COSTANTINO di Sicilia (Constantinus de Phimo, de Fimo, de Euphemio)
Apparteneva a una famiglia siciliana di origine greca, come rivelano i nomi in essa ricorrenti, la quale si era stabilita a Taormina. Sin dal tempo di Guglielmo II essa aveva fornito alla monarchia siciliana funzionari provinciali nell'isola - giustizieri, maestri forestali e castellani -. C. era figlio di Filippo de Fimi (Philippus di Euphemio), che nel 1182 rivestiva l'ufficio di giustiziere e maestro forestale in Val di Demone e nelle altre valli della Sicilia orientale ed è ricordato ancora nel 1195 al servizio dell'imperatrice Costanza con funzioni analoghe.
Nato poco prima del 1200, C. rimase orfano del padre in giovane età e all'età di quattordici anni fu affidato dalla madre al vescovo di Catania Gualtieri di Pagliara, discendente da una famiglia comitale abruzzese, il quale, come cancelliere del Regno e signore territoriale, teneva una nobile corte a Catania. Come valletto nella "famiglia" del vescovo C. fu educato presso questa corte nelle arti e nelle forme di vita cavalleresche. Il suo servizio ebbe, però, termine nel 1221 quando l'imperatore Federico II, dopo il fallimento della spedizione navale che il Pagliara aveva guidato in soccorso dei crociati di Damietta, impedì al vescovo il ritorno a Catania, costringendolo all'esilio a Roma. C. era presente come testimone oculare quando l'imperatore nel 1221, mentre Gualtieri di Pagliara si trovava ancora nel Mediterraneo orientale, fece confiscare per la Corona il castello vescovile di Calatabiano e cacciare il procuratore di Gualtieri, l'abruzzese Oderisio di Achano.
Finiti gli anni di apprendistato cavalleresco, C. fece ritorno a Taormina, dove, insieme con la moglie Riccadonna, nel 1236 vendette al monastero di S. Pietro in Itala (presso Scaletta) alcune proprietà ricevute in eredità e situate a Troina (proprietà le quali lasciano pensare che la sua famiglia si fosse trasferita appunto da questa località a Taormina).
Nel 1246, dopo la nomina di Federico di Antiochia, figlio dell'imperatore, a vicario generale in Toscana come successore di Pandolfo di Fasanella, resosi colpevole di alto tradimento, C. passò temporaneamente, come altri suoi conterranei, al servizio dell'amministrazione imperiale in Tuscia. Nell'ottobre del 1246 svolse le funzioni di vicario nel contado di Siena, nella diocesi di Chiusi e nel castello imperiale di San Quirico d'Orcia, ma si trattenne solo brevemente nella Tuscia meridionale, dove si dovette occupare principalmente delle lamentele del monastero di San Salvatore di Monte Amiata.
Già nel febbraio 1247 risulta di nuovo nel Regno, titolare di un ufficio che rientrava meglio nella tradizione della sua famiglia, quello di camerario imperiale di Val di Demone e Val di Milazzo. In tale veste esaminò nei mesi seguenti, per incarico del giustiziere della Sicilia orientale Ugo Capasino, la vertenza aperta dai monaci di S. Filippo di Fragalà contro l'abate e il monastero di S. Maria di Maniaci. Dopo aver a lungo ascoltato i testimoni - in assenza tuttavia dei rappresentanti della parte querelata - C. emanò nel maggio del 1247 una sentenza favorevole al monastero di S. Filippo.
Non sappiamo se C. abbia svolto anche in seguito funzioni nell'amministrazione provinciale. Era, comunque, ancora in vita nel 1267 quando, per desiderio del vescovo di Catania, Angelo de Abrusca, depose come primo testimone nel processo per la restituzione del castello di Calatabiano alla mensa vescovile, rendendo una testimonianza favorevole alla chiesa di Catania, davanti al vescovo Matteo di Siracusa che conduceva l'inchiesta. Dopo questo non si hanno ulteriori notizie su di lui.
Dal matrimonio con Riccadonna era nata una figlia di nome Virgilia, che nel 1236 viveva a Taormina. Nello stesso anno il fratello di C., Filippo, era baiulo di Taormina ed è ricordato nel 1244-45 come maestro imperiale delle foreste nella Sicilia orientale. Il fratello minore Gualtieri - nome che non rientrava nella tradizione familiare e che egli doveva sicuramente a Gualtieri di Pagliara da cui era stato battezzato nella chiesa di S. Pietro a Calatabiano - morì giovane. Da lui discende forse quel Gualtieri de Fimo, che nel 1268-69 era capitano di Catania ed impedì che vi prendessero piede i seguaci di Corradino. Apparteneva alla cerchia più vasta della famiglia con tutta probabilità anche Nicola de Fimi, castellano di Lentini nel 1228, anche se non è possibile stabilire il grado della sua parentela con Costantino.
Fonti e Bibl.: Catania, Arch. capitolare, perg. 17 del 1267, f. 2 (deposizione di C. come teste in un processo di restituzione); J. L. A. Huillard-Bréholles, Historia diplomatica Frederici secundi, IV, 1, Paris 1854, pp. 453 ss.;G. Spata, Le pergamene greche esistenti nel grande archivio di Palermo, Palermo 1862, pp. 309-314 n. 30; S. Cusa, I diplomi greci ed arabi di Sicilia, I, 1, Palermo 1868, pp. 439-443 n. 28; E. Winkelmann, Acta Imperii inedita, I, Innsbruck 1880, p. 342 n. 391;J. F. Böhmer-J. Ficker-E. Winkelmann, Regesta Imperii, V, Innsbruck 1881-1901, nn. 3607, 13584, 13605; A. Salinas, Osservaz. a due diplomi greci riguardanti la topografia di Palermo, in Arch. stor. sicil., n.s., IX (1884), pp. 90 s. n. 1; G. Silvestri, Tabulario del monastero di S. Filippo di Fragalà e Santa Maria di Maniaci, in Doc. per servire alla storia di Sicilia, s. 1, XI, Palermo 1887, pp. 4-7 n. 2;G. Battaglia, I diplomi ined. relativi all'ordinamento della proprietà fondiaria in Sicilia sotto i Normanni e gli Svevi, ibid., XVI, Palermo 1895-96, pp. 189 s. n. 58;A. Lisini, R. Archivio di Stato di Siena. Inventario del Diplomatico, in Bull. senese di storia Patria, XVI (1909), p. 239; H. Niese, Das Bistum Catania und die Sizilischen Hohenstaufen, in Nachrichten von der Kgl. Akademie der Wissenschaften zu Göttingen, Phil.-hist. Kl. 1913, pp. 58 s. n. 1, 62 n. 4;E. Kantorowicz, Kaiser Friedrich der Zweite, Berlin 1931, pp. 138, 275;M. Ohlig, Studien zum Beamtentum Friedrichs II. in Reichsitalien von 1237-1250 unter besonderer Berücksichtigung der süditalienischen Beamten, Diss.phil., Frankfurt 1933, p. 8; G. Ciacci, Gli Aldobrandeschi nella storia e nella "Divina Commedia", II, Roma 1935, p. 153 n. 411.