-C., Paris 2002.
42 Zos., II 22.
43 Anon. Vales., I 5,21: «Item cum Constantinus Thessalonica esset, Gothi per neglectos limites eruperunt et vastata Tracia et Moesia praedas agere coeperunt»; si veda H. Wolfram, Die Goten. Von den Anfängen bis zur Mitte des sechsten Jahrhunderts. Entwurf einer historischen Ethnographie, München 1990, p. 69 nota 17. Rausimodo viene menzionato solo in Zos., II 21 con l’ambigua formula συναντησάντων δὲ καὶ τῶν βαρβάρων αὐτῷ μετὰ ῾Ραυσιμόδου τοῦ σφῶν βασιλεύοντος. Non si riesce a capire se l’autore si riferisca ai goti o ai sarmati. Tuttavia E. von Wietersheim, Geschichte der Völkerwanderung, cit., pp. 377-378; L. Schmidt, Die Ostgermanen, München 1941, p. 225; Zosime, Histoire nouvelle, éd. par F. Paschoud, I, Paris 1971, p. 213 nota 31, e H. Wolfram, Die Goten, cit., p. 69 e nota 17, affermano, giustamente, che Rausimodo era un generale dei goti. Per una storia generale dei goti e dei loro rapporti con i romani si vedano H. Wolfram, Die Goten, cit.; P.J. Heather, Goths and Romans (332-489), Oxford 1991; P.J. Heather, J. Matthews, The Goths in the Fourth Century, Liverpool 1991; M. Kulikowski, Rome’s Gothic Wars From the Third Century to Alaric, Cambridge 2007.
44 La legge Cod. Theod. VII 1,1 contro i collaboratori dei barbari fu senza alcun dubbio sottoscritta prima della partenza dell’esercito, il 28 aprile 323 a Tessalonica.
45 Lyd., Mag. III 31; cfr. anche II 10; III 40.
46 Lyd., Mag. III 40: «τῶν ὑπὲρ ̕Ίστρον βαρβάρων μηδενὸς ἀνθισταμένου κατατρεχόντων τὴν Εὐρώπην»; E.A. Thompson, Constantine, Constantius II, and the Lower Danube Frontier, in Hermes, 84 (1956), pp. 372-381, in partic. 378-379, riferisce in modo convincente questo resoconto alla situazione del 323.
47 Licinio si ferma probabilmente a Bisanzio, in ogni caso la sua presenza in città è riportata per il 13 aprile 323 (Cod. Theod. XI 30,12, XII 1,8). E.A. Thompson, Constantine, Constantius II, cit., pp. 378-379, presuppone che Costantino sia riuscito nell’ambito degli scontri con i goti ad assumere parte delle truppe di Licinio, riuscendo a sottomettere una parte della Tracia al suo controllo. Questa teoria non è tuttavia supportata da alcuna fonte.
48 Anon. Vales., I 5,21; Iord., Get. 21,111.
49 C. Patsch, Beiträge zur Völkerkunde von Südost;europa, cit., p. 19.
50 Anon. Vales. I 5,27: «deinde apud Chrysopolim Licinius [pugnavit] maxime auxiliantibus Gothis quos Alica regalis deduxerat».
51 Sulla durata del conio cfr. P.V. Hill, J.P.C. Kent, R.A.G. Carson, Late Roman Bronze Coinage A.D. 324-498, part. 1, The Bronze Coinage of the House of Constantine A.D. 324-346, London 1965, p. 20. I tipi: RIC VII, Londinium, 289-290; Treveri 429, 435-438; Lugdunum, 209, 212, 214, 219, 222 (cfr. P. Bastien, Le monnayage de l’atelier de Lyon. De la réouverture de l’atelier en 318 à la mort de Constantin (318-337), Wetteren 1982, nn. 166, 170-171); Arelate, 257-258; RIC VII, Sirmium, 48. P. Bruun, The Roman Imperial Coinage, VII, Constantine and Licinius (A.D. 313-337), London 1966, pp. 466, 475, data l’inizio delle incisioni nella città di Sirmio al 324. P. Bastien, Le monnayage de l’atelier de Lyon, cit., p. 42 ha corretto la datazione al 323 alla luce della serie occidentale sarmatia. In merito a Sirmio il settimo volume del Roman Imperial Coinage registra un solo tipo in bronzo di questa serie che reca il ritratto di Costantino, tuttavia già Jules Maurice attesta nella sua Nu;mismatique Constantinienne (J. Maurice, Numismatique Constan;tinienne, II, Paris 1911, p. 393) quattro diversi tipi di due emissioni distinte (sirm e ●sirm●), le quali vengono incise a Sirmio per Costantino, Crispo e Costantino iunior. Oltre a queste, in occasione della vittoria contro i sarmati vengono prodotti conii in oro, anche se solo a Treviri: RIC VII, Treveri, 358-361, 364A (principia ivventvtis sarmatia); Treveri, 364, 367; G. Depeyrot, Histoire de la Monnaie: Des origines au XVIII siècle, Wetteren 1995, Trèves 29/2 (gavdivm romanorvm sarmatia). Alla serie dedicata a questa vittoria appartengono anche i tipi RIC VII, Treveri, 532-533 e p. 536 (principia ivventvtis sarmatia), erroneamente datati da Bruun al 332.
52 FHG IV 199 (Anonimus post Dionem, fr. 14,1). Essendo in grado di determinare in maniera precisa il contesto storico di questa serie di monete, le nostre dichiarazioni possono rivendicare una certa attendibilità, laddove il loro valore è in grado di essere analizzato criticamente. In J. Wienand, Der Kaiser als Sieger, cit., pp. 342-350, si argomenta che il divieto è chiaramente riferito alle incisioni in bronzo. Il fatto che la promulgazione dell’editto non sia attestata in maniera indipendente non può essere utilizzato come argomento contro l’attendibilità globale del resoconto. Si sa per certo che Costantino, in seguito alla vittoria contro Licinio, mette in atto delle disposizioni specifiche contro l’avversario. Ciò è testimoniato chiaramente in Cod. Theod. XV 14,1 (16 dicembre 324): «Remotis Licini tyranni constitutionibus et legibus omnes sciant iuris et statutorum nostrorum observari debere sanctionem». Sull’entità della legge voluta da Licinio nel 324 si vedano J. Gaudemet, Constantin, restaurateur de l’ordre, in Studi in onore di Siro Solazzi, Napoli 1948, pp. 652-674, e S. Corcoran, The Empire of the Tetrarchs. Imperial Pronouncements and Government, AD 284-324, Oxford 1996, pp. 274-292; cfr. anche Cod. Theod. XV 14,2 (12 febbraio 325). J.N. Dillon, The Justice of Constantine. Law, Communication, and Control, Ann Arbor 2012, p. 96, scrive riguardo a questo editto: «Constantine’s enactments of 324 and 325 suggest a legislative purge on a grand scale»; e ivi, p. 97: «the details of the annulment of what must have been a considerable body of Licinian legislation in 324/5 appear, however, to have been lost in the exultation of triumph».
53 Su questo aspetto si veda Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus, cit., pp. 133-162; H.A. Drake, Constantine and the Bishops. The Politics of Intolerance, Baltimore 2000; D.S. Potter, The Roman Empire at Bay, AD 180-395, London 2004, pp. 364-439; R. Van Dam, The Roman Revolution of Constantine, Cambridge 2007; T.D. Barnes, Constan;tine. Dynasty, Religion, cit., pp. 107-172.
54 Oltre a quelli citati, nelle epigrafi costantiniane si trovano anche i titoli di vittoria Britannicus maximus, Carpicus maximus, Armenicus maximus e Persicus maximus; così nelle epigrafi CIL VIII 23116 (315 d.C.) e CIL VIII 8412 (318 d.C.). T.D. Barnes, The New Empire of Diocletian and Constantine, Cambridge (MA) 1982, p. 258, tavola 8, cataloga i titoli di Costantino; Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus, cit., p. 272, elenca tutte le epigrafi latine recanti la classica titolatura di Costantino.
55 Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus, cit., pp. 147-148, e H. Wolfram, Die Goten, cit., pp. 70-72, offrono un’esauriente panoramica degli eventi.
56 Il ponte è citato in Chron. Pasch., 527,16; Theoph. Conf., Chron. XXVIII 19-20; Aur. Vict., Caes. 41,18. Per quanto riguarda il ponte sul Danubio si veda, ampiamente, B. Bleckmann, Constantin und die Donaubarbaren. Ideologische Auseinandersetzungen um die Sieghaftigkeit Constantins, in Jahrbuch für Antike und Christentum, 38 (1995), pp. 38-66, in partic. 45-53, con abbondanti riferimenti alla letteratura in merito.
57 H. Wolfram, Die Goten, cit., p. 70, riassume il posizionamento strategico delle due costruzioni militari come segue: «Il ponte di Oescus collega l’impero con l’Oltenia, pensata come cuscinetto e il più delle volte confermatasi tale. Così il forte di Dafne, voluto da Costantino, e la regione circostante sorgono come uno sperone nel territorio dei Taifali e Terovingi». Per quanto riguarda il conio dalla legenda Constantiniana Dafne, che molto probabilmente avviene in corrispondenza con la costruzione del ponte (o si riferisce al palazzo di Costantinopoli), si veda la nota seguente.
58 RIC VII, Roma, p. 298: per quanto riguarda le imitazioni di questo medaglione, l’autenticità del testo e delle immagini e l’ordinamento degli schemi di conio dell’epoca si veda A. Alföldi, Die Donaubrücke Constantins des Großen und verwandte historische Darstellungen auf spätrömischen Münzen, in Zeitschrift für Numismatik, 36 (1926), pp. 161-167. Aur. Vict., Caes. 41,18 ed epit. de Caes. 41,13 si riferiscono alla costruzione del ponte. L’utilizzo del ponte ai fini dell’autorappresentazione costantiniana è trattato in B. Bleckmann, Constantin und die Donaubarbaren, cit., in partic. pp. 45-53, con precisi rimandi bibliografici. In questo contesto si può, inoltre, fare riferimento al rovescio di un tipo prodotto a Costantinopoli forse tra il 328 e il 329, con la legenda Constantiniana Dafne per celebrare il completamento del castrum di Constantiniana Dafne a nord del Danubio: RIC VII, Constantinopolis, 36-38. Il verso raffigura una Vittoria troneggiante di fronte a un tropaeum, con un ramo di palma nella mano sinistra e uno di alloro nella destra, ai piedi della quale si inginocchia un barbaro. La costruzione quindi è messa in rapporto diretto con l’assoggettamento dei barbari, ma assume (mediante il riferimento al mito di Dafne) anche un significato più profondo, che oscilla tra provvidenza divina e salvezza imperiale; per questa serie numismatica si veda R. Mowat, “Constantiniana Dafne”. Bulletin de la Société Nationale des Antiquaires de France, Paris 1912, pp. 310-315; J. McGregor, Constantiniana Dafne. A Different Point of View, in Journal for the Society of Ancient Numismatics, 15,3 (1984), pp. 44-46; O. Iliescu, Constantiniana Dafne. Anciennes et Nouvelles Theories, in Numismatica e Antichità Classiche, 16 (1987), pp. 265-292; R.P. Speck, S.M. Huston, Constantine’s Dafne Coinage at Constantinople. A Study of Local Coinage During the Building of the New Capitol City with Historical Introduction, a Revised Chronology and Rarity Ratings, San Francisco 1992; K. Olbrich, Constantiniana Daphne. Die Gründungsmythen eines anderen Rom?, in Klio, 88 (2006), pp. 483-509. Il tipo può anche essere messo in relazione con il palazzo costantiniano di Costantinopoli, che porta il nome di Dafne; a questo proposito cfr. B. Bleckmann, Constantin und die Donaubarbaren, cit., p. 45 nota 38.
59 I ludi Gothici sono menzionati nel calendario di Filocalo; per quanto riguarda i festeggiamenti delle vittorie presenti in esso si veda M.R. Salzman, On Roman Time, cit., pp. 131-146. C. Patsch, Beiträge zur Völkerkunde von Südosteuropa, cit., p. 28, ha messo in relazione, in modo plausibile, questi festeggiamenti con gli avvenimenti del 328. Si veda anche B. Bleckmann, Constantin und die Donaubarbaren, cit., p. 50 nota 80.
60 Ivi, pp. 50-53; per contro si vedano D. Tudor, Les ponts romains du Bas-Danube, Bukarest 1974, p. 158; T.D. Barnes, Constantine. Dynasty, Religion, cit., pp. 165-166.
61 D. Tudor, Ein konstantinischer Meilenstein in Dazien, in Serta hoffilleriana (1940), pp. 241-247.
62 Iul., Caes. 30,23-31.
63 Per quanto riguarda il ruolo dei taifali si veda B. Bleckmann, Constantin und die Donaubarbaren, cit., pp. 45-48.
64 Anon. Vales., I 1,31: «ita per Constantinum Caesarem centum prope milia fame et frigore extincta sunt». Le cifre non possono essere verificate.
65 B. Bleckmann, Constantin und die Donau;barbaren, cit., pp. 42-43.
66 Zos., II 31,3; si veda, ampiamente, B. Bleckmann, Constantin und die Donaubarbaren, cit., per quanto riguarda i problemi di interpretazione inerenti a questo argomento. Bleckmann presuppone, in modo plausibile, una tradizione ostile a Costantino; H. Wolfram, Die Goten, cit., p. 71 nota 28, parla di una «efficace azione di ritirata» dei taifali così come di una possibile vittoria parziale ottenuta da loro nell’ambito degli scontri con i goti nel 332.
67 Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus, cit., nn. 77, 97, 98, 102, 106, 113, 124, 126, 143, 155, 157-159, 236, 239, 242-244, 246, 248, 260, 263, 378, 412-414, 420-423, 431-435, 437, 446b, 453, 457-460, 466, 473, 484-486, 494-500, 502a,b,c.
68 Per l’interpretazione di questa titolatura si veda, ampiamente, ivi, pp. 147-150. Il titolo compare anche in seguito, in particolare riguardo ai successi militari ottenuti contro nemici esterni.
69 Cfr. Eus., v.C. II 19,2 (cfr. a questo proposito Av. Cameron, S. Hall, Eusebius: Life of Constantine, Oxford 1999, p. 236); si veda anche sopra, pp. 378-379 nota 64.
70 Una formula epigrafica che si incontra spesso tra il 330 e il 337 mostra la seguente costruzione (esempio tratto da Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus, cit., n. 421): [dd(ominis) nn(ostris) / Constantino maxi]/mo victori ac triumf/[atori sem]per aug(usto) [et / Fl(avio) Constantin]o et Fl(avio) Consta/[ntio et Fl(avio) Constanti / nobb(ilissimis) caess(aribus)]. Al posto di victor ac triumphator i Cesari possono fregiarsi dell’epiteto fortissimus ac nobilissimus (così in AE 1976, 663).
71 Ivi, p. 147.
72 Ivi, pp. 148-149; B. Bleckmann, Constantin und die Donaubarbaren, cit., pp. 49-50. Per il contesto storico del dossier delle incisioni di Orcisto nel suo complesso si veda R. Van Dam, The Roman Revolution of Constantine, cit., pp. 143-220, con ulteriore bibliografia.
73 Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus, cit., p. 150; B. Bleckmann, Constantin und die Donaubarbaren, cit., pp. 53-56.
74 Anon. Vales., I 1,31 ci informa del foedus: è la prima testimonianza scritta giunta fino a noi riguardo agli accordi diplomatici tra romani e goti.
75 H. Wolfram, Die Goten, cit., p. 397 nota 33.
76 Anon. Vales., 1,32. Le cifre non possono essere verificate.
77 Per quanto riguarda il periodo tra il 318 e il 324, RIC VII riporta in totale 645 monete che recano sul dritto il ritratto di Costantino, prodotte nelle zecche imperiali. 178 mostrano il capo dell’imperatore coperto dall’elmo. Dopo la vittoria contro Licinio le cose cambiano notevolmente, poiché non viene più prodotta alcuna serie di monete che raffiguri Costantino con l’elmo. Solo poco prima della sua morte, nel 337 (in corrispondenza con i preparativi per la spedizione bellica contro i persiani), compaiono nuovamente delle monete di questo tipo.
78 Per quanto riguarda questo sviluppo si veda J. Wienand, Ein Abschied in Gold. Konstantin und Sol invictus, in Konstantin der Große. Zwischen Sol und Christus, hrsg. von K. Ehling, G. Weber, Mainz 2011, pp. 53-63, oltre a Id., Costantino e il Sol Invictus, nella presente opera.
79 Il cambio di titolatura da invictus a victor è stato ampiamente discusso all’interno della ricerca costantiniana. Di norma si postula che lo scambio di epiteti risponda alla necessità dell’imperatore di abbandonare il nome invictus, associato al paganesimo, sostituendolo con un titolo religioso, meno compromesso dal punto di vista concettuale. Esso prova inoltre come Costantino sia ormai giunto al termine del suo impegno in campo militare. A questo proposito si veda il già richiamato contributo Costantino e il Sol Invictus, nella presente opera.
80 M. Radnoti-Alföldi, Die Sol Comes-Münze vom Jahre 325. Neues zur Bekehrung Constantins, in Gloria Romanorum. Schriften zur Spätantike, hrsg. von H. von Bellen, H.-M. von Kaenel, Stuttgart 2001, pp. 52-59, in partic. 53.
81 RIC VII, Treveri, 469. Il frammento è pubblicato per la prima volta in P. Lederer, Beiträge zur römischen Münzkunde. III, Unbekanntes Trierer Goldmedaillon des Constantinus I, in Zeitschrift für Numismatik, 38 (1928), pp. 59-68 (con le tavole III,51-55). Altri riferimenti sono rintracciabili in M. Radnoti-Alföldi, Die constantinische Goldprägung in Trier, in Jahrbuch für Numismatik und Geldgeschichte, 9 (1958), pp. 99-140, in partic. 122 nota 34; Id, Die constantinische Goldprägung. Untersuchungen zu ihrer Bedeutung für Kaiserpolitik und Hofkunst, Mainz 1963, p. 173 nota 203; P. Bastien, Les multiples d’or, de l‘avèvenement de Dioclétien à la mort de Constantin. Essai de classement métrologique, in Revue numismatique, 14 (1972), pp. 49-82, in partic. 75.
82 P. Bastien, Le buste monétaire des empereurs Romains, I, Wetteren 1992, p. 175; A. Ahlqvist, Cristo e l’imperatore romano. I valori simbolici del nimbo, in Imperial Art as Christian Art-Christian Art as Imperial Art. Expression and Meaning in Art and Architecture from Constantine to Justinian, Roma 2001, pp. 207-228; M.P. Canepa, The Two Eyes of the Earth. Art and Ritual of Kingship between Rome and Sasanian Iran, Berkeley-Los Angeles-London 2009, pp. 192-196. La raffigurazione probabilmente più vivida del nuovo ruolo di Costantino è tramandata dalla penna del vescovo Eusebio di Cesarea. Nel suo discorso in onore dei tricennalia egli tratteggia l’immagine un imperatore che percorre il suo regno a bordo del carro del Sole (Eus., l.C. 3,4). Così come ‛Ήλιος attraversa le volte del cielo e sparge i suoi raggi fin nei meandri più lontani e remoti, così Costantino attraversa il regno nella sua quadriga reale (βασιλικὸς τεθρίππος), condotta da suoi quattro Cesari vedendo ogni cosa ed essendo presente in ogni luogo. Eusebio paragona poi la luce solare all’imperatore stesso, la cui aura si irradia sulla totalità dell’Impero: come la luce del sole, l’imperatore illumina con i suoi raggi, che si estendono in immane lunghezza e luminescenza, ogni suddito, persino quelli che risiedono nelle più remote aree dell’Impero, laddove i Cesari risplendono come ispirati donatori di quella stessa luce, che da Costantino propone.
83 RIC VII, Roma, p. 279; si vedano anche J. Maurice, Numismatique Constantinienne, cit., I (1908), pp. 246-248; A. Alföldi, On the Foundation of Constantinople: A Few Notes, in Journal of Roman Studies, 37 (1947), pp. 10-16, in partic. 15 nota 29; J. Jackson Bryce, Lactantius’s De ave phoenice and the Religious Policy of Constantine the Great, in Studia Patristica, 19 (1989), pp. 13-19, in partic. 16. Il medaglione si presenta in numerosi differenti standard di peso. RIC riporta sedici esemplari differenti recanti la stessa iscrizione e la stessa immagine, il cui peso oscilla tra 21,50 e 50,65 g. Il numero di esemplari disponibili è particolarmente alto per un medaglione, il che potrebbe essere indizio di una produzione su larga scala. Il medaglione è probabilmente distribuito come elargizione. Un cameo conservato nel museo numismatico di Utrecht mostra Costantino con un fascio di fulmini, il che lo identifica anche in questo caso con Giove (T.D. Barnes, Constantine. Dynasty, Religion, cit., fig. 6).
84 B. Bleckmann, Constantin und die Donaubarbaren, cit., pp. 42-43, con riferimento a Zos., II 31,3-32,1; Anon. Vales., I 31; Iul., Or. 1,9D; Consul. Constant., a. 332.
85 Si è ampiamente analizzato questo cambiamento in J. Wienand, Die Poesie des Bürgerkriegs. Das constantinische aureum saeculum in den carmina Optatians, in Costantino prima e dopo Costantino, Atti del Convegno internazionale (Perugia, Spello 27-30 aprile 2011), a cura di G. Bonamente, N. Lenski, R. Lizzi Testa, Bari 2012, in corso di stampa.
86 Opt. Porf., carm. 16,23-29: «Omnis ab Arctois plaga finibus horrida Cauro / pacis amat kana et comperta perennia iura, / et tibi fida tuis semper bene militat, / resque gerit virtute tuas populosque feroces / propellit caeditque, habens tibi debita rata, / et tua victores sors accipit. Hinc tibi fortes / teque duce invictae attollunt signa cohortes» (Optaziano Porfirio, Carmi, a cura di G. Polara, Torino 2004).
87 Si veda a questo proposito M. Rühl, Panegyrik im Quadrat: Optatian und die intermedialen Tendenzen des spätantiken Herrscherbildes, in Millennium, 3 (2006), pp. 75-101, in partic. 99-100.
88 Opt. Porf., carm. 6,18-28: «Campona cruore / hostili post bella madens artissima toto / corpora fusa solo, submersas amne repleto / victrix miretur turbas aciemque ferocem. / Plurima conarer, Phoebeo carmine gaudens, / Margensis memorare boni caelestia facta, / introitus et bella loqui perculsa ruinis, / quis devicta iacet gens duro Marte caduca. / Testis magnorum vicina Bononia praesens / sit voti compos, excisaque agmina cernens / det iuga captivis et ducat cetera praedas» (trad. it. G. Polara).
89 Opt. Porf., carm. 14,10-27: «Suplex […] orat iura, cupit lucis sibi gaudia nostrae, optat, amat. Fallax, en, perfida tela fugarum Parthus deposuit; ruit […] certamine amoris Medus; Arabs mox omnis ovat laudare sereni oris lustra tui, dat veris […] tropaeis haec, […] ut vincas amore […]. Lindus et Aurorae miles […] orantes pia iura petent; Aethiopes cuncti parent […]. En, suplices Persae […] te dominum malunt, fusi tua semper adorant ora, suis cupiunt totis sibi cedere regni» (trad. it. G. Polara).
90 Eus., v.C. IV 7, trad. it. L. Franco.
91 I conii presentano diverse connotazioni di carattere militare e civile: RIC VII, Constantinopolis 1, 104-105. (imperatore in abiti militari); 2, 5, 15-20, 31-33, 54, 127-128, 136 (Victoria), 55, 99, 124 (Standarten). RIC VII, Roma, 272 (senatvs); Thessalonica, 145 (eqvis romanus); Nicomedia, 102; Conii di vota: RIC VII Thessalonica, 166-167, 207; Heraclea, 72; Nicomedia, 103. Si veda anche in generale M. Radnoti-Alföldi, Die constantinische Goldprägung, cit., pp. 93 segg. Il ricorso ai modelli ellenistici risulta evidente soprattutto in RIC VII, Constantinopolis, 53: un tipo che si ispira direttamente alla tetradracma di Lisimaco, che mostra sul dritto il ritratto di Alessandro e sul verso quello di Atena Nicefora.
92 RIC VII, Constantinopolis, 1-3, 5-6. Già la primissima emissione di auri, solidi e pezzi d’argento prodotti nella nuova zecca di Costantinopoli, a partire dal 326, reca il ritratto dell’imperatore e dei suoi figli con lo sguardo rivolto al cielo e il diadema sul capo. Per quanto riguarda la concezione costantiniana della rifondazione di Costantinopoli, si veda N. Lenski, Constantine and the Tyche of Constantinople, in Contested Monarchy. Integrating the Roman Empire in the 4th Century AD, hrsg. von J. Wienand, in corso di stampa.
93 RIC VII, Constantinopolis, 53. Attraverso un’ampia e ricca serie di monete in bronzo con la legenda constantinopolis sul dritto (e la Vittoria con rostri sul verso), che raggiungono ogni parte dell’Impero, la città di Costantinopoli viene paragonata a Roma, che dal canto suo è celebrata dalle incisioni con legenda vrbs roma sul dritto (lupa con i gemelli sul verso); i tipi sono troppo numerosi per poter essere analizzati in questa sede. Per il rapporto tra Roma e Costantinopoli in età tardoantica si veda Two Romes. Rome and Constantinople in Late Antiquity, ed. by L. Grig, G. Kelly, Oxford 2012: L. Grig, Competing Capitals, Competing Representations: Late Antique Cityscapes in Words and Pictures, pp. 31-52, e B. Ward-Perkins, Old and New Rome Compared: The Rise of Constantinople, pp. 53-80.
94 Non è chiaro se Costantino si sia effettivamente recato ad Antiochia all’inizio del 325. Il periodo compreso tra la sosta di Costantino a Costantinopoli l’8 novembre 324 e il suo soggiorno a Nicomedia il 25 febbraio 325 lascia al massimo lo spazio per una visita molto breve. Per quanto riguarda l’itinerario dell’imperatore nell’inverno 324/325 si veda T.D. Barnes, The New Empire, cit., p. 76. P. Bruun, The Roman Imperial Coinage, cit., VII, p. 664 nota 2, parte dal presupposto che Costantino sia effettivamente stato ad Antiochia; così anche T.D. Barnes, Constantine and Eusebius, Cambridge (MA) 1981, p. 212; Id., The New Empire, cit., p. 76; M. Beyeler, Geschenke des Kaisers. Studien zur Chronologie, zu den Empfängern und zu den Gegenständen der kaiserlichen Vergabungen im 4. Jahrhundert n. Chr., Berlin 2011, pp. 117-118. Per contro si veda P. Bastien, Monnaie et donativa au Bas-Empire, cit., p. 78 nota 10: «la présence de Constantin semble peu probable. Son séjour dans la capitale syrienne aurait été particulièrement bref puisqu’il se trouve à Nicomédie le 25 février 325». La legenda adventvs avgvstin di un solido coniato ad Antiochia in quel periodo coincide con la teoria favorevole alla sosta: RIC VII, Antiochia, 48. Eus., v.C. II 72,2-3 attesta tuttavia come Costantino abbia accantonato in breve tempo il progetto di visitare Antiochia. Il tipo a cui ci si è riferiti è stato probabilmente coniato in prospettiva di un evento, che forse non si è mai verificato.
95 Pol. Silv., chron. I 1,63, p. 522 ed. Mommsen; epit. de Caes. 41,20.
96 Eus., v.C. III 7.
97 Si vedano a questo proposito R.C. Blockley, East Roman Foreign Policy. Formation and Conduct from Diocletian to Anastasius, Leeds 1992, pp. 11-12, e E.K. Fowden, Constantine and the Peoples of the Eastern Frontier, in The Cambridge Companion to the Age of Constantine, ed. by N. Lenski, Cambridge 2006, pp. 377-398, con ulteriori testimonianze e bibliografia.
98 Eus., v.C. I 8.
99 L’orazione viene pubblicata in appendice alla Vita Constantini (insieme a un altro discorso del vescovo e alla Oratio ad sanctorum coetum di Costantino). L’edizione classica dell’orazione è Eusebius Werke, I, Über das Leben Constantins, Constantins Rede an die Heilige Versammlung, Tricennatsrede an Constantin, hrsg. von I.A. Heikel, Leipzig 1902, pp. 193-259. Una nuova traduzione inglese, arricchita da un esauriente commentario storico, è stata curata da H. Drake, In Praise of Constantine. A Historical Study and New Translation of Eusebius’ Tricennial Orations, Berkeley 1976, pp. 83-102. Poiché lo stesso Eusebio cita l’orazione all’interno della Vita Constantini (Eus., v.C. IV 33, IV 43-47), il contesto della rappresentazione può essere ulteriormente analizzato. Sulla datazione e localizzazione del tricennale si vedano H. Drake, Semper Victor Eris. Evidence for the Policy and Belief of Constantine I Contained in Eusebius’ Tricennial Oration, Ann Arbor 1970, pp. 1-2 nota 1; Id., In Praise of Constantine, cit., pp. 51-52 nota 35. Nel discorso Eusebio fornisce, in più punti, ulteriori informazioni riguardanti le condizioni generali della sua esibizione alla corte dell’imperatore: Eus., l.C. prol., 1,1; 2,5; 3,1-2; 6,1; 6,10; 6,18; 9,18; 10,7.
100 Eus., l.C. 7,5-6.
101 Eus., l.C. 7,8.
102 Eus., l.C. 7,10.
103 Eus., l.C. 7,6.
104 Eus., l.C. 7,8.
105 Eus., l.C. 7,6.
106 Eus., l.C. 7,7.
107 Eus., l.C. 7,8.
108 Eus., l.C. 7,11.
109 Anche nella Vita Constantini Eusebio vede Costantino avvicinarsi sempre di più al ruolo di imperatore cristiano, solo grazie all’istruzione ricevuta dopo la battaglia di Ponte Milvo; cfr. Eus., v.C. I 32. In effetti non si ha notizia di alcun provvedimento di Costantino che sia favorevole ai cristiani e antecedente al 312. Costantino sceglie chiaramente di ignorare le richieste dei cristiani (diversamente dal padre, il quale partecipa ai provvedimenti dei suoi coreggenti mediante alcuni atti simbolici): Lact., mort. pers. 15,7 riporta diverse distruzioni di chiese sotto Costanzo Cloro, e anche Eus. v.C. I 16 afferma implicitamente che Costanzo Cloro prende parte alle persecuzioni. Secondo Lact., mort. pers. 24,9, Costantino ha ristabilito la libertà di culto nelle proprie zone dopo l’inizio del suo regno, e Lattanzio suggerisce pure che Costanzo Cloro abbia avuto un ruolo attivo come persecutore. Molto importante a questo proposito è l’affermazione che il padre di Costantino non avrebbe posto fine alle persecuzioni quando nel 305 – secondo la formulazione di Eus., v.C. I 18,1 – è stato nominato πρῶτος αὔγουστος, possedendo di conseguenza un potere decisionale rispetto al collegio tetrarchico. Sulla politica religiosa di Costanzo I si veda anche K.M. Girardet, Die konstantinische Wende. Voraussetzungen und geistige Grundlagen der Religions;politik Konstantins des Großen, Darmstadt 2006, pp. 27-32.
110 Lact., mort. pers. 24,9: «Suscepto imperio Con;stantinus Augustus nihil egit prius quam Christianos cultui ac deo suo reddere. Haec fuit prima eius sanctio sanctae religionis restitutae».
111 Prima del 312 non si ha notizia di provvedimenti costantiniani che potrebbero condurre a una cessazione delle persecuzioni. Il fatto che Costantino non abbia assunto prima del 312 alcun provvedimento riguardo allo statuto giuridico dei cristiani si evince notando come Eusebio nel discorso per il trentennale tenuto davanti all’imperatore stesso ascriva a Costantino un ruolo rilevante nella storia della salvezza solo per quanto riguarda il periodo successivo alla fine delle persecuzioni contro i cristiani volute da Galerio. Cfr. anche v.C. I 32.
112 Si veda a questo proposito J. Wienand, Der Kaiser als Sieger, cit., pp. 441-448.
113 Eus., l.C. 6,21.
114 Eus., l.C. 7,2.
115 Eus., l.C. 7,2. Eusebio parla degli ἀφανεῖς ἐχθροί. Un altro tipo di barbari: Eus., l.C. 6,21 (ἄλλων τουτωνὶ βαρβάρων).
116 Eus., l.C. prol. 5; 1,2; 1,5; 6,18.
117 Eus., l.C. 3,6.
118 Eus., l.C. 7,7; 7,10; 7,13.
119 Eus., l.C. 1,3; 5,6; 8,7; 9,9-10.
120 Eus., l.C. 8,7.
121 Eus., l.C. 9,9.
122 Eus., l.C. 9,8.
123 Sulla datazione delle vittorie si veda T.D. Barnes, The Victories of Constantine, cit., pp. 149-156; sulle tendenze principali rintracciabili nell’autorappresentazione costantinana tra il 324 e il 337 d.C. si veda Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus, cit., pp. 133-162.
124 Cfr. Eus., l.C. 9,12.
125 Eus., l.C. 9,14.
126 Sulla riforma del culto dell’imperatore del 321 cfr. Eus., v.C. IV 18,3-20,2; una descrizione meno dettagliata si può rinvenire in Eus., l.C. 9,9-10.
127 Si veda in particolare R. Haensch, La christianisation de l’armée romaine, in L’armée romaine de Dioclétien à Valentinien I, éd. par Y. Le Bohec, C. Wolf, Lyon-Paris 2004, pp. 525-531.
128 Eus., v.C. IV 56,2-3.
129 Eus., v.C. IV 61,1-3.
130 Eus., v.C. IV 56-57.
131 Per quanto riguarda queste condizioni cfr. J. Martin, Zum Selbstverständnis, zur Repräsentation und Macht des Kaisers in der Spätantike, in Saeculum, 35 (1984), pp. 115-131; S. Diefenbach, Frömmigkeit und Kaiserakzeptanz im frühen Byzanz, in Saeculum 47, (1996), pp. 35-66; J. Martin, Das Kaisertum in der Spätantike, in Usurpationen in der Spätantike, Akten des Kolloquiums «Staatsstreich und Staatlichkeit», (Solothum, Bern 6.-10. März 1996), hrsg. von F. Paschoud, J. Szidat, Stuttgart 1997, pp. 48-62; S. Diefenbach, Zwischen Liturgie und civilitas: Konstantinopel im 5. Jahrhundert und die Etablierung eines städtischen Kaisertums, in Bildlichkeit und Bildorte von Liturgie: Schauplätze in Spätantike, Byzanz und Mittelalter, hrsg. von R. Warland, Wiesbaden 2002, pp. 21-49; M. Meier, Göttlicher Kaiser und christlicher Herrscher? Die christlichen Kaiser der Spätantike und ihre Stellung zu Gott, in Das Altertum, 48 (2003), pp. 129-160; H.C. Brennecke, Heiligkeit als Herr;schaftslegitimation, in Sakralität zwischen Antike und Neuzeit, hrsg. von B. Hamm, K. Herbers, H. Stein-Kecks, Stuttgart 2007, pp. 115-122; M. Meier, Die Demut des Kaisers. Aspekte der religiösen Selbst;inszenierung bei Theodosius II. (408-450 n. Chr.), in Die Bibel als politisches Argument. Voraussetzungen und Folgen biblizistischer Herrschaftslegitimation in der Vormoderne, hrsg. von A. Pečar, K. Trampedach, München 2007, pp. 135-158; R. Pfeilschifter, Der Kaiser und Konstantinopel. Kommunikation und Konfliktaustrag im hauptstädtischen Interessengeflecht vom späten vierten bis zum frühen siebten Jahrhundert, Berlin 2012.
132 Si veda a questo proposito M. McCormick, Eternal Victory. Triumphal Rulership in Late Antiquity, Byzantium, and the Early Medieval West, Cambridge 1986.