Costantino Bresciani Turroni
Costantino Bresciani Turroni, tra i principali economisti italiani del Novecento, è famoso internazionalmente per i suoi scritti di economia monetaria, economia internazionale, statistica. Professore universitario e membro di importanti istituzioni nazionali e sovranazionali, dalle sue molteplici attività seppe far scaturire un approccio analitico originale, basato sulla sintesi tra teoria e indagine empirica, unita a una grande sensibilità per gli aspetti storico-istituzionali e per il ruolo degli interessi in gioco nella promozione degli esiti economici aggregati.
Nasce il 26 febbraio 1882 a Verona, da Alessandro Bresciani ed Erminia Turroni. Iscrittosi alla facoltà di Giurisprudenza a Palermo, studia economia politica con Giuseppe Ricca Salerno; poi, a Padova, con Achille Loria, sotto la cui supervisione si laurea nel 1902 con una tesi su argomenti monetari. Tra il 1903 e il 1905 frequenta a Berlino il laboratorio di economia politica di Adolph Wagner e Gustav von Schmoller, e quello di statistica di Ladislaus von Bortkiewicz.
L’attività didattica ha inizio con l’insegnamento della statistica, disciplina nella quale egli si era già fatto apprezzare sia con gli scritti metodologici, sia con quelli sulla speculazione di borsa e sulla distribuzione del reddito, in cui ebbe tra l’altro modo di criticare la cosiddetta legge di Pareto (Dell’influenza delle condizioni economiche sulla forma della curva dei redditi, «Giornale degli economisti», s. II, agosto 1905, 31, pp. 115-38).
In statistica ottiene la libera docenza a Pavia nel 1907, poi vince il concorso a cattedra nel 1908 a Palermo. Si trasferisce all’Università di Genova nel 1917. Nello stesso anno pubblica Mitteleuropa. L’impero economico dell’Europa centrale (in «Annali del seminario giuridico della Università di Palermo», 1917, 6, pp. 45-143), scritto inquietante per la precisa individuazione delle aspirazioni espansionistiche della Germania nell’ambito del conflitto tra gli imperialismi.
È membro, dal 1919, della Delegazione tecnica italiana per le trattative di pace a Parigi; dal 1920 della Delegazione italiana presso la Commissione per le riparazioni a Berlino. Dal 1924 è consulente finanziario dell’Agente generale per il pagamento delle riparazioni.
Nel 1925 insegna economia politica a Bologna, l’anno successivo è a Milano, dove rimarrà titolare della cattedra fino al pensionamento, nel 1957. Dal 1927 al 1940, su invito del governo egiziano e con il consenso di quello italiano, preferisce però insegnare all’Università del Cairo: l’incarico è più conciliabile con gli impegni tedeschi, cui egli tiene moltissimo (anche perché, nel 1926, sposa la berlinese Clara Lubrecht). Ma probabilmente la ragione più profonda è che egli non gradisce il regime fascista ed è a esso sgradito: avendo firmato il manifesto Croce del 1925, è segnalato come docente non favorevole al regime, e il suo nome sparisce dal Comitato tecnico dell’Enciclopedia Treccani, dove era dapprima apparso come responsabile della sezione Scienze economiche (Bini 1992, pp. 26-31).
Nel 1945 è designato dal Partito liberale alla Consulta nazionale e interviene nei dibattiti sulle linee della ripresa: è favorevole al cambio della moneta e insiste su un’equa distribuzione dei «sacrifici» tra le classi. Presta consiglio al ministro per la ricostruzione del governo Parri, Meuccio Ruini, per la difesa degli interessi nazionali contro un progetto americano di «liquidazione» di alcuni settori dell’industria italiana (Costabile 2008 e 2010; De Cecco 2010). Stila Il programma economico-sociale del liberalismo (1945). Nel 1945 conferisce alla Commissione economica della Costituente, incaricata di affrontare i principali problemi economici del Paese.
Dal 1945 è presidente (dal 1959 presidente onorario) del Banco di Roma; nel 1946 fonda la «Review of economic conditions in Italy». Dal 1947 al 1951 è direttore esecutivo della Banca mondiale. Nel 1948 è membro del Consiglio della Econometric society; nel 1952 partecipa alla stesura di un importante Rapporto finanziario di esperti all’O.E.E.C. sulla situazione finanziaria interna degli stati membri ed associati, insieme a E. Lindhal, L. Robbins, J. Rueff, E. Schneider e altri. È ministro per il commercio estero nel governo Pella (agosto 1953-gennaio 1954). Scrive sulle principali riviste scientifiche internazionali, interviene nel dibattito economico corrente sul «Corriere della sera». È accademico dei Lincei e membro corrispondente dell’Institut de France. La «cristallina chiarezza» dello stile caratterizza tutti i suoi scritti (G. Del Vecchio, In memoria di Costantino Bresciani Turroni, «Rivista di politica economica», 1964, 1, pp. 3-5). Muore a Milano il 7 dicembre 1963, pochi giorni dopo la morte di Clara.
Bresciani Turroni è a Berlino negli anni della grande inflazione, che costituisce una straordinaria palestra per le sue capacità analitiche e di cui, favorito anche dai suoi incarichi ufficiali, può studiare sul campo la dinamica. I suoi scritti sull’inflazione tedesca, rielaborati e riuniti nel più celebre dei suoi libri, Le vicende del marco tedesco (1931), ebbero poi una nuova versione inglese nel 1937, The economics of inflation, salutata da importanti recensioni (su questa si basa la seconda edizione italiana, Teoria dell’inflazione, a cura di F.C. Rosati, 1978).
Il libro è un esemplare trattato di economia politica, nel senso più completo del termine, paradigmatico del metodo di lavoro dell’autore e del suo modo di concepire l’indagine economica: grazie alle profonde conoscenze teoriche e alla grande competenza tecnica, egli sviluppa la teoria in direzioni originali, con l’ausilio di uno studio attento dei fatti; e intreccia a quest’indagine l’analisi delle istituzioni, dei comportamenti delle forze politiche, delle azioni e reazioni dei gruppi e delle classi sociali.
Fino dall’incipit egli chiarisce quali sono, nella sua interpretazione, le due cause di fondo della grande inflazione tedesca: la sospensione della convertibilità dei biglietti di banca in oro e la monetizzazione dei deficit pubblici da parte della banca centrale (la Reichsbank), secondo il dettato della legge del 1914. Questa, autorizzando l’istituto di emissione allo sconto dei titoli a breve scadenza emessi dal Tesoro, e a servirsene a copertura dei biglietti insieme alle cambiali commerciali, causò la progressiva crescita della base monetaria. La conseguente, forte instabilità monetaria (aggravata ma non causata, secondo l’autore, dalle ripercussioni della sconfitta tedesca, e soprattutto dalle gravose riparazioni postbelliche; Teoria dell’inflazione, cit., pp. 93-95) sarebbe sfociata nella progressiva perdita del potere d’acquisto del marco e nel suo continuo deprezzamento nei confronti delle valute estere, fino all’iperinflazione del 1922-23 e al collasso finale del sistema monetario. Causa fondamentale ne fu il «torrente di nuova carta che ininterrottamente usciva dalla Reichsbank» (p. 17) per finanziare il deficit pubblico ormai fuori controllo. Si assisteva così alla «morte di una moneta».
Nella sua analisi, Bresciani Turroni innova dall’interno l’approccio della teoria quantitativa della moneta individuando, nella dinamica inflazionistica, il ruolo centrale di un «fenomeno psicologico»: la perdita della fiducia nel potere d’acquisto della moneta stessa, fattore che induce gli individui a ridurre il valore reale delle scorte monetarie desiderate, come proprio in quegli anni venivano chiarendo anche Alfred Marshall e John M. Keynes. Grazie a questo spunto teorico, e alle sue accurate analisi statistiche, egli spiega il passaggio dall’inflazione all’iperinflazione (cioè da un tasso di crescita dei prezzi grosso modo uguale a quello dell’offerta di moneta a un tasso di crescita dei prezzi molto più elevato) in base a un legame sistematico tra domanda di moneta e inflazione attesa. La velocità di circolazione crebbe, infatti, dapprima in seguito alle aspettative di deprezzamento del marco dopo il trattato di Versailles del giugno 1919 (p. 41); poi, dopo un periodo di relativa calma, ancora, in maniera più forte e permanente, dopo la metà del 1921, causando la «fuga dal marco» (pp. 196-98) e, negli stadi finali dell’iperinflazione, il suo totale «ripudio» da parte del pubblico. Questo infatti preferiva usare divise estere o, nel caso di molti produttori o commercianti, accumulare scorte di beni piuttosto che venderli in cambio di moneta senza valore (pp. 200-01). Coerentemente con tale interpretazione, la fine dell’iperinflazione (il «miracolo» o l’«enigma» della stabilizzazione monetaria) è spiegata con la repentina caduta delle aspettative inflazionistiche (p. 435), in seguito alla sospensione della monetizzazione del deficit il 15 novembre 1923, seguita poi dall’introduzione del marco-rendita (Rentenmark), e alle misure di stabilizzazione dei conti pubblici.
L’interpretazione basata sulle aspettative inflazionistiche lascerà il segno, e rimarrà ferma in tutta la successiva letteratura di stampo quantitativistico sul tema dell’inflazione e dell’iperinflazione (cfr., per es., Cagan 1956; Sargent 1982).
La posizione di Bresciani Turroni è invece poco ortodossa sul complemento teorico della teoria quantitativa della moneta: la teoria della parità dei poteri d’acquisto, cioè la tesi che il tasso di cambio di equilibrio tra due valute è determinato, essenzialmente, dal quoziente dei loro poteri d’acquisto nei rispettivi Paesi. Questa teoria implica che la dinamica dei prezzi e quella del cambio derivano da un’unica causa, l’aumento dell’offerta di moneta. La sequenza causale va dal livello dei prezzi interni (l’elemento «attivo») al cambio (l’elemento «passivo») (Teoria dell’inflazione, cit., pp. 134-35): la moneta nazionale si deprezza a causa dell’inflazione. Ma, come la verifica empirica chiaramente indicava, solo in una prima fase della grande inflazione il cambio nominale si mosse effettivamente in maniera passiva, mentre dal 1921 al 1923 fu esso ad agire da variabile attiva: l’aumento dell’offerta di moneta si trasferiva dapprima sul valore esterno del marco, «come risultato della speculazione» di origine tedesca nonché «dell’impiego da parte del governo tedesco di parte della nuova moneta nell’acquisto di valuta estera» (p. 145); e da questo sull’inflazione. Egli concluse perciò che, come anche oggi largamente si ritiene, la teoria della parità dei poteri d’acquisto «è una teoria dell’andamento di “lungo periodo” del livello dei cambi, piuttosto che una descrizione di ciò che accade “nel breve periodo”» (pp. 128 e 163).
Come accennavamo, la carne e il sangue di cui vive l’interpretazione dell’inflazione è l’analisi storico-istituzionale. Qualche esempio: una causa centrale della persistenza dei deficit pubblici era nell’architettura istituzionale del sistema fiscale tedesco. Mancava un’amministrazione fiscale centrale che subordinasse a sé quelle degli Stati locali (p. 34). Inoltre, vi era un tale ritardo temporale tra la fissazione dell’imposta in termini nominali e la sua effettiva riscossione, che la riduzione del gettito al di sotto del suo valore reale atteso era sistematica (tale effetto, oggi noto come effetto Tanzi-Olivera, andrebbe piuttosto definito effetto Bresciani Turroni). Ancora: sul piano della politica monetaria, i trattati di pace avevano tolto alla Reichsbank il controllo delle riserve auree, impedendole così di intervenire a garanzia dei crediti internazionali necessari per fronteggiare il deficit estero, e rendendo inevitabili nuove emissioni (p. 39).
Altrettanto interessante è l’analisi del gioco conflittuale delle classi nella Repubblica di Weimar e della «debolezza dello Stato di fronte ai grandi gruppi economici» (p. 67). Si trattava soprattutto del grande capitale industriale, degli agrari e degli speculatori che, se trassero importanti benefici dal continuo deprezzamento del marco, grazie alla riduzione del valore reale dei loro debiti e allo stimolo inflazionistico alle vendite e ai profitti (pp. 108-11, 231, 442), impedirono però, attraverso i partiti della destra, l’imposizione fiscale sui patrimoni e la stabilizzazione finanziaria, volute invece dai partiti socialisti e democratici (ai quali ultimi andava il sostegno di Bresciani Turroni). Le conseguenze distributive furono drammatiche: tra i «fatti fondamentali» egli documenta «la depressione dei salari reali durante tutto il periodo dell’inflazione» (p. 23) e le
imponenti concentrazioni di capitale, che fuori dalla Germania furono spesso interpretate come indici della prosperità dell’economia tedesca, mentre, per lo meno in gran parte, esse non erano che la conseguenza di uno spostamento della ricchezza, cioè dell’espropriazione esercitata da alcuni gruppi plutocratici, favoriti dall’inflazione, a danno di quelle classi sociali che non avevano potuto o saputo difendersi contro l’influenza del deprezzamento del marco (pp. 350-51).
Un tema che corre attraverso gran parte della produzione scientifica del nostro autore è quello della dinamica economica. Partiamo dalla sua affermazione:
[…] se consideriamo le relazioni fra l’inflazione cartacea e mezzi di produzione dal punto di vista statico, come fa l’economia classica, è certo che l’inflazione non accresce la quantità di macchine, di edifici industriali, ecc. che si trovano in un paese. Ma dal punto di vista dinamico la conclusione è diversa. Grazie al “risparmio forzato” che l’inflazione cartacea, provocando un aumento dei prezzi, impone agli operai precedentemente occupati e alle classi sociali a reddito fisso è ben possibile che la produzione economica complessiva si accresca (p. 219).
Nel caso tedesco, l’inflazione provocò sia l’espansione della produzione totale sia l’aumento della produzione di beni strumentali a scapito della produzione di beni di consumo; cioè, nel linguaggio Böhm-Bawerkiano, l’allungamento del periodo di produzione. L’espansione produttiva ebbe fine per effetto dell’iperinflazione che ridusse, da un lato, il risparmio volontario, dall’altro, quello forzato, per la reazione delle classi lavoratrici, che alla fine del periodo riuscirono a ottenere una dinamica salariale meno sfavorevole (p. 264).
Su queste basi, si potrebbe pensare a un’adesione di Bresciani Turroni alla teoria del ciclo economico di Ludwig von Mises (1881-1973) e Friedrich A. Hayek (1899-1992), che poggia sul famoso «effetto fisarmonica», come fu ribattezzato da Nicholas Kaldor (1908-1986). In base a questo effetto, un «allungamento» del periodo di produzione, se è indotto non già, «fisiologicamente», da un incremento del risparmio volontario, ma da una politica monetaria espansiva e dal conseguente risparmio forzato, equivale a una «distorsione» della struttura produttiva, che si converte necessariamente in un successivo «accorciamento» e nello spreco di risorse inerente in un siffatto squilibrio, artificialmente creato, tra risparmio e investimento.
In realtà, come è stato giustamente osservato da Piero Bini, il messaggio che in ultima analisi emerge dalla sua trattazione è «esattamente il contrario» di quello hayekiano (Bini 1992, p. 184). Nonostante la reciproca stima e le molteplici lance spezzate da Bresciani Turroni in favore dell’altro (cfr., per es., Review of Monetary theory and the trade cycle by F.A. Hayek, «Economica», n.s., 1934, 3, pp. 344-47), la profonda differenza tra i due non sta solo nel fatto che, per l’autore italiano, lo squilibrio tra risparmi e investimenti può avvenire anche in assenza di «disturbi monetari», data la mancanza di un coordinamento ex ante tra decisioni di investimento e decisioni di risparmio; ma soprattutto nella circostanza che, per lui, nelle fasi di depressione alcune risorse produttive sono normalmente inutilizzate. Se questo è il caso, come egli disse, «non ha luogo alcuna distorsione nella struttura produttiva», perché l’espansione della produzione di beni strumentali indotta da un’espansione monetaria non avviene a scapito della produzione di beni di consumo. Quindi, la formazione di capitale resa possibile dalla politica monetaria espansiva, agendo positivamente ex post sui risparmi volontari attraverso la crescita del reddito, consente il loro adeguamento alle decisioni di investimento.
In ultima istanza, la dinamica in questione riguarda non solo il ciclo, ma la crescita economica (C. Bresciani Turroni, The theory of saving, «Economica», 1936, 9, part I, pp. 1-23; 10, part II, pp. 162-81). Per questo aspetto, così come per l’individuazione della causa dell’espansione nelle autonome decisioni di investimento delle imprese, legate all’emergere di nuove prospettive di profitto, il nostro autore si avvicina molto a Joseph A. Schumpeter, Dennis H. Robertson e agli altri autori della tradizione che è stata definita «dinamica» (Le variazioni cicliche dei prezzi, «Annali del seminario giuridico della Università di Palermo», 1912, 2; Review of Monetary theory, cit., p. 346; Le previsioni economiche, in Nuova collana di economisti italiani e stranieri, a cura di G. Mortara, 6° vol., Cicli economici, 1932, p. 340; Bini 1992, pp. 71-72; sull’approccio «dinamico» cfr. Costabile 2005). Nella stessa direzione va, nell’articolo del 1936 su The theory of saving, l’individuazione della dipendenza del risparmio dal reddito e dalla sua distribuzione. L’idea della dipendenza del risparmio dal reddito, del resto, vive anche nella sua interpretazione dinamica del moltiplicatore (cfr., per es., Osservazioni sulla teoria del moltiplicatore, «Rivista bancaria», 1939, 8, pp. 693-714).
Larga fama ebbero gli studi di economia internazionale di Bresciani Turroni. Si è già accennato al suo approccio critico alla teoria della parità dei poteri d’acquisto. Alla base vi è la dimostrazione teorica che il tasso di cambio di equilibrio tra due valute non dipende solo dal rapporto tra i loro poteri d’acquisto interni, ma anche dalle condizioni della domanda mondiale per i beni prodotti nei rispettivi Paesi (The purchasing power parity doctrine, in Saggi di economia, 1961, pp. 91-122): di qui, la distinzione tra gli squilibri dovuti a differenziali d’inflazione e di competitività tra i Paesi, e quelli dovuti a spostamenti delle curve internazionali della domanda, a tassi d’inflazione dati (Corso di economia politica, 2° vol., Problemi speciali, Moneta, credito, banche, commercio internazionale, cambi esteri, forme di mercato, 1951, p. 283). Si tratta dello schema logico alla base di molti dei suoi studi di economia internazionale, come ora vedremo. Di grande interesse sono anche gli studi dei diversi sistemi internazionali di pagamento (cfr., per es., La funzione del regime aureo e del regime dei clearings, e la ricostruzione dei rapporti commerciali internazionali, «Giornale degli economisti e annali di economia», luglio-agosto 1941, pp. 3-42).
Dall’intreccio tra analisi teorica e indagine empirico-istituzionale scaturiscono illuminanti studi del funzionamento delle economie aperte. In quelli dedicati all’Egitto, per es., egli individuò il meccanismo di riequilibrio, in seguito a variazioni esogene delle esportazioni (trasposizioni della curva della domanda di cotone egiziano), non nella variazione del livello dei prezzi, ma nella variazione delle importazioni, dovute a loro volta alle oscillazioni dei redditi da esportazione (cfr., per es., Egypt’s balance of trade, «Journal of political economy», 1934, 3, pp. 371-84).
Di grande interesse, anche politico, nell’ambito del dibattito sulla stabilizzazione italiana del secondo dopoguerra, fu la sua posizione sulla bilancia dei pagamenti (per quanto segue, cfr. anche Costabile 2008 e 2010). Il deficit estero dei Paesi europei, egli argomentò, non era dovuto tanto a un problema di competitività, sebbene anche questo fosse presente: il problema principale erano l’aumento della domanda di importazioni e la caduta delle esportazioni, dovuti alle distruzioni belliche e alla perdita dei mercati di sbocco e di approvvigionamento. In Italia, in particolare, per rilanciare la produzione occorreva importare materie prime e beni di sussistenza (entrambi, in quanto capitale circolante, indispensabili input nel processo produttivo). Di conseguenza, la sua proposta era di tollerare per il tempo necessario il deficit estero, procedendo alla stipula di prestiti internazionali destinati al finanziamento delle importazioni, e di procedere così al rilancio della produzione e delle esportazioni (The exchange rate of the Italian lira e Foreign loans and the Italian economy, entrambi in Articles contributed by Costantino Bresciani Turroni to the Review of economics conditions in Italy in the years from 1947 to 1962, 1964, rispettivamente pp. 1-10 e 11-19; cfr. anche gli illuminanti interventi alla Consulta e alla Costituente: Intervento del Consultore Costantino Bresciani Turroni, in Atti della Consulta Nazionale, Discussioni dal 25 settembre 1945 al 9 marzo 1946, pp. 515-19; Interrogatori del Professor Costantino Bresciani Turroni, in Ministero per la Costituente, Rapporto della Commissione Economica, presentato all’Assemblea Costituente, 1946).
Altri economisti (Luigi Einaudi e, soprattutto, Guido Carli), di fede liberale come Bresciani Turroni, ma più fedeli alla teoria della parità dei poteri d’acquisto, puntavano invece tutte le carte su una drastica svalutazione per il ripristino della competitività, una politica da cui egli prese le distanze (cfr., per es., Corso di economia politica, 2° vol., p. 151). Pure avendo modo di collaborare con Einaudi e di difenderne la «linea» del 1947 (Two contrasting opinions regarding Italian economic policy, in Articles contributed, cit., pp. 87-96), egli si discostò dalla posizione sua e di altri economisti liberali anche per il parere favorevole al cambio della moneta, una misura utile sia per colpire i profitti dei «borsaneristi » e degli speculatori, sia per assicurare una forma di giustizia tributaria nel momento in cui si richiedevano grandi sacrifici alle classi lavoratrici (Corso di economia, 2° vol., p. 258; Intervento del Consultore, cit., p. 517; sulla posizione di Einaudi, cfr. P. Barucci, Introduzione a Le Considerazioni finali del Governatore della Banca d’Italia Luigi Einaudi, 2008).
Concludendo: l’originalità di Bresciani Turroni, sempre fondata sulla competenza del grande tecnico, si estese dall’analisi alla politica economica, un campo, quest’ultimo, in cui egli articolò in maniera personale il programma di quel liberalismo sociale e antidogmatico che diversi interpreti gli hanno riconosciuto (v. A. Quadrio Curzio, L. Ornaghi, Prefazione, G. Goisis, Presentazione, C. Rotondi, Introduzione, a C. Bresciani Turroni, Liberalismo e politica economica, Bologna 2007).
Dell’influenza delle condizioni economiche sulla forma della curva dei redditi, «Giornale degli economisti», s. II, agosto 1905, 31, pp. 115-38.
Le variazioni cicliche dei prezzi, «Annali del seminario giuridico della Università di Palermo», 1912, 2, pp. 227-82.
Mitteleuropa. L’impero economico dell’Europa centrale, «Annali del seminario giuridico della Università di Palermo», 1917, 6, pp. 45-143.
Le vicende del marco tedesco, «Annali di economia», 1931, 7 (2a ed., condotta sulla 1a ed. ingl., London 1937, con il titolo Teoria dell’inflazione, a cura di F.C. Rosati, Milano 1978).
Le previsioni economiche, in Nuova collana di economisti italiani e stranieri, a cura di G. Mortara, 6° vol., Cicli economici, Torino 1932, pp. 209-364.
Egypt’s balance of trade, «Journal of political economy», 1934, 3, pp. 371-84.
The purchasing power parity doctrine, «Egypte contemporaine», 1934, 25, pp. 433-64 (poi in Id., Saggi di economia, Milano 1961, pp. 91-122).
Review of Monetary theory and the trade cycle by F.A. Hayek, «Economica», n.s., 1934, 3, pp. 344-47.
The theory of saving, «Economica», 1936, 9, part I, pp. 1-23; 10, part II, pp. 162-81.
Osservazioni sulla teoria del moltiplicatore, «Rivista bancaria», 1939, 8, pp. 693-714.
La funzione del regime aureo e del regime dei clearings, e la ricostruzione dei rapporti commerciali internazionali, «Giornale degli economisti e annali di economia», luglio-agosto 1941, pp. 3-42.
Introduzione alla politica economica, Torino 1942.
Il programma economico-sociale del liberalismo, Milano 1945 (rist. in Liberalismo e politica economica, a cura di C. Rotondi, Prefazione di A. Quadrio Curzio, L. Ornaghi, Presentazione di G. Goisis, Bologna 2007).
Intervento del Consultore Costantino Bresciani Turroni, in Atti della Consulta Nazionale, Discussioni dal 25 settembre 1945 al 9 marzo 1946, Roma 1946, pp. 515-19.
Interrogatori del Professor Costantino Bresciani Turroni, in Ministero per la Costituente, Rapporto della Commissione Economica, presentato all’Assemblea Costituente, Roma 1946.
The exchange rate of the Italian lira, «Review of economics conditions in Italy», 1947, 1 (poi in Articles contributed by Costantino Bresciani Turroni to the Review of economics conditions in Italy in the years from 1947 to 1962, Roma 1964, pp. 1-10).
Foreign loans and the Italian economy, «Review of economics conditions in Italy», 1947, 3 (poi in Articles contributed by Costantino Bresciani Turroni to the Review of economics conditions in Italy in the years from 1947 to 1962, Roma 1964, pp. 11-19).
Corso di economia politica, 1° vol., Teoria generale dei fatti economici, Milano 1949; 2° vol., Problemi speciali, moneta, credito, banche, commercio internazionale, cambi esteri, forme di mercato, Milano 1951.
Credit policy and unemployment in Italy, «Review of economics conditions in Italy», 1949, 3 (poi in Articles contributed by Costantino Bresciani Turroni to the Review of economics conditions in Italy in the years from 1947 to 1962, Roma 1964, pp. 55-62 ).
Two contrasting opinions regarding Italian economic policy, «Review of economic conditions in Italy», 1950, 5 (poi in Articles contributed by Costantino Bresciani Turroni to the Review of economics conditions in Italy in the years from 1947 to 1962, Roma 1964, pp. 87-96).
Liberalismo e politica economica, a cura di C. Rotondi, Prefazione di A. Quadrio Curzio, L. Ornaghi, Presentazione di G. Goisis, Bologna 2007.
P. Cagan, The monetary dynamics of hyperinflation, in Studies in the quantity theory of money, ed. M. Friedman, Chicago 1956, pp. 25-117.
A. Gambino, Bresciani-Turroni Costantino, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 14° vol., Roma 1972, ad vocem.
T. J. Sargent, The ends of four big inflations, in Inflation: causes and effects, ed. R.E. Hall, Chicago 1982, pp. 41-98.
Società italiana degli economisti, La ricostruzione economica italiana dopo la seconda guerra mondiale, Genève 1985 (in partic. M. Talamona, Costantino Bresciani Turroni. L’opera scientifica e il contributo alla ricostruzione dell’economia italiana, pp. 134-53; S. Steve, Intervento, pp. 241-42).
P. Bini, Costantino Bresciani Turroni. Ciclo, moneta e sviluppo, Macerata 1992.
H.D. Kurz, Costantino Bresciani Turroni, in Italian economists of the 20th century, ed. F. Meacci, Cheltenham-Northampton 1998.
P. Bini, Costantino Bresciani Turroni. The eulogy of monetary stability, in European economists of the early 20th century. Studies of neglected continental thinkers of Germany and Italy, ed. W.J. Samuels, Cheltenham-Northampton 2003, pp. 1-36.
L. Costabile, Money, cycles and capital formation: von Mises the ‘Austrian’ vs. Robertson the ‘Dynamist’, «Cambridge journal of economics», 2005, 5, pp. 685-707.
L. Costabile, La ‘macroeconomia della ricostruzione’ di Costantino Bresciani Turroni: cambi, disavanzi e distribuzione, in Gli archivi e la storia del pensiero economico, a cura di P. Barucci, L. Costabile, M. Di Matteo, Bologna 2008.
L. Costabile, Costantino Bresciani Turroni and the macroeconomics of reconstruction, «Rivista italiana degli economisti», 2010, 3, pp. 403-31.
M. De Cecco, Italian economists and the international economy in the XX century, «Rivista italiana degli economisti», 2010, 1, pp. 3-19.