COSTANTINO (Gostantini, Gosantine, Goantine) di Cagliari
Secondo di questo nome, figlio unico di Mariano Torchitorio, giudice di Cagliari (c. 1107 - c. 1121), nacque nei primi anni del secolo XII, e, come era uso, fu associato al trono sin dalla prima giovinezza. Non sappiamo esattamente, per il silenzio delle fonti a noi note, quando cominciò a regnare da solo; questo avvenimento deve porsi tuttavia in un periodo di tempo di poco anteriore al 1130, perché il 13 febbraio di quell'anno C. rilasciò all'Opera di S. Maria in Pisa un documento nel quale, intitolandosi per la prima volta "iudex Caralitanus", confermava una donazione di quattro corti fatta dal padre. Conferme del genere venivano di solito accordate, infatti, dai giudici agli inizi del loro governo. Anch'egli, come il nonno, assunse l'appellativo di Salusio de Lacon, secondo l'antica consuetudine per la quale sul trono di Cagliari dovevano sedere alternativamente un Torchitorio de Ugunali ed un Salusio de Lacon. In alcuni documenti egli si intitola "de Pluminus", dal nome della località in cui i giudici di Cagliari avevano stabilito la loro residenza, quando la popolazione aveva abbandonato il luogo dell'antica città, devastata dalle incursioni saracene, per ritirarsi dietro la cintura di stagni, che permetteva una più facile difesa.
Il regno di C. durò per oltre un trentennio e rappresentò un momento assai importante nella storia cagliaritana, perché proprio nel corso di esso si svolse, sotterranea e accanita, la grande lotta tra la Sede apostolica, Genova e Pisa, le tre potenze continentali che miravano allora ad assicurarsi posizioni di privilegio e ad affermare la loro egemonia sul giudicato. La rivalità fra le due Repubbliche sfociò nella guerra che, scoppiata nel 1120 per la questione - solo apparentemente di natura ecclesiastica - dei vescovi corsi, terminò nel 1133. In questa situazione, intessuta di contrastanti interessi e piena di insidie, la condotta di C., per quanto è dato desumere dalle scarse fonti in nostro possesso, fu tesa a salvaguardare l'autonomia del suo piccolo Stato mirando, sulla linea politica già avviata dal padre, a contemperare in una situazione di equilibrio le posizioni e le pressioni dei tre contendenti ed a realizzare una convivenza che, solo se pacifica, poteva essere fruttuosa per il suo paese. Senza dubbio C. fu ligio alla S. Sede, come testimonia l'appoggio da lui accordato ai monaci dell'abbazia di S. Vittore di Marsiglia, e sostenne i Pisani: tra il 1130 e il 1131, insieme con i giudici Gonario di Torres e Comita di Gallura, prestò giuramento di fedeltà all'arcivescovo di Pisa. Mostrò tuttavia amicizia anche nei confronti dei Genovesi, onde il suo trentennio di regno costituì non solo un periodo di pace per il suo giudicato, ma fu un'epoca di avvicinamento tra l'arcaico mondo isolano ed il mondo continentale.
Di C. sono giunti sino a noi alcuni diplomi relativi a donazioni di terre e a concessioni di privilegi in favore di istituzioni ecclesiastiche per lo più continentali, che erano espressione degli interessi politici ed economici delle forze in gioco. Essi rispecchiano quindi non tanto lo zelo religioso del giudice cagliaritano, quanto i suoi orientamenti politici. Con le loro molteplici iniziative e con la loro attività i monaci di S. Vittore, così come i Pisani, incisero profondamente sul successivo sviluppo economico e sociale della regione, così come sulla vita religiosa, culturale ed artistica. Ai primi si deve soprattutto il vasto programma di costruzione e di restauro degli edifici sacri attuato nel Cagliaritanosino al quinto decennio del secolo; ad ambedue, il risveglio ed il rinnovamento dell'agricoltura locale ed il ritorno dei giudicato nell'ambito spirituale della Chiesa di Roma e della cultura latina. Nel corso dei trentatré anni di governo di C. continuarono i contrasti fra gli insediamenti monastici, favoriti dal giudice, e gli arcivescovi di Cagliari; continuarono anche le manovre pisane per minare l'egemonia del monachesimo vittorino, intorno alla metà del secolo avviato al tramonto. Ed è proprio in questo periodo che Pisa estese e consolidò la sua preponderanza, imponendo una pesante tutela sul giudicato di Cagliari.
C. morì verso il 1163.
Si era sposato due volte: con Giorgia de Unali, in prime nozze, e, in seconde, con Sardinia de Zori. Dai due matrimoni gli erano nate tre figlie. La maggiore di esse, di cui ignoriamo il nome, andò sposa a Pietro di Torres, fratello del giudice Barisone; la seconda, Giorgia, sposò il marchese pisano Oberto di Massa; Preziosa, la terza, fu moglie di un altro nobile pisano, Tedice di Donoratico.
Fonti e Bibl.: P. Tola, Codex diplom. Sardiniae, I, Augustae Taurinorum 1861, docc. 39, 42, 48; G. Fara, De chorographia Sardiniae libri duo. De rebus Sardois libri quatuor, a cura di L. Cibrario, Augustae Taurinorum 1835, pp. 196 ss.; G. Manno, Storia di Sardegna, I, Milano 1835, Ppp. 301, 309 ss.; P. Tola, Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna, I, Torino 1837, p. 241; E. Besta, La Sardegna medioevale, I, Palermo 1908, pp. 106 ss.; D. Filia, La Sardegna cristiana. Storia della Chiesa, II, Sassari 1913, p. 24; A. Solmi, Studi stor. sulle istituzioni della Sardegna nel Medio Evo, Pavia 1917, pp. 211, 398; D. Scano, Serie cronol. dei giudici sardi, in Arch. stor. sardo, XXI (1939), 3-4, p. 33; R. Delogu, L'architettura nel Medio Evo in Sardegna, Roma 1953, pp. 47 ss.